Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Pubblica amministrazione Numero: 2898 | Data di udienza: 14 Giugno 2012
* PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Espropriazione – Dichiarazione di pubblica utilità ed un legittimo decreto di occupazione d’urgenza – Mancata emanazione del provvedimento definitivo di esproprio nei termini – Illecito permanente – Decorrenza della prescrizione – Esclusione – Fattispecie.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 5^
Regione: Campania
Città: Napoli
Data di pubblicazione: 20 Giugno 2012
Numero: 2898
Data di udienza: 14 Giugno 2012
Presidente: Fiorentino
Estensore: Nunziata


Premassima

* PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Espropriazione – Dichiarazione di pubblica utilità ed un legittimo decreto di occupazione d’urgenza – Mancata emanazione del provvedimento definitivo di esproprio nei termini – Illecito permanente – Decorrenza della prescrizione – Esclusione – Fattispecie.



Massima

 

TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. 5^– 20 giugno 2012, n. 2898

 

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Espropriazione – Dichiarazione di pubblica utilità ed un legittimo decreto di occupazione d’urgenza – Mancata emanazione del provvedimento definitivo di esproprio nei termini – Illecito permanente – Decorrenza della prescrizione – Esclusione – Fattispecie.

 

Il comportamento tenuto dall’Amministrazione, la quale abbia emanato una valida dichiarazione di pubblica utilità ed un legittimo decreto di occupazione d’urgenza senza tuttavia emanare il provvedimento definitivo di esproprio nei termini previsti dalla legge, deve essere qualificato come “illecito permanente”, nella cui vigenza non decorre la prescrizione, ciò perché in questo caso manca un effetto traslativo della proprietà, stante la mancanza del provvedimento di esproprio, connesso alla mera irrevocabile modifica dei luoghi; pertanto, salva restando la possibilità di optare per le differenti forme risarcitorie che l’ordinamento appresta (restituzione del bene ovvero risarcimento del danno per equivalente), il soggetto privato del possesso può agire nei confronti dell’ente pubblico senza dover sottostare al termine prescrizionale quinquennale decorrente dalla trasformazione irreversibile del bene, con l’unico limite temporale rinvenibile nell’acquisto della proprietà, per usucapione ventennale del bene, eventualmente maturata dall’ente pubblico. (Cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, 1.2.2011, n. 175).

 

Pres. Fiorentino, Est. Nunziata – N.D.A. (avv. Sasso) c. Comune di Casapesenna (avv. Salvi) ed altro.


Allegato


Titolo Completo

TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. 5^– 20 giugno 2012, n. 2898

SENTENZA

 

 TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. 5^– 20 giugno 2012, n. 2898

 

N. 05143/2011 REG.RIC.
N. 03006/2011 REG.RIC.
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Quinta)
 
ha pronunciato la presente
SENTENZA
 
sui ricorsi riuniti n.3006/2011 e 5143/2011 come proposti dai Sig. Nicolina D’Angelo, Gennaro De Marco, Vittoria De Marco e Tecla De Marco, rappresentati e difesi dall’avv. Antonio Sasso e con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via Toledo, 156; 
 
contro
 
Comune di Casapesenna in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Mario Salvi e con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, via Andrea D’Isernia N.16; 
 
nei confronti di
 
A.S.D. Polisportiva Casapesenna, non costituita;
 
 
 
per ottenere
Quanto al ricorso n.3006/2011:
l’esecuzione della sentenza resa da questo Tribunale n.262/2011, non impugnata nei termini, con la quale veniva accolto il ricorso e dichiarato il diritto dei ricorrenti ad essere reintegrati nella piena titolarità e nel possesso del fondo di proprietà in Casapesenna di cui al fl. n.12 – part.lla n.24 previa rimozione delle opere eseguite, nonché condannato il Comune di Casapesenna al risarcimento dei danni nei termini di cui in motivazione.
 
Quanto al ricorso n.5143/2011:
l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, della Delibera Consiliare n.35 del 22/7/2011 di acquisizione al patrimonio comunale dei beni dei ricorrenti, nonché per la declaratoria del diritto al reintegro nella titolarità o, in subordine, per la condanna al risarcimento del danno.
 
