* RIFIUTI – Impianti di trattamento e recupero di rifiuti – Localizzazione in zona agricola – Compatibilità – Verifica in concreto.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 8^
Regione: Campania
Città: Napoli
Data di pubblicazione: 9 Aprile 2018
Numero: 2279
Data di udienza: 10 Gennaio 2018
Presidente: Caso
Estensore: Liguori
Premassima
* RIFIUTI – Impianti di trattamento e recupero di rifiuti – Localizzazione in zona agricola – Compatibilità – Verifica in concreto.
Massima
TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. 8^ – 9 aprile 2018, n. 2279
RIFIUTI – Impianti di trattamento e recupero di rifiuti – Localizzazione in zona agricola – Compatibilità – Verifica in concreto.
Ferma restando la preferenza espressa art. 196, comma 3 del D.lgs. 152/2006 per le aree industriali, in ogni caso ciò che assume rilevanza decisiva resta la verifica in concreto della compatibilità di un impianto di trattamento e recupero di rifiuti per l’area di localizzazione, per cui la circostanza che l’impianto non sia localizzato in zona industriale, ma in zona agricola, non costituisce ex se motivo ostativo alla sua ammissibilità; e ciò tanto più nel caso in cui la zona non sia gravata da particolari vincoli, nè abbia una vocazione agricola di particolare pregio.
Pres. Caso, Est. Liguori – E.O. (avv. Dresda) c. Comune di Marcianise (avv. Caianiello)
Allegato
Titolo Completo
TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. 8^ - 9 aprile 2018, n. 2279SENTENZA
TAR CAMPANIA, Napoli, Sez. 8^ – 9 aprile 2018, n. 2279
Pubblicato il 09/04/2018
N. 02279/2018 REG.PROV.COLL.
N. 01352/2017 REG.RIC.
N. 01440/2017 REG.RIC.
N. 01531/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Ottava)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1352 dell’anno 2017, proposto da:
Elpidio Orlando, rappresentato e difeso dall’avvocato Marco Dresda, con domicilio eletto presso lo studio di questi, in Napoli, al viale Gramsci n. 19;
contro
– Comune di Marcianise, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco Maria Caianiello, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli, al viale Gramsci n. 19;
– Provincia di Caserta e Regione Campania, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., non costituite in giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 1440 dell’anno 2017, proposto da:
Elpidio Orlando, rappresentato e difeso dall’avvocato Marco Dresda, con domicilio eletto presso lo studio di questi, in Napoli, al viale Gramsci n. 19;
contro
– Comune di Marcianise, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco Maria Caianiello, con domicilio eletto presso il suo studio, in Napoli, al viale Gramsci n. 19;
– Provincia di Caserta e Regione Campania, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., non costituite in giudizio;
sul ricorso numero di registro generale 1531 dell’anno 2017, proposto da:
Elpidio Orlando, rappresentato e difeso dall’avvocato Marco Dresda, con domicilio eletto presso lo studio di questi, in Napoli, al viale Gramsci n. 19;
contro
Comune di Marcianise, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco Maria Caianiello, con domicilio eletto presso il suo studio, in Napoli, al viale Gramsci n. 19;
Provincia di Caserta e Regione Campania, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., non costituite in giudizio;
per l’annullamento,
previa sospensione dell’efficacia,
quanto al ricorso n. 1352 del 2017:
a) dell’ordinanza n. 2371 del 21.02.2017 (prot. n. 5799 del 21.02.2017), notificata in pari data, con la quale il Comune di Marcianise (Ce) ha disposto l’annullamento in autotutela del Permesso di Costruire n. 952/2017 rilasciato al sig. Orlando Elpidio e avente ad oggetto l’adeguamento e l’ampliamento dell’impianto di trattamento e recupero di rifiuti speciali non pericolosi sito in località “Cappelluccia”;
b) di ogni altro atto presupposto, preordinato, connesso e conseguente, se ed in quanto lesivo degli interessi del ricorrente, ivi compresa, ove occorrente, la nota prot. n. 3889 del 06.02.2017, recante comunicazione di avvio del procedimento per l’annullamento del permesso di costruire n. 952/2017;
quanto al ricorso n. 1440 del 2017:
a) dell’ordinanza n. 2372 del 23.02.2017 (prot. n. 6324 del 23.02.2017), notificata in data 27.02.2017, con cui il Comune di Marcianise ha disposto l’annullamento del certificato di agibilità n. 1788/2016 inerente il box a protezione del gruppo elettrogeno, la recinzione e il container ad uso ufficio, realizzati in virtù dei Permessi di Costruire n. 733/2012 e 767/2013;
b) del provvedimento prot. n. 9964 del 28.03.2017, notificato in pari data, con il quale il Comune di Marcianise ha disposto l’annullamento in autotutela dell’autorizzazione del 27.04.1998, del Permesso di costruire n. 455 del 12.11.2008, del Certificato di Agibilità n. 438/2008, della D.I.A. n. 1366 del 29.01.2009, del Permesso di Costruire n. 733/2012 e del Permesso di Costruire n. 767/2013, rilasciati al sig. Orlando Elpidio e afferenti all’impianto di trattamento e recupero di rifiuti speciali non pericolosi;
c) di ogni altro atto presupposto, preordinato, connesso e conseguente, se ed in quanto lesivo degli interessi del ricorrente, ivi comprese, ove occorrente: la nota prot. n. 3885 del 06.02.2017 recante comunicazione di avvio del procedimento per l’annullamento del certificato di agibilità n. 1788/2016; la nota prot. n. 5494 del 16.02.2017 recante comunicazione di avvio del procedimento per l’annullamento dell’autorizzazione del 27.04.1998, del Permesso di costruire n. 455 del 12.11.2008, del Certificato di Agibilità n. 438/2008, della D.I.A. n. 1366 del 29.01.2009, del Permesso di Costruire n. 733/2012 e del Permesso di Costruire n. 767/2013;
quanto al ricorso n. 1531 del 2017:
a) dell’ordinanza n. 44 del 30.03.2017 (prot. n. 10527 del 31.03.2017), notificata in data 03.04.2017, con cui il Comune di Marcianise ha ingiunto la demolizione delle opere relative all’impianto di trattamento e recupero di rifiuti speciali non pericolosi sito in località “Cappelluccia”, in titolarità del sig. Orlando Elpidio;
b) di ogni altro atto presupposto, preordinato, connesso e conseguente, se ed in quanto lesivo degli interessi del ricorrente.
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione, in tutti i giudizi di cui all’epigrafe, del Comune di Marcianise;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 gennaio 2018 il dott. Michelangelo Maria Liguori e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso rubricato al n. RG 1352/2017, notificato a mezzo posta il 4/5 aprile 2017, Orlando Elpidio ha esposto
– che la propria ditta esercitava sin dall’anno 1998 attività di recupero di rifiuti speciali non pericolosi (cernita, trattamento e stoccaggio di rifiuti recuperabili da materiali da demolizione) sull’area sita in Marcianise, località Cappelluccia, identificata in Catasto al Foglio 10, p.lla 5188 (ex 52-367), avente astratta destinazione urbanistica agricola ai sensi del P.R.G. vigente;
– che tale attività era stata originariamente assentita dal Comune di Marcianise con autorizzazione del 27.04.1998, recante il nulla osta all’installazione, sulle particelle nn. 52 – 367 (oggi 5188), dell’impianto di trattamento di residui lapidei composto da tramoggia, frantoio, nastri trasportatori e struttura in c.a. per sostegno del gruppo di frantumazione (come da relazione tecnica allegata all’autorizzazione comunale del 27.04.1998);
– che l’attività era proseguita ininterrottamente fino all’attualità, essendosi esso ricorrente sempre munito di tutti i titoli abilitativi ambientali e, quindi, giuste regolari iscrizioni al Registro delle Imprese abilitate al recupero dei rifiuti di cui all’art. 33 del D.Lgs 22/1997 (confluito nell’art. 216 del D.Lgs. n. 152/2006 s.m.i.) tenuto dall’Amministrazione Provinciale di Caserta;
– che una porzione della particella 5188 era pavimentata a seconda dell’uso: in particolare 900 mq circa interessati dallo svolgimento dell’attività di deposito dei rifiuti non pericolosi era con masso cementizio impermeabile; circa 1000 mq pavimentati in conglomerato bituminoso; la restante parte della particella era in misto calcareo;
