* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Attività commerciale – Eliminazione e spostamenti di tramezzature – Modifica della distribuzione interna – Opere di manutenzione straordinaira – Fattispecie assoggettate al regime della comunicazione di inizio lavori – Ordine di demolizione – Illegittimità – Mutamento della destinazione d’uso – Decreto “Sblocca Italia” – Categorie previste – Mutamento urbanisticamente rilevante – Individuazione.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Campania
Città: Salerno
Data di pubblicazione: 2 Gennaio 2019
Numero: 1
Data di udienza: 5 Dicembre 2018
Presidente: Severini
Estensore: Severini
Premassima
* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Attività commerciale – Eliminazione e spostamenti di tramezzature – Modifica della distribuzione interna – Opere di manutenzione straordinaira – Fattispecie assoggettate al regime della comunicazione di inizio lavori – Ordine di demolizione – Illegittimità – Mutamento della destinazione d’uso – Decreto “Sblocca Italia” – Categorie previste – Mutamento urbanisticamente rilevante – Individuazione.
Massima
TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. 1^ – 2 gennaio 2019, n. 1
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Attività commerciale – Eliminazione e spostamenti di tramezzature – Modifica della distribuzione interna – Opere di manutenzione straordinaira – Fattispecie assoggettate al regime della comunicazione di inizio lavori – Ordine di demolizione – Illegittimità.
È illegittimo l’ordine di demolizione di opere edilizie e di ripristino dello stato dei luoghi nel caso di interventi ascrivibili alle fattispecie assoggettate al regime della comunicazione di inizio lavori (c. i. l.) di cui all’art. 6, comma 2, nonché 6 bis (c. i. l. a.) d. P. R. n. 380/2001, quando si sostanziano nell’eliminazione e spostamenti di tramezzature, con conseguente diversa distribuzione interna dell’attività commerciale senza interessamento delle parti strutturali dell’edificio, trattandosi sostanzialmente di operazioni di manutenzione straordinaria (T. A. R. Campania – Salerno, Sez. II, 6/07/2018, n. 1042; T. A. R. Campania – Napoli, Sez. II, 22/08/2017, n. 4098).
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Mutamento della destinazione d’uso – Decreto “Sblocca Italia” – Categorie previste – Mutamento urbanisticamente rilevante – Individuazione.
Con il decreto Sblocca — Italia n. 133 del 12 settembre 2014, è stato introdotto al d. P. R. n. 380 del 2001 il nuovo l’art. 23 ter, che prevede solamente quattro categorie di destinazione urbanistica: a) residenziale e turistico — ricettiva; 2) produttiva e direzionale; 3) commerciale e 4) rurale. Il nuovo art. 23 ter stabilisce, inoltre, che è sempre consentito il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale, salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali” (T. A. R. Lazio – Roma, Sez. II, 4/04/2016, n. 4044); il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante è pertanto quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico e che influisce, di conseguenza, sul c.d. carico urbanistico poiché la semplificazione delle attività edilizie voluta dal legislatore non si è spinta al punto di rendere tra loro omogenee tutte le categorie funzionali, le quali rimangono non assimilabili, a conferma della scelta già operata con il d. m. n. 1444 del 1968 (T. A. R. Campania – Napoli, Sez. VII, 6/11/2017, n. 5152).
Pres. ed Est. Severini – S. s.r.l. e altri (avv. Fortunato) c. Comune di Battipaglia (avv. Lullo)
Allegato
Titolo Completo
TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. 1^ - 2 gennaio 2019, n. 1SENTENZA
TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. 1^ – 2 gennaio 2019, n. 1
Pubblicato il 02/01/2019
N. 00001/2019 REG.PROV.COLL.
N. 01088/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso, numero di registro generale 1088 del 2017, proposto da:
Sorvillo Rosario & Figli s. r. l., San Mattia di Sorvillo Cosimo & C. s. a. s., Carrozzeria Leo s. n. c. di Arturo Leo, Associazione Culturale “Guardwara Sangat Sabah”, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avv. Marcello Fortunato, con domicilio eletto, in Salerno, alla via SS. Martiri Salernitani, 31;
contro
Comune di Battipaglia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Giuseppe Lullo, con domicilio eletto, in Salerno, Largo San Tommaso d’Aquino, 3, presso la Segreteria del T. A. R. Salerno;
per l’annullamento
– A) del provvedimento, prot. n. 34161 del 15.05.2017, successivamente notificato, con il quale il Dirigente del Settore Urbanistica ed Edilizia ha ingiunto, ai ricorrenti, la demolizione di alcune opere, realizzate nell’ambito di un opificio, sito alla via Inghilterra del Comune di Battipaglia ed il ripristino dello stato dei luoghi, ai sensi dell’art. 31 del d. P. R. n. 380/2001;
– B) ove e per quanto occorra, delle relazioni dei sopralluoghi, eseguiti dal personale tecnico del predetto Settore – prot. nn. 68232/2015, 37184/2016 e 72063/2016, richiamate nel provvedimento sub A);
– C) ove e per quanto occorra, della nota, prot. 93549 del 16.12.2016, di comunicazione dell’avvio del procedimento;
– D) ove e per quanto occorra, della nota, prot. n. 10221 del 9.02.2017, di medesimo contenuto della nota sub C);
– E) ove e per quanto occorra, della nota, prot. n. 26789 del 10.04.2017;
– F) di tutti gli atti presupposti, collegati, connessi e consequenziali;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Battipaglia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2018, il dott. Paolo Severini;
Uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue;
FATTO
La società “Sorvillo Rosario & Figli s. r. l.”, proprietaria di un’area della superficie di mq 3.880, sita alla via Inghilterra del Comune di Battipaglia, distinta in catasto al foglio 7, p.lla 1489, sub 1 e sub 2, ricadente in “Zona D – industriale” del vigente Piano Regolatore Territoriale Consortile (P. R. T. C.), nel cui ambito era stato realizzato un opificio produttivo, composto da diversi corpi di fabbrica, ossia da un capannone lavorazione, palazzina uffici, servizi sociali ed alloggio custode, in conformità alla concessione edilizia, prot. n. 7736 del 25.02.1983, rilasciata previo nulla osta del Consorzio A. S. I. di Salerno (giusta delibera del Comitato Direttivo, n. 12 del 7.01.1983), titolo abilitativo cui avevano fatto seguito, per quanto concerneva la palazzina uffici: – il rilascio di concessione edilizia in sanatoria, prot. n. 20456 del 2.06.1995, per la regolarizzazione di alcune opere, realizzate senza titolo edilizio; – il deposito di apposita D. I. A. – prot. n. 13870 del 15.06.1995 – per l’esecuzione di opere interne, ai sensi dell’art. 8 – comma 7 – del D. L. n. 193/1995; premesso che: – a) l’opificio produttivo risultava suddiviso in due porzioni, delle quali: – una, adibita ad officina meccanica, era in locazione alla società “San Mattia di Cosimo Sorvillo & C. s. a. s.” e, a sua volta, sublocata alla società “Carrozzeria Leo s. n. c”; – l’altra, adibita a luogo di culto, sublocata all’Associazione culturale e religiosa “Guardwara Sangat Sabah”; – b) la palazzina uffici, invece, risultava, da decenni, destinata ad attività sanitaria; in particolare, in data 28.03.1995, la società “Sorvillo” aveva concesso, in locazione, l’intera palazzina uffici alla società “Rental Center s. r. l.”, che l’aveva destinata a centro per emodialisi (attività regolarmente autorizzata, in virtù di: – a) decreto sindacale n. 17239/1995; – b) d. i. a. attività del 19.02.2008 e successiva integrazione del 3.07.2008; – c) da ultimo, autorizzazione prot. n. 10135 del 10.02.2009), senza l’esecuzione di alcuna opera, risultando l’immobile conforme a quello, assentito dai titoli edilizi succitati, ultimo dei quali la d. i. a. del 15.06.1995; che detto immobile era stato oggetto di un provvedimento sanzionatorio, adottato dal Comune di Battipaglia sul presupposto della presunta natura abusiva della predetta destinazione d’uso (ordinanza di demolizione n. 266/1997, annullata dal Tribunale con sentenza n. 986/2007, divenuta cosa giudicata, sul presupposto che l’immobile fosse conforme ai titoli edilizi rilasciati e che l’intervenuta modifica funzionale senza opere fosse non solo conforme, ma irrilevante); senonché, i ricorrenti lamentavano che “nonostante tali univoche premesse”, all’esito di appositi sopralluoghi, la P. A. aveva adottato una nuova ordinanza di demolizione: – a) contestando la realizzazione di opere senza titolo, nell’ambito dell’opificio produttivo; – b) rinnovando la medesima sanzione demolitoria, già annullata dal T. A. R., per la struttura sanitaria insediata, da decenni, nell’ex palazzina uffici, per di più ricorrendo alla più grave sanzione, di cui all’art. 31 del d. P. R. n. 380/2001; tanto premesso e considerato, i ricorrenti articolavano, avverso detta ordinanza, le seguenti censure:
A) SULLA PRESUNTA ABUSIVITÀ DELLE OPERE REALIZZATE NELL’AMBITO DELL’IMMOBILE PRINCIPALE (CAPANNONE)
I – VIOLAZIONE DI LEGGE (ARTT. 6, 10, 27 e 31 DEL D.P.R. N. 380/2001) – ECCESSO DI POTERE (DIFETTO ASSOLUTO DEL PRESUPPOSTO – DI ISTRUTTORIA – ERRONEITÀ MANIFESTA – TRAVISAMENTO): la P. A., dopo aver riportato la descrizione di una serie di opere realizzate sia all’interno, sia all’esterno del corpo di fabbrica principale (capannone), aveva ritenuto che “le opere edilizie (…) sono state realizzate in assenza di titoli edilizi”; in particolare sarebbero state abusive: – a) relativamente alla porzione di capannone, adibita ad officina meccanica: – a.1) “una struttura bipiano in blocchi di laterizio, autoportanti per il piano terra ed in gas beton per il primo piano”, realizzata all’interno del capannone e destinata ad uffici e deposito, collegati tramite una scala in ferro; – a.2) “due containers in materiale metallico”, installati all’esterno; – b) relativamente all’altra porzione di capannone, adibita a luogo di culto: – b.1) “locali tra cui cucina, due depositi, una camera e servizi igienici”, ricavati all’interno; – b.2) due tettoie di cui una “con struttura in ferro, costituita da elementi tubolari (pilastri e travi) (…) coperta di lastre in lamiera, delimitata per un lato dallo stesso capannone e per i restanti tre lati da un muretto in blocchi (…) che inviluppa la struttura in ferro”, installata all’esterno del capannone e “una (…) sempre costituita da elementi tubolari in ferro, delimitata su un lato dallo stesso capannone e per gli altri due con pannelli di materiale plastico, così come per la copertura”, sul lato d’ingresso al capannone; ebbene, i ricorrenti opinavano come, dalla predetta descrizione, emergesse trattarsi – per lo più – di mere modifiche interne, laddove le opere esterne avevano natura pertinenziale e non comportavano alcun incremento volumetrico (tettoie), mentre sagoma e volume erano del tutto conformi quelle, assentite con la concessione edilizia n. 7736 del 25.02.1983; seguiva il dettaglio delle censure, concernenti i singoli interventi contestati:
A.1) SULLA STRUTTURA BIPIANO IN BLOCCHI DI LATERIZIO E GAS BETON REALIZZATA ALL’INTERNO DELLA PORZIONE DI CAPANNONE ADIBITA AD OFFICINA MECCANICA: si trattava d’opera che aveva comportato una mera modifica dello spazio interno, senza alcuna rilevanza urbanistica e/o edilizia rispetto a quanto assentito, essendo opere funzionali all’attività d’officina meccanica, esercitata in tale porzione del capannone, al fine d’allocarvi un ufficio e un deposito; sicché essa non era riconducibile al regime del permesso di costruire, con conseguente inapplicabilità dell’intero regime sanzionatorio, ex art. 31 d. P. R. 380/2001, ricorrendo, piuttosto, i presupposti di cui all’art. 6, comma 2, lett. e-bis) del detto decreto, trattandosi di “modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio d’impresa sempre che non riguardino le parti strutturali (…)”, per le quali non era richiesto alcun titolo edilizio, risultando sufficiente una mera comunicazione;
A.2) SULL’INSTALLAZIONE DI DUE CONTAINERS IN MATERIALE METALLICO: si trattava di due containers, installati all’esterno del capannone “sull’area pertinenziale e a servizio (…)”, funzionali all’attività d’officina meccanica, la cui natura precaria ed amovibile consentiva, del pari, d’escludere l’applicazione dell’invocato regime sanzionatorio, rientrando i contestati container, di modeste dimensioni, tra gli interventi d’edilizia libera, ex art. 3 – comma 1 – lett. e.6 del d. P. R. 380/2001 (in quanto inferiori al 20% dell’immobile principale), ovvero ex art. 6 – comma 1 – lett. e-bis del medesimo d. P. R., attesa la loro natura precaria; in ogni caso, a tutto concedere, essi erano riconducibili alla disciplina residuale, di cui al successivo art. 6 bis, restando esclusa l’applicabilità del regime sanzionatorio, ex art. 31 d. P. R. 380/2001;
B.1) SUI LOCALI REALIZZATI ALL’INTERNO DELLA PORZIONE DI CAPANNONE DESTINATA A LUOGO DI CULTO: anche tali opere risultavano “assolutamente non incidenti sulla volumetria e sulla superficie del capannone, in quanto realizzate all’interno mediante la mera distribuzione degli spazi disponibili”; per l’effetto, esse rientravano nell’ambito degli interventi di “edilizia libera”, ex art. 6 ovvero, al più, nella previsione dell’art. 6 bis del citato d. P. R.; in entrambi i casi, era esclusa la necessità del permesso di costruire (era citata giurisprudenza a sostegno); sicché, esclusa la riconducibilità al regime del p. di c., era altresì esclusa l’applicabilità del regime sanzionatorio corrispondente, essendo possibile, al più, l’irrogazione di una sanzione pecuniaria;
B.2) SULLE TETTOIE REALIZZATE ALL’ESTERNO DEL CAPANNONE: si trattava di “manufatti minimi”, funzionali e pertinenziali all’immobile principale, costituenti: – a) interventi del tutto irrilevanti a fini volumetrici e/o della superficie e, quindi, del carico urbanistico; per l’effetto, non assoggettate al regime del permesso di costruire; – b) riconducibili al genus degli interventi pertinenziali “minimi”, ex art. 3 lett. e.6 d. P. R. 380/2001 (in particolare, il riferimento andava all’art. 10 – comma 1, ove sono elencati gli interventi subordinati al permesso di costruire e, tra questi, “a – gli interventi di nuova costruzione”: ebbene, ai fini dell’individuazione dell’esatta portata delle singole categorie edilizie, lo stesso testo unico, all’art. 3, aveva definito, in dettaglio, ciascun intervento, e per quanto concerne gli “interventi di nuova costruzione”, il riferimento andava alla lett. e) del predetto art. 3, in virtù del quale, con specifico riferimento alle opere di natura pertinenziale, sono da considerarsi interventi di nuova costruzione: “e6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici (…) qualifichino come interventi di nuova costruzione ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale”, con l’ovvia conseguenza, a contrario, che gli interventi di natura pertinenziale che non superano il 20% della volumetria dell’immobile principale non sono riconducibili agli interventi di nuova costruzione e, quindi, non sono assoggettati al regime del permesso di costruire, ex art. 10 – comma 1 – d. P. R. 380/2001); tali presupposti ricorrevano nella specie, posto che “le richiamate tettoie non comportano alcun incremento volumetrico e sono oggettivamente preordinate al soddisfacimento di un’esigenza dell’edificio principale”, come la giurisprudenza aveva ritenuto, in casi analoghi; con conseguente “erroneità del ricorso al più grave regime sanzionatorio ex art. 31 d. P. R. 380/2001”;
B) SULLA PRESUNTA NON CONFORMITÀ DELLA ATTUALE DESTINAZIONE D’USO DELLA PALAZZINA UFFICI RISPETTO A QUELLA PREVISTA DAI RILASCIATI TITOLI ABILITATIVI.