 
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Casapesenna;
Vista la perizia tecnica di parte ricorrente;
Vista la memoria di parte ricorrente;
Vista la documentazione depositata dal Comune di Casapesenna;
Vista l’ulteriore documentazione depositata dal Comune di Casapesenna;
Vista l’ordinanza di questo Tribunale n.1753 del 2011 con la quale è stata rigettata la domanda di sospensione e disposta consulenza tecnica d’ufficio che, anche in considerazione degli elementi tecnici forniti da parte ricorrente e previa acquisizione da parte delle Amministrazioni di ogni documento utile, con riguardo alle vicende in contestazione ed alle argomentazioni spiegate in sede ricorsuale, quantificasse i danni a vario titolo provocati fissandosi l’udienza pubblica del 17 maggio 2012;
Vista la memoria del Comune di Casapesenna;
Vista l’ordinanza di questo Tribunale n.1283 del 2012 di proroga del termine per il deposito della relazione di consulenza tecnica;
Vista la relazione di consulenza tecnica depositata il 28/3/2012;
Visto il deposito della parcella avvenuto in data 12/4/2012;
Vista la memoria di parte ricorrente;
Vista la memoria del Comune di Casapesenna;
Vista la memoria di replica di parte ricorrente;
Visti gli artt. 34, co.5, 35, co. 1, lett. c, e 85, co. 9, cod. proc. amm.;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore il Consigliere Gabriele Nunziata alla udienza pubblica del 14 giugno 2012, ed ivi uditi gli Avvocati come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
 
 
FATTO
Quanto al ricorso n.3006/2011:
Espongono in fatto i ricorrenti di essere proprietari di un fondo in Casapesenna al fl.12 p.lla 24, già oggetto di procedura ablatoria per la quale sono intervenute molteplici sentenze, a livello sia di primo che di secondo grado dei giudici amministrativi, anche di annullamento degli atti impugnati e di condanna del Comune a restituire ai ricorrenti il terreno previo ripristino dello stato dei luoghi; da ultimo, con sentenza resa da questo Tribunale n.262/2011, non impugnata nei termini, è stato accolto il ricorso e dichiarato il diritto dei ricorrenti ad essere reintegrati nella piena titolarità e nel possesso del fondo di proprietà in Casapesenna di cui al fl. n.12 – part.lla n.24 previa rimozione delle opere eseguite, nonché condannato il Comune di Casapesenna al risarcimento dei danni nei termini di cui in motivazione, ma anche detta pronuncia non è stata fino ad oggi eseguita.
 
Quanto al ricorso n.5143/2011:
Richiamate le circostanze di cui al precedente ricorso, si espone che con nota dell’8/7/2011 il Comune informava dell’avvio del procedimento per l’acquisizione al patrimonio comunale del fondo di proprietà e, sebbene i ricorrenti avessero fatto pervenire proprie osservazioni, è stata adottata l’impugnata Delibera Consiliare n.35 del 22/7/2011 di acquisizione al patrimonio comunale dei beni dei ricorrenti.
 
Il Comune si è costituito per rappresentare che l’opera pubblica è attualmente esistente, per dedurre l’inammissibilità del ricorso per l’esecuzione della sentenza n.262 del 2011 e per replicare alle censure dedotte da parte ricorrente.
 
Con ordinanza questo Tribunale ha rigettato la domanda di sospensione e disposto consulenza tecnica d’ufficio che, anche in considerazione degli elementi tecnici forniti da parte ricorrente, quantificasse i danni a vario titolo provocati; è stata successivamente depositata la relazione di consulenza tecnica.
 
Alla pubblica udienza del 14 giugno 2012 le cause sono state chiamate e trattenute per la decisione, come da verbale.
 
DIRITTO
 
1.Con i ricorsi in esame parte ricorrente lamenta da un lato la mancata esecuzione del giudicato, dall’altro la violazione dell’art.42-bis del DPR n.327/2001, degli artt.21 e ss. della Legge n.241/1990, dell’art.57 del DPR n.327/2001, nonché l’eccesso di potere per illogicità e sviamento dei presupposti.
 
2. In via preliminare il Tribunale ritiene di disporre la riunione dei ricorsi, attesa la connessione oggettiva e soggettiva.
 
2.1 Con riguardo al ricorso a mezzo del quale si lamenta la mancata esecuzione della sentenza di questo Tribunale n.262/2011 di declaratoria del diritto dei ricorrenti ad essere reintegrati nella piena titolarità e nel possesso del fondo di proprietà in Casapesenna di cui al fl. n.12 – part.lla n.24, previa rimozione delle opere eseguite, e di condanna del Comune di Casapesenna al risarcimento dei danni, si osserva che lo stesso risulta improcedibile a seguito dell’avvenuta emanazione della Delibera Consiliare n.35 del 22/7/2011 di acquisizione al patrimonio comunale dei beni dei ricorrenti, come adottata dall’Amministrazione ai sensi dell’art.42-bis del DPR n.327/2001 a mezzo del quale era stato medio tempore reintrodotto l’istituto dell’acquisizione coattiva dell’immobile del privato utilizzato dall’Amministrazione per fini di interesse pubblico; il Legislatore, infatti, a seguito della declaratoria di incostituzionalità dell’originario art.43 conseguente a rimessione degli atti proprio dei giudizi tra le odierne parti, proprio nel luglio 2011 aveva ripristinato la possibilità dell’Amministrazione di acquisire al suo patrimonio indisponibile il bene del privato allorchè la sua utilizzazione rispondesse a “scopi di interesse pubblico” nonostante difettasse un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità.
 
