Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia, Rifiuti Numero: 2743 | Data di udienza: 14 Maggio 2017

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Titolo edilizio – Prescrizioni – Inosservanza – Annullamento d’ufficio – Illegittimità – RIFIUTI – Attività di recupero rifiuti esercitata in immobili abusivi – Sospensione dell’attività – Illegittimità – Ragioni.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione: Campania
Città: Napoli
Data di pubblicazione: 24 Maggio 2017
Numero: 2743
Data di udienza: 14 Maggio 2017
Presidente: Donadono
Estensore: Graziano


Premassima

* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Titolo edilizio – Prescrizioni – Inosservanza – Annullamento d’ufficio – Illegittimità – RIFIUTI – Attività di recupero rifiuti esercitata in immobili abusivi – Sospensione dell’attività – Illegittimità – Ragioni.



Massima

 

TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. 3^ – 24 maggio 2017, n. 2743


DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Titolo edilizio – Prescrizioni – Inosservanza – Annullamento d’ufficio – Illegittimità.

L’eventuale inosservanza delle prescrizioni  contenute nel titolo edilizio, dirette a garantire che l’esecuzione delle opere assentite venga condotta secondo determinati criteri, non può riverberarsi in vizi di legittimità del titolo medesimo, giacché l’illegittimità dell’atto amministrativo va verificata esclusivamente in relazione alle condizioni, fattuali e giuridiche, che ne hanno consentito l’emanazione; ne deriva che l’annullamento d’ufficio dell’autorizzazione deve trovare supporto nella non conformità del progetto assentito all’ordine urbanistico-edilizio in vigore e non nell’inosservanza delle citate prescrizioni (T.A.R. Calabria – Catanzaro, Sez. II, 8 novembre 2007 n. 1693)
 

RIFIUTI – DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Attività di recupero rifiuti esercitata in immobili abusivi – Sospensione dell’attività – Illegittimità – Ragioni.

L’eventuale presenza di abusi edilizi non legittima la sospensione dell’attività di recupero rifiuti: la cessazione di un’attività commerciale ( e di ogni genere di attività economica esercitata in immobili abusivi sotto il profilo edilizio) non può infatti essere disposta con riguardo a violazioni edilizie che non siano state previamente oggetto di tipici provvedimenti repressivi, atteso che la chiusura di un’attività non può fungere da atipica e non contemplata sanzione dell’abuso edilizio non previamente fatto oggetto dei previsti procedimenti e conseguenti provvedimenti sanzionatori (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 27 febbraio 2017, n. 1166); la chiusura dell’esercizio rappresenta una conseguenza necessitata non tanto rispetto all’abuso edilizio di per sé, quanto piuttosto all’applicazione ed alla esecuzione di una sanzione edilizia (quale la demolizione) che sia incompatibile con la continuazione dell’attività commerciale ed in generale con l’utilizzo, abitativo o produttivo, delle opere abusive.


Pres. Donadono, Est. Graziano – E.O. (avv. Dresda) c. Comune di Marcianise (avv. Caianiello)


Allegato


Titolo Completo

TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. 3^ - 24 maggio 2017, n. 2743

SENTENZA

 

TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. 3^ – 24 maggio 2017, n. 2743

Pubblicato il 24/05/2017

N. 02743/2017 REG.PROV.COLL.
N. 00564/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 564 del 2017, proposto da:
Elpidio Orlando, rappresentato e difeso dall’avvocato Marco Dresda, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, viale Gramsci 19;


contro

Comune di Marcianise, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco Maria Caianiello, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, viale Gramsci, 19;
Provincia di Caserta non costituita in giudizio;

per l’annullamento, previa sospensione,

a) del provvedimento prot. n. 4466 del 09.02.2017, notificato il 09.02.2017, con il quale il Comune di Marcianise ha disposto la sospensione ad horas di ogni attività presso l’impianto di trattamento e di recupero di rifiuti speciali non pericolosi in titolarità della ditta Orlando Elpidio;

b) della relazione istruttoria prot. n. 4449 del 09.02.2017 di cui si ignora il contenuto;

c) di ogni altro atto presupposto, preordinato, connesso e conseguente se ed in quanto lesivo degli interessi del ricorrente, ivi comprese ove occorra: la nota prot. n. 3885 del 06.02.2017 recante comunicazione di avvio del procedimento per l’annullamento del certificato di agibilità n. 1788/2016; la nota prot. n. 3889 del 06.02.2017 recante comunicazione di avvio del procedimento per l’annullamento del permesso di costruire n. 952/2017.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Marcianise;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella Camera di consiglio del giorno 14 marzo 2017 il dott. Alfonso Graziano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;