– che la pavimentazione della particella 5188 – realizzata inizialmente in parte in virtù di autorizzazione comunale del 27.04.1998 (che assentiva una struttura in c.a. per sostegno del gruppo di frantumazione) e, per altra parte, giusta autorizzazione edilizia del 10.02.1999, avente ad oggetto proprio “la pavimentazione piazzale con calcestruzzo cementizio” – era stata effettuata in ossequio ad una specifica prescrizione normativa del D.M. 05.02.1998, recante “Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22” e impositiva, all’Allegato 5, dell’obbligo di pavimentare le superfici dell’impianto, ciò al fine di tutelare le matrici ambientali (ed infatti i progetti presentati alla Provincia per ottenere l’iscrizione nel registro provinciale degli esercenti attività di recupero avevano sempre previsto – e riportato – l’area di impianto come pavimentata);
– che l’attività era stata svolta nei primi anni (fino al 2012) unicamente sulla particella 5188, su cui insisteva l’impianto di frantumazione e dove venivano, altresì, depositati i materiali già trattati e recuperati (la c.d. materia prima secondaria EoW) in attesa di essere commercializzati;
– che, considerata la ristrettezza degli spazi, la ditta, a partire dal 2012 aveva provveduto ad acquisire ulteriori aree confinanti – ossia le p.lle 368, 5092 e 5093 – su cui aveva dislocato la fase di commercializzazione del materiale per l’edilizia recuperato (materiale non costituente rifiuto);
– che, a tal fine, poiché la particella 5188 era separata dalle p.lle 368, 5092 e 5093, per una parte del confine a mezzo di un muro, e, per altra parte, a mezzo di lamiere, la ditta, al fine di procedere al collegamento di tutte le particelle, aveva eliminato le lamiere, lasciando il muro in cemento (cosa risultante dalla relazione tecnica a firma del Dott. Luigi Bognanni);
– che, nell’ambito dell’ottimizzazione dell’attività e della distribuzione degli spazi, la ditta aveva chiesto, nel corso del tempo, vari titoli edilizi per interventi edilizi minori e accessori all’attività, ovvero, il permesso di costruire n. 455/2008 per la realizzazione di un muro di cinta; la D.I.A. del 29.01.2009 per l’installazione di una pesa a ponte; il permesso di costruire n. 733/2012 per la realizzazione di un box a protezione del gruppo elettrogeno e di una recinzione in pannelli dell’intero lotto unificato comprensivo delle p.lle 368, 5092 e 5093; il permesso di costruire n. 767/2013 per l’installazione di un container da adibire ad ufficio e W.C. a servizio dell’attività;
– che, riguardo al percorso autorizzativo-ambientale dell’impresa ricorrente (conclusosi con il rilascio del V.I.A. per l’ampliamento dell’impianto e della connessa AUA.), questa era stata autorizzata, sin dalla sua iscrizione al predetto Registro provinciale, al trattamento di rifiuti con capacità superiore a 10 t/giorno;
– che, a seguito all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 4/2008, era sopravvenuta la necessità, per le imprese svolgenti determinate attività al di sopra di una specifica soglia di quantitativi, di acquisire il parere di verifica di assoggettabilità (c.d. screening) a V.I.A. ex art. 20 D.Lgs. 152/2006; e, a tal proposito, per le imprese già attive al momento della entrata in vigore del citato D.Lgs., come quella del ricorrente, la Regione Campania aveva stabilito di rinviare il predetto adempimento al momento del rinnovo dell’iscrizione al Registro delle imprese ex art. 216 del D.Lgs 152/2006;
– che la ditta Orlando Elpidio, pertanto, al fine di proseguire regolarmente la propria attività per i quantitativi e le tipologie già autorizzati prima dell’entrata in vigore del D.Lgs 4/2008, con istanza del 18.05.2010, aveva avviato presso la Regione Campania il procedimento di verifica (cd. Screening) dell’assoggettabilità alla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale;
– che, nell’ambito dello “screening”, la ditta aveva richiesto, oltre alla regolarizzazione dei quantitativi alla luce della sopravvenienza normativa, un ampliamento di superficie finalizzato ad abilitare al trattamento dei rifiuti anche l’area destinata alla commercializzazione della “materia prima seconda”: pertanto, lo screening aveva ad oggetto anche le particelle 368, 5092 e 5093, affinché la ditta potesse usare tali aree anche per il trattamento del rifiuto, migliorando la distribuzione dell’attività di recupero, e non solo per la commercializzazione del materiale già recuperato;
– che, nelle more della definizione del procedimento in argomento, la Provincia di Caserta, con determinazione n. 41/W del 20.05.2010, aveva rinnovato l’iscrizione della Ditta Orlando nel registro di cui all’art. 216 D.Lgs 152/06, prescrivendo la trasmissione del “parere di screening V.I.A.” di competenza dell’Amministrazione regionale;
– che la Regione, tuttavia, nonostante i ripetuti solleciti della ricorrente, aveva tardato a definire il procedimento di screening;
– che, a distanza di anni, con nota del 20/03/2013, la ditta Orlando Elpidio aveva richiesto all’Amministrazione Provinciale di Caserta il rinnovo della sua iscrizione nel Registro ex artt. 214-216 del D.Lgs. 152/2006, rappresentando di aver nuovamente sollecitato gli Uffici della Regione Campania a concludere la procedura di “screening”, e di essere ancora in attesa del rilascio del parere prescritto dall’art. 20 del D.Lgs n. 152/2006;
– che la Provincia di Caserta, tuttavia, con provvedimento prot. n. 0099197 del 30.10.2013, aveva comunicato che, in attesa dell’acquisizione del parere della verifica di assoggettabilità a V.I.A., la ditta non era più legittimata all’esercizio dell’attività per i quantitativi superiori alla soglia dello screening e che doveva, quindi, ridurre i quantitativi di rifiuti trattabili, con inibizione, nel frattempo, della prosecuzione dell’attività sin a quel momento regolarmente esercitata;
– che, avverso il predetto provvedimento di sospensione, il ricorrente aveva proposto rituale impugnativa dinanzi al TAR Campania – Napoli (ricorso RG n. 5216/2013);
– che, successivamente, con provvedimento prot. n. 0105603 del 22.11.2013, la Provincia di Caserta, in conseguenza della mancata trasmissione della documentazione di riduzione dei quantitativi, aveva disposto la cancellazione della ditta dal Registro Provinciale delle Imprese che effettuano attività di recupero rifiuti non pericolosi: anche tale atto era stato impugnato con motivi aggiunti al ricorso R.G. n. 5216/2013;
– che il TAR Campania-Napoli, Sez. I, dopo aver sospeso con decreto cautelare n. 1820/2013 e ordinanza cautelare 1931/2013 i provvedimenti inibitori impugnati, aveva definito il merito del giudizio con sentenza n. 821/2015 del 03.02.15, la quale, in accoglimento del ricorso R.G. n. 5216/2013, aveva dichiarato l’illegittimità dell’operato della Provincia, stante, per un verso l’assenza in capo alla ditta di un “comportamento negligente determinativo di una carenza istruttoria ascrivibile unicamente all’inerzia serbata dalla Regione Campania” e, per altro verso, l’inesistenza dei presupposti legittimanti l’adozione di provvedimenti inibitori/sanzionatori;
– che, parallelamente, il ricorrente aveva, altresì, adito il medesimo TAR Campania – Napoli (giudizio R.G. n. 1752/2014) per l’accertamento dell’illegittimità del silenzio rifiuto della Regione sullo screening VIA, giudizio definito con sentenza n. 3097/2014, recante la statuizione di condanna dell’Ente regionale a definire il procedimento;
– che, nelle more della conclusione del procedimento di “screening V.I.A.”, vista l’entrata in vigore del regime di Autorizzazione Unica Ambientale, la società aveva presentato, in data 23.05.2014, al S.U.A.P. del Comune di Marcianise, istanza di rilascio dell’A.U.A, al fine di adeguare i propri titoli abilitanti in materia ambientale alla sopravvenuta disciplina introdotta con il D.P.R. n. 59/2013;
– che la Regione Campania, ottemperando alla sentenza di condanna, con Decreto Dirigenziale n. 216 del 09.12.14, aveva definito il procedimento di screening, decidendo di assoggettare il progetto alla procedura di V.I.A.;
– che, in ottemperanza al richiamato D.D. 216/2014, la ditta Orlando Elpidio aveva presentato, in data 09.06.2015, istanza di Valutazione di Impatto Ambientale, la cui istruttoria si era conclusa con il rilascio del parere favorevole della Commissione VIA del 31.03.2016, rettificato il 28.06.2016, in cui venivano disposte alcune prescrizioni ed, inoltre, veniva invitato il Comune di Marcianise “a prendere atto nella redazione del P.U.C., dell’attuale destinazione del sito interessato dall’impianto”;
