* VIA, VAS E AIA – AIA – Immissioni olfattive – Ordinamento interno – Previsione di valori limite di immissione – Assenza – Riferimento alle soglie di tossicità fissate dall’EPA – Diniego dell’AIA – Legittimità.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Friuli Venezia Giulia
Città: Trieste
Data di pubblicazione: 2 Gennaio 2013
Numero: 2
Data di udienza: 28 Novembre 2012
Presidente: Zuballi
Estensore: Di Sciascio
Premassima
* VIA, VAS E AIA – AIA – Immissioni olfattive – Ordinamento interno – Previsione di valori limite di immissione – Assenza – Riferimento alle soglie di tossicità fissate dall’EPA – Diniego dell’AIA – Legittimità.
Massima
TAR FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. 1^ – 2 gennaio 2013, n. 2
VIA, VAS E AIA – AIA – Immissioni olfattive – Ordinamento interno – Previsione di valori limite di immissione – Assenza – Riferimento alle soglie di tossicità fissate dall’EPA – Diniego dell’AIA – Legittimità.
E’ legittimo il diniego opposto al rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale, ove l’ARPA per l’ipotesi in cui l’ordinamento interno non preveda, per determinate sostanze, valori limite di immissione, abbia fatto riferimento alla soglia di tossicità fissata dall’EPA (U.S. Environmental Protection Agency): segnatamente, il fatto che legge nazionale non prevede valori limite per le immissioni olfattive, non consente di tollerare, in applicazione del principio comunitario di precauzione, un significativo e perdurante scostamento dalla soglia di tossicità EPA (nella specie, per il parametro ammoniaca), corrispondente agli standard tecnico-scientifici internazionalmente riconosciuti.
Pres. Zuballi, Est. Di Sciascio – Società Agricola C. (avv.ti Zanchettin e Sbisa’) c. Regione Friuli-Venezia Giulia (avv. Di Danieli), Asl 6 (avv. Colò), Comune di Caneva (avv.ti Cittolin e Mazzero) e altri (n.c.)
Allegato
Titolo Completo
TAR FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. 1^ – 2 gennaio 2013, n. 2SENTENZA
TAR FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. 1^ – 2 gennaio 2013, n. 2
N. 00002/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00083/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 83 del 2012, proposto da:
Societa’ Agricola Castello S.S. di Marco Palu e C., rappresentato e difeso dagli avv. Maurizio Zanchettin, Giuseppe Sbisa’, con domicilio eletto presso Giuseppe Sbisa’ Avv. in Trieste, via Donota 3;
contro
Regione Friuli-Venezia Giulia, rappresentato e difeso per legge dall’avv.to Gianna Di Danieli, domiciliata in Trieste, piazza Unita’ D’Italia 1; Arpa del Friuli Venezia Giulia Dipartimento Provinciale di Pordenone, Provincia di Pordenone, Conferenza dei Servizi; Asl n. 6 – Friuli Occidentale, rappresentato e difeso dall’avv. Vittorina Colo’, con domicilio eletto presso Segreteria Generale T.A.R., Comune di Caneva, rappresentato e difeso dagli avv. Cristina Cittolin, Luca Mazzero, con domicilio eletto presso Paolo Parolin Avv. in Trieste, via Marconi 8;
e con l’intervento di
ad opponendum:
Comitato Salvaguardia Dietro Castello, rappresentato e difeso dagli avv. Marco Rebecca, Primo Michielan, Andrea Michielan, Gianni Sadar, con domicilio eletto presso Gianni Sadar Avv. in Trieste, via Filzi 8;
per l’annullamento
-del decreto della Direzione Regionale Ambiente, Energia e Politiche, n. 194, prot. STINQ-PN/AIA/33, dd. 2.2.2012, avente ad oggetto il diniego all’autorizzazione integrata ambientale (AIA) per l’adeguamento alle disposizioni del decreto legislativo 152/2006, del funzionamento di un impianto di cui al punto 6.6 lettera a) dell’Allegato VIII, alla parte seconda, del decreto legislativo 152/2006 (impianti per l’allevamento intensivo di pollame con più di 40.000 posti pollame);
-del verbale della Conferenza dei Servizi dd. 20.9.2011;
-della nota dd. 14.2.2012, prot. n. 6209 della Direzione del Servizio Reg.le competente;
-per il risarcimento dei danni patiendi a seguito dell’adozione degli atti impugnati;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Friuli-Venezia Giulia e di Asl 106 – Friuli Occidentale e di Comune di Caneva;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 novembre 2012 il dott. Enzo Di Sciascio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La società ricorrente, attuale proprietaria del compendio aziendale sito in Caneva e del fondo di oltre mq 30.000, su cui insistono 4 capannoni per mq 7200 di superficie coperta, vi ha installato, già nel 2007, un allevamento avicolo, oltre alla casa di abitazione del custode e pertinenze varie.