II) VIOLAZIONE DI LEGGE (VIOLAZIONE DEL GIUDICATO – ART. 21 SEPTIES IN RELAZIONE AGLI ARTT. 23 TER E 31 DEL D.P.R. N. 380/2001 NONCHE’ IN RELAZIONE AL PUNTO 3.3 DELL’ALLEGATO 1 DEL P.R.T.C.) – ECCESSO DI POTERE (DIFETTO ASSOLUTO DEL PRESUPPOSTO – D’ISTRUTTORIA – ERRONEITÀ): secondo la P. A. l’attuale destinazione d’uso della palazzina – uffici non sarebbe stata conforme a quella, assentita con la concessione edilizia n. 7736 del 25.02.1983, rilasciata ai sensi della l. 47/1985; ma la questione era stata già decisa da questo Tribunale, giudicando dell’ordinanza di demolizione n. 266/1997, con sentenza n. 896/2007, la quale, dopo aver richiamato i titoli conseguiti e rilevata l’effettiva portata di detta attività, aveva dato atto della conformità di detto insediamento, posto che “struttura sanitaria senza la realizzazione di ulteriori opere non può comportare la modifica della destinazione d’uso dell’immobile e quindi risulta illegittimo l’impugnato provvedimento, fondato su tale erroneo presupposto”; era, quindi, illegittima, in parte qua, l’avversata ordinanza di demolizione: – a) per la manifesta violazione del giudicato, di cui alla suddetta pronuncia, ovvero per violazione dell’art. 21 septies della l. n. 241/1990; – b) in ogni caso, per difetto assoluto del presupposto, non sussistendo alcun abuso sanzionabile, come già riconosciuto dal T. A. R.;
III) VIOLAZIONE DI LEGGE (ARTT. 23 TER E 31 D.P.R. N. 380/2001 IN RELAZIONE AL PUNTO 3.3 DELL’ALLEGATO 1 DEL P.R.T.C.) – ECCESSO DI POTERE (DIFETTO ASSOLUTO DEL PRESUPPOSTO – D’ISTRUTTORIA – ERRONEITÀ): ferma la natura assorbente dei precedenti rilievi, i ricorrenti opinavano come, in ogni caso, non fosse richiesto alcun titolo abilitativo, trattandosi “di mero mutamento d’uso funzionale”, che non aveva comportato l’esecuzione d’alcuna opera, incidente sulla struttura edilizia esistente; sicché: – a) la destinazione a centro emodialitico non poteva farsi rientrare tra le ipotesi di trasformazione edilizio – urbanistiche; – b) per l’effetto, era consentita, senza il rilascio di alcun titolo abilitativo presupposto; e non poteva, quindi, trovare applicazione il regime sanzionatorio, ex art. 31 d. P. R. 380/2001;
IV) VIOLAZIONE DI LEGGE (ARTT. 23 TER e 31 DEL D.P.R. N. 380/2001 IN RELAZIONE AL PUNTO 3.3 DEL P.R.T.C.) – ECCESSO DI POTERE (DIFETTO ASSOLUTO DEL PRESUPPOSTO – D’ISTRUTTORIA – ERRONEITÀ MANIFESTA – TRAVISAMENTO): inoltre, quanto sopra trovava conferma anche nella disciplina di zona applicabile (P. R. T. C. del Comune di Battipaglia), che comprendeva l’immobile in zona D1, e ai sensi del punto 3.3 – Allegato 1 – di detto Piano sono consentiti “gli interventi per gli impianti produttivi esistenti di piccola e media dimensione (fino a 150 addetti) che dovessero riconvertire le loro strutture produttive per destinarle al settore artigianale, commerciale o terziario”, con ricorrenza, nella specie, di tutte le predette condizioni, atteso che la struttura contava meno di 150 addetti, l’erogazione di un servizio sanitario, come un centro d’emodialisi, rientrava nell’ambito del settore terziario e, quindi, del produttivo, come definito dall’art. 1 – comma 1 – lett. j) d. P. R. 160/2010, ed erano rispettati tutti i parametri edilizi di zona, non essendoci alcun incremento di superficie e/o di volume; d’altro canto, osservavano ancora i ricorrenti, l’attività sanitaria svolta era sicuramente compatibile con la destinazione di zona, come la giurisprudenza aveva ritenuto, in casi simili;
V) VIOLAZIONE DI LEGGE (ARTT. 23 TER e 31 DEL D.P.R. N. 380/2001 IN RELAZIONE AL PUNTO 3.3 DEL P.R.T.C. – ECCESSO DI POTERE (DIFETTO ASSOLUTO DEL PRESUPPOSTO – D’ISTRUTTORIA – ERRONEITÀ MANIFESTA – TRAVISAMENTO): in ogni caso, anche a voler ritenere sussistente – contrariamente al vero – un cambio di destinazione d’uso, si trattava, comunque, di mutamento non rilevante, posto che, ai sensi dell’art. 23 ter d. P. R. 380/2001, come introdotto dal D. L. 133/2014, convertito in l. 164/2014, deve considerarsi “urbanisticamente rilevante” solo quel mutamento di destinazione d’uso, “tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale; a-bis) turistico – ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale”: il cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante, cioè, era solo quello che comportava il passaggio tra l’una e l’altra delle cinque categorie, funzionalmente autonome, indicate dalla citata disposizione, indipendentemente dalla realizzazione o meno di opere; e, nella specie, la destinazione a centro di emodialisi – stante l’assimilazione ad attività industriale – non comportava alcun passaggio tra due categorie diverse tra loro (era citata giurisprudenza a sostegno); quanto sopra, del resto, trovava conferma nella successiva previsione, di cui all’art 23 ter cpv. citato, secondo la quale la destinazione d’uso di un edificio è quella prevalente, in termini di superficie utile; e la destinazione d’uso prevalente, nella specie, era “certamente quella produttiva”; sicché “il cambio di destinazione d’uso contestato, pertanto, non modifica il parametro urbanistico di riferimento e, quindi, rientra tra le modifiche non rilevanti, libere per espressa previsione normativa”; ne derivava, ad avviso dei ricorrenti, “l’inapplicabilità nella specie dell’intero regime sanzionatorio di cui al d. P. R. 380/2001”;
C) SUGLI ULTERIORI VIZI DELL’ORDINANZA DI DEMOLIZIONE.
