* DIRITTO DELL’ENERGIA – Impianti cd. minieolici – Procedura abilitativa semplificata – Dichiarazione di inizio attività – Deposito della documentazione prescritta – Principio di autoresponsabilità – Decorso del termine di 30 giorni – Art. 19 l. n. 241/1990 – Provvedimento repressivo-ripristinatorio – Presupposti.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Campania
Città: Salerno
Data di pubblicazione: 20 Dicembre 2018
Numero: 1838
Data di udienza: 14 Novembre 2018
Presidente: Riccio
Estensore: Maffei
Premassima
* DIRITTO DELL’ENERGIA – Impianti cd. minieolici – Procedura abilitativa semplificata – Dichiarazione di inizio attività – Deposito della documentazione prescritta – Principio di autoresponsabilità – Decorso del termine di 30 giorni – Art. 19 l. n. 241/1990 – Provvedimento repressivo-ripristinatorio – Presupposti.
Massima
TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. 1^ – 20 dicembre 2018, n. 1838
DIRITTO DELL’ENERGIA – Impianti cd. minieolici – Procedura abilitativa semplificata – Dichiarazione di inizio attività – Deposito della documentazione prescritta – Principio di autoresponsabilità – Decorso del termine di 30 giorni – Art. 19 l. n. 241/1990 – Provvedimento repressivo-ripristinatorio – Presupposti.
In tema di "procedura abilitativa semplificata" (cd. PAS) prevista dall’art. 6 del D.lgs. 28/2011 per gli impianti cd. "minieolici" (ovvero con potenza inferiore a 60kw), in assenza della documentazione prescritta come necessariamente corredante la SCIA, la dichiarazione d’inizio attività non può reputarsi formalmente presentata e, dunque, dalla data del suo deposito, non può iniziare a decorrere il termine dilatorio di 30 giorni per l’adozione dei provvedimenti inibitori di cui all’art. 19 legge 241/1990. Le esigenze di concentrazione dei procedimenti, di tempestività e di contenimento dei termini, poste più in generale alla base del decreto legislativo 29 dicembre 2003 n. 387 in materia di autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, sia in riferimento alle fattispecie di autorizzazione unica che di d.i.a., non possono, di conseguenza, esonerare il richiedente, secondo il principio della autoresponsabilità, dalla presentazione della documentazione prescritta dalla normativa vigente, al fine di consentire all’Amministrazione di effettuare preventivamente gli opportuni controlli su quanto l’interessato intenda realizzare. Deve rimanere cioè fermo il principio per cui le fattispecie di semplificazione astrattamente previste dal legislatore possono ritenersi "formate ed esistenti" soltanto quando esse risultino idonee, da sole, a soddisfare le esigenze informative indispensabili per l’esercizio del potere inibitorio – repressivo. Una volta accertata la completezza documentale della DIA/SCIA, il termine per l’esercizio del potere di verifica e del potere inibitorio in caso di s. c. i. a. è perentorio: decorsi i termini per l’esercizio del potere inibitorio – repressivo, la S.C.I.A. costituisce un titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo equiparabile quoad effectum al rilascio del provvedimento espresso), che può essere rimosso, per espressa previsione legislativa, solo attraverso l’esercizio del potere di autotutela; deve conseguentemente considerarsi illegittima l’adozione di un provvedimento repressivo/ripristinatorio o di autotutela adottato senza le garanzie e i presupposti richiesti dall’art. 21 nonies l. n. 241/1990, per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio.