Premesso in punto di fatto che:

– con permesso di costruire prot. n. 952 del 27.1.2017 il ricorrente è stato autorizzato dal ressistente Comune di Marcianise ad effettuare l’ammodernamento e l’ampliamento di un impianto di trattamento di rifiuti non pericolosi in zona agricola e che a seguito di denuncia dalla Polizia locale del 7.2.2017 – secondo la quale parte dei manufatti autorizzati è in contrasto con la normativa vigente – veniva svolto un sopralluogo dal quale emergevano rilevanti difformità dai titoli edilizi rilasciati anteriormente al menzionato permesso di costruire ed in esso citati, per essere state, “riscontrate delle opere ulteriori rispetto a quelle assentite con i predetti titoli” (provvedimento impugnato di “sospensione ad horas di ogni attività” prot.n. 4466 del 9.2.2017, pag. 3, primo allegato del ricorso) e rilevata, “inoltre, dalla planimetria allegata al predetto P.d.C. n° 952/2017, la presenza di manufatti in discordanza con quanto rappresentato nei grafici progettuali (pag. 2, doc. cit.);

– il dirigente comunale del III settore con il gravato provvedimento ha ritenuto che il permesso di costruire n. 952/2017 si pone in netto contrasto con la normativa della zona Omogenea E – Agricola, prevedendo esso un vero e proprio ampliamento dell’impianto, investendo l’intera particella a differenza di quanto assentito con i titoli abilitativi precedentemente rilasciati ed ha conseguentemente avviato con nota del 6 febbraio 2017, prott. n. 3889 e 3885, il procedimento per l’annullamento del permesso di costruire n. 952/2017 e del certificato di agibilità n. 1788/Suap/2016 al fine di verificare ed accertare quanto denunciato;

– con l’impugnato provvedimento il medesimo dirigente ha ordinato “la sospensione ad horas di ogni attività”, ritenendo ricorrere “i presupposti per l’annullamento degli atti illegittimi sopra riferiti (…) in quanto sono state realizzate opere edilizie eseguite in totale difformità ai permessi di costruire su indicati” (provvedimento cit., pag. 4);

considerato che si profila violativo delle regole governanti il corretto procedimento amministrativo e delle sottese garanzie partecipative il disporre la sospensione ad horas dell’ attività economica svolta dal ricorrente, sulla base della sola comunicazione di avvio del procedimento di annullamento in autotutela del permesso di costruire n. 952/2017 nonché degli altri titoli abilitativi, senza che sia stato previamente definito – al momento dell’emanazione del provvedimento di sospensione impugnato – detto procedimento mediante l’adozione di un provvedimento conclusivo di annullamento degli indicati titoli abilitativi edilizi;

evidenziato che al riguardo non può essere seguito l’assunto della difesa comunale, svolto anche nel corso della discussione di Camera di consiglio, secondo il quale il provvedimento impugnato reca solo la sospensione dei lavori, essendo tale argomento smentito sia dall’oggetto e dal dispositivo del provvedimento all’esame, sia dall’asserzione in esso contenuta a pag. 3, “descrizione dello stato dei luoghi”, a stare alla quale “al momento del sopraluogo non vi era alcuna attività edilizia in corso, mentre l’impianto di frantumazione era regolarmente attivo”;

ritenuto che la circostanza che siano stati rilevati dai competenti uffici comunali interventi edilizi effettuati in difformità dal permesso di costruire rilasciato al deducente, è evenienza che non inficia la legittimità di detto provvedimento abilitativo che non è pertanto suscettibile di essere annullato a causa dell’avvenuta realizzazione di opere difformi da esso e dalle relative prescrizioni;