Pertanto il ricorso iscritto con Rg. n.3006 del 2011 va dichiarato improcedibile.
3. In punto di giurisdizione la Sezione ritiene di non aver motivo per discostarsi nella circostanza dall’ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, nella materia dei procedimenti di espropriazione per pubblica utilità, ad eccezione delle ipotesi in cui manchi del tutto una dichiarazione di pubblica utilità dell’opera e l’Amministrazione espropriante abbia agito nell’assoluto difetto di una potestà ablativa come mancanza di qualunque facultas agendi vincolata o discrezionale di elidere o comprimere detto diritto – devolute come tali alla giurisdizione ordinaria, sono devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie nelle quali si faccia questione – anche ai fini complementari della tutela risarcitoria – di attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità e con essa congruenti, anche se il procedimento all’interno del quale sono state espletate non sia sfociato in un tempestivo e formale atto traslativo della proprietà ovvero sia caratterizzato dalla presenza di atti poi dichiarati illegittimi, purchè vi sia un collegamento all’esercizio della pubblica funzione (Cons. Stato, IV, 4.4.2011, n.2113; T.A.R. Lombardia, Brescia, I, 18.12.2008, n.1796; 1.6.2007, n.466; Cons. Stato, A.P. 30.7.2007, n.9 e 22.10.2007, n. 12; T.A.R. Basilicata, 22.2.2007, n.75; T.A.R. Puglia, Bari, III, 9.2.2007, n.404; T.A.R. Lombardia, Milano, II, 18.12.2007, n.6676; T.A.R. Lazio, Roma, II, 3.7.2007, n.5985; T.A.R. Toscana, I, 14.9.2006, n.3976; Cass. Civ., SS.UU., 20.12.2006, nn. 27190, 27191 e 27193). Mentre le domande risarcitorie e restitutorie relative a fattispecie di occupazione usurpativa rientrano nella giurisdizione ordinaria, così come il giudice amministrativo – nello stabilire l’importo del danno da ablazione illegittima – non può includervi anche quanto dovuto per il periodo di occupazione legittima, la cui valutazione pure è di spettanza del giudice ordinario a norma degli artt. 53, comma 3 e 54 T.U. 8 giugno 2001, n. 327, viceversa sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in caso di danni conseguenti all’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità e, in generale, di un provvedimento amministrativo in tema di espropriazione per pubblica utilità.
 
3.1 Peraltro di recente si è affermato (Cons. Stato, IV, 2.3.2010, n.1222) che l’art.53 del DPR n.327/2001, per come ispirato al principio di concentrazione dei giudizi, ha attribuito rilevanza decisiva ai provvedimenti che impongono il vincolo preordinato all’esproprio e a quelli che dispongono la dichiarazione di pubblica utilità: una volta attivato il procedimento caratterizzato dall’esercizio del pubblico potere, sussiste la giurisdizione amministrativa esclusiva in relazione a tutti i conseguenti atti e comportamenti e ad ogni controversia che sorga su di essi, anche quando trattasi di procedimenti espropriativi diretti alla esecuzione dei lavori per la realizzazione o la modificazione di un’opera pubblica e di atti strumentali alla realizzazione di detta finalità pubblica (Cass. Civ., SS. UU., ord.za 16.12.2010, n.25393). Si è dunque in presenza di una fattispecie riconducibile alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, per come derivante da esercizio di un pubblico potere, anche nel caso in cui si lamenti formalmente l’occupazione di aree non comprese nell’ambito della procedura espropriativa, ma in realtà si abbia riguardo al decreto di esproprio, cioè alla determinazione del suo effettivo contenuto, per la dedotta occupazione di una superficie superiore a quella presa in considerazione da una precedente ordinanza di occupazione d’urgenza, poiché ai fini della liceità o meno va verificato lo specifico contenuto degli atti e degli accordi posti in essere nel corso del procedimento ablatorio.
 
3.2 Ritenuta dunque la giurisdizione sulla domanda di reintegra nel possesso proposta da parte ricorrente, resta da stabilire se le forme di tutela siano quelle previste dall’art 703 c.p.c., che rinvia agli art. 669 bis e ss. c.p.c., oppure quelle proprie del processo amministrativo. Ritiene il Collegio di seguire la seconda impostazione, poiché, come ha rilevato la Corte Costituzionale – investita di una questione di legittimità con riferimento all’inesistenza di un tutela cautelare ante causam avanti al g.a. – l’applicazione di istituti processual-civilistici non è giustificabile qualora le esigenze ad essi sottese vengano effettivamente tutelate da istituti propri del processo amministrativo (idem T.A.R. Umbria, 4.9.2002, n. 652). Nel caso in esame l’esigenza di tutela immediata, soddisfatta dagli artt. 703-669 bis e ss. c.p.c., è efficacemente garantita mediante il procedimento di cui all’art 23-bis della Legge n.1034/1971 (ora art.119 del Decr. Legisl. 2/7/2010, n.104 di riordino del processo amministrativo), di cui sussistono tutti i presupposti applicativi (essendo, in particolare, la controversia oggetto del presente giudizio contemplata dalla lettera b) del medesimo articolo).
 