VI) VIOLAZIONE DI LEGGE (ART. 31 D.P.R. 380/2001 E 3 L. N. 241/1990 – ART. 97 COST.) – ECCESSO DI POTERE (DIFETTO ASSOLUTO DEL PRESUPPOSTO – DI MOTIVAZIONE – ARBITRARIETÀ – SVIAMENTO): ai fini dell’irrogazione della sanzione della demolizione, poi, non era sufficiente l’esistenza di un mero interesse al ripristino della legalità violata, occorrendo che fosse data dimostrazione dell’esistenza di ragioni di pubblico interesse, concrete ed attuali, prevalenti sull’interesse del privato al mantenimento delle opere realizzate; soprattutto allorquando, come nella specie, “trattasi di interventi minori”;
VII) VIOLAZIONE DI LEGGE (ARTT. 31 E 32 D.P.R. N. 380/2001 IN RELAZIONE AGLI ARTT 22 E SS. STESSO D.P.R.) – ECCESSO DI POTERE (DIFETTO ASSOLUTO DEL PRESUPPOSTO – D’ISTRUTTORIA – ERRONEITÀ – SVIAMENTO): tutte le opere contestate, osservavano i ricorrenti, non comportavano alcun incremento di superficie e/o di volume, trattandosi, pertanto, “di opere non riconducibili al permesso di costruire per le quali è esclusa l’applicabilità dell’intero regime sanzionatorio di cui all’art. 31 del d. P. R. 380/2001”, quanto piuttosto di opere “libere, ai sensi dell’art. 6 del d. P. R. 380/2001, ovvero riconducibili – al più – al diverso regime sanzionatorio – meramente pecuniario – di cui al successivo art. 37, tipicamente previsto per gli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla s. c. i. a. e/o d. i. a.” (era citata giurisprudenza a sostegno);
VIII) VIOLAZIONE DI LEGGE (ARTT. 6, 22 E SS. D.P.R. N. 380/2001 – ART. 3 L. N. 241/1990) – ECCESSO DI POTERE (DIFETTO ASSOLUTO DEL PRESUPPOSTO – D’ISTRUTTORIA – TRAVISAMENTO – SVIAMENTO): il Comune di Battipaglia, con il provvedimento impugnato, aveva ritenuto d’applicare la sanzione demolitoria, ex art. 31 d. P. R. 380/2001; ma ciò, senza alcuna ulteriore indicazione, in ordine alle ragioni che l’avevano indotto all’irrogazione di tale – più grave – sanzione, con violazione dell’obbligo generale di motivazione; in sostanza, il provvedimento impugnato non conteneva “alcuna qualificazione giuridica delle opere contestate, tanto meno “di ciascun intervento” oggetto dell’avversata sanatoria, con la conseguente illegittimità per difetto assoluto di motivazione (art. 3 l. n. 241/1990)”.
Il Comune di Battipaglia si costituiva in giudizio, facendo presente che l’immobile oggetto del provvedimento impugnato faceva parte di un complesso edilizio, ov’erano allocate anche altre attività, nel quale erano stati accertati diversi abusi edilizi, immobile ricompreso nella zona “D” del P. R. G. dell’A. S. I. (Area Sviluppo Industriale) con destinazione D/1 Industriale; l’edificazione del complesso edilizio era stata autorizzata, con concessione edilizia n. 7763/2455 del 25.02.1983, dietro rilascio nel n. o. del Consorzio A. S. I., n. 12 del 7.01.1983; con tali provvedimenti, era stata assentita la realizzazione di un opificio industriale, per la produzione di mobili ed elementi di arredamento; l’intero complesso era composto da tre corpi di fabbrica: a) corpo servizi, con superficie pari a 135,00 mq., e volumetria pari a 607,50 mc; b) capannone adibito alla produzione, con superficie coperta pari a 837,00 mq e volumetria pari a 4.185,00 mc; c) palazzina uffici, con superficie coperta pari a 128,00 mq. e volumetria pari a 957,00 mc.; all’originario titolo edilizio aveva fatto seguito la concessione edilizia, n. 20456/86 del 2.06.1995 per la sanatoria delle difformità, riguardanti la sola palazzina uffici, realizzata nella zona sud del lotto; per tale manufatto, era stato rilasciato certificato d’abitabilità, n. 3835 del 24.07.1995; e la zona, anche dopo il recesso del Comune dal Consorzio A. S. I., era urbanisticamente disciplinata dalle norme dettate dal Piano A. S. I.; nel corso di un sopralluogo edilizio, eseguito da personale tecnico del Comune, erano stati accertati diversi abusi edilizi, come risultava dal verbale d’accertamento che integralmente si riportava: “Il corpo servizi non è stato realizzato. Il corpo di fabbrica da adibire interamente a produzione -capannone-, con dimensioni di progetto pari 48,50 x 17,25 m., ed altezza sottotrave pari a 5,00 m., è stato realizzato con dimensioni esterne pari a 56,00 x 15,90 m. ed altezza sottotrave pari a 6,00 m. Al momento del sopralluogo risultava suddiviso in due porzioni, una adibita ad officina meccanica per riparazione di autoveicoli, l’altra a luogo di culto. Entrambe funzionalmente autonome, dotate di ingresso indipendente ed area esterna pertinenziale ad uso esclusivo. Più dettagliatamente, la porzione di capannone ubicata a nord, avente dimensioni esterne pari a 28,90 x 15,90 m., è stata adibita ad officina meccanica per riparazione di autoveicoli, all’interno della quale; su una porzione di superficie pari a circa 17,50 mq. (3,50 x 5,00 m.) è stata realizzata una struttura, bipiano, in blocchi di laterizio, autoportanti per il piano terra ed in gas beton per il primo piano. All’interno di tale struttura, sono stati ricavati al piano terra degli ambienti destinati ad ufficio, bagno ed antibagno; al primo piano, al quale si accede attraverso una scala in ferro, l’intera superficie è stata adibita a deposito. All’esterno, sull’area pertinenziale ed a servizio di tale attività, sono stati installati due container in materiale metallico, aventi dimensioni in pianta pari a 5,00 x 2,60 m. con altezza alla gronda pari a 2,00 m. L’altra porzione di capannone è stata adibita a luogo di culto, ove viene professata la religione sikh. Le dimensioni esterne di tale porzione sono pari a 26,70 x 15,90 m.; all’interno, su una superficie pari a circa 110,00 mq. (15,40 x 7,10 m.) sono stati ricavati dei locali tra cui una cucina, due depositi, una camera ed i servizi igienici, distinti per sesso. All’esterno, sul lato est, è stata installata una tettoia con struttura in ferro, costituita da elementi tubolari (pilastri e travi) posti ad interasse pari a circa 4,00 m., coperta con lastre in lamiera, delimitata per un lato dallo stesso capannone e, per i restanti tre lati, da un muretto in blocchi avente altezza pari a circa 1,00 m., che inviluppa la struttura in ferro. Lo sviluppo superficiale di tale struttura è pari a circa 150,00 mq. (26,70 x 5,60 m.), con altezza minima pari a 3,15 m., mentre quella massima è pari a 3,50 m. Sul lato nord, in adiacenza alla porta d’ingresso al capannone, è stata installata un’altra tettoia sempre costituita da elementi tubolari in ferro, delimitata su un lato dallo stesso capannone e per altri due con pannelli di materiale plastico, così come per la copertura. Lo sviluppo superficiale di tale struttura è pari a circa 23,00 mq. (5,40 x 4,20 m.) con altezza minima pari a 2,50 m., mentre quella massima è pari a 3,00 m. Le opere edilizie innanzi descritte sono state realizzate in assenza di titoli edilizi. Per quanto concerne la palazzina uffici, è stata concessa sanatoria edilizia, n. 20456/86 del 2.06.1995, relativamente a difformità dalla C. E. n. 7763/2455 del 25.02.1983, riguardanti superfici in eccedenza e modalità esecutive diverse e, previo rilascio nel n. o. del Consorzio A. S. I. n. 139 del 05.05.1995. L’attuale destinazione d’uso non è conforme a quanto assentito per il corpo di fabbrica oggetto d’accertamento, ovvero la “palazzina uffici”, prevista nella concessione edilizia n. 7763/2455 del 25.02.1983, (…) è stata abusivamente adibita ad attività sanitaria, incompatibile con la destinazione urbanistica D/1”.