Pres. Riccio, Est. Maffei – A. s.r.l. (avv.ti Viglione e Tsuno ) c. Comune di Monteverde (avv. De Lorenzo)
Allegato
Titolo Completo
TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. 1^ - 20 dicembre 2018, n. 1838SENTENZA
TAR CAMPANIA, Salerno, Sez. 1^ – 20 dicembre 2018, n. 1838
Pubblicato il 20/12/2018
N. 01838/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00875/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 875 del 2017, proposto da
Arrakis S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giancarlo Viglione, Noemi Tsuno, domiciliata presso Segreteria Giurisdizionale TAR in Salerno, piazzetta San Tommaso D’Aquino, 3;
contro
Comune di Monteverde, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Michele De Lorenzo, domiciliato presso Segreteria Giurisdizionale TAR in Salerno, piazzetta San Tommaso D’Aquino, 3;
per l’annullamento
del provvedimento dell’Ufficio Tecnico Comunale del Comune di Monteverde (AV) prot. n. 1061 del 19.04.2017 e notificato in pari data, avente ad oggetto “Installazione di impianto minieolico di potenza da 59,9 KW e opere connesse sito in Monteverde in località SERRABIANCA Rif. Catastale Foglio n. 7 Particella 106 DINIEGO DEFINITIVO” con il quale il civico ente comunicava “il diniego definitivo alla PAS prot. 716 del 21.03.2014”;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Monteverde;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 novembre 2018 il dott. Fabio Maffei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Antonio Avagnano, in qualità di legale rappresentante della Soc. A1T di ANTONIO AVAGNANO S.A.S., con istanza depositata in data 21.3.2014, ha attivato presso il Comune di Monteverde la procedura abilitativa semplificata prevista dall’art. 6 del D.lgs. 28/2011 onde realizzare sul fondo contraddistinto al NCT del predetto comune al foglio 7, particella n. 105, un impianto tecnologico per la produzione di energia elettrica da fonte eolica, costituito da un singolo aerogeneratore di piccola taglia con potenza unitaria pari a 60 KWp, denominato “MV. Successivamente, con istanza depositata in data 8.04.2014, ed assunta al n. di protocollo 839, la società proponente rettificava l’iniziale P.A.S. esclusivamente con riferimento alla potenza nominale
dell’aerogeneratore così ridotta a 59.90 KW.
Avendo con nota prot. n. 1262 del 3.06.2014 integrato la documentazione in ordine ai profili inizialmente ritenuti carenti dalla civica amministrazione, riceveva dal Comune di Monteverde, in data 25.06.2014, la comunicazione di ritiro della Pas vidimata.
Successivamente, la Arrakis Srl, avendo stipulato un contratto di appalto con la società cessionaria del predetto titolo abilitativo, con nota del 12.12.2016, comunicava all’ente comunale l’avvenuta successione.
Sebbene in data 30.1.2017, la ricorrente avesse dato inizio ai lavori di realizzazione dell’impianto assentito, dapprima, in data 7.02.2017, il Responsabile del Servizio tecnico comunale del civico ente adottava l’ordinanza n. 9 con cui disponeva la sospensione dei lavori invitando contestualmente la società a depositare la documentazione ivi indicata onde avvalorare la legittimità del titolo abilitativo, e, successivamente, in data 27.03.2017, il medesimo ufficio, con la nota prot. n. 870 notificava alla odierna ricorrente “Comunicazione di chiusura istruttoria con preavviso di diniego ai sensi dell’art. 10 bis Legge 241/1990”, cui seguiva, infine, in data 19.04.2017, la notifica del provvedimento di diniego oggetto della presente impugnazione.
La Arrakis Srl, nell’impugnare i suddetti provvedimenti, deduce i seguenti profili di illegittimità:
– violazione dell’art. 6, co. 2 e 4, d.lgs. 28/2011, violazione degli artt. 7 e 21 nonies l. 241/90 e s.m.i., violazione del principio del legittimo affidamento;
– violazione della direttiva comunitaria 2009/28/Ce sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/Ce e 2003/30/Ce;
– violazione della direttiva comunitaria 2009/28/Ce sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/Ce e 2003/30/Ce, violazione e falsa applicazione dell’art. 6 d.lgs. 28/2011, violazione del punto 11.6 delle linee guida di cui al d.m. 10.9.2010, eccesso di potere sotto più profili, erroneità dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria;
– violazione di legge stante l’inapplicabilità della delibera della giunta regionale n. 533 del
04.10.2016.