– che, acquisite le risultanze dell’istruttoria VIA, la Provincia di Caserta, con Determinazione n. 177/W del 29.08.2016, aveva dato conclusione al procedimento finalizzato al rilascio dell’Autorizzazione Unica Ambientale, ai sensi del D.P.R. 59/2013 (e, nell’ambito della conferenza dei servizi AUA, venivano acquisiti i pareri favorevoli: • dell’ATO2 allo scarico in pubblica fognatura; • della Regione UOD. 16 alle emissioni in atmosfera; • dell’ASL sotto il profilo igienico sanitario; • del Comune per la valutazione di impatto acustico; • della Provincia ai fini della comunicazione ex art. 216 del D.Lgs 152/2006);
– che, recepita la determinazione provinciale di conclusione A.U.A., il SUAP del Comune di Marcianise aveva emesso il provvedimento conclusivo n. 36 del 22.09.2016, di rilascio dell’Autorizzazione Unica Ambientale;
– che, successivamente, la Regione – Settore Ambiente, con Decreto Dirigenziale n. 305 del 06.12.2016, aveva concluso formalmente il procedimento V.I.A., ribadendo il parere favorevole e reiterando l’invito al Comune di mutare la destinazione urbanistica del sito nel nuovo PUC, conformandola alla sostanziale destinazione urbanistica esistente da oltre 15 anni in loco;
– che la ditta, nel 2016, aveva così ottenuto tutte le autorizzazioni – V.I.A. ed A.U.A. – per la regolarizzazione dei quantitativi alla luce della sopravvenienza normativa di cui al D.Lgs 4/2008 e per l’ampliamento di superficie finalizzato ad abilitare al trattamento dei rifiuti anche l’area destinata alla commercializzazione della “materia prima seconda”: pertanto, per effetto dei titoli ambientali ottenuti, il ricorrente sarebbe stato abilitato ad adibire anche le particelle 368, 5092 e 5093 al trattamento dei rifiuti, e non solo – come avvenuto fino a quel momento – per la commercializzazione del materiale già recuperato;
– che esso Orlando, al fine di dare attuazione al progetto già approvato di ampliamento dell’impianto ed eseguire i relativi interventi edilizi, aveva presentato istanza di permesso di costruire al Comune di Marcianise, il quale, in data 27.01.2017, aveva rilasciato il permesso n. 952/2017;
– che, come evincibile dalla relazione tecnica e dall’allegato grafico al permesso di costruire, tale nuovo titolo riportava la raffigurazione dell’intero impianto – comprensivo sia del preesistente che dell’ampliamento – al fine di illustrare il ciclo di lavorazione del materiale nel nuovo lay-out;
– che, sotto il profilo edilizio, il nuovo progetto comportava unicamente, come nuove opere, che:
• una parte della particella 368 e 5092 venisse pavimentata per il deposito dei materiali inerti e dei cassoni; • venisse predisposto un sistema di pulizia delle ruote dei mezzi in uscita su apposita piattaforma; • venisse realizzata una copertura dei nastri trasportatori; • venisse installata una barriera arborea lungo il perimetro dell’impianto; • venisse adeguato l’impianto di trattamento acque;
– che, a distanza di pochi giorni, prima ancora della comunicazione di inizio dei lavori assentiti, il Comune, con nota prot. n. 3889 del 06.02.2017, aveva avviato il procedimento di annullamento d’ufficio del permesso di costruire, contestando la legittimità degli interventi promossi, in quanto non coerenti con la destinazione urbanistica agricola della zona di insistenza, ed assegnando al privato il termine per controdedurre;
– che, contestualmente e per le stesse motivazioni, l’Ente comunale aveva emesso la nota prot. n. 3885 del 06.02.2017, recante comunicazione di avvio del procedimento per l’annullamento d’ufficio del certificato di agibilità n. 1788/2016 inerente il box a protezione del gruppo elettrogeno, il muro di recinzione e il montaggio dei container ad uso ufficio realizzati in virtù dei P di C. n. 733/2012 e 767/2013;
– che, tuttavia, a distanza di soli 3 giorni dall’emissione dei preavvisi di annullamento e senza consentire al privato di controdedurre sul punto, il Comune di Marcianise aveva emesso il provvedimento prot. n. 4466 del 09.02.2017, con il quale aveva disposto la “sospensione ad horas di ogni attività” presso l’impianto di trattamento e di recupero di rifiuti speciali non pericolosi;
– che tale provvedimento prot. n. 4466 del 09.02.2017 di sospensione dell’attività era stato impugnato con ricorso R.G. 564/2017 innanzi al TAR Campania – Napoli, Sez III, e sospeso con Decreto cautelare n. 262/2017 del 14.02.2017, mentre poi, alla Camera di Consiglio del 14.03.2017, la causa era stata trattenuta in decisione, con avviso di possibile sentenza in forma semplificata;
– che, parallelamente all’impugnativa del provvedimento di sospensione 4466 del 09.02.2017, esso Orlando, con nota trasmessa a mezzo p.e.c. il 16.02.2017, aveva inoltrato al Comune di Marcianise le osservazioni alla comunicazione di avvio del procedimento di annullamento d’ufficio del permesso di costruire n. 952/2017 di cui alla nota prot. n. 3889 del 06.02.2017;
– che il Comune, tuttavia, pretermettendo completamente la valutazione delle osservazioni presentate dal privato, con ordinanza n. 2371 del 21.02.2017, notificata in pari data, aveva disposto l’annullamento in autotutela del permesso di costruire n. 952/2017.
Tanto esposto, il ricorrente ha impugnato l’intervenuto provvedimento di annullamento, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:
1) VIOLAZIONE ARTT. 7 E 10 DELLA L. 241/1990 – VIOLAZIONE DEL GIUSTO PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – ECCESSO DI POTERE – DIFETTO DI ISTRUTTORIA e DI MOTIVAZIONE.
L’ordinanza n. 2371 del 21.02.2017 sarebbe viziata in radice per l’avvenuta violazione della normativa regolante il giusto procedimento amministrativo prevista dalla Legge 241/1990, in quanto il Comune avrebbe completamente omesso di valutare le osservazioni prodotte dal privato.
A seguito della comunicazione del Comune di Marcianise, con nota prot. n. 3889 del 06.02.2017, dell’avvio del procedimento relativo all’annullamento d’ufficio del permesso di costruire n. 952/2017 e dell’assegnazione al sig. Orlando del termine di 10 giorni per controdedurre, questi aveva presentato, con nota trasmessa a mezzo pec il 16.02.2017, rituali osservazioni, incentrate sul fatto che: -secondo la normativa ambientale di settore e il Piano Regionale di Gestione Rifiuti Speciali, non sarebbe in alcun modo vietata l’installazione di impianti di recupero rifiuti, rientranti nella categoria cui appartiene l’impianto in titolarità della ditta Orlando, in aree a destinazione urbanistica agricola; -la compatibilità ambientale e localizzativa sarebbe stata compiutamente valutata dalla Regione in sede di V.I.A. rilasciata con D.D. 306/2016; -l’impianto sarebbe conforme ai progetti approvati dalle Autorità competenti nel corso degli anni e il P. di C. 952/2007 costituirebbe mera attuazione del progetto V.I.A. e A.U.A., con la conseguenza che le contestazioni circa la non conformità dell’intervento promosso con la disciplina di zona sarebbero assolutamente illegittime, in quanto contrastanti con la normativa di settore e con il provvedimento di V.I.A. e con l’A.U.A.; -il comportamento del Comune sarebbe contraddittorio ed illogico poiché contrastante con la posizione assunta dallo stesso Ente nel corso di 20 anni e, da ultimo, nelle conferenze di servizi svoltesi in sede di AUA in cui mai nulla sarebbe stato eccepito; -le contestazioni relative al mancato rispetto delle specifiche prescrizioni imposte dal P.R.G. per la zona agricola, oltre ad essere inammissibili, sarebbero infondate. Il Comune avrebbe, però, completamente omesso di valutare tali osservazioni, addirittura affermando nell’ordinanza impugnata che, successivamente alla comunicazione di avvio del procedimento, nessuna osservazione/opposizione gli sarebbe pervenuta.
2) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE D.LGS N. 152/2006 e D.P.R. N. 380/2001 – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEL PIANO REGIONALE GESTIONE RIFIUTI SPECIALI DELLA CAMPANIA (P.R.G.R.S.) ADOTTATO CON D.G.R. n. 199/2012 ED APPROVATO DAL CONSIGLIO REGIONALE IL 25.10.2013 – ECCESSO DI POTERE – DIFETTO DI ISTRUTTORIA – ERRONEITA’ DEI PRESUPPOSTI.