La difesa del Comune concludeva, dunque, per il rigetto del ricorso.
All’esito dell’udienza in camera di consiglio del 13.09.2017, la Sezione accoglieva la domanda cautelare, articolata in ricorso, con la seguente motivazione:
“Rilevato che all’irreparabile pregiudizio, paventato in ricorso, può ovviarsi, in sede cautelare, sospendendo gli effetti dell’ordinanza di demolizione gravata, onde pervenire alla definizione del merito, re adhuc integra;
Rilevato che la natura della controversia consente di compensare, tra le parti, le spese di fase;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), accoglie la domanda cautelare, e per l’effetto:
– A) sospende l’efficacia del provvedimento impugnato;
– B) fissa, per la trattazione di merito del ricorso, l’udienza pubblica del 5.12.2018;
– C) compensa le spese della presente fase cautelare”.
Seguiva, nell’imminenza della discussione, il deposito di memoria riepilogativa per i ricorrenti, e di scritto difensivo, per il Comune, che ulteriormente argomentava circa la legittimità del provvedimento gravato, nel modo che segue: “Va ribadito che l’immobile oggetto del provvedimento impugnato, assentito nel 1983 per la produzione di mobili di altri componenti di arredo, è ricompreso nella zona “D” del P. R. G. dell’A. S. I. (Area sviluppo industriale) con destinazione D/1 Industriale; (esso) fa parte di un complesso edilizio, ove sono allocate le attività, sul quale sono stati accertati diversi abusi edilizi, viene utilizzato per scopi diversi da quelli assentiti. Pur essendo la conformazione plano volumetrica della palazzina uffici conforme a quella riportata nei grafici allegati alla concessione edilizia in sanatoria, n. 20456/86 rilasciata in data 2/06/1995, la destinazione d’uso non è conforme alla concessione edilizia 7763/2455 del 25/02/1983, rilasciata per la produzione di mobili ed altri componenti di arredo. Le ricorrenti, oltre ad altri abusi edilizi elencati nel provvedimento impugnato e riportati nella memoria di costituzione, hanno attuato il cambio destinazione d’uso, tra l’altro, senza aver mai conseguito il previo nulla osta del Consorzio A. S. I. Sul punto, giova ricordare che il Consiglio di Stato con sentenza n. 4633/2017 ha sancito, tra l’altro, che nell’area industriale di Battipaglia il Consorzio A. S. I. di Salerno mantiene i poteri di valutazione e controllo previsti dall’art. 12 della l. r. n. 19/2013. Ha stabilito inoltre: “Sulla scorta del rinvio effettuato dal P. T. C. P. vigente al P. R. T. C. sono tuttora efficaci le destinazioni di zona impresse al piano A. S. I. e vale del pari l’art. 6 delle relative norme di attuazione generali, a detta del quale tutti gli interventi edilizi e le opere di impianto e realizzazioni di stabilimenti industriali e di costruzioni annesse compreso le recinzioni e sistemazioni del lotto da realizzarsi nell’ambito dell’agglomerato devono essere preventivamente approvate dal Comitato direttivo del Consorzio dell’Area di Sviluppo Industriale o da un apposito organismo da questo espresso”. È pacifico quindi che gli interventi realizzati dai ricorrenti richiedevano il preliminare nulla osta del Consorzio dell’Area di Sviluppo Industriale, non rilasciabile, stante la macroscopica incompatibilità urbanistica delle attività esercitate, non compatibili con la zona D/1, dopodiché il rilascio del permesso di costruire”.
A tali argomentazioni replicavano i ricorrenti, con ulteriore memoria, in cui ribadivano ed ampliavano quanto riportato, sul punto, sia nel ricorso, sia nel loro precedente scritto difensivo.
Alla pubblica udienza del 5.12.2018, il ricorso era trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il gravame è fondato in parte, nei sensi e limiti, di seguito specificati.
Ripercorrendo le censure, espresse in ricorso, sub I), avverso la contestata ordinanza di demolizione, e sopra dettagliatamente riferite, osserva il Collegio come sia, in parte, condivisibile la ricostruzione, in esse proposta, del regime edilizio delle opere abusive riscontrare, sanzionate con la più grave misura demolitoria, ex art. 31 d. P. R. 380/2001.
In particolare, s’osserva: a) relativamente alla porzione di capannone, adibita ad officina meccanica, e segnatamente alla: a.1) “struttura bipiano in blocchi di laterizio, autoportanti per il piano terra ed in gas beton per il primo piano”, realizzata all’interno del capannone e destinata ad uffici e deposito, collegati tramite una scala in ferro, va condivisa la riconduzione, della stessa, alla previsione di cui all’art. 6, comma 2, lett. e-bis) del d. P. R. 380/2001, trattandosi di “modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio d’impresa sempre che non riguardino le parti strutturali (…)”, per le quali non era richiesto alcun titolo edilizio, risultando sufficiente una mera comunicazione.
In giurisprudenza, cfr. la massima seguente: “Previa comunicazione possono essere eseguiti, senza alcun titolo, sia gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all’art. 3, comma 1, lett. b), d. P. R. 6 giugno 2001 n. 380, ivi compresa l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell’edificio, sia le modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio d’impresa, sempre che non riguardino le parti strutturali, ovvero le modifiche della destinazione d’uso dei locali adibiti ad esercizio d’impresa” (T. A. R. Abruzzo – Pescara, Sez. I, 20/02/2017, n. 71).