Il comportamento tenuto dalla Amministrazione, la quale abbia emanato una valida dichiarazione di pubblica utilità ed un legittimo decreto di occupazione d’urgenza senza tuttavia emanare il provvedimento definitivo di esproprio nei termini previsti dalla legge, deve essere, poi, qualificato come “illecito permanente”, nella cui vigenza non decorre la prescrizione, ciò perché in questo caso manca un effetto traslativo della proprietà, stante la mancanza del provvedimento di esproprio, connesso alla mera irrevocabile modifica dei luoghi. Per questo motivo, salva restando la possibilità di optare per le differenti forme “risarcitorie” che l’ordinamento appresta (restituzione del bene ovvero risarcimento del danno per equivalente), il soggetto privato del possesso può agire nei confronti dell’ente pubblico senza dover sottostare al termine prescrizionale quinquennale decorrente dalla trasformazione irreversibile del bene, con l’unico limite temporale rinvenibile nell’acquisto della proprietà, per usucapione ventennale del bene, eventualmente maturata dall’ente pubblico (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, 1.2.2011, n. 175).
 
Tali principi sono stati peraltro codificati in termini di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 133, comma 1, lett. f) del Codice del processo amministrativo (allegato 1 del D. Lgs. 2 luglio 2010 n. 104) nell’ipotesi di comportamento dell’Amministrazione riconducibile all’esercizio del pubblico potere che si sia manifestato per il tramite della dichiarazione di pubblica utilità della quale non risulta dimostrata la perdita d’efficacia, nonché nelle controversie aventi ad oggetto atti, provvedimenti e comportamenti della P.A. in materia di espropriazioni per pubblica utilità di cui alla successiva lett.g) del citato art. 133 ove si è espressamente contemplata la giurisdizione esclusiva di questo giudice, ferma la giurisdizione del giudice ordinario per le ipotesi di determinazione e corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa.
 
4. Con riguardo alla Delibera Consiliare di acquisizione al patrimonio del Comune del bene dei privati, si osserva che il T.U. n.327/2001, attraverso la disciplina contenuta nell’art.43, aveva originariamente introdotto un meccanismo che attribuiva all’Amministrazione il potere di acquisire la proprietà dell’area con un atto formale di natura ablatoria e discrezionale al termine del procedimento nel corso del quale vanno motivatamente valutati gli interessi in conflitto; il citato art. 43 era stato in definitiva emesso dal Legislatore delegato per consentire all’Amministrazione di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto quando il bene fosse stato <modificato per scopi di interesse pubblico> (fermo restando il diritto del proprietario di ottenere il risarcimento del danno). La Corte Costituzionale, però, con sentenza n.293 dell’8 ottobre 2010 resa in seguito a rimessione da parte di questa Sezione proprio degli atti afferenti all’originario contenzioso tra le odierne parti, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del cennato art.43: muovendo dalla contrapposizione tra la Corte di Cassazione, che esclude l’ammissibilità dell’adozione di un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 43 con riguardo alle occupazioni appropriative verificatesi prima dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001, e il Consiglio di Stato, secondo il quale «la procedura di acquisizione in sanatoria di un’area occupata sine titulo, descritta dal citato articolo 43, trova una generale applicazione anche con riguardo alle occupazioni attuate prima dell’entrata in vigore della norma», la Consulta ha affrontato la possibilità di acquisire alla mano pubblica un bene privato, in precedenza occupato e modificato per la realizzazione di un’opera di interesse pubblico, anche nel caso in cui l’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità sia venuta meno, con effetto retroattivo, in conseguenza del suo annullamento o per altra causa, o anche in difetto assoluto di siffatta dichiarazione. Preso atto che la delega riguardava il «riordino» delle norme elencate nell’allegato I alla legge n. 59 del 1997 ed, in particolare, il «procedimento di espropriazione per causa di pubblica utilità e altre procedure connesse: legge 25 giugno 1865, n. 2359; legge 22 ottobre 1971, n. 865», il giudice delle leggi ha affermato la necessità che, in ogni caso, si faccia riferimento alla ratio della delega, si tenga conto della possibilità di introdurre norme che siano un coerente sviluppo dei principi fissati dal legislatore delegato e detta discrezionalità venga esercitata nell’ambito dei limiti stabiliti dai principi e criteri direttivi.
 