Detto compendio è stato acquistato nel 2003, quando era stata variata la destinazione urbanistica di zona da “zona agricola mista E7” a “zona E4 agricolo paesaggistica di ambito collinare” che si prefiggeva l’obiettivo del massimo contenimento della pressione insediativi a carattere residenziale.
La nuova normativa di piano non consentiva l’insediamento di nuovi allevamenti a carattere industriale e consentiva invece, per quelli esistenti, solo opere di manutenzione.
Tale variante è stata impugnata nel 2003 dalla società con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, accolto il 15.6.2009.
Si sono poi succedute negli anni onerose opere di manutenzione, per l’eliminazione dell’amianto e lavori di ammodernamento.
A seguito dell’entrata in vigore dei D. Lgs. 59/2005 e del D. Lgs. 152/2006 (c.d. Codice dell’ambiente, sostitutivo del precedente) la società ricorrente, in quanto esercita un’attività di allevamento di pollame per oltre 40.000 capi, ha presentato domanda di autorizzazione integrata ambientale in data 29.3.2007, decisa negativamente appena in data 2.2.2012 con l’atto impugnato.
In tesi tale abnorme ritardo si spiegherebbe più per la considerazione delle lamentele dei residenti attorno all’allevamento che per oggettive deficienze nella conduzione dell’attività, che non è stata, del resto, messa in dubbio dalle autorità interessate, che invece hanno ritenuto come ostativi al rilascio della chiesta autorizzazione le immissioni di polveri e odori che si verificano, nel corso dell’anno, al termine di ognuno dei quattro o cinque cicli di allevamento, mentre per il resto non si verificherebbero inconvenienti di sorta.
Inoltre, nel corso della conferenza dei servizi, come risulta dai relativi verbali e dal provvedimento conclusivo, non risultano provate violazioni alle tecniche o alle normative vigenti. Solo da parte dell’ARPA si è illegittimamente sostenuta l’applicabilità di una normativa degli Stati Uniti d’America (E.P.A) in tema di ammoniaca, mentre non esisterebbe sul punto normativa italiana o europea di riferimento.
In ogni caso la Conferenza dei servizi si è conclusa negativamente con verbale 20.9.2011, che non solo è stato anch’esso impugnato, ma ha provocato alcune osservazioni della ricorrente alla Regione, di cui la prima, inoltrata entro il termine previsto dall’art. 10 bis della L. n. 241/90, in data 28.9.2011 e la seconda, in data 19.12.2011, che, prendendo spunto dalla disponibilità manifestata dall’amministrazione comunale di Caneva per una diversa dislocazione dell’allevamento in un sito alternativo, la quale non risulta allo stato possibile per l’indisponibilità di un’area con idonea classificazione urbanistica, proponeva la variazione gestionale del medesimo insediamento avicolo per passare dall’attuale allevamento di polli da carne a quello di pollastra della gallina pesante (uova da cova).
Peraltro il procedimento, dopo l’acquisizione delle ulteriori determinazioni delle amministrazioni interessate in ordine alle controdeduzioni della ricorrente al preavviso di rigetto, presentate in data 13.10.2011, si concludeva con l’impugnato provvedimento del Direttore del servizio per la tutela da inquinamento, con cui anche tale istanza della ricorrente veniva rigettata, con conseguente rovina dell’azienda.
Di conseguenza la ricorrente deduce i seguenti motivi:
1) Difetto di motivazione in ordine alle osservazioni da essa proposte
Fra le numerose osservazioni proposte si dà atto, nel decreto impugnato, di quelle che riguardano il verbale della conferenza dei servizi dd. 20.9.2011, presentate dopo la notifica del preavviso di rigetto, ex art. 10 bis L. n. 241/90 in data 13.10.2011, mentre invece, inspiegabilmente, di quelle proposte successivamente, ma comunque ben prima dell’atto impugnato, rispettivamente in data 10.12.2011, 20.12.2011 a firma del legale rappresentante della società, e 20.12.2011 a firma del consulente, si dà atto solo del ricevimento della prima, riscontrata dal Direttore competente, autore del decreto impugnato per primo, con l’atto impugnato per ultimo, mentre non risultano riscontrate le altre due osservazioni, come ben si sarebbe dovuto e potuto fare, anche con un lieve ritardo della decisione finale, in un procedimento durato così tanti anni.