Si tenga presente, altresì, la recente massima della Sezione: “È illegittimo l’ordine di demolizione di opere edilizie e di ripristino dello stato dei luoghi nel caso di interventi ascrivibili alle fattispecie assoggettate al regime della comunicazione di inizio lavori (c. i. l.) di cui all’art. 6, comma 2, nonché 6 bis (c. i. l. a.) d. P. R. n. 380/2001, quando si sostanziano nella diversa distribuzione interna dell’attività commerciale senza interessamento delle parti strutturali dell’edificio, trattandosi sostanzialmente di operazioni di manutenzione straordinaria” (T. A. R. Campania – Salerno, Sez. II, 6/07/2018, n. 1042).
Sempre relativamente alla porzione di capannone, adibita ad officina meccanica, quanto ai: a.2) “due containers in materiale metallico”, “di modeste dimensioni”, installati all’esterno, non può, invece, accogliersi la prospettazione dei ricorrenti, tendente a qualificarli tra gli interventi d’edilizia libera, ex art. 3 – comma 1 – lett. e.6 del d. P. R. 380/2001 (in quanto di volume inferiore al 20% dell’immobile principale), ovvero ex art. 6 – comma 1 – lett. e-bis del medesimo d. P. R., attesa la loro natura precaria; ovvero ancora, a tutto concedere, tendente a riportarli alla disciplina residuale, di cui al successivo art. 6 bis, laddove resterebbe esclusa (la necessità del permesso di costruire, e quindi) l’applicabilità del regime sanzionatorio, ex art. 31 d. P. R. 380/2001.
In contrario, vale osservare, con la giurisprudenza, che: “La realizzazione di un "box-container", stabilmente appoggiato al terreno, pur nella precarietà dei materiali e se destinato a svolgere funzione pertinenziale, costituisce permanente alterazione del terreno ai fini urbanistico-edilizi e richiede, pertanto, il rilascio del previo titolo edilizio” (T. A. R. Toscana, Sez. III, 28/02/2012, n. 391); “I manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze stabili nel tempo, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la potenziale rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie. Ciò, in quanto il manufatto non precario non risulta in concreto deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma viene destinato ad un utilizzo protratto nel tempo. Infatti, la “precarietà” dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e.5), d. P. R. n. 380 del 2001, postula un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze permanenti nel tempo” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 4/09/2015, n. 4116); “La realizzazione di un container in rapporto di stabile connessione con il suolo ed utilizzato per soddisfare esigenze non temporanee dei detentori è soggetto a permesso di costruire” (T. A. R. Umbria, Sez. I, 29/01/2014, n. 66).
Tampoco può ritenersi che l’assimilazione, operata in ricorso, di tali containers a pertinenze della parte dell’edificio, adibita ad officina meccanica, possa implicare, sic et simpliciter, mercé l’applicazione dell’art. 3, comma 1, lett. e.6) del d. P. R. 380/2001 (secondo cui sono da ritenersi interventi di nuova costruzione gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come tali, ovvero che comportino la realizzazione di un volume, superiore al 20% del volume dell’edificio principale), la loro esclusione (a cagione del mero dato quantitativo, costituito dal non superamento del limite volumetrico del 20%) dal novero degli interventi di “nuova costruzione”, con conseguente non necessità di munirsi d’idoneo titolo abilitativo, nella forma del permesso di costruire.
La tesi, per quanto suggestiva, costituisce un’evidente petizione di principio, non tenendo conto né di quanto sopra osservato, circa la “permanente alterazione del terreno ai fini urbanistico – edilizi” indotta dalla stabile posa in opera di manufatti di tal genere sul terreno, né – del resto – dell’insegnamento, secondo cui: “Un box (o un container) stabilmente infisso al suolo e di non irrilevanti dimensioni non costituisce opera precaria in quanto, in materia edilizia, il requisito della precarietà, in presenza del quale è esclusa la necessità del rilascio di concessione, non dipende dalla più o meno facile rimovibilità delle parti che compongono il manufatto, ma dalla sua concreta destinazione a sopperire ad una necessità contingente ed essere, poi, prontamente rimosso” (T. A. R. Campania – Napoli, Sez. IV, 16/07/2002, n. 4141).
Ebbene, non pare davvero che, nella specie, possa parlarsi, a ragion veduta, di manufatti necessariamente pertinenziali, nonché precari: i medesimi erano infatti, nell’impugnata ordinanza, così descritti: “All’esterno, sull’area pertinenziale ed a servizio di tale attività, sono stati installati due containers in materiale metallico, aventi dimensioni in pianta pari a 5,00 x 2,60 m., con altezza alla gronda pari a 2,00 m.”; ebbene, nell’ordinanza il nesso di pertinenzialità è stato correttamente riferito al terreno, piuttosto che ai containers, ivi insistenti, essendo gli stessi evidentemente preordinati a soddisfare necessità non transeunti, bensì tendenzialmente stabili e prolungate, proprie dell’attività artigianale, ivi esercitata.
Inoltre – il dato è dirimente – i manufatti de quibus si presentano, ad avviso del Collegio, proprio per tali loro caratteristiche intrinseche, come potenzialmente autonomi, piuttosto che ineluttabilmente pertinenziali, rispetto allo stesso fabbricato, cui ineriscono.
Per ciò che concerne, poi, l’altra porzione di capannone, adibita a luogo di culto, relativamente ai: b.1) “locali tra cui cucina, due depositi, una camera e servizi igienici”, ricavati all’interno della stessa, senz’altro gli stessi possono farsi rientrare nell’ambito degli interventi di “edilizia libera”, ex art. 6 del citato d. P. R., restando pertanto esclusa la necessità del permesso di costruire, con conseguente accoglimento del ricorso, per tale parte.
In termini, si legga Consiglio di Stato, Sez. VI, 14/10/2016, n. 4267: “È illegittimo il provvedimento comunale con il quale è stata ingiunta la demolizione di alcune opere di modificazione delle tramezzature interne, di spostamento di un servizio igienico e di eliminazione di un precedente ambiente, ritenendole erroneamente, ai sensi dell’art. 3 del d. p. r. 6 giugno 2001 n. 380, interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità, atteso che detti interventi non hanno condotto ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso rispetto al precedente. Si tratta, infatti, di opere interne all’unità abitativa e, come tali, di manutenzione straordinaria”; nonché l’altra massima, ricavata dalla succitata sentenza della Sezione: “L’eliminazione e gli spostamenti di tramezzature, con conseguente diversa distribuzione degli ambienti interni, costituisce attività di manutenzione straordinaria assoggettata al semplice regime della comunicazione di inizio lavori, purché si tratti di interventi che non coinvolgano le parti strutturali dell’edificio. In tali ipotesi, pertanto, l’omessa comunicazione non può giustificare l’adozione della sanzione demolitoria che presuppone la realizzazione dell’opera senza il prescritto titolo abilitativo; qualora invece questo stesso intervento interessi parti strutturali del fabbricato, la disciplina applicabile è quella della segnalazione certificata di inizio attività e, in mancanza di questa, può essere irrogata la sola sanzione pecuniaria” (T. A. R. Campania – Salerno, Sez. II, 6/07/2018, n. 1042; conforme: T. A. R. Campania – Napoli, Sez. II, 22/08/2017, n. 4098).