4.1 In definitiva l’istituto previsto e disciplinato dall’art.43 era connotato da numerosi aspetti di novità, rispetto sia alla disciplina espropriativa oggetto delle disposizioni espressamente contemplate dalla legge-delega, sia agli istituti di matrice prevalentemente giurisprudenziale, specie nel momento in cui si era introdotta la possibilità per l’Amministrazione e per chi utilizza il bene di chiedere al giudice amministrativo, in ogni caso e senza limiti di tempo, la condanna al risarcimento in luogo della restituzione; nel regime risultante dalla norma impugnata, inoltre, si era previsto un generalizzato potere di sanatoria, attribuito alla stessa Amministrazione che aveva commesso l’illecito, a dispetto di un giudicato che disponeva il ristoro in forma specifica del diritto di proprietà violato. Il Legislatore delegato, in definitiva, non poteva innovare del tutto e derogare ad ogni vincolo alla propria discrezionalità esplicitamente individuato dalla legge-delega, dovendo piuttosto limitarsi a disciplinare in modi diversi la materia e ad espungere del tutto la possibilità di acquisto connesso esclusivamente a fatti occupatori, garantendo la restituzione del bene al privato in analogia con altri ordinamenti europei.
 
4.2 A seguito dell’eliminazione dal mondo giuridico dell’istituto della cd. “acquisizione sanante” di cui all’art. 43 D.P.R. n. 327 del 2001, la Sezione (a partire dalle pronunce nn.261 e 262 del 18 gennaio 2011) ha ritenuto che in siffatte ipotesi il comportamento tenuto dall’Amministrazione dovesse essere qualificato non già come illecito, bensì come illegittimo; si trattava di un’illegittimità a cui non poteva porsi rimedio neppure riesumando l’istituto di origine giurisprudenziale della cosiddetta “espropriazione sostanziale” – nelle due ipotesi alternative della occupazione acquisitiva o usurpativa – perché tale istituto era stato ritenuto in contrasto con l’ordinamento comunitario (cfr.: T.A.R. Sicilia Palermo I, 1.2.2011 n. 175; idem III, 21.1.2011 n. 115). Del resto in nessun caso – neppure a fronte della sopravvenuta irreversibile trasformazione del suolo per effetto della realizzazione dell’opera pubblica – era possibile giungere ad una condanna puramente risarcitoria a carico dell’Amministrazione, poiché una tale pronuncia presupponeva in ogni caso l’avvenuto trasferimento della proprietà del bene per fatto illecito dalla sfera giuridica di parte ricorrente, originaria proprietaria, a quella della P.A. che se ne è illecitamente impossessata, esito, questo, non consentito dal primo protocollo addizionale della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (cfr. T.A.R. Calabria, Catanzaro, I, 1.7.2010, n. 1418). Pertanto, ricorrendone i presupposti le Amministrazioni sono state condannate alla restituzione a parte ricorrente degli immobili in ragione dell’accertato utilizzo degli stessi per come materialmente appresi sia pure per fini pubblicistici, atteso l’irrilevanza, nell’ottica di una eventuale traslazione della proprietà della res, che fosse stata realizzata l’opera pubblica nella misura in cui questa aveva modificato la destinazione originaria del cespite e recato un pregiudizio patrimoniale e non a carico di parte ricorrente. Tale statuizione era peraltro compatibile con la restituzione dei cespiti e facoltà dello ius tollendi concessa al proprietario dei manufatti alle condizioni previste dall’art. 935 c.c., comma 1 e art. 937 c.c., laddove il diritto al risarcimento e l’applicabilità dell’art.2058 c.c. sarebbero entrati in discussione ove si fosse rientrati nella materia risarcitoria.
 
4.3 In costanza di vuoto normativo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (31.5.2011, n.11963) hanno affermato che l’irreversibile trasformazione, anche parziale, del fondo determina l’acquisto della proprietà del bene, nei limiti della parte trasformata, da parte dell’Amministrazione che aveva dato corso al processo espropriativo, mentre l’eventuale domanda di risarcimento in forma specifica sarebbe ordinariamente destinata ad avere esito negativo, dovendo trovare prioritario soddisfacimento l’interesse posto a base della realizzazione dell’opera pubblica. Da canto suo, a titolo esemplificativo, la giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Emilia-Romagna, Parma, I, 12.7.2011, n.245) ha ritenuto che, proprio a seguito del citato vuoto normativo, ove il privato avesse chiesto unicamente il risarcimento del danno per equivalente in ragione dell’irreversibile trasformazione del bene, detta richiesta andava considerata come rinuncia alla restituito in integrum; comunque la richiesta del solo risarcimento per equivalente non determinerebbe un effetto abdicativo della proprietà all’Amministrazione occorrendo piuttosto un accordo transattivo tra le parti (Cons. Stato, IV, 13.6.2011, n.3561; 1.6.2011, n.3331; 28.1.2011, n.676), mentre se il privato dovesse insistere per la tutela restitutoria la stessa andrebbe disposta eccezion fatta per la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione degli artt.2933, comma 2 o 2058 c.c. Di recente si è poi affermato (Cons. Stato, IV, 29.8.2011, n.4833) che, essendo venuto meno il procedimento espropriativo accelerato di cui al citato art.43, la P.A. avrebbe potuto apprendere il bene facendo uso unicamente del contratto tramite l’acquisizione del consenso della controparte, ovvero del provvedimento anche in assenza del consenso ma con riedizione del procedimento espropriativo con le sue garanzie.
 
