* DIRITTO URBANISTICO – Decadenza della concessione edilizia per mancato completamento dei lavori – Art. 15 d.P.R. n. 380/2001 – Carattere oggettivo – Sospensione connessa a factum principis o forza maggiore non riferibili alla condotta del titolare della concessione – Computo del termine.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Emilia Romagna
Città: Bologna
Data di pubblicazione: 7 Novembre 2012
Numero: 665
Data di udienza: 25 Ottobre 2012
Presidente: Calvo
Estensore: Caso
Premassima
* DIRITTO URBANISTICO – Decadenza della concessione edilizia per mancato completamento dei lavori – Art. 15 d.P.R. n. 380/2001 – Carattere oggettivo – Sospensione connessa a factum principis o forza maggiore non riferibili alla condotta del titolare della concessione – Computo del termine.
Massima
TAR EMILIA ROMAGNA, Bologna, Sez. 1^ – 7 novembre 2012, n. 665
DIRITTO URBANISTICO – Decadenza della concessione edilizia per mancato completamento dei lavori – Art. 15 d.P.R. n. 380/2001 – Carattere oggettivo – Sospensione connessa a factum principis o forza maggiore non riferibili alla condotta del titolare della concessione – Computo del termine.
L’istituto giuridico della decadenza della concessione edilizia, per mancato completamento dei lavori entro il termine di cui all’art. 4 della legge n. 10 del 1977 (oggi art. 15 d.P.R. n. 380/2001) assume carattere esclusivamente oggettivo perché si fonda sul mero decorso del tempo previsto; fanno tuttavia eccezione i casi di sospensione o proroga connessi a factum principis, forza maggiore o ad altre cause espressamente contemplate dalla legge, non riferibili alla condotta del titolare della concessione e assolutamente ostative ai lavori, le quali producono l’effetto di prolungare automaticamente il tempo massimo stabilito per l’esecuzione delle opere; pertanto, ai fini della dichiarazione di decadenza del provvedimento per omessa ultimazione dell’intervento edilizio nel termine in esso previsto, non deve essere computato il periodo di tempo in cui, ad esempio, un atto inibitorio della stessa Amministrazione comunale o di altra Autorità amministrativa ha temporaneamente reso inefficace il titolo abilitativo, anche senza un provvedimento di proroga del termine e senza una richiesta in tal senso da parte dell’interessato, richiesta invece necessaria nel solo caso in cui la rilevanza obiettiva delle ragioni da addursi a suffragio della stessa può essere valutata unicamente dalla parte richiedente (quali eventi straordinari di carattere naturale) e poi apprezzata nella sua effettiva consistenza ostativa dall’Amministrazione comunale, la quale è in questa ipotesi – e solo in questa – tenuta a provvedere in merito (v., in simili termini, Cons. Stato, Sez. V, 6 ottobre 1999 n. 1338; TAR Campania, Salerno, Sez. II, 6 aprile 2012 n. 646; TAR Calabria, Reggio Calabria, 20 aprile 2010 n. 420; TAR Lazio, Sez. II, 24 novembre 2004 n. 13996).
Pres. Calvo, Est. Caso – V. s.a.s. (avv.ti Lavitola, Pittori e Contaldi La Grotteria) c. Comune di Cesenatico (avv.ti Bernardini e Zavatta)
Allegato
Titolo Completo
TAR EMILIA ROMAGNA, Bologna, Sez. 1^ - 7 novembre 2012, n. 665SENTENZA
TAR EMILIA ROMAGNA, Bologna, Sez. 1^ – 7 novembre 2012, n. 665
N. 00665/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00568/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 568 del 2007 proposto da Villa Italia S.a.s. di Nati Romolo & C., in persona del legale rappresentante p.t. Romolo Nati, difesa e rappresentata dall’avv. Livio Lavitola, dall’avv. Paolo Pittori e dall’avv. Carlo Contaldi La Grotteria, ed elettivamente domiciliata in Bologna, via Santo Stefano n. 43, presso lo studio dell’avv. Silva Gotti;
contro
il Comune di Cesenatico, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Leonardo Bernardini e dall’avv. Andrea Zavatta, ed elettivamente domiciliato in Bologna, via Romagnoli n. 30, presso l’avv. Letizia Zuccherelli;
per la condanna
dell’Amministrazione comunale al risarcimento del danno derivante dall’ordinanza prot. n. 25715 del 24 novembre 2000, annullata per effetto dell’accoglimento di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (parere Cons. Stato, Sez. II, n. 2490/2002 del 5 novembre 2003).