La civica amministrazione, costituitasi in giudizio, ha, in primo luogo, insistito per l’inammissibilità del ricorso, essendo la ricorrente decaduta dalla procedura autorizzativa per non aver, ai sensi dell’art. 6, comma 6, del D.lgs n. 28/2011, ultimato la realizzazione dell’impianto entro il prescritto termine triennale, attesa peraltro la mancata impugnazione delle ordinanze che disponevano la sospensione dei lavori. Nel merito, infine, contestava l’avvenuto perfezionamento del titolo abilitativo, alla luce sia della carenza riscontrata in ordine alla documentazione inizialmente corredante l’istanza presentata, sia dell’intervenuto ius superveniens costituito dalla citata normativa regionale.
All’udienza del 14.11.2018, previo scambio delle memorie ex art. 73 c.p.a., il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
2.- Il ricorso è fondato e merita accoglimento, condividendo il Collegio le censure sollevate dalla Eco Energia Srl, da esaminarsi congiuntamente stante la loro stretta correlazione.
2.1.- In via preliminare, non appare un fuor d’opera rammentare, sul piano dell’inquadramento generale dell’istituto invocato dalla ricorrente, che la "procedura abilitativa semplificata" (cd. PAS) prevista dall’art. 6 del D.lgs. 28/2011 per gli impianti cd. "minieolici" (ovvero con potenza inferiore a 60kw) costituisce una delle applicazioni specifiche della fattispecie procedimentale "bifasica" che, in generale, il legislatore ha previsto nell’art. 19 L. 241/90, prima con la DIA "ad efficacia variabile" e successivamente – a seguito della novella legislativa del D.L. 78 del 31 maggio 2010 convertito nella Legge 122 del 30 luglio 2010 – con la SCIA ad efficacia sempre immediatamente legittimante.
Il procedimento introdotto dall’art. 6 del D.Lgs. 28/2011 è, difatti, pienamente in linea con quello della "DIA a legittimazione differita" – prefigurato ratione temporis in generale dalla L. 241/90, in epoca anteriore alla novella intervenuta proprio nel 2011- poiché:
– la "dichiarazione", supportata dalla prescritta documentazione tecnica, deve essere presentata al Comune "almeno trenta giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori";
– analogamente a quanto previsto nell’art. 19 L. 241/90 e nell’art. 23 DPR 380/2011 (disciplinante la DIA edilizia), sulla base del "contatto comunicativo" intercorrente tra l’amministrazione e il privato interessato, il Comune ha il potere di "verificare" la sussistenza in concreto delle condizioni cui il legislatore subordina la possibilità di esercitare l’attività in questione;
– l’attività viene pertanto intrapresa senza bisogno di un provvedimento autorizzatorio a monte, essendo esso "surrogato" dall’assunzione di autoresponsabilità del privato insita nella dichiarazione documentata (o nella "segnalazione certificata"), fermo restando lo spostamento "in avanti" del potere di controllo ex post mediante la previsione di strumenti inibitori e repressivi riconosciuti in capo all’amministrazione competente.
A tale conclusione è, peraltro, giunta la costante giurisprudenza che si è espressa in materia (cfr. sent. Cons. St. sez. IV, 19 giugno 2014 n. 3112), escludendo l’applicabilità dell’art. 10 bis della L. 241/90 al procedimento c.d. di PAS proprio sul presupposto che non venga in rilievo, nello specifico, un provvedimenti tacito, bensì atti privati di comunicazione dell’intenzione "di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge".
Tali coordinate interpretative comportano, come logico corollario che, con riferimento ai procedimenti per l’autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in assenza della documentazione prescritta come necessariamente corredante la presentata SCIA, la dichiarazione d’inizio attività "non può reputarsi formalmente presentata" e, dunque, dalla data del suo deposito, non può iniziare a decorrere il termine dilatorio di 30 giorni per l’adozione dei provvedimenti inibitori di cui all’art. 19 legge 241/1990.