Il Comune fa discendere la conseguenza che le opere a servizio dell’impianto/attività non sarebbero conformi con le prescrizioni previste dal P.R.G., dalla non coerenza di esse con l’astratta destinazione urbanistica agricola della zona in cui insistono; ma tale affermazione sarebbe infondata nonché contrastante con i provvedimenti che le Autorità competenti in materia ambientale hanno adottato nel corso di circa 20 anni, autorizzando da sempre l’attività della ditta ricorrente. In via generale, in ordine alla compatibilità dell’attività di recupero rifiuti con la destinazione urbanistica “agricola” dell’area, l’art. 19, comma 3, del D.Lgs 22/1997 confluito nell’art. 196, comma 3, del D.Lgs 152/2006, nel disporre che “Le regioni privilegiano la realizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti in aree industriali, compatibilmente con le caratteristiche delle aree medesime” si sarebbe limitato a dettare un criterio di mera preferenza, come evincibile dalla forma verbale usata dal Legislatore, nonché dalla circostanza che l’insediamento di un impianto dovrebbe essere comunque (anche nelle zone privilegiate) compatibile con le peculiari caratteristiche dell’area: in altri termini, ferma restando la preferenza espressa per le aree industriali, ciò che assumerebbe rilevanza sarebbe la verifica in concreto della compatibilità dell’impianto con l’area di localizzazione. Tali principi troverebbero conferma anche nel Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti Speciali in Campania che, al Paragrafo 6.3.1., per quanto concerne la macrocategoria di impianti “III – impianti industriali di trattamento meccanico, chimico, fisico e biologico” – categoria cui appartiene l’impianto di recupero in titolarità della ditta Orlando – prevede che “Il principale riferimento normativo per gli impianti appartenenti alle macrocategorie in parola è fornito dall’art. 196, comma 3 del D.Lgs. 152/2006 secondo il quale la localizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti speciali, eccettuati gli impianti di discarica controllata, deve essere privilegiata in aree ad elevata connotazione e vocazione industriale, compatibilmente con le caratteristiche delle aree medesime”. La destinazione urbanistica di un’area non potrebbe costituire ex lege in alcun modo elemento preclusivo all’assentibilità di un progetto, perché, pur dovendosi privilegiare le aree industriali, l’aspetto rilevante sarebbe la concreta verifica di compatibilità dell’area ai fini del rispetto dell’ambiente, a prescindere dall’astratta destinazione urbanistica e, ciò sia nel caso di classificazione industriale che nel caso di diversa classificazione, ad esempio, agricola. Proprio sulla valenza della “zona agricola”, i Giudici Amministrativi, in linea con la corretta interpretazione ed applicazione della normativa di settore, si sarebbero espressi in più occasioni, affermando e consolidando l’indirizzo giurisprudenziale in base al quale tale classificazione urbanistica non sarebbe in alcun modo ostativa all’insediamento di impianti di smaltimento rifiuti. Dalla normativa, nazionale e regionale, di settore, così come applicata dalla giurisprudenza amministrativa, si ricaverebbe che il Legislatore non ha in alcun modo vietato l’installazione di impianti di recupero rifiuti – rientranti nella categoria cui appartiene l’impianto in titolarità della ditta Orlando – in aree a destinazione urbanistica agricola, destinazione che, quindi, non sarebbe di per sé impedimento al rilascio della relativa autorizzazione; d’altra parte, l’attività insisterebbe in loco dal 1998, ossia da circa 20 anni, periodo di tempo in cui sarebbe stata sempre autorizzata dal Comune, dalla Provincia, dall’ASL, dall’ATO, dall’ARPAC e dalla Regione. La compatibilità dell’attività nella zona sarebbe stata, inoltre, definitivamente accertata dalla Regione, a seguito del rilascio, con Decreto n. 305 del 06.12.2016, del parere favorevole nel procedimento di Valutazione di Impatto Ambientale, con espresso e specifico invito al Comune di Marcianise a “prendere atto nella redazione del PUC, dell’attuale destinazione del sito interessato dall’impianto”: in sostanza la Regione, rilevato che la zona possiederebbe carattere di sito produttivo, avrebbe prescritto al Comune di mutare la sua destinazione urbanistica nel redigendo PUC, conformandola alla sostanziale destinazione urbanistica esistente da 20 anni. D’altra parte, il Comune di Marcianise si sarebbe limitato ad opporre un generico quanto illegittimo richiamo – per giunta a distanza di 20 anni – all’incoerenza rispetto all’astratta destinazione urbanistica agricola della zona, ma non avrebbe dedotto alcunché in merito ad elementi/circostanze di concreta incompatibilità dell’impianto con l’area di localizzazione
3) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE D.LGS N. 152/2006 e D.P.R. N. 380/2001 – ECCESSO DI POTERE – DIFETTO DI ISTRUTTORIA – ERRONEITA’ DEI PRESUPPOSTI – INCOMPETENZA – CONTRADDITTORIETA’ – CARENZA DI POTERE.
Un ulteriore vizio della motivazione addotta a sostegno del gravato annullamento, sarebbe integrato dalla carenza di potere del Comune e dalla mancata impugnazione del provvedimento V.I.A., rilasciato con D.D. 305 del 06.12.2016. Nel caso di specie, l’impianto della ditta – sia nella configurazione esistente dal 1998 e sottoposta a VIA per effetto della sopravvenuta entrata in vigore del D.Lgs. n. 4/2008, che nella configurazione risultante dall’ampliamento approvato in sede di VIA ed AUA di cui il PDC 952/2017 costituisce mera attuazione – sarebbe stato favorevolmente valutato in sede di V.I.A., come risultante dal parere della Commissione VIA del 31.03.2016, rettificato il 28.06.2016, e dal conseguente provvedimento conclusivo di cui al Decreto Dirigenziale n. 305 del 06.12.2016 (in cui sono state disposte alcune prescrizioni ed, inoltre, è stato invitato il Comune di Marcianise “a prendere atto nella redazione del P.U.C., dell’attuale destinazione del sito interessato dall’impianto”): la valutazione dell’aspetto localizzativo sarebbe stata, quindi, già effettuata nell’ambito dell’iter di V.I.A. all’uopo deputato ex art. 22 e ss. del D.Lgs 152/2016, con la conseguenza che le eccezioni postume sul punto sollevate dal Comune di Marcianise sarebbero viziate da una palese carenza di potere, essendo ogni valutazione amministrativa sul punto compiuta in sede di V.I.A.. Né il Comune di Marcianise si sarebbe attivato per far valere tali ragioni in sede giurisdizionale, attraverso la rituale impugnativa del parere della Commissione V.I.A. del 28.06.2016 e del D.D. 305/2016.
4) VIOLAZIONE D.LGS N. 152/2006, D.P.R. 59/2013 e LEGGE N. 241/1990 – ECCESSO DI POTERE – DIFETTO DI ISTRUTTORIA E DI MOTIVAZIONE – CONTRADDITORIETA’ – ILLOGICITA’.
L’operato del Comune sarebbe illegittimo, altresì, poiché assolutamente contrastante con la posizione assunta dallo stesso Ente nel corso di 20 anni, atteso che l’autorizzazione all’installazione dell’impianto sarebbe stata rilasciata per la prima volta nel 1998 proprio dal Comune, il quale avrebbe sempre reso parere favorevole all’esercizio dell’attività, anche ai fini delle emissioni in atmosfera e di tutte le autorizzazioni necessarie (ad esempio, del parere ex art. 7 del D.P.R. 203/1988 del 14.07.2003): nel corso degli anni, quindi, mai nulla sarebbe stato contestato alla ditta Orlando Elpidio.
5) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE D.LGS N. 152/2006 e D.P.R. N. 380/2001 e L. 241/1990 – VIOLAZIONE PRINCIPIO DEL LEGITTIMO AFFIDAMENTO – VIOLAZIONE ART. 3 e 97 COST.
Il Comune di Marcianise sarebbe incorso in ulteriore errore, in quanto non avrebbe preso in alcun modo in considerazione il legittimo affidamento maturato dalla ditta Orlando sulla insistenza dell’impianto in loco, atteso l’ininterrotto svolgimento dell’attività sull’area dal 1998 ad opera del ricorrente, il quale avrebbe anche sempre ottenuto tutti i titolo abilitativi all’uopo necessari da parte delle Autorità a vario titolo competenti (Regione, Provincia, Asl, Ato, Arpac), nonché dello stesso Comune. La ditta Orlando sarebbe titolare, quindi, di una posizione giuridica assolutamente rilevante avendo condotto un’attività – con relativi investimenti – sempre in modo legittimo, con l’avallo di tutti gli Enti. La situazione giuridica consolidatasi nel corso del tempo avrebbe così ingenerato nel ricorrente un legittimo affidamento, che non potrebbe non essere tutelato.
6) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE D.LGS N. 152/2006 e L. N. 241/1990 – ECCESSO DI POTERE – DIFETTO DI ISTRUTTORIA.
L’iter logico-giuridico seguito dal Comune nell’occasione sarebbe infondato, poiché, una volta accertata la compatibilità dell’attività con la zona di insistenza (ancorché avente astratta destinazione urbanistica agricola), ciò che rileverebbe ai fini della valutazione della legittimità dell’impianto sarebbe la conformità dello stesso rispetto al progetto approvato dall’Autorità competente (Provincia o Regione). Viceversa, non rileverebbe in alcun modo il rispetto della disciplina urbanistica che – soprattutto laddove l’impianto ricada in zona “agricola” – non potrebbe mai contenere prescrizioni idonee e/o adattabili alla realizzazione delle opere necessarie per un impianto di rifiuti (d’altra parte i piani regolatori per le zone urbanistiche agricole consentirebbero in linea astratta esclusivamente interventi edificatori funzionali all’agricoltura). In altri termini, una volta accertata la possibilità di localizzare un impianto di recupero rifiuti in zona agricola ed intervenuta l’approvazione del relativo progetto da parte dell’Autorità competente, l’impianto dovrebbe essere realizzato in conformità al progetto, pur non essendo le opere astrattamente assentibili (in parte o in tutto) in base alla disciplina urbanistica della zona di insistenza: ciò varrebbe, in particolare, per tutte quelle opere preordinate ed essenziali allo svolgimento dell’attività di recupero come l’impianto, la recinzione, la pavimentazione dell’area adibita al trattamento, tutti elementi essenziali e preordinati all’attività che la legge prescrive come obbligatori. Se così non fosse, gli impianti in questione non potrebbero essere autorizzati in zone urbanistiche diverse da quelle industriali o, se anche autorizzati, non potrebbero essere realizzati in quanto esposti al potere di vigilanza urbanistico-edilizia del Comune che in qualsiasi momento potrebbe opporre la non conformità delle opere con le prescrizioni edificatorie di zona del P.R.G.. Nel caso di specie, evidentemente la legittimità delle opere dell’impianto della ditta Orlando Elpidio non potrebbe essere valutata in rapporto alla disciplina di zona del P.R.G. (riportante un’astratta destinazione non in linea con l’effettivo uso ventennale produttivo dell’area, da recepirsi in sede di PUC, come prescritto dal VIA), ma dovrebbe essere esaminata in base alla conformità al progetto approvato negli anni, dapprima in sede di iscrizione al registro provinciale ex art. 216 del D.Lgs 152/2006 ed ora in sede di A.U.A. e V.I.A.. Nel caso di specie, essendo stato il progetto di ampliamento autorizzato – giusto decreto dirigenziale della Regione Campania n. 305 del 06.12.2016 – con V.I.A. e – giusta Determinazione provinciale n. 177/W del 29.08.2016 – con A.U.A., il P. di C. n. 952/2017 costituirebbe mera attuazione del progetto VIA – AUA approvato, come comprovato e dimostrato dalla relazione tecnica allegata al progetto presentato in Comune (in cui chiaramente sarebbe evidenziato che le opere da realizzare sono funzionali ad adeguare l’impianto al nuovo lay-out approvato da Regione e Provincia): il permesso di costruire, pertanto, non conterrebbe alcuna opera diversa da quella assentita con le citate autorizzazioni ambientali.