4.4 Ad oltre nove mesi dalla sentenza di incostituzionalità dell’originario art.43, con l’art.34 del Decreto-Legge 6.7.2011, n.98 convertito in Legge 15.7.2011, n.111 (in materia di misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria) è stato reintrodotto attraverso l’art.42-bis l’istituto dell’acquisizione coattiva dell’immobile del privato utilizzato dall’Amministrazione per fini di interesse pubblico, potendosi acquisire al suo patrimonio indisponibile il bene del privato allorchè la sua utilizzazione risponde a “scopi di interesse pubblico” nonostante difetti un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità. Dunque anche nell’attuale quadro normativo l’Amministrazione ha l’obbligo giuridico di far venire meno l’occupazione sine titulo e deve adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, o attraverso la restituzione dei terreni ai titolari con demolizione di quanto realizzato e relativa riduzione in pristino (affrontando le relative spese), ovvero attivandosi perché vi sia un titolo d’acquisto dell’area da parte del soggetto attuale possessore e che sia demolito, paradossalmente, quanto altrimenti risulterebbe meritevole di essere ricostruito (Cons. Stato, VI, 1.12.2011, n.6351). A seguito di un siffatto provvedimento autoritativo sopravvenuto la domanda di restituzione dell’area diventa improcedibile, mentre l’obbligo motivazionale ai sensi del nuovo comma 4 impone di dare conto dell’assenza di ragionevoli alternative alla adozione del nuovo provvedimento, che entro trenta giorni va anche comunicato alla Corte dei Conti (comma 7); ancora nella nuova versione (commi 1, 2, 3 e 4) si fa riferimento all’indennizzo, piuttosto che al risarcimento del danno, quale corrispettivo dell’attività posta in essere dall’Amministrazione, ciò forse per la liceità dell’attività, non retroattiva, posta in essere dall’Autorità agente. Laddove prima, anche in sede di contenziosi diretti alla restituzione di un bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, la P.A. poteva chiedere che il giudice amministrativo disponesse la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione, e successiva adozione del provvedimento sanante dall’Amministrazione interessata, ora (comma 2) il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche in corso di giudizio di annullamento previo ritiro dell’atto impugnato; il potere acquisitivo dell’Amministrazione è esercitabile anche in presenza di una pronunzia giurisdizionale passata in giudicato che abbia annullato il provvedimento che costituiva titolo per l’utilizzazione dell’immobile da parte della stessa Amministrazione, atteso che il giudicato è intervenuto sull’atto annullato e non sul rapporto tra privato ed Amministrazione. Il nuovo atto, che l’Amministrazione è legittimata ad adottare finchè perdura lo stato di utilizzazione pur se illegittima del bene del privato, è distinto da quello annullato, tant’è che non opera con efficacia retroattiva e non ha una funzione sanante del provvedimento annullato; in ogni caso la P.A. deve porre in essere tutte le iniziative necessarie per porre fine alla perdurante situazione di illiceità, restituendo il bene al privato solo quando siano cessate le ragioni di pubblico interesse che avevano comportato l’utilizzazione del suolo, dovendo in caso contrario acquisire al suo patrimonio indisponibile il bene su cui insiste o dovrà essere realizzata l’opera pubblica o di pubblico interesse.
 