rammentato, invero, che la giurisprudenza ha già enunciato siffatto principio avendo precisato che “il fatto che in sede di esecuzione dei lavori siano state realizzate delle opere in difformità al titolo edilizio assentito” non è causa di annullamento giurisdizionale o in via di autotutela amministrativa del medesimo “ in quanto tali successive difformità esecutive non incidono sulla legittimità del titolo edilizio, ma giustificano, in ipotesi, solo l’intervento sanzionatorio, di specifica competenza dell’autorità comunale”, precisando che “Al fine di valutare la legittimità o meno dell’atto impugnato occorre, pertanto, avere esclusivo riguardo alla conformità degli atti progettuali così come autorizzati alla normativa vigente e non a quanto in concreto in ipotesi realizzato in difformità” (T.A.R. Abruzzo – Pescara, 11 marzo 2010 n. 173); si era già infatti puntualizzato che “L’eventuale inosservanza delle prescrizioni, pur contenute nel titolo edilizio, dirette a garantire che l’esecuzione delle opere assentite venga condotta secondo determinati criteri, non può riverberarsi in vizi di legittimità del titolo medesimo, giacché l’illegittimità dell’atto amministrativo va verificata esclusivamente in relazione alle condizioni, fattuali e giuridiche, che ne hanno consentito l’emanazione; ne deriva che l’annullamento d’ufficio dell’autorizzazione deve trovare supporto nella non conformità del progetto assentito all’ordine urbanistico-edilizio in vigore e non nell’inosservanza delle citate prescrizioni” (T.A.R. Calabria – Catanzaro, Sez. II, 8 novembre 2007 n. 1693); in tal senso anche Consiglio di Stato, Sez. V, 8 settembre 1992 n. 777;

ritenuta la fondatezza anche del nono motivo di ricorso, con il quale il deducente, in sintesi, si duole che “l’eventuale presenza di abusi edilizi non legittima la sospensione dell’attività di recupero rifiuti” e che “la normativa di settore, pertanto, non prevede espressamente, tra le ipotesi di sospensione/revoca, quella di abusività urbanistica – edilizia, né le norme tecniche prevedono alcunché al riguardo”(ricorso, pag. 28);

richiamato, infatti, al riguardo l’orientamento di recente espresso dalla Sezione che sancisce l’illegittimità di provvedimenti di inibizione dell’attività commerciale o economica per assunte presupposte violazioni alla disciplina urbanistico – edilizia non tradottesi nell’emanazione di provvedimenti sanzionatori edilizi conclusivi e tipici (quali ordinanze di sospensione e di demolizione) ai quali non possono essere assimilati atti di accertamento interlocutori, ancorché afflittivi, di natura cautelare, quali sequestri con o senza apposizione di sigilli, meri verbali di accertamento delle violazioni (T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 6.4.2016, n. 1698; ID, 24.3.2016 n. 1538 con cui si è precisato che “la chiusura di un esercizio commerciale in attività non può essere considerata come una sanzione per gli abusi edilizi contestati, i quali hanno per converso un sistema repressivo specifico che regola, per ciascuna tipologia di illecito, i presupposti, le modalità applicative, i destinatari, gli effetti ed anche eventualmente le possibilità di sanatoria”, mentre, “vero è invece che la chiusura dell’esercizio rappresenta una conseguenza necessitata non tanto rispetto all’abuso edilizio di per sé, quanto piuttosto all’applicazione ed alla esecuzione di una sanzione edilizia (quale la demolizione) che sia incompatibile con la continuazione dell’attività commerciale ed in generale con l’utilizzo, abitativo o produttivo, delle opere abusive;”, avendo corelativamente la Sezione più recentemente ribadito che la cessazione di un’attività commerciale non può essere disposta “con riguardo a violazioni edilizie che però non sono state previamente oggetto di tipici provvedimenti repressivi, atteso che la chiusura di un’attività non può fungere da atipica e non contemplata sanzione dell’abuso edilizio non previamente fatto oggetto dei previsti procedimenti e conseguenti provvedimenti sanzionatori.”: T.A.R. Campania – Napoli, Sez. III, 27 febbraio 2017, n. 1166);

segnalato che la giurisprudenza, sia pur relativamente all’attività di smaltimento di rifiuti speciali, ma sulla base di considerazioni ad avviso del Collegio valevoli per ogni genere di attività economica esercitata in immobili ritenuti abusivi sotto il profilo edilizio, ha da tempo a grandi linee tratteggiato il medesimo principio testé ricordato, enunciato dalla Sezione e dettagliato richiedendo la previa formale irrogazione delle sanzioni reali o pecuniarie prescritte dal D.P.R. n. 380 del 2001; si è infatti affermato che “È illegittima l’ordinanza sindacale che richiami gli art. 32 l. 17 agosto 1942 n. 1150 e 1 l. 28 gennaio 1977 n. 10 nonché, più in generale, le norme che sanzionano gli abusi edilizi al fine di impedire la cessazione immediata della attività di discarica di rifiuti speciali, giacché lo smaltimento dei rifiuti – pur seguitando ad essere correlato alla pianificazione del territorio per quanto attiene alla scelta delle aree destinate a tale attività – trova nel d.P.R. 10 settembre 1982 n. 915 una disciplina a sé stante, concettualmente autonoma da quella urbanistica” (T.A.R. Lombardia – Brescia, 1 marzo 1990 n. 192);