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Cesenatico;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Nominato relatore il dott. Italo Caso;
Uditi, per le parti, alla pubblica udienza del 25 ottobre 2012 i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Conseguita la concessione edilizia n. 134/97 in data 30 luglio 1997 per un intervento di ampliamento e ristrutturazione di edificio destinato a “casa albergo” per anziani e ottenuta successivamente l’autorizzazione ad una variante in corso d’opera (atto prot. n. 18148 del 31 agosto 1998), la società ricorrente non completava i lavori entro il 23 settembre 2000, data di prevista scadenza della validità del titolo abilitativo. A sèguito di ciò, il Comune di Cesenatico, richiamando la circostanza dell’essere decaduta la concessione edilizia a quella data, prima diffidava la ditta dall’eseguire ulteriori lavori (nota prot. n. 23742 del 24 ottobre 2000), poi ingiungeva alla stessa la demolizione delle opere realizzate dopo la decadenza del titolo (ordinanza prot. n. 25715 del 24 novembre 2000). Proposto ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, il Consiglio di Stato esprimeva parere favorevole all’accoglimento, nella considerazione che la sospensione dei lavori a suo tempo disposta dal Servizio provinciale Difesa del suolo di Forlì (per esigenze legate all’osservanza della normativa in materia di costruzioni in zona sismica) avesse determinato la temporanea inefficacia, per factum principis, del termine per l’ultimazione dell’intervento e che non potesse quindi ritenersi decaduta la concessione edilizia alla prevista data del 23 settembre 2000 (parere n. 2490/2002 del 5 novembre 2003), con la conseguenza che il ricorso veniva accolto (d.P.R. 15 novembre 2004) e che ne risultavano caducati, alla luce delle considerazioni dell’organo consultivo, sia la dichiarazione di decadenza della concessione edilizia sia l’ordine di demolizione delle opere asseritamente abusive.
Lamentando il grave pregiudizio patrimoniale sofferto in ragione delle illegittime determinazioni comunali ostative al completamento dei lavori di ristrutturazione e ampliamento della propria struttura ricettiva, la ditta interessata ha adito il giudice amministrativo per ottenere il ristoro dei danni subiti; in particolare, richiama i costi affrontati per la parziale esecuzione dell’opera (complessivi € 381.597,92), il mancato utile di impresa nel successivo triennio di attività (complessivi € 212.263,78), il mancato incremento del valore dell’immobile (€ 2.000.000,00). Di qui la richiesta di condanna del Comune di Cesenatico al risarcimento dei danni nella misura di € 2.593.861,70, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi legali.
Si è costituito in giudizio il Comune di Cesenatico, resistendo al gravame.
All’udienza del 25 ottobre 2012, ascoltati i rappresentanti delle parti, la causa è passata in decisione.
Muovendo dalle ragioni che hanno indotto il Consiglio di Stato ad esprimere il parere che il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica dovesse essere accolto, il Collegio rileva come alla base della pronuncia sia l’esplicita adesione a quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui, se anche l’istituto giuridico della decadenza della concessione edilizia, per mancato completamento dei lavori entro il termine di cui all’art. 4 della legge n. 10 del 1977, assume carattere esclusivamente oggettivo perché si fonda sul mero decorso del tempo previsto, vi fanno tuttavia eccezione i casi di sospensione o proroga connessi a factum principis, forza maggiore o ad altre cause espressamente contemplate dalla legge, non riferibili alla condotta del titolare della concessione e assolutamente ostative ai lavori, le quali producono l’effetto di prolungare automaticamente il tempo massimo stabilito per l’esecuzione delle opere; pertanto, ai fini della dichiarazione di decadenza del provvedimento per omessa ultimazione dell’intervento edilizio nel termine in esso previsto, non deve essere computato il periodo di tempo in cui, ad esempio, un atto inibitorio della stessa Amministrazione comunale o di altra Autorità amministrativa ha temporaneamente reso inefficace il titolo abilitativo, anche senza un provvedimento di proroga del termine e senza una richiesta in tal senso da parte dell’interessato, richiesta invece necessaria nel solo caso in cui la rilevanza obiettiva delle ragioni da addursi a suffragio della stessa può essere valutata unicamente dalla parte richiedente (quali eventi straordinari di carattere naturale) e poi apprezzata nella sua effettiva consistenza ostativa dall’Amministrazione comunale, la quale è in questa ipotesi – e solo in questa – tenuta a provvedere in merito (v., in simili termini, Cons. Stato, Sez. V, 6 ottobre 1999 n. 1338; TAR Campania, Salerno, Sez. II, 6 aprile 2012 n. 646; TAR Calabria, Reggio Calabria, 20 aprile 2010 n. 420; TAR Lazio, Sez. II, 24 novembre 2004 n. 13996).