Non troverebbe invece alcuna giustificazione non aver risposto alle proposte dell’azienda, che apparirebbero connotate da serietà, e che si proponevano di venire incontro alle lamentele degli abitanti delle case circostanti con il mutamento del tipo di allevamento con altro, meno impattante, né sarebbe accettabile il diniego ad un’autorizzazione condizionata – qual è quella temporanea – istituto di larga e generale applicazione, anche se non espressamente previsto nella normativa, in quanto idoneo a coniugare la tipicità dell’atto con la concreta particolare situazione, del tutto idoneo a verificare la possibilità di dislocare altrove l’azienda.
Per quanto riguarda la nota del 13.10.2011 dal decreto impugnato risulta che il Comune di Caneva, l’ARPA e l’ASS n. 6 si siano limitate a richiamare le valutazioni esposte nella Conferenza dei servizi, violando la L. n. 241/90, che obbliga a una espressa considerazione, in sede di contraddittorio procedimentale, delle argomentazioni che risultano dalle osservazioni proposte dagli interessati, e non alla mera ripetizione di quanto già espresso in precedenza, non trattandosi, nel caso di specie, di attività vincolata ma discrezionale.
Inoltre appare impropria e insufficiente la motivazione della Regione a detta osservazione, non potendosi dedurre che la mancata espressa previsione, nelle norme regolatrici della fattispecie, di un’autorizzazione integrata ambientale temporanea, non consenta di adottare misure che consentano di raggiungere lo scopo di risolvere i problemi derivanti dall’emissione di polveri e dall’odore di ammoniaca, scaglionandole nel tempo, in mancanza di soluzioni immediate, diverse dalla chiusura sic et simpliciter dello stabilimento.
2) Violazione di legge e difetto di motivazione
Al momento di presentazione della domanda di rilascio dell’AIA vigeva ancora il D. Lgs n. 59/2005, che è stato abrogato soltanto con l’art. 4 del D. Lgs. 29.6.2010 n. 128 con l’espressa previsione, all’art. 4, 5° comma, che “Le procedure di VAS, VIA ed AIA iniziate precedentemente all’entrata in vigore del presente decreto sono concluse ai sensi delle norme vigenti al momento dell’avvio del procedimento”.
La procedura in esame risulta pertanto ancora regolata dal D. Lgs. n. 59/2005 che, all’art. 5, 10° comma, prevede la convocazione di apposita conferenza dei servizi c.d. istruttoria, ai sensi della L. n. 241/90, in cui la Regione acquisisce i pareri delle amministrazioni interessate ma poi, ai sensi del successivo 12° comma, è essa che rilascia o nega la chiesta autorizzazione, determinandosi autonomamente rispetto a quanto emerso in detta conferenza.
Nel caso di specie, invece, l’impugnato diniego è stato motivato con il parere negativo espresso dalla Conferenza dei servizi in ordine alla incompatibilità dell’azienda rispetto alle abitazioni circostanti.
Non sono state prese in considerazione, salvo che per quanto riguarda il diniego opposto all’autorizzazione ad tempus, le varie osservazioni proposte dalla società ricorrente prima della determinazione finale, oggetto di gravame, né per quanto riguarda la situazione dei luoghi sotto il profilo urbanistico, sia il rilevo negativo dell’ARPA sulle emissioni di ammoniaca, misurate secondo criteri in uso negli Stati Uniti, ma non vigenti nello Stato e nella Comunità europea.
La relativa motivazione appare insufficiente, perché non avrebbe potuto non essere valutata la possibilità di contemperamento delle opposte esigenze, che avrebbe potuto portare anche all’imposizione di prescrizioni per l’abbattimento di polveri e odori, rispettando le c.d. MTD o BAT.