D’altra parte, il Comune non avrebbe contestato né difformità dello stato esistente rispetto alle autorizzazioni rilasciate dalle competenti Autorità in materia ambientale dal 1998 al 2016, né tanto meno difformità del P. di C. rispetto al progetto di ampliamento approvato di recente in sede di VIA ed AUA, ma unicamente l’incompatibilità rispetto alla prescrizioni di PRG.
7) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEL D.LGS N. 152/2006 e D.P.R. 380/2001 – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELLA LEGGE N. 241/1990 – ECCESSO DI POTERE – DIFETTO DI ISTRUTTORIA.
In via preliminare, occorrerebbe distinguere l’impianto preesistente dall’impianto nella configurazione del progetto di ampliamento ancora inattuato: quanto contestato ai punti 1, 2, 3 e 4 in merito al container, alla pavimentazione, all’impianto di frantumazione e agli impianti tecnologici atterrebbe alla situazione preesistente, ossia ad opere ed impianti regolarmente assentiti da Comune, Provincia e Regione nel corso degli anni 1998-2013, per cui tali opere assentite non potrebbero costituire motivo dell’annullamento d’ufficio del permesso di costruire 952/2017 che non avrebbe ad oggetto modifiche delle stesse, ma l’ampliamento (per giunta non ancora attuato). D’altra parte, il Comune, rispetto alle opere di cui ai citati punti, ne contesterebbe unicamente l’illegittimità in quanto contrastanti con la disciplina di zona, ma non fornirebbe alcuna spiegazione in merito alla incidenza di tali opere rispetto al permesso di costruire 952/2017. Né rileverebbe la circostanza della pendenza del procedimento di annullamento d’ufficio dei titoli edilizi rilasciati tra il 1998 e il 2013 in ordine alle preesistenti opere dell’impianto (container, pavimentazione, impianto di frantumazione, impianti tecnologici e recinzione), stante l’efficacia e validità dei suddetti titoli alla data di adozione dell’impugnato provvedimento di annullamento 2371/2017. La pretesa non corretta rappresentazione dello stato dei luoghi – ove in qualche misura rilevata – non costituirebbe valido fondamento della determinazione comunale, potendo l’erronea o inesatta rappresentazione della realtà da parte dell’interessato, costituire causa di annullamento del permesso di costruire esclusivamente se effettuata con dolo e laddove risulti rilevante e decisiva ai fini dell’adozione del provvedimento ampliativo in quanto incidente sui presupposti legittimanti il rilascio del titolo, entrambi presupposti assenti nel caso di specie.
8) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE L 241/1990 e D.P.R. 380/2001 – ECCESSO DI POTERE – DIFETTO DI ISTRUTTORIA – INESISTENZA DEI PRESUPPOSTI – DIFETTO DI MOTIVAZIONE.
Il disposto annullamento sarebbe, altresì, illegittimo in quanto non sussisterebbero i presupposti richiesti dall’art. 21 nonies della Legge 241/1990. Nel caso di specie, non sussisterebbe l’interesse pubblico all’annullamento d’ufficio del titolo, considerando che trattasi di impianto di recupero rifiuti, che svolge un’attività qualificata ex lege ai sensi dell’art. 178 del D.Lgs 152/2006 “di pubblico interesse”, esistente da circa 20 anni, da sempre assentita da tutte le Autorità competenti nel corso del tempo, la cui legittima localizzazione e configurazione strutturale/impiantistica sarebbe stata di recente confermata in sede di V.I.A. dalla Regione e in sede di AUA dalla Provincia (con intervento dello stesso Comune, dell’ATO, dell’ASL, dell’ARPAC e della Regione UOD 16).
Inoltre, non vi sarebbe alcun interesse del Comune alla salvaguardia della vocazione agricola dell’area, assolutamente non sussistente, in quanto l’area avrebbe destinazione effettiva produttiva da 20 anni, e la Regione nel VIA avrebbe prescritto al Comune di procedere in sede dell’adottando PUC alla variazione della destinazione da agricola a produttiva/industriale. Viceversa, sussisterebbe il legittimo affidamento del privato e il suo interesse a proseguire l’attività e a realizzare l’ampliamento adeguandosi alle prescrizioni imposte a tutela dell’ambiente dalle competenti Autorità (e sotto tale profilo emergerebbe anche l’interesse pubblico ambientale contrastante con l’operato del Comune). Inoltre, il Comune si sarebbe limitato a giustificare l’annullamento con il richiamo al mero contrasto con la disciplina di P.R.G. (l’asserita esigenza di ripristino della presunta legalità violata) e con l’esigenza di tutela dell’astratta destinazione agricola (la semplice e astratta ripetizione delle stesse esigenze regolative sottese al presunto ordine giuridico infranto) senza tuttavia motivare in alcun modo in ordine alla condizione della ricorrenza dell’interesse pubblico concreto ed attuale alla eliminazione del provvedimento viziato.
In data 24 aprile 2017 si è costituito in giudizio il Comune di Marcianise, contestando l’ammissibilità e, comunque, la fondatezza del proposto ricorso; ed il successivo 8 maggio ha depositato una memoria.
Con distinto ricorso RG n. 1440/2017, notificato a mezzo posta l’11/12 aprile 2017 e depositato il successivo 13 aprile, Orlando Elpidio ha impugnato alcuni sopravvenuti provvedimenti adottati dal Comune di Marcianise nei suoi confronti, ovvero (unitamente agli atti presupposti) l’ordinanza n. 2372 del 23.02.2017 (prot. n. 6324 del 23.02.2017), notificata in data 27.02.2017, con cui era stato disposto l’annullamento del certificato di agibilità n. 1788/2016 (inerente il box a protezione del gruppo elettrogeno, la recinzione e il container ad uso ufficio realizzati in virtù dei Permessi di Costruire n. 733/2012 e 767/2013); il provvedimento prot. n. 9964 del 28.03.2017, notificato in pari data, con il quale era stato disposto l’annullamento in autotutela dell’autorizzazione del 27.04.1998, del Permesso di costruire n. 455 del 12.11.2008, del Certificato di Agibilità n. 438/2008, della D.I.A. n. 1366 del 29.01.2009, del Permesso di Costruire n. 733/2012 e del Permesso di Costruire n. 767/2013 (rilasciati appunto al ricorrente e afferenti all’impianto di trattamento e recupero di rifiuti speciali non pericolosi).
Nell’occasione, l’Orlando ha chiesto l’annullamento di tutti gli atti impugnati per sei motivi del tutto analoghi ai primi sei proposti nel ricorso RG 1352/2017, nonché sulla scorta di un settimo motivo (VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE L 241/1990 – ECCESSO DI POTERE – DIFETTO DI ISTRUTTORIA E DI MOTIVAZIONE.), incentrato sull’asserita insussistenza dei presupposti previsti dall’art. 21 nonies della Legge 241/1990 (per essere i contestati annullamenti intervenuti a distanza di tempo notevole – 19 anni dell’autorizzazione del 1998, 9 anni per il P.D.C. 455/2008 e per il certificato di agibilità 438/2008, 8 anni per la DIA 1366/2009, 5 anni per il PdC 733/2012 e 4 anni per il P.d.C. 767/2013 -, assolutamente non ragionevole e, per giunta, ampiamente superiore al termine di 18 mesi previsto dalla normativa introdotta con la novella legislativa di cui alla Legge 124/2015; nonché per essere mancata la necessaria indicazione della rispondenza delle disposte rimozioni a un interesse pubblico non solo attuale e concreto – diverso da quello al mero ripristino della legalità violata -, ma anche prevalente rispetto ad altri interessi militanti in favore della conservazione degli atti, e, tra questi, in particolare, rispetto all’interesse del privato, affidatosi sulla legittimità e stabilità degli atti medesimi. Nell’occasione, il ricorrente ha, altresì articolato anche ulteriori due motivi di ricorso (l’ottavo e il nono, entrambi così rubricati: “VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE L. 241/1990 E DPR 380/2001 – ECCESSO DI POTERE – DIFETTO DI ISTRUTTORIA – ERRONEITÀ ED INESISTENZA DEI PRESUPPOSTI”), con il quali ha ribadito la possibilità di allocare in zona agricola un’attività di recupero rifiuti, attesa anche la conformità dell’impianto al progetto approvato da Provincia e Regione; ha formulato specifiche osservazioni circa la pavimentazione dell’area dell’impianto, circa la distanza dai confini prescritta dal PRG; e circa la recinzione; ha sostenuto l’illegittimità dell’annullamento dei certificati di agibilità n. 1788/2016 e n. 438/2008, per non costituire la conformità urbanistico-edilizia l’oggetto della certificazione di agibilità di un immobile (riguardante solo “la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati”).