Invero, allorché il legislatore introduca fattispecie di liberalizzazione di attività, vale il principio dell’autoresponsabilità del dichiarante, secondo cui la dichiarazione può ritenersi valida ed efficace soltanto se essa rispetti – oltre alle formalità estrinseche prescritte dall’ordinamento (essenzialmente dirette a rendere incontrovertibile la paternità di una determinata dichiarazione) – anche il canone dell’autosufficienza contenutistica, nel senso che occorre porre in condizione l’Amministrazione di poter effettivamente esercitare in concreto il potere inibitorio e di controllo previsto dalla legge. Tanto va sottolineato, non solo nell’interesse pubblico alla repressione delle attività abusive, ma anche nello stesso interesse del dichiarante a non esporsi inutilmente all’eventuale potere inibitorio e/o sanzionatorio una volta già realizzate le opere ed effettuati i correlati investimenti.
Le esigenze di concentrazione dei procedimenti, di tempestività e di contenimento dei termini, poste alla base del decreto legislativo 29 dicembre 2003 n. 387 in materia di autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, sia in riferimento alle fattispecie di autorizzazione unica che di d.i.a., non può, di conseguenza, esonerare il richiedente, secondo il suesposto principio della autoresponsabilità, dalla presentazione della documentazione prescritta dalla normativa vigente, al fine di consentire all’Amministrazione di effettuare preventivamente gli opportuni controlli su quanto l’interessato intenda realizzare (in termini, in riferimento all’art. 23 t.u. edilizia e all’art. 19 legge 241/90, Consiglio di Stato sez. IV 24 maggio 2010 n. 3263; in riferimento alla d.i.a. per la realizzazione di impianti di telefonia mobile, T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. II, 17 luglio 2006, n. 1462).
Conclusivamente, anche in riferimento alle d.i.a. prescritte dalla normativa in materia di realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, deve rimanere fermo il principio per cui le fattispecie di semplificazione astrattamente previste dal legislatore (statale o regionale) possono ritenersi "formate ed esistenti" soltanto quando esse risultino idonee, da sole, a soddisfare le esigenze informative indispensabili per l’esercizio del potere inibitorio – repressivo.
Da quanto detto consegue, come più volte rimarcato dalla giurisprudenza, che, per contro, una volta accertata la completezza documentale della DIA/SCIA, "Il termine per l’esercizio del potere di verifica e del potere inibitorio in caso di s. c. i. a. è perentorio (art. 19 l. n. 241 del 1990)" (T. A. R. Abruzzo, L’Aquila, Sez. I, 12-05-2016, n. 287).
Pertanto, "decorso senza esito il termine per l’esercizio del potere inibitorio, nei confronti di una s. c. i. a. l’amministrazione dispone comunque del potere di autotutela ai sensi dell’art. 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241. Tale potere residuale – con cui l’Amministrazione è chiamata a porre rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio – condivide i principi regolatori legislativamente sanciti, in materia di autotutela, con particolare riguardo alla necessità dell’avvio di un apposito procedimento in contraddittorio, al rispetto del limite del termine ragionevole, e soprattutto, alla necessità di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione dell’affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio" (T. A. R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 21-04-2016, n. 2106).
Una volta decorsi i termini per l’esercizio del potere inibitorio – repressivo, la S.C.I.A. costituisce un titolo abilitativo valido ed efficace (sotto tale profilo equiparabile quoad effectum al rilascio del provvedimento espresso), che può essere rimosso, per espressa previsione legislativa, solo attraverso l’esercizio del potere di autotutela decisoria nel rispetto delle prescrizioni recate dall’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990. Scaduto il termine, che si ripete essere perentorio, previsto dalla legge per verificare la sussistenza dei relativi presupposti, deve considerarsi illegittima l’adozione di un provvedimento repressivo/ripristinatorio o di autotutela adottato senza le garanzie e i presupposti richiesti dall’art. 21 nonies l. n. 241/1990, per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio.