4.5 Parte ricorrente in sede di memoria conclusiva ha sostenuto che l’adozione di un provvedimento di acquisizione coattiva sarebbe preclusa dalla circostanza che, come appunto nella fattispecie, il giudicato non si sarebbe limitato ad intervenire sull’atto attraverso la pronuncia di annullamento, ma avrebbe definito il rapporto tra privato ed Amministrazione, sancendo a carico di quest’ultima l’obbligo di restituire il bene; il Collegio non condivide tale impostazione, atteso che il Legislatore con la norma in questione ha inteso implicitamente riferirsi all’applicabilità del descritto potere di sanatoria in tutte le ipotesi in cui l’Amministrazione aveva commesso un illecito, tanto più che allo stato forse nessuno ha interesse a rimettere in discussione il meccanismo dell’acquisizione al patrimonio dell’Ente e che la previsione di una “legale via d’uscita” con l’esercizio di un potere basato sull’accertamento dei fatti e sulla valutazione degli interessi in conflitto è già stata ritenuta immune da questioni di costituzionalità (Cons. Stato, VI, 15.3.2012, n.1438) in quanto conforme alle disposizioni della CEDU ed alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo che in passato ha condannato la Repubblica italiana proprio perché i giudici nazionali avevano riscontrato la perdita della proprietà in assenza di un valido provvedimento motivato.
 
5. Quanto al merito della presente controversia, la Sezione ritiene di dover preliminarmente constatare, come evidenziato in sede di consulenza tecnica dalle cui conclusioni – anche quanto ai criteri di valutazione – non ritiene di avere motivi per discostarsi, che l’immobile in questione è un appezzamento di terreno pianeggiante e di forma rettangolare di mq.15.783 di cui al f.12 p.lla 5304 – qualità colturale seminativo arboreo – classe 2, oggi completamente recintato e su cui è stato realizzato un campo di calcio già utilizzato per le attività sportive previste. Il fondo ricade in zona F – Sottozona F1 – nella quale non sono esclusi interventi anche da privati proprietari, per cui il suolo non è assoggettato a vincoli espropriativi, tanto più che si trova in prossimità del nuovo abitato di Casapesenna ed ha una potenziale suscettività all’edificazione.
5.1 Attraverso la comparazione con i valori commerciali di immobili analoghi si è accertato che i più significativi prezzi di mercato cui far riferimento sono di € 52,00/mq quale valore definito con adesione per terreno in zona densamente urbanizzata e di € 31.40/mq quale valore accettato per cessione di suolo limitrofo con destinazione agricola; previa determinazione di un valore omogeneo e media dei valori ottenuti, si ottiene quale valore di mercato da attribuire al fondo in oggetto € 41,72/mq per complessivi € 658.466,76 , atteso che la superficie della p.lla 5304 è di mq.15.783. Dal verbale di consistenza sul fondo risulta poi che all’atto della presa di possesso insistevano dei manufatti, ovvero un fabbricato in pessime condizioni, una vasca in c.a., aia in battuto di c.a. ed un pozzo profondo ml.25,00: quantificato il totale del valore dei manufatti in € 36.379,70 si ottiene che il valore di terreno e manufatti, cioè il valore del danno patrimoniale, è pari a € 694.846,46.
L’indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale viene invece determinato forfettariamente nella misura del 10% del valore del bene, cioè in € 69.484,65.
 
Il risarcimento per il periodo di occupazione senza titolo o illegittima è computato nella misura degli interessi del 5% annuo sul valore del danno patrimoniale: considerato che la presa di possesso avvenne il 26/4/2002 e che il provvedimento acquisitivo è datato 22/7/2011, il totale del risarcimento per occupazione illegittima ammonta a € 320.199,87 mentre l’indennizzo al giorno per occupazione illegittima è di € 95,16.
5.2 Il Comune resistente, ai fini dell’acquisizione del fondo in oggetto, provvedeva in data 14/7/2006 a versare presso la Ragioneria Generale dello Stato la somma di € 81.126,29 che va perciò detratta dal dovuto a titolo risarcitorio senza essere maggiorata degli interessi legali, in quanto trattasi di somma che non è mai stata, né poteva essere, nella disponibilità degli espropriati a causa dell’annullamento dell’originario atto ablativo.
 
5.3 In definitiva il Collegio ritiene che, con condivisione delle risposte fornite dal CTU alle osservazioni dei CTP sia dei ricorrenti che del Comune, il valore del risarcimento del danno subito dai ricorrenti è pari a € 1.084.530,98: considerato che il Comune ha depositato presso la Ragioneria Generale dello Stato la complessiva somma di € 780.434,53 , agli istanti compete l’ulteriore somma di € 304.096,45 oltre interessi legali dal 22/7/2011 al soddisfo.
 
In particolare, contrariamente a quanto argomentato da ultimo dalla difesa di parte ricorrente, nelle fasi del procedimento di occupazione delle aree da parte del Comune di Casapesenna la Provincia di Caserta ha provveduto a frazionare la originaria particella 24 nelle particelle 5304 di mq. 15.783 e particella 5305 di mq. 347; la superficie di mq. 347 della particella 5305 doveva essere, quindi, utilizzata dall’Amministrazione Provinciale per l’esecuzione dei lavori dell’ampliamento della S.P. San Marcellino – Casapesenna e fatta oggetto di altro procedimento espropriativo. Per quanto attiene invece alla dicitura “atto non conforme al D.M. 19 aprile 1994, n. 701”, essa sta a significare che l’Amministrazione Provinciale di Caserta non ha ancora provveduto al trasferimento in suo favore della proprietà della particella 5305 di mq. 347, ma ciò non comporta che il frazionamento sia nullo.
 