Anche in questo ricorso, in data 24 aprile 2017 si è costituito in giudizio il Comune di Marcianise, contestandone l’ammissibilità e, comunque, la fondatezza; ed il successivo 8 maggio ha depositato una memoria.
Con altro distinto ricorso RG n. 1531/2017, notificato a mezzo posta tra il 18 e il 20 aprile 2017 e depositato il successivo 20 aprile, Orlando Elpidio ha proceduto all’impugnazione della sopravvenuta ordinanza n. 44 del 30.3.2017, notificata il 3.4.2017, con cui il Comune di Marcianise gli aveva ingiunto la demolizione delle opere relative all’impianto di trattamento e recupero di rifiuti speciali non pericolosi sito in località “Cappelluccia”.
Nell’occasione, il ricorrente ha articolato i seguenti motivi di ricorso:
1) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE D.P.R. 380/2001 e LEGGE 241/1990 – ECCESSO DI POTERE – DIFETTO DI ISTRUTTORIA – DIFETTO DI MOTIVAZIONE – ERRONEITA’ DEI PRESUPPOSTI.
L’ingiunzione demolitoria, in quanto avente ad oggetto la rimozione di opere eseguite in virtù di titoli annullati, sarebbe viziata dall’errata applicazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001; in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dal Comune, la fattispecie de qua rientrerebbe nell’ambito di applicazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001. Nel caso di specie, non potrebbe trovare applicazione l’art. 31 relativo alla repressione degli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, avendo il Legislatore previsto, al successivo art. 38, una specifica disciplina per l’ipotesi di edificazione intervenuta in base a titolo successivamente annullato, assolutamente diversa quanto agli effetti sanzionatori rispetto all’art.31. In particolare, l’art. 38 individua una gamma articolata di possibili soluzioni della valutazione delle quali l’atto conclusivo deve dare conto, dovendosi, in primis, verificare la emendabilità dei vizi (sia quelli formali che quelli sostanziali secondo la più recente giurisprudenza) che abbiano determinato l’annullamento dell’atto e, in subordine, la possibilità/opportunità di ordinare la riduzione in pristino o, in sostituzione la sanzione pecuniaria. Più specificamente, quanto alla possibilità di ordinare la demolizione nel caso in cui non fosse possibile rimuovere i vizi del permesso annullato, la giurisprudenza amministrativa avrebbe statuito che non va effettuata una valutazione esclusivamente tecnica, ma di opportunità. Del tutto illegittimamente l’Ente Comunale avrebbe omesso di determinarsi seguendo l’iter previsto dall’art. 38 che – come detto – impone attente valutazioni circa la possibilità di rimuovere i vizi che hanno determinato l’annullamento del titolo e l’opportunità di disporre la demolizione sostituendola con la sanzione pecuniaria; valutazioni queste che, se effettuate, avrebbero indotto certamente la P.A. a non intimare la demolizione.
2) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE D.P.R. 380/2001 e LEGGE 241/1990 – ECCESSO DI POTERE – DIFETTO DI ISTRUTTORIA – DIFETTO DI MOTIVAZIONE.
L’ingiunzione demolitoria sarebbe illegittima poiché misura sanzionatoria non prevista per il tipo di opere in questione. In particolare, l’impianto di frantumazione (composto da tramoggia, alimentatore, frantoio, nastro trasportatore) non sarebbe un corpo edilizio suscettibile di determinare una trasformazione edilizia, ossia non rappresenterebbe una costruzione in senso tecnico (la relativa realizzazione non sarebbe soggetta al regime del permesso di costruire, ma rientrerebbe nell’ambito di applicazione della D.I.A./S.C.I.A.; ed infatti l’impianto è stato autorizzato all’epoca con “autorizzazione edilizia” del 27.04.1998, oggi sostituita proprio dalla D.I.A./S.C.I.A.); cosicché, per effetto dell’annullamento dell’autorizzazione del 27.04.1998, l’impianto di frantumazione risulterebbe assoggettato al regime dell’art. 37 del D.P.R. 380/2001 che disciplina proprio gli interventi eseguiti in assenza della denuncia di inizio attività (e tale disposizione non prevederebbe in alcun modo la misura della demolizione, ma unicamente l’applicazione di una sanzione pecuniaria). L’inapplicabilità della misura del ripristino ex art. 31 varrebbe anche per la pavimentazione della p.lla 5188 (costituita, per circa 900 mq in masso cementizio impermeabile, per circa 1000 mq in conglomerato bituminoso, e per la restante porzione in misto calcareo), inizialmente realizzata, in parte, con autorizzazione del 27.04.1998 (prevedente una struttura in c.a. per sostegno del gruppo di frantumazione), e, per altra parte, giusta autorizzazione edilizia del 10.02.1999 (avente ad oggetto proprio la pavimentazione del piazzale con calcestruzzo cementizio). A prescindere che l’autorizzazione del 10.02.1999 non figura tra gli atti annullati e, pertanto, l’intervento realizzato sulla scorta di tale titolo sarebbe da ritenersi ancora legittimo, la pavimentazione realizzata in forza dell’annullata autorizzazione del 27.04.1998 avrebbe costituito uno specifico obbligo di legge imposto dal D.M. 05.02.1998 per la tutela delle matrici ambientali e, per questo motivo, sarebbe stata riportata in tutti i progetti approvati dalla Provincia, dall’ASL, dall’ARPAC, dall’ATO 2, dalla Regione e dallo stesso Comune di Marcianise ai fini dell’iscrizione nel registro ex art. 216 del D.Lgs 152/2006, dell’AUA e del VIA.; ed essendo un elemento indispensabile per l’esercizio dell’attività di recupero, ciò che rileva ai fini della relativa valutazione di legittimità sarebbe la sola conformità al progetto approvato dalle Autorità ambientali, non potendo essere valutata la compatibilità con le prescrizioni urbanistiche dell’astratta destinazione agricola della zona: nel caso di specie, la pavimentazione esistente sarebbe assolutamente conforme al progetto approvato dalla Provincia, e, in ogni caso, trattandosi di area produttiva per effetto dell’attività autorizzata da circa 20 anni, la pavimentazione dell’impianto di rifiuti non potrebbe in alcun modo essere qualificata come un intervento di trasformazione urbanistica ed edilizia (poiché non modificativa della destinazione d’uso effettiva dell’area e, come tale, non soggetta a permesso di costruire). Peraltro, la pavimentazione costituirebbe intervento meramente pertinenziale all’impianto di rifiuti, essendo preordinata unicamente alle esigenze dell’impianto ed al servizio dello stesso, così da essere sfornita di valore di mercato e non valutabile in termini di cubatura: perciò non sarebbe soggetta a permesso di costruire, ma rientrerebbe nel regime D.I.A./S.C.I.A., come anche d’altra parte dimostrato dall’essere stata autorizzata – all’epoca – con autorizzazione edilizia (del 27.04.1998), oggi sostituita proprio dalla D.I.A./S.C.I.A.. Ne conseguirebbe che la pavimentazione rientra nel regime sanzionatorio dell’art. 37 del D.P.R. 380/2001, che non prevede in alcun modo la misura della demolizione, ma unicamente l’applicazione di una sanzione pecuniaria. Alla stessa conclusione in termini di sanzione applicabile si perverrebbe laddove si consideri che, in base all’art. 6, comma 1, lett. e) ter del D.P.R. 380/2001, la pavimentazione di spazi esterni rientra nella c.d. attività edilizia libera, regime valido, a maggior ragione, quando la pavimentazione costituisca obbligo di legge: per l’effetto, la relativa realizzazione sine titulo sarebbe soggetta, al più, all’applicazione della sanzione pecuniaria, ma giammai all’ordine di demolizione. Anche la recinzione avrebbe natura pertinenziale, fungendo da mera delimitazione dell’impianto, in ossequio alla specifica prescrizione imposta dall’Allegato 5 al D.M. 05.02.1998: si tratterebbe, dunque, di una mera pertinenza, essendo un’opera preordinata unicamente alle esigenze dell’impianto, al servizio dello stesso, sfornita di valore di mercato e non valutabile in termine di cubatura; per cui non sarebbe soggetta a permesso di costruire, ma rientrerebbe nel regime D.I.A./S.C.I.A.. Inoltre, le opere di recinzione del terreno non si configurano come nuova costruzione per la quale è necessario il previo rilascio del permesso di costruire, quando per natura e dimensioni rientrino tra le manifestazioni del diritto di proprietà, comprendenti lo ius excludendi alios o, comunque, la delimitazione e l’assetto delle singole proprietà: tale sarebbe il caso della recinzione in questione, eseguita senza opere murarie, in quanto composta da pannelli prefabbricati (e avente così natura pertinenziale, fungendo da mera delimitazione dell’impianto). Anche in questo caso, trattandosi di opera rientrante nel regime D.I.A./S.C.I.A., la recinzione potrebbe essere soggetta all’applicazione soltanto di una sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art 37 del D.P.R. 380/2001.
3) VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEL D.P.R. 380/2001 e DELLA LEGGE 241/1990 – ECCESSO DI POTERE – DIFETTO DI ISTRUTTORIA – DIFETTO DI MOTIVAZIONE.