2.2.- Tanto premesso, la ricostruzione dell’iter procedimentale, come asseverata dalla depositata documentazione, ha evidenziato le seguenti fasi:
1. in data 21.03.2014, l’originaria richiedente presentava allo Sportello Unico Edilizia del Comune di Monteverde, un’istanza volta ad usufruire della “Procedura Abilitativa Semplificata (P.A.S)” per la “realizzazione di un impianto tecnologico per la produzione di energia elettrica da fonte eolica di potenza unitaria pari a 60 KWp, successivamente ridotta a 59.90 KW”;
2. l’Ufficio Tecnico del Comune di Monteverde con provvedimento prot. n. 905 datato 14.04.2014
comunicava alla ricorrente che, a seguito dell’avvenuta integrazione documentale, “….. i tempi di attesa di cui all’art. 6 comma 2 del Decreto Legislativo 3.03.2011 n. 28 necessari per la verifica della Procedura Abilitativa Semplificata sarebbero decorsi dalla data del 8.04.2014”;
3. successivamente lo stesso Ufficio Tecnico del Comune di Monteverde indirizzava alla società proponente la nota prot. 1016 del 30.04.20 con cui richiedeva l’invio di ulteriore documentazione afferente alla valutazione dell’impatto acustico e della compatibilità magnetica, prontamente riscontrata dal richiedente in data 3.6.2014;
4. in data 25.06.2014 il Comune di Monteverde, con nota prot. n. 1438, trasmetteva al proponente la “COMUNICAZIONE DI RITIRO P.A.S.”, dimostrando o comunque ingenerando nella destinataria il ragionevole affidamento in ordine alla conclusione dell’iter procedimentale e, di conseguenza, alla completezza della documentazione prodotta.
Pertanto, alla luce della predetta ricostruzione fattuale, essendo stato appurato che in data 25.6.2014 lo stesso ente comunale dichiarava esaustiva la documentazione corredante l’istanza presentata, deve ritenersi che da tale momento è iniziato il decorso del suddetto termine di trenta giorni entro cui l’attività edilizia doveva ritenersi assentita.
Ne consegue che l’ordine inibitorio è stato emesso soltanto in data 19.4.2017, ovverosia quando il corrisponde potere doveva ritenersi oramai definitivamente ed ampliamente consumato.
Il Comune non sarebbe, dunque, potuto intervenire oltre il termine stabilito dal citato art. 6, se non ricorrendo le condizioni cui la legge subordina il potere di annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi, ovverosia tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di illegittimità dei lavori assentiti per effetto della istanza ormai perfezionatasi, dell’affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto del decorso del tempo e, comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo.
Infatti, il termine per l’esercizio del potere inibitorio doveroso, nel caso di PAS, deve ritenersi perentorio, pur conservando l’amministrazione un potere residuale di autotutela; peraltro, tale potere residuale, con il quale l’Amministrazione è chiamata a porre rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio, deve essere esercitato sulla base di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione dell’affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio.
Tale valutazione è assente nei provvedimenti impugnati che devono quindi ritenersi illegittimi.
Né, in senso contrario, potrebbe essere addotto, come sostenuto dalla civica amministrazione, l’intervenuta decadenza della ricorrente dal titolo abilitativo concesso per non aver ultimato nel prescritto triennio la realizzazione dell’impianto de quo.
Al riguardo, osserva il Collegio che, decorrendo, come sopra precisato, il prescritto termine triennale dalla data del 25.6.2014, l’omessa l’ultimazione dell’impianto doveva causalmente ascriversi agli intervenuti provvedimenti comunali dapprima di sospensione dei lavori e, successivamente, di diniego della richiesta autorizzazione.
2.4. Osserva ancora il Collegio come sia precluso pervenire ad una diversa soluzione in ragione della sopravvenuta normativa regionale, invocata dal resistente comune a supporto della legittimità dell’impugnato provvedimento.
L’art. 15 della L.R. Campania n. 6 del 2016, nella parte d’interesse, così statuisce:
"1. In attuazione del D.M. 10 settembre 2010, n. 47987 del Ministero dello Sviluppo Economico (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con delibera di Giunta regionale, su proposta dell’Assessore alle attività produttive di concerto con l’Assessore all’ambiente, tenendo conto della concentrazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili esistenti, sono stabiliti i criteri e sono individuate le aree non idonee alla realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonte eolica di potenza superiore a 20 Kw, di cui al paragrafo 17 del citato decreto ministeriale (…).