Ancora, il valore di euro/mq. 52,00, come derivante da un accertamento valore e definito con adesione, in base alle diverse caratteristiche dimensionali e di ubicazioni è stato determinato alla stregua degli indici di omogeneizzazione nella misura del 10% per la dimensione e del 5% per l’ubicazione; la richiesta di adeguamento all’attualità del valore di mercato di euro/mq. 52,00 dell’anno 2008 appare, poi, non in sintonia con l’attuale congiuntura economica negativa e la crisi del mercato immobiliare che sta attraversando l’Italia da oltre tre anni. Quanto al valore di euro/mq. 31,40 come stabilito nell’accordo transattivo sottoscritto tra il Comune di Casapesenna e la ditta esproprianda, esso fa riferimento al suolo limitrofo con destinazione agricola, ma il CTU ha adeguato detto valore agricolo a quello del fondo oggetto di causa (zona “F”) incrementandolo del 25%, determinandosi così un valore (omogeneo alle caratteristiche urbanistiche) di euro/mq. 39,25. Sotto ulteriore profilo, atteso che il Comune con la delibera consiliare n.35/2011 ha provveduto ad acquisire al suo patrimonio il fondo oggetto di controversia non sussistendo le condizioni di cui al comma 5 dell’art. 42bis, l’indennizzo per il danno non patrimoniale va correttamente determinato nella misura del 10% del valore venale, ove si consideri che il diverso valore del 20% opera quando si tratta di edilizia pubblica, agevolata o convenzionata, ovvero di terreno destinato a essere attribuito per finalità di interesse pubblico in uso speciale a soggetti privati.
6. Sulla base di tali risultanze il Tribunale, per come adito in sede di cognizione circa il provvedimento autoritativo sopravvenuto con cui l’Amministrazione ha acquisito il diritto di proprietà dell’area di cui già aveva il possesso, ritiene – con assorbimento degli ulteriori motivi non oggetto di espressa trattazione – che la Delibera Consiliare ex art.42-bis oggetto di impugnazione sia viziata nella misura in cui il Comune, che aveva l’obbligo giuridico di far venire meno l’occupazione sine titulo e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, con un’istruttoria parziale ha omesso di effettuare una puntuale comparazione con i valori commerciali di immobili analoghi, sì che, come appurato in sede di consulenza tecnica, agli istanti compete l’ulteriore somma di € 304.096,45 oltre interessi legali dal 22/7/2011 al soddisfo. In particolare si ritiene che solo con il riconoscimento di tale ulteriore somma possa essere garantita una più piena corrispondenza al valore di mercato del bene all’epoca dell’atto di immissione in possesso, sì da riconoscere a parte ricorrente l’indennizzo – piuttosto che il risarcimento del danno– che il Legislatore ha previsto quale corrispettivo dell’attività posta in essere dall’Amministrazione.
 
7. Alla luce di quanto sopra deve ritenersi che, previa riunione, il ricorso Rg. n.3006 del 2011 va dichiarato improcedibile, mentre il ricorso Rg. n.5143 del 2011 va accolto nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, la Delibera consiliare impugnata va annullata limitatamente al mancato riconoscimento ai ricorrenti dell’ulteriore somma di € 304.096,45 oltre interessi legali dal 22/7/2011 al soddisfo.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, come quelle di consulenza definitivamente liquidate con la presente sentenza.
 
P.Q.M.
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sui ricorsi come in epigrafe proposti, previa riunione, dichiara improcedibile il ricorso Rg. n.3006 del 2011; accoglie nei limiti di cui in motivazione il ricorso Rg. n.5143 del 2011 e, per l’effetto, annulla la Delibera consiliare impugnata limitatamente al mancato riconoscimento ai ricorrenti dell’ulteriore somma di € 304.096,45 oltre interessi legali dal 22/7/2011 al soddisfo.
Condanna il Comune di Casapesenna al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in € 6.000,00 nonché di consulenza, quantificate definitivamente in € 6.000,00 oltre IVA e oneri previdenziali ed anticipate quanto a € 3.000,00 da parte ricorrente; spese compensate nei confronti dell’A.S.D. Polisportiva Casapesenna.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
 
La sentenza è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.
 
Così deciso in Napoli, nella Camera di Consiglio del giorno 14 giugno 2012 con l’intervento dei magistrati:
Vincenzo Fiorentino, Presidente
Vincenzo Cernese, Consigliere
Gabriele Nunziata, Consigliere, Estensore
 
 
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/06/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

 

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