Da tale impostazione (cui il Collegio deve evidentemente attenersi nel pronunciare sulla conseguente domanda risarcitoria) consegue che, per avere la ricorrente ammesso che la sospensione dei lavori a suo tempo disposta dal Servizio provinciale Difesa del suolo di Forlì era durata trenta giorni (così come attestato anche dalla nota del 24 ottobre 2000 del Responsabile di quell’unità operativa), il termine di scadenza della concessione edilizia doveva ritenersi automaticamente differito dal 23 settembre al 23 ottobre 2000, data entro la quale la ditta avrebbe dovuto completare le opere, a fronte della decadenza del titolo edilizio che ne scaturiva. Diviene allora irrilevante la questione della mancata adozione da parte dell’Amministrazione comunale di un atto che provvedesse in ordine alla proroga della concessione edilizia, essendo evidente che, per essere intervenuto durante il periodo di validità del titolo un atto amministrativo temporaneamente preclusivo dell’esecuzione dei lavori e quindi con effetto di sospensione dei termini ivi previsti (factum principis), la nuova scadenza per l’ultimazione delle opere non richiedesse un provvedimento ad hoc dell’ente locale. E, d’altra parte, a seguire il diverso indirizzo secondo cui il termine di durata del titolo edilizio non può mai intendersi automaticamente sospeso – essendo sempre necessaria, a tale fine, la presentazione di una formale istanza di proroga, cui deve comunque seguire un provvedimento da parte della stessa Amministrazione che ha rilasciato il titolo abilitativo onde appurare in questa sede l’impossibilità del rispetto del termine –, il Consiglio di Stato avrebbe dovuto accertare se una formale richiesta di proroga fosse stata effettivamente presentata dalla ricorrente prima della scadenza del titolo (circostanza di cui non v’è peraltro prova nel presente giudizio) e, in caso negativo, proporre il rigetto del ricorso straordinario, mentre nessun riferimento a tale eventuale richiesta emerge dal parere dell’organo consultivo ed anzi le conclusioni dello stesso appaiono chiare nel prescinderne.
Tanto premesso, il vaglio della pretesa risarcitoria impone a questo punto al Collegio la verifica della sussistenza degli elementi costitutivi del fatto illecito, verifica che, come si è detto, deve necessariamente tenere conto delle ragioni sottese all’accoglimento del ricorso straordinario, così come appena illustrate.
Orbene, alla luce delle suindicate precisazioni, difetta sicuramente nella fattispecie il nesso di causalità, il che è sufficiente per escludere la risarcibilità del danno lamentato. Se è vero, infatti, che in linea generale la condotta risulta produttiva dell’evento dannoso solo qualora si accerti che essa ha posto in essere una condizione senza la quale l’evento non si sarebbe verificato, occorre riconoscere che nel caso di specie non costituisce situazione idonea ad addebitare all’ente resistente la causazione del pregiudizio patrimoniale lamentato la circostanza che l’Amministrazione comunale avesse omesso di disporre la proroga del termine di durata della concessione edilizia e avesse con atto del 24 ottobre 2000 diffidato la ricorrente dall’eseguire ulteriori lavori ascrivibili al titolo abilitativo decaduto il 23 settembre: il termine di scadenza della concessione edilizia, come si è detto, era stato automaticamente differito al 23 ottobre 2000, sicché l’interessata, senza dover attendere un assenso dell’Amministrazione, ben avrebbe potuto proseguire i lavori e completare l’intervento in un tempo che complessivamente veniva a corrispondere a quello in origine previsto, mentre il provvedimento inibitorio del 24 ottobre, seppur erroneamente riferito all’iniziale scadenza del titolo edilizio, è intervenuto solo quando il nuovo termine era oramai decorso e non ha quindi in concreto concorso a determinare il danno denunciato, imputabile in definitiva alla sola condotta della ricorrente; né, del resto, contraddice simili conclusioni il fatto che in sede di ricorso straordinario si siano annullate sia la dichiarazione di decadenza del titolo abilitativo sia l’ingiunzione di demolizione delle opere abusive, in quanto il primo atto è stato censurato per avere ricondotto al 23 settembre 2000 la scadenza di una concessione edilizia in realtà interessata da una proroga automatica del termine di durata, e il secondo atto è stato annullato per avere indistintamente assoggettato alla misura repressiva tutte le opere eseguite dopo il 23 settembre (con conseguente obbligo dell’Amministrazione comunale di correggere le proprie precedenti determinazioni e di accertare eventuali abusi in relazione alla nuova automatica scadenza del titolo edilizio).
In conclusione, il ricorso va respinto.
La peculiarità della vicenda giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio del 25 ottobre 2012, con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Calvo, Presidente
Sergio Fina, Consigliere
Italo Caso, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)