1-bis. I procedimenti amministrativi per il rilascio della autorizzazione unica di cui all’articolo 12, D.Lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) non conclusi alla data di entrata in vigore della presente legge e i procedimenti amministrativi avviati dopo tale data, si perfezionano nel rispetto delle previsioni dettate nella delibera di Giunta regionale di cui al comma 1 (…)
2. Ai sensi dell’articolo 4, comma 3 del D.Lgs. 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE) e dell’articolo 5, comma 1, lettera c) del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con delibera di Giunta regionale, su proposta dell’Assessore all’ambiente di concerto con l’Assessore alle attività produttive, sono individuati gli indirizzi per la valutazione degli impatti cumulativi di impianti di produzione di energia elettrica da fonte eolica di potenza superiore a 20 Kw.
3. In attesa dell’approvazione delle deliberazioni di cui al presente articolo è sospeso il rilascio di nuove autorizzazioni per impianti eolici nel territorio regionale".
Da tale compendio normativo, e per effetto della moratoria di cui al comma 3, nella Regione Campania, a partire dalla data d’entrata in vigore della legge (6 aprile 2016), era sospeso qualsivoglia procedimento autorizzatorio relativo a nuovi impianti eolici di potenza superiore a 20 kw, ivi compresi anche quelli, oggetto di p. a. s., laddove, viceversa, le nuove disposizioni, parimenti al prescritto periodo di moratoria, non potevano trovare applicazione per i procedimenti da considerarsi oramai conclusi.
Costituisce diritto vivente, infatti, l’affermazione che nel procedimento relativo al rilascio di un titolo abilitativo, la situazione normativa vigente alla data di presentazione della domanda, in ragione del generale principio tempus regit actum, non determina un vincolo per l’Amministrazione.
Le norme coeve alla domanda, infatti, non possono ritenersi "cristallizzate" fino alla determinazione finale sulla stessa (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 5854/2011).
In sostanza, la domanda volta a conseguire un titolo abilitativo deve essere valutata alla luce della normativa vigente al momento in cui l’Amministrazione provvede su di essa e non all’epoca della presentazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 3186/2013; Cons Stato n. 5822/2013).
Tale approdo è coerente con il principio generalissimo (più volte ribadito dalla Corte costituzionale, si vedano le sentenze n. 151/2014 e n. 49/2016 e dal Consiglio di Stato, cfr. ex plurimis Ad. plen., n. 8 del 2012; successivamente sez. V, n. 5863 del 2015), secondo cui, proprio in ossequio alla regola tempus regit actum, la valutazione della legittimità del provvedimento impugnato va condotta "con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione ovvero al momento del perfezionamento del titolo autorizzativo" (cfr.: Cons. St., sez. V, 31 marzo 2017 n. 1499; Cons. St., sez. IV, 7 luglio 2016 n. 3013; id., sez. VI, 15 settembre 2011 n. 5154).
Orbene, applicando i menzionati dicta giurisprudenziali all’odierna fattispecie, rileva il Collegio che, perfezionatasi l’istanza in data 25.6.2014, a seguito della disposta integrazione documentale, resasi necessaria in forza della richiesta inviata dall’ente Comunale, quest’ultimo, soltanto in data 19.4.2017 adottava il provvedimento di diniego e di interdizione dalla prosecuzione dei lavori invocando le innovative prescrizioni poste dalla sopravvenuta disciplina regionale.