L’ordinanza adottata sarebbe illegittima per difetto di motivazione, atteso che, in base all’orientamento giurisprudenziale del Supremo Consesso Amministrativo, laddove intercorra un lasso temporale rilevante tra la conoscenza dell’abuso da parte dell’amministrazione ed il provvedimento sanzionatorio adottato, l’Amministrazione sarebbe tenuta a fornire una motivazione rafforzata, atta a dare conto dell’interesse pubblico alla rimozione dell’opera in ragione dell’affidamento giuridicamente apprezzabile sorto in capo al privato. Nel caso di specie, l’ingiunzione demolitoria riguarda un impianto di recupero rifiuti – e le opere ad esso afferenti (pavimentazione, recinzione, container) – che insiste in loco da circa 20 anni e che ha sempre ottenuto tutte le autorizzazioni da parte delle Autorità competenti ivi compreso il Comune: attenendo l’abusività contestata dal Comune alla ritenuta incompatibilità urbanistica dell’impianto, ed essendo stato il Comune da sempre a conoscenza della sua allocazione, sussisterebbe un particolare e qualificato affidamento del privato e un correlato obbligo della P.A. di motivare in modo rafforzato l’ordine di demolizione (nell’occasione però non assolto).
4) VIOLAZIONE D.P.R. 380/2001 – ECCESSO DI POTERE – DIFETTO DI ISTRUTTORIA – DIFETTO DI MOTIVAZIONE.
LA determinazione impugnata sarebbe illegittima in quanto priva dell’indicazione dell’area da acquisire ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. 380/2001. L’ordinanza, infatti, non indicherebbe i beni da acquisirsi in caso di inottemperanza all’ordine di demolizione, ma conterrebbe esclusivamente la generica riserva, da parte dell’Amministrazione comunale, della adozione degli ulteriori provvedimenti di acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area su cui sorge l’immobile abusivo e di quella necessaria, in base ai vigenti strumenti urbanistici, alla realizzazione di opere analoghe a quella abusiva, senza, però, che sia ivi esattamente indicata la superficie dell’area che, in caso di inottemperanza all’ordine di demolizione, verrebbe acquisita di diritto. Tale omissione, lungi dall’atteggiarsi a vizio meramente formale, sarebbe tale da pregiudicare dal punto di vista sostanziale gli interessi del ricorrente sottesi alla duplice funzione della prescrizione di cui all’art. 31 comma 2.
5) ILLEGITTIMITA’ DERIVATA.
Sull’ordinanza di demolizione si riverbererebbero, in via derivata, tutte le censure già sollevate avverso l’ordinanza n. 2371/2017, l’ordinanza n. 2372/2017 e il provvedimento prot. n. 9964 del 28.03.2017, nell’ambito dei distinti giudizi RG. n. 1352/2017 e RG n. 1440/2017.
Con ordinanza n. 690/2017 dell’11 maggio 2017, questo Tribunale, riuniti ai fini cautelari i tre ricorsi proposti da Orlando Elpidio, ha accolto appunto le istanze cautelari da lui proposte, sospendendo l’efficacia “tanto dei provvedimenti di ritiro diversi dall’ordinanza di annullamento del permesso di costruire n. 952/2017, quanto della conseguenziale ordinanza demolitoria delle opere realizzate in forza di tali titoli”, ancorché con inibizione di “ogni ulteriore attività costruttiva ovvero ampliativa dell’impianto”, onde consentire l’esercizio dell’attività secondo le modalità e gli ambiti fino a quel momento utilizzati.
In data 8 maggio 2017 sono state prodotte memorie dal Comune di Marcianise sia nel giudizio RG n. 1352/2017, sia nel giudizio RG n. 1440/2017.
Vi è stata, poi, in data 15 maggio 2017, la costituzione del Comune di Marcianise anche nel giudizio RG n. 1531/2017, in resistenza al proposto ricorso.
E’ seguito il deposito di memorie, anche di replica, ad opera delle due parti costituite in tutti e tre i giudizi pendenti.
In data 22 dicembre 2017 è stata poi depositata una istanza (precedentemente notificata, tra il 19 e il 20 dicembre 2017) volta alla esatta esecuzione delle misure cautelari disposte dal TAR con l’ordinanza n. 690/2017; istanza accolta con ordinanza n. 185/2018 del 10 gennaio 2018, con cui questo TAR ha dichiarato la nullità del “verbale di accertamento di demolizione di opere abusive” prot. n. 2633/P.M. del 21.11.2017, redatto dalla Polizia Municipale di Marcianise all’esito di sopralluogo effettuato in pari data, ed ha, altresì, ordinato al Comune di Marcianise di astenersi dall’adottare ulteriori atti contrastanti con giudicato cautelare formatosi sulla precedente ordinanza cautelare n. 690/2017.
All’udienza pubblica del 10 gennaio 2018 la causa è stata, infine, posta in decisione.
DIRITTO
Preliminarmente va disposta, in via definitiva, la riunione dei ricorsi in epigrafe indicati, sussistendo tra essi estremi di connessione soggettiva e oggettiva, atteso che sono in contestazione provvedimenti riguardanti tutti opere insistenti nella medesima area.
Va evidenziato, infatti, che gli atti impugnati riguardano tutti un impianto di recupero di rifiuti speciali non pericolosi, ubicato in località “Cappellucia” di Marcianise e installato in loco da circa venti anni sulla base di vari atti amministrativi di assenso, emessi anche dal Comune di Marcianise.
Da ultimo, con permesso di costruire n. 952/2017 del 27.1.2017, il Comune di Marcianise ha assentito un intervento di adeguamento e ampliamento dell’impianto in parola; ma dopo poco (con ordinanza n. 234/2017 del 21.2.2017) il Dirigente del III Settore ha proceduto all’annullamento in autotutela del rilasciato permesso di costruire, ravvisando, oltre ad una non fedele rappresentazione dello stato dei luoghi, una non compatibilità dell’impianto stesso con le previsioni poste dal PRG per l’area di insistenza, per essere questa destinata a zona omogenea E – Agricola.
E’ seguita poi l’adozione di ulteriori provvedimenti di annullamento, sempre in autotutela, dei vari atti con i quali, nel corso del tempo (a partire dal 1998) l’impianto e l’attività con esso svolta erano stati assentiti. Infine, con l’ordinanza n. 44 del 30.3.2017, il Comune di Marcianise ha ingiunto, in applicazione dell’art. 31 DPR 380/2001, la demolizione delle opere realizzate in forza dei titoli annullati, in quanto divenute ormai abusive.
Punto nodale della controversia risulta, allora, stabilire se l’impianto del quale si discute sia o meno compatibile con la destinazione urbanistica di zona E – Agricola prevista dal PRG di Marcianise per l’area interessata dall’edificazione.
A tale riguardo, il ricorrente ha formulato più motivi di ricorso, nel giudizio RG. 1352/2017 come in quello RG 1440/2017, con i quali, in estrema sintesi, ha sostenuto che era erronea la valutazione del Comune circa la incompatibilità urbanistica dell’impianto (perché formulata in astratto e non in concreto, come avrebbe dovuto invece essere); che la destinazione urbanistica di un’area non può costituite in astratto elemento preclusivo all’assentibilità del progetto, perché, pur dovendosi privilegiare le aree industriali, ciò che rileva è la concreta verifica di compatibilità dell’area ai fini del rispetto dell’ambiente; che l’attività insiste in loco da circa venti anni (periodo in cui è stata sempre autorizzata dal Comune, dalla Provincia di Caserta, dalla ASL competente, dall’ATO, dall’ARPAC e dalla regione Campania); che, in particolare, l’impianto era stato favorevolmente valutato in sede di V.I.A. dalla Regione Campania (come da Decreto Dirigenziale n. 305 del 6.12.2016, con cui il Comune di Marcianise era stato anche invitato “a prendere atto nella redazione del PUC, dell’attuale destinazione del sito interessato dall’impianto”); che nessuna valutazione era stata fatta circa il legittimo affidamento maturato dalla ditta Orlando sulla insistenza dell’impianto in loco.