Per ciò che concerne, invece, sempre la parte dell’edificio, adibita a luogo di culto, e segnatamente le: b.2) due tettoie, di cui una “con struttura in ferro, costituita da elementi tubolari (pilastri e travi) (…) coperta di lastre in lamiera, delimitata per un lato dallo stesso capannone e per i restanti tre lati da un muretto in blocchi (…) che inviluppa la struttura in ferro”, installata all’esterno del capannone (lo sviluppo superficiale di tale struttura era pari a circa 150,00 mq. (26,70 x 5,60 m.) con altezza minima pari a 3,15 m. e massima pari a 3,50 m.), e l’altra “sempre costituita da elementi tubolari in ferro, delimitata su un lato dallo stesso capannone e per gli altri due con pannelli di materiale plastico, così come per la copertura”, sul lato d’ingresso al capannone (lo sviluppo superficiale di tale struttura era pari a circa 23,00 mq (5,40 x 4,20 m) con altezza minima pari a 2,50 m. e massima pari a 3,00 m.), non può essere sottoscritta la tesi, patrocinata dai ricorrenti, secondo cui si sarebbe trattato di “manufatti minimi”, funzionali e pertinenziali all’immobile principale, costituenti: – a) interventi del tutto irrilevanti a fini volumetrici e/o della superficie e, quindi, del carico urbanistico; per l’effetto, non assoggettate al regime del permesso di costruire; – b) riconducibili al genus degli interventi pertinenziali “minimi”, ex art. 3 lett. e.6 d. P. R. 380/2001.
Valga, in contrario, la considerazione degli aspetti morfologici e dimensionali (questi ultimi non certo irrilevanti), di tali tettoie (soprattutto della prima), congiunta al riferimento alle seguenti massime, espressive di un orientamento, consolidato in giurisprudenza: “Deve ritenersi necessario il permesso di costruire per la realizzazione di tettoie o di altre strutture che siano, comunque, apposte a parti di preesistenti edifici, qualora le stesse siano prive del carattere di precarietà e abbiano, inoltre, dimensioni tali da comportare una visibile alterazione dell’edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite” (T. A. R. Campania – Napoli, Sez. III, 29/05/2018, n. 3545); “Una tettoia ancorata al suolo e di notevole dimensioni è idonea ad alterare lo stato dei luoghi in modo non transitorio; trattasi, quindi, di una nuova costruzione necessitante di titolo edilizio” (T. A. R. Piemonte, Sez. II, 9/05/2018, n. 550); “La tettoia necessita di un idoneo titolo allorché esula dai minimi contenuti che può avere un piccolo riparo aperto da tre lati, sì che essa costituisce spazio edificabile a tutti gli effetti quando viene realizzato un vero e proprio ambiente fruibile in via continuativa” (T. A. R. Liguria, Sez. I, 10/04/2018, n. 310); “Una tettoia avente carattere di stabilità e idonea ad una utilizzazione autonoma, oltre a non poter essere considerata una mera pertinenza, non può ricadere nell’ambito dell’attività edilizia libera, costituendo un’opera esterna per la cui realizzazione occorre un idoneo titolo edilizio. Alla medesima conclusione si può addivenire anche tenendo ferma la natura pertinenziale del manufatto, considerata l’idoneità di questo ad incidere sull’assetto edilizio preesistente” (T. A. R. Lombardia – Milano, Sez. II, 11/01/2018, n. 40).
Laddove la possibilità di prescindere dal rilascio del massimo titolo edilizio è stata generalmente limitata, sempre in giurisprudenza, a casi di manufatti, che si differenziano nettamente da quelli in esame: “È illegittimo l’ordine di demolizione di una tettoia che per caratteristiche morfologiche di realizzazione e destinazione funzionale – struttura in ferro aperta sui lati, ricoperta da onduline, meramente strumentale all’opificio, di dimensioni adeguate ad assolvere le finalità produttive, senza incremento del carico urbanistico – è riconducibile alla nozione di pertinenza urbanistica, ordinariamente sottratta al regime del titolo edilizio concessorio” (Consiglio di Stato, Sez. VI , 13/12/2017, n. 5867); “In materia urbanistica può parlarsi di pertinenza solo quando si tratti di opere che non comportino un nuovo volume, come una tettoia o un porticato aperto da tre lati, nonché di opere che comportino un nuovo e modesto volume tecnico confermandosi con ciò, in definitiva, che devono essere tali da non alterare in modo significativo l’assetto del territorio o incidere sul carico urbanistico, caratteristiche queste la cui sussistenza deve essere peraltro dimostrata dall’interessato” (T. A. R. Molise, Sez. I, 29/01/2016, n. 43); “Le opere che non alterano in modo significativo l’assetto del territorio o non incidono sul carico urbanistico in quanto comportano un nuovo e modesto volume tecnico, quali le tettoie o i porticati aperti da tre lati, poiché hanno natura pertinenziale, non sono idonee a sviluppare un volume” (T. A. R. Abruzzo – Pescara, Sez. I, 1/07/2015, n. 277).
Le osservazioni, dianzi espresse, consentono, altresì, di respingere (limitatamente ai containers, posti all’esterno della parte dell’edificio, adibita ad officina meccanica e alle tettoie, poste all’esterno della parte dell’edificio, adibita a luogo di culto) anche la censura – sopra riportata sub VII) – secondo la quale tutte le opere contestate, non comportando alcun incremento di superficie e/o di volume, sarebbero scevre dalla necessità di munirsi di permesso di costruire, restando esclusa l’applicabilità del regime sanzionatorio, ex art. 31 d. P. R. 380/2001, trattandosi piuttosto di opere “libere, ai sensi dell’art. 6 del d. P. R. 380/2001, ovvero riconducibili – al più – al diverso regime sanzionatorio – meramente pecuniario – di cui al successivo art. 37, tipicamente previsto per gli interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla s. c. i. a. e/o d. i. a.”.
Quanto, poi, alle altre doglianze, del pari tendenti ad infirmare la legittimità dell’ordinanza di demolizione gravata – sempre relativamente alle opere (containers e tettoie, come sopra specificate) per le quali il Tribunale non ha ritenuto d’accogliere le doglianze, fondate sulla non necessità, per le stesse, del previo rilascio d’idoneo titolo abilitativo edilizio – ed iniziando da quella, rubricata sub VI), osserva il Collegio come essa sia adeguatamente contrastata dal pacifico indirizzo giurisprudenziale, secondo il quale: “L’ordine di demolizione, essendo un atto vincolato, non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione fra l’interesse pubblico e gli interessi privati coinvolti e sacrificati e neppure una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 5/09/2018, n. 5211); cfr. anche l’ulteriore massima, che segue: “L’ordinanza di demolizione, quale provvedimento repressivo, costituisce atto dovuto e vincolato alla ricognizione dei presupposti di fatto e di diritto. Per tale ragione, non si richiede che esso rechi una specifica motivazione che dia conto della valutazione delle ragioni di interesse pubblico alla demolizione o della comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, ciò in quanto il provvedimento deve intendersi sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, essendo in re ipsa l’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione. Ne deriva che l’Amministrazione, in un caso come quello di specie, in cui ravvisi la presenza di un’opera edilizia sine titulo, ha solo il potere – dovere di sanzionare e di adottare, ove ricorrano i presupposti, il provvedimento demolitorio” (T. A. R. Campania – Napoli, Sez. VIII, 29/10/2018, n. 6330).