Orbene, così operando, l’amministrazione non solo ha violato l’art. 19 della legge 241/1990, esercitando il potere interdittivo ex art. 19 legge 241/90 da cui era irreversibilmente decaduta anteriormente all’entrata in vigore della sopravvenuta normativa regionale, ma ha anche pretreso di applicare lo ius superveniens, ovverosia le prescrizione poste dalle delibere giuntali n. 532 e 533 del 4.10.2016, ad un titolo legittimante oramai cristallizzatosi sul quale sarebbe potuta intervenire esclusivamente "in autotutela", vale a dire osservando tutti i conseguenti oneri, motivazionali e partecipativi, fissati dalla legge ("Il decorso del termine decadenziale di trenta giorni entro cui deve essere effettuata la verifica sulla s. c. i. a. comporta l’esaurimento dell’ordinaria funzione di controllo edilizio consistente nel riscontro della conformità urbanistica del progetto presentato, residuando in capo alla P. A. solo un potere di autotutela sui generis che, pur estrinsecandosi attraverso provvedimenti di natura repressiva, anziché in atti di secondo grado, deve comunque rispettare i canoni dettati dall’art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990" (T. A. R. Toscana, sez. III, 8/06/2016, n. 960).
Né in senso contrario può argomentarsi, come preteso dalla difesa civica, in forza dell’asserita incompletezza documentale corredante l’istanza autorizzatoria.
Quanto alle eventuale mancanza di tutte le asseverazioni e prescrizioni richieste in base alla disciplina del comma 4 dell’art. 6, il Comune avrebbe dovuto rilevare la carenza di tali prescrizioni imposte dal comma 2, nei trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione, onere cui, viceversa, nel caso di specie, non ha adempiuto, essendosi, pertanto, formato il titolo abilitativo tacito.
Se la giurisprudenza, in generale, ritiene che il silenzio assenso non si formi quando la domanda e la relativa documentazione siano incomplete (cfr. di recente Consiglio di Stato n. 4749 del 2015; 3661 del 2015), nel caso di specie, la disciplina del comma 4 fa espresso riferimento proprio al riscontro da parte del Comune "dell’assenza di una o più delle condizioni" di cui al comma 2 nei trenta giorni dalla presentazione della domanda.
Si deve, dunque, ritenere, come sopra ampliamente esposto, che il Comune abbia agito in autotutela su un titolo già assentito.
Il potere esercitato dal Comune era, quindi, soggetto alla disciplina dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 (nel testo anteriore alla modifica introdotta dalla legge n. 124 del 7-8-2015) ovvero alla valutazione dell’interesse pubblico attuale all’annullamento anche in relazione agli interessi dei privati coinvolti, nonché al limite temporale del "termine ragionevole".
Il provvedimento del Comune, intervenuto quasi tre anni dopo la presentazione della prima SCIA, appare viziato in relazione sia alla carenza di motivazione in ordine all’attualità dell’interesse pubblico alla rimozione dell’atto, sia alla mancata valutazione dell’interesse del privato, tenuto conto del particolare affidamento, ingenerato dalla stessa amministrazione comunale.
Devesi al riguardo osservare che la resistente amministrazione, riscontrando la richiesta di variazione del progetto iniziale presentata dall’originario richiedente, con nota del 3.12.2014, dichiarava che, tenuto conto “Della comunicazione di assenso alla realizzazione degli interventi per la realizzazione dell’impianto di produzione e di rete e ritiro della P.A.S. , in data 25/06/2014 (…), la variante non rivestiva carattere sostanziale. In tal modo, considerato l’espresso riferimento al progetto assentito contenuto nella citata comunicazione, deve ritenersi che la medesima amministrazione aveva ingenerato nel destinatario il più che ragionevole affidamento che, stante esaustività della documentazione prodotta, il titolo abilitativo si fosse legittimamente formato.
Sotto tali profili, in definitiva, il ricorso è fondato e deve essere accolto con annullamento del provvedimento impugnato e salvezza delle ulteriori determinazioni amministrative.
In considerazione della complessità della questione, sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato nei sensi e nei termini di cui in motivazione.
Dichiara le spese di giudizio interamente compensate tra le parti in causa.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 14 novembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Riccio, Presidente
Angela Fontana, Primo Referendario
Fabio Maffei, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE
Fabio Maffei
IL PRESIDENTE
Francesco Riccio
IL SEGRETARIO