reputate altresì parimenti fondate le doglianze, svolte in più motivi di ricorso e principalmente nel primo e nel secondo, incentrate sull’incompetenza dell’autorità comunale emanante il gravato provvedimento prot. n. 4466 del 9.2.2017;

atteso, infatti, che il ricorrente esercita l’attività di recupero di rifiuti per cui è causa in forza di autorizzazione unica ambientale di cui alla determinazione provinciale n. 177/W del 29.8.2016 e pedissequo provvedimento conclusivo n. 36 del 22.9.2016 del SUAP del Comune di Marcianise che “recepisce integralmente la Determinazione” (pag. 2 provvedimento Suap cit.) provinciale predetta (Allegati al ricorso al punto 10), autorizzazione rilasciata all’esito di un complesso procedimento di conferenza di servizi nel quale è intervenuto anche il Comune di Marcianise oltre agli altri Enti competenti in materia ambientale (Regione, Autorità d’ambito territoriale ottimale, Asl);

osservato, invero, al riguardo che l’art. 4, commi 4 e 7 del D.P.R. 13 marzo 2013, n, 59 (Procedure per il rilascio dell’autorizzazione unica ambientale) stabilisce che l’autorità competente “adotta il provvedimento (…) e lo trasmette immediatamente al SUAP per il rilascio del titolo”;

precisato sul punto che a mente dall’art. 216 del d.lgs. n. 152 del 2016 (c.d. Codice dell’ambiente) la cennata autorità competente è la Provincia, tenutaria dell’apposito registro provinciale, la quale ex art. 216, co. 4 cit., “dispone con provvedimento motivato il divieto di (…) prosecuzione dell’attività”, competenza inoltre espressamente stabilita dall’art. 2, lett b) del D.P.R. n. 59/2013 più sopra richiamato, norma rubricata “Definizioni”, la quale indica come “autorità competente: la Provincia o la diversa autorità indicata dalla normativa regionale quale competente ai fini del rilascio, rinnovo e aggiornamento dell’autorizzazione unica ambientale, che confluisce nel provvedimento conclusivo del procedimento adottato dallo sportello unico per le attività produttive”;

rimarcato conseguentemente che il conclusivo rilascio dell’autorizzazione unica ambientale in analisi da parte del S.U.A.P. comunale, si configura come atto conseguenziale e dipendente dal provvedimento provinciale di adozione della stessa, discendendone dunque in base al principio del “contrarius actus” – oltre che a termini dell’art. 216, co. 4, d.lgs. n. 152/2006 più sopra riportato – che è l’Amministrazione provinciale l’Ente competente, nei prescritti casi, alla revoca e presupposta sospensione del titolo di esercizio dell’attività di recupero di rifiuti speciali non pericolosi nonché dell’attività stessa;

ritenuto, pertanto, sulla sorta delle considerazioni fin qui svolte e per i profili di doglianza illustrati ed esaminati, che il ricorso è fondato e quindi meritevole di essere definito nel merito ed accolto con sentenza in forma semplificata ex artt. 60 – la cui pubblicazione tuttavia è stata rallentata rispetto ai tempi dalla Sezione osservati per tale tipologia di pronunce a causa del sopraggiunto stato di malattia dell’Estensore – potendosi assorbire le ulteriori meno trancianti censure;

ritenuto che le spese debbano seguire la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati.

Condanna il Comune di Marcianise a pagare al ricorrente le spese di lite, che liquida in € 1500,00 (millecinquecento) oltre IVA e CNAP e rimborso del contributo unificato.

Ordina che la presente Sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella Camera di consiglio del giorno 14 marzo 2017 con l’intervento dei Magistrati:

Fabio Donadono, Presidente
Alfonso Graziano, Consigliere, Estensore
Giuseppe Esposito, Consigliere

L’ESTENSORE
Alfonso Graziano
        
IL PRESIDENTE
Fabio Donadono
        
      
IL SEGRETARIO
 

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