Per ciò che concerne, poi, la doglianza sub VIII) dell’atto introduttivo del giudizio, secondo la quale l’ordinanza gravata, non contenendo “alcuna qualificazione giuridica delle opere contestate”, sarebbe affetta da “difetto assoluto di motivazione”, ex art. 3 l. 241/90, rileva in contrario il Collegio come, sia pur limitatamente alle opere, per le quali s’è ritenuto – contrariamente all’avviso dei ricorrenti – di non poter prescindere dal previo rilascio del titolo abilitativo edilizio, nella forma del permesso di costruire (containers e tettoie), l’onere giustificativo dell’atto, irrogante la sanzione demolitoria, sia stato sufficientemente assolto, nel provvedimento impugnato, mercé i seguenti riferimenti: “Le opere edilizie innanzi descritte sono state realizzate in assenza di titoli edilizi”; “Ritenuto necessario ingiungere la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi delle opere realizzate in totale difformità alla concessione edilizia, a carico di tutti i soggetti che si trovano in una posizione giuridicamente rilevante rispetto al bene in questione”.
Ciò posto, e trascorrendo all’altra parte dell’ordinanza di demolizione in oggetto, relativa alla cd. palazzina uffici, indi adibita a centro di emodialisi, parte che si fonda sulla contestazione, secondo la quale: “L’attuale destinazione d’uso non è conforme a quanto assentito per il corpo di fabbrica oggetto d’accertamento, ovvero la “palazzina uffici”, prevista nella concessione edilizia n. 7763/2455 del 25.02.1983”, rileva il Tribunale come si riveli, viceversa, pienamente fondata la doglianza, sopra rubricata sub II), secondo cui: “La questione è stata già decisa da questo Tribunale, giudicando dell’ordinanza di demolizione n. 266/1997, con sentenza n. 896/2007, la quale, dopo aver richiamato i titoli conseguiti e rilevata l’effettiva portata di detta attività, ha dato atto della conformità di detto insediamento, posto che (la) “struttura sanitaria senza la realizzazione di ulteriori opere non può comportare la modifica della destinazione d’uso dell’immobile e quindi risulta illegittimo l’impugnato provvedimento, fondato su tale erroneo presupposto”; con la conseguente illegittimità, in parte qua, dell’ordinanza di demolizione de qua, sia a) per la violazione del giudicato, di cui alla suddetta pronuncia, ex art. 21 septies l. n. 241/1990, sia b), in ogni caso, per difetto assoluto del presupposto, non sussistendo alcun abuso sanzionabile, sotto tale profilo (come riconosciuto dal Tribunale, nella predetta sentenza).
Fondati, insomma, si rivelano i profili di censura indicati sopra, essendo chiaro il dictum giurisdizionale recato dalla sentenza n. 896 del 9 agosto 2007, circa la legittimità del cambio di destinazione d’uso del suindicato fabbricato, dalla “palazzina uffici” assentita con la concessione edilizia n. 7763/2455 del 25 febbraio 1983, e dovendosi considerare quest’ultimo urbanisticamente irrilevante, per essere avvenuto senza opere, nonché tra categorie funzionali omogenee (essendo l’attività sanitaria riconducibile al genus delle attività industriali: cfr., in tal senso, Cons. Stato, sez. V, n. 4267/2013; TAR Campania, Napoli, sez. II, n. 4356/2011).
Vale a dire che (anche a prescindere da quanto sopra, nonché in maniera già decisiva, rilevato), è in ogni caso fondata la doglianza, sopra rubricata sub V), secondo cui deve considerarsi “urbanisticamente rilevante” solo quel mutamento di destinazione d’uso, “tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale; a-bis) turistico – ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale”: il cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante, cioè, è solo quello che comporta il passaggio tra l’una e l’altra delle cinque (rectius: quattro) categorie, funzionalmente autonome, indicate dalla citata disposizione, indipendentemente dalla realizzazione o meno di opere; e, nella specie, la destinazione a centro di emodialisi – stante l’assimilazione ad attività industriale – non comporta alcun passaggio tra due categorie, diverse tra loro.
Si leggano, ad ulteriore conferma di quanto sopra, le massime che seguono: “Con il decreto Sblocca — Italia n. 133 del 12 settembre 2014, è stato introdotto al d. P. R. n. 380 del 2001 il nuovo l’art. 23 ter, che prevede solamente quattro categorie di destinazione urbanistica: a) residenziale e turistico — ricettiva; 2) produttiva e direzionale; 3) commerciale e 4) rurale. Il nuovo art. 23 ter stabilisce, inoltre, che è sempre consentito il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale, salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali” (T. A. R. Lazio – Roma, Sez. II, 4/04/2016, n. 4044); “Ai sensi dell’art. 23 ter, d. P. R. n. 380 del 2001 , inserito dall’art. 17, comma 1, lett. n), d. l. n. 133 del 2014 , il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante è quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico e che influisce, di conseguenza, sul c.d. carico urbanistico poiché la semplificazione delle attività edilizie voluta dal legislatore non si è spinta al punto di rendere tra loro omogenee tutte le categorie funzionali, le quali rimangono non assimilabili, a conferma della scelta già operata con il d. m. n. 1444 del 1968” (T. A. R. Campania – Napoli, Sez. VII, 6/11/2017, n. 5152).
Le considerazioni, dianzi riportate, escludono, quindi, che – nella specie – possa fondatamente richiedersi, da parte del Comune di Battipaglia, il rilascio, da parte del Consorzio A. S. I. di Salerno, di un nuovo nulla osta all’insediamento, nella palazzina uffici in argomento, dell’attività sanitaria ivi allocata (centro di emodialisi).
Conclusivamente, il ricorso va, quindi, accolto in parte, e l’ordinanza di demolizione gravata va, conseguentemente, in parte annullata, con esclusione, tuttavia, delle sezioni della stessa, che si riferiscono alle opere abusive, sopra dettagliatamente indicate (containers e tettoie).
Stante la reciproca soccombenza, emergono eccezionali ragioni per compensare le spese di lite tra le parti, fermo restando il rimborso del contributo unificato versato, in favore dei ricorrenti, ed a carico del Comune di Battipaglia (stante, in ogni caso, l’accoglimento, sia pur parziale, del ricorso).
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, l’accoglie in parte, secondo le specificazioni, contenute in parte motiva, e per l’effetto annulla in parte, sempre secondo tali specificazioni, il provvedimento impugnato, sub A) dell’epigrafe.
Spese compensate, fermo restando il rimborso del contributo unificato versato, in favore dei ricorrenti, ed a carico del Comune di Battipaglia.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso, in Salerno, nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2018, con l’intervento dei magistrati:
Paolo Severini, Presidente, Estensore
Olindo Di Popolo, Consigliere
Michele Conforti, Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
Paolo Severini
IL SEGRETARIO