In proposito, va evidenziato che, se è vero che per parte della giurisprudenza amministrativa (Cons. di Stato sez. IV, n. 4505 del 27.7.2011, specificamente richiamata nel provvedimento di annullamento; ma in senso similare cfr. TAR Campania-Napoli n. 5796 del 13.12.2011; TAR Campania-Napoli n. 2105 del 19.4.2013) "la costruzione di un impianto del genere di quello in discussione (frantumazione di sfridi edilizi e stoccaggio di inerti) non è ammissibile in relazione alla previsione di zona agricola impressa all’area dallo strumento urbanistico", e ciò in quanto (cfr. TAR Lombardia – Milano n. 4984 dell’11.11.2003, confermata dal Consiglio di Stato proprio con la ridetta sentenza n. 4505/2011) la tesi "che considera la destinazione agricola non ostativa alla realizzazione di opere quali impianti idroelettrici e discariche di rifiuti va ragionevolmente circoscritta a impianti ed opere di interesse pubblico per i quali gli strumenti urbanistici non prevedano una specifica localizzazione e che per loro natura non possano essere ubicati altro che in zona agricola", visto che "la tesi opposta, volta a generalizzare il principio, porterebbe viceversa, come logica conseguenza, a legittimare l’esercizio in zona agricola di qualsiasi attività produttiva, il che svuoterebbe di ogni valenza le destinazioni d’uso fissate in sede di zonizzazione del territorio"; tuttavia occorre anche considerare che l’art. 196, comma 3 del D.lgs. 152/2006 prevede che "Le regioni privilegiano la realizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti in aree industriali, compatibilmente con le caratteristiche delle aree medesime, incentivando le iniziative di autosmaltimento. Tale disposizione non si applica alle discariche"; con disposizione intesa dalla giurisprudenza nel senso di escludere "che la realizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti debba avvenire necessariamente ed esclusivamente in aree industriali, così esprimendo una previsione tendenziale e di massima, un criterio direttivo di preferenza cui devono attenersi in linea di principio le regioni, coerentemente con la peculiare forma verbale usata dal legislatore, secondo cui le regioni “privilegiano” la realizzazione dei predetti impianti in tali zone. Del resto è agevole intuire la ratio di un simile criterio direttivo, volto a sottolineare la natura industriale di tali impianti, collocandoli quindi preferibilmente, in coerenza con il disegno urbanistico delineato dallo strumento di governo del territorio, nella zona da quest’ultimo individuata per le attività industriali; tuttavia, la circostanza che tale collocazione costituisca solo una indicazione di massima ovvero un criterio preferenziale è confermata dalla espressa previsione che essa deve essere comunque compatibile con le peculiari caratteristiche dell’area: insomma il legislatore ha inteso fissare una indicazione preferenziale, astratta, salvo poi a demandare in concreto la verifica e la valutazione della sua compatibilità" (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, n. 3818 del 28.6.2012; nonché TAR Lombardia – Milano n. 575 del 2.3.2013; TAR Campania – Napoli n. 1689 del 23.3.2015; TAR Liguria n. 1237 del 14.12.2016).
Del resto, si è precisato anche che “La destinazione agricola di una determinata area è volta non tanto e non sola a garantire il suo effettivo utilizzo a scopo agricolo, quanto piuttosto a preservarne le caratteristiche attuali di zona di salvaguardia da ogni possibile nuova edificazione, con la conseguenza che, salve diverse specifiche previsioni essa non può considerarsi incompatibile con la realizzazione di un impianto di discarica, tanto più che quest’ultimo deve essere ragionevolmente localizzato al di fuori della zona abitata” (così Cons di Stato, sez. V, n. 7243 dell’1.10.2010); ed ancora che “Il potere di pianificazione del territorio non può precludere insediamenti industriali in zone a destinazione agricola salvo che in via eccezionale, vale a dire nei casi in cui si discuta di assetto agricolo di particolare pregio, consolidato da tempo remoto ovvero favorito da opere di bonifica, ciò anche in considerazione del fatto che la destinazione agricola ha lo scopo di impedire gli insediamenti abitativi residenziali e non già quello di precludere in via radicale qualsiasi intervento urbanisticamente rilevante” (così Cons. di Stato, sez. V, n. 4861 del 18.9.2007).
In definitiva, quindi, ferma restando la preferenza espressa per le aree industriali, in ogni caso ciò che assume rilevanza decisiva resta la verifica in concreto della compatibilità dell’impianto per l’area di localizzazione, per cui la circostanza che l’impianto non sia localizzato in zona industriale, ma in zona agricola, non costituisce ex se motivo ostativo alla sua ammissibilità; e ciò tanto più nel caso di specie, in cui l’ufficio tecnico comunale nessuna peculiare indagine in concreto ha svolto, né risulta che la zona sia gravata da particolari vincoli, o ancora che abbia una vocazione agricola di particolare pregio.
Peraltro, nell’occasione non può non darsi rilievo alla circostanza che dal 1998 sono intervenuti più atti di assenso in relazione all’impianto oggi contestato, emessi anche da parte dello stesso Comune di Marcianise, il quale ha, in tal modo, fatto e confermato nel corso del tempo delle scelte (che non possono non ritenersi consapevoli), le quali non possono essere oggi contraddette di punto in bianco, a distanza di quasi venti anni e, comunque, sulla base di una considerazione del tutto astratta, senza aver operato alcuna valutazione della concreta situazione, per come consolidatasi.
Quanto all’ulteriore motivo dell’annullamento del permesso di costruire n. 952/2017, incentrato su di una pretesa non fedele rappresentazione dello stato di fatto negli elaborati presentati, va condivisa la censura, formulata dal ricorrente, di genericità del rilievo, atteso che nel provvedimento si fa effettivamente solo un anodino riferimento al fatto che “dalla planimetria catastale allegata al p.c. si rilevano manufatti in discordanza con quanto rappresentato nei grafici progettuali”, senza però fornire alcuna specifica indicazione circa i manufatti interessati (posto che il riferimento a “parte della realizzata recinzione del lotto con pannelli di cls precompresso di altezza di ml 2,45 circa”, che si è assunta non autorizzata, avrebbe potuto – al più – giustificare l’adozione di provvedimenti edilizi sanzionatori, ma non certo l’annullamento del rilasciato permesso di costruire).
Altresì, va rilevato che coglie nel segno anche la censura con cui si lamenta la omissione di valutazione delle osservazioni presentate (e riguardanti i le varie contestazioni effettuate mediante la nota datata 6.2.2017), e ciò sulla scorta della circostanza che nel conclusivo provvedimento impugnato nessun riferimento ad esse risulta presente.
Per le esposte assorbenti ragioni, l’ordinanza n. 234 del 21.2.2017 con cui il Comune di Marcianise ha annullato il permesso di costruire n. 952/2017, precedentemente rilasciato al ricorrente, risulta quindi viziata e va annullata.
A fondamento degli ulteriori provvedimenti di annullamento dei vari titoli autorizzatori rilasciati alla ditta Orlando Elpidio a partire dall’anno 1998, impugnati con il ricorso RG n. 1440/2017, il Comune di Marcianise ha poi parimenti posto, quale unico motivo a fondamento, il riscontrato vizio di non conformità delle opere assentite con le previsioni urbanistiche date dal PRG per l’area di insistenza dell’impianto (avente destinazione a zona E – agricola). Anche in questo caso, allora, ritiene il Collegio che non possano non valere le considerazioni prima svolte circa la non incompatibilità dell’impianto con le ridette prescrizioni di zona, specie allorché non siano state effettuate valutazioni di tipo concreto (e non meramente astratto, come invece fatto dal Comune): ne deriva, in via assorbente, che anche tali provvedimenti di annullamento risultano, allora, affetti dai vizi di difetto di istruttoria e di motivazione, erroneità dei presupposti, contraddittorietà e violazione del legittimo affidamento lamentati dal ricorrente (nonché dal vizio di violazione del giusto procedimento, connesso alla mancata valutazione delle osservazioni tempestivamente presentate dall’Orlando nelle date del 16.2.2017 e del 24.2.2017, visto che nei provvedimenti di ritiro è stata espressamente esclusa tale presentazione), con l’ulteriore conseguenza che anche di questi deve essere disposto l’annullamento.
Va, altresì, sottolineato come il riferimento fatto “alla realizzazione di manufatti a distanza inferiore a quella prevista dalla norma del PRG vigente regolante la zona agricola” risulti del tutto generico (visto che non viene precisato di quali manufatti si tratti), e che, in ogni caso, tale valutazione non potrebbe riguardare semplici macchinari o volumi tecnici (in quanto sottratti al rispetto della normativa sulle distanze edilizie).
Peraltro, l’intervento annullatorio in discussione neppure appare rispettoso del disposto di cui all’art. 21 nonies L. 241/1990, essendo stato posto in essere a distanza di molti anni dal rilascio dei titoli interessati e senza alcuna precisazione circa la sussistenza di un interesse pubblico attuale, diverso dal mero ripristino dalla legalità, necessaria per giustificarlo.
L’illegittimità, con conseguente annullamento, dei provvedimenti di ritiro dei quali si è testé discorso, determina, a sua volta, l’illegittimità in via derivata (per essere venuto meno il presupposto unico ed essenziale) anche dell’ordinanza n. 44 del 30.3.2017; atteso che con questa il Comune di Marcianise ha ordinato la demolizione delle opere realizzate proprio in forza dei titoli edilizi oggetto del (qui cassato) ritiro, in quanto divenute prive di assenso. Pertanto, in accoglimento del ricorso RG n. 1531/2017, con assorbimento dei vizi propri lamentati, va annullata anche la citata ordinanza n. 44/2017 del Comune di Marcianise.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito da giurisprudenza costante: ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260, e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Le spese dei giudizi riuniti seguono la soccombenza, e sono liquidate come da dispositivo, con onere a carico del solo Comune di Marcianise, visto che alle stesse ha dato causa.
Nulla va disposto per le spese nei confronti delle altre parti pubbliche non costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava), definitivamente pronunciando sui ricorsi di cui in epigrafe, dei quali dispone la riunione, proposti da Orlando Elpidio, li accoglie, e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.
Condanna il Comune di Marcianise alla rifusione in favore del ricorrente delle spese di giudizio, che liquida in complessivi euro 4.000,00 oltre accessori di legge e rimborso di quanto versato a titolo di contributo unificato, da distrarre in favore del difensore dichiaratosi antistatario.
Nulla per le spese nei confronti delle parti non costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Italo Caso, Presidente
Michelangelo Maria Liguori, Consigliere, Estensore
Rosalba Giansante, Consigliere
L’ESTENSORE
Michelangelo Maria Liguori
IL PRESIDENTE
Italo Caso
IL SEGRETARIO