Sarebbe antieconomico gestire un impianto con non più di 40.000 polli a ciclo, mentre l’accoglimento della proposta di modifica della tipologia di allevamento, avanzata ben prima della negativa conclusione del procedimento, avrebbe rispettato il D. Lgs. n. 59/2005 non determinando alcuna modifica sostanziale dell’impianto, richiedendo un numero di soggetti allevati minore per ciclo (da 120.000 a 70.000) e così si sarebbero ridotte le emissioni di polveri e odori.
3) Illegittimità derivata dalle determinazioni delle autorità partecipanti alla conferenza
La decisione negativa impugnata sarebbe stata emessa in conformità ai pareri negativi del Comune di Caneva, della ASS n. 6 e dell’ARPA, che sarebbero a loro volta illegittimi e vizianti, di conseguenza, il provvedimento finale.
4) Illegittimità per violazione di legge, difetto di motivazione e travisamento del fatto
Il Comune di Caneva avrebbe dovuto, ai sensi dell’art. 5, 11° comma, del D. Lgs. n. 59/2005 fornire alla Conferenza dei servizi, che ha l’obbligo di acquisirle, “le prescrizioni del Sindaco di cui agli artt. 216 e 217 del R.D. 27.7.1934 n. 1265”.
Invece è stata fornita la nota n. 13968 dd. 14.9.2011 del Responsabile di area, il quale, a sua volta, richiama la nota dell’Ufficio ambiente, già inviata all’ARPA in data 30.8.2011, con cui si segnalavano le proteste dei cittadini per “polveri e odori molesti” su cui, date le diverse opinioni da essi fornite, si invitava l’ARPA a fare chiarezza, contattando i cittadini stessi.
Tali note, fra l’altro disattese in sede di Conferenza dei servizi, non potrebbero quindi essere fatte passare per le prescrizioni che avrebbero dovuto essere fornite dal Comune.
La conclusione che tale ente trae, secondo cui non sussisterebbero le condizioni per il rilascio dell’A.I.A. alla ricorrente, sarebbero pertanto immotivate in relazione alle competenze comunali.
A sua volta l’ASS n. 6, che si rifà a proprie indagini ambientali svolte nel corso degli anni, constata l’esistenza di un impatto in termini di odori e polveri, che ha un andamento periodico in corrispondenza delle fasi finali del ciclo di crescita dei polli e durante le operazioni di carico della pollina, che provoca consistente polverosità, provocando un odore tipico che, in alcune giornate è chiaramente percepibile all’esterno in corrispondenza delle abitazioni limitrofe.
Nota peraltro che la gestione dell’allevamento avviene secondo la MTD prevista dal DM 29.1.2007 e che vengono adottati tutti gli accorgimenti per mantenere asciutta la lettiera e ridurre quindi la generazione di odori.
Peraltro le abitazioni si trovano in posizione sfavorevole rispetto all’allevamento, poiché la vicinanza e la posizione rispetto alla direzione del vento favoriscono la percezione di odori tipici dell’allevamento in corrispondenza delle stesse.
Andrebbe peraltro notato che la polverosità si verifica soltanto al momento dello scarico della pollina mediante pala meccanica, quando essa viene lasciata cadere sui camion per essere asportata. Tali operazioni, peraltro si verificherebbero a fine ciclo e i cicli di allevamento sono al più 4 o 5 nel corso dell’anno, onde il fenomeno si verifica con frequenza molto bassa e sarebbe attenuato con l’accorgimento, non proposto dall’ASS, di bagnare il materiale prima di movimentarlo e di coprire i cassoni, lasciando aperto solo lo spazio necessario per il carico, onde non si tratterebbe di un problema irrisolvibile.
Indubbiamente sussisterebbe – né potrebbe essere diversamente – “l’odore tipico dell’allevamento di polli” che è “chiaramente percepibile…in corrispondenza delle abitazioni limitrofe”.
Considerando peraltro che si sta trattando di un allevamento esistente da quasi trent’anni non in zona residenziale, ma in aperta campagna, con venti che cambiano direzione nel corso della stessa giornata, la Conferenza avrebbe dovuto tener conto della situazione in modo oggettivo, tanto più quando l’ASS riconosce che l’allevamento è condotto in modo esemplare, secondo le migliori tecniche disponibili, e che le polveri e gli odori si verificano in modo saltuario.
La situazione avrebbe dovuto pertanto essere risolta dettando prescrizioni e cautele e non con l’atto impugnato, tanto più che l’ASS solo un mese prima della conferenza ha concesso un nulla osta provvisorio e in deroga ad allevare pollame con densità superiore a 33 Kg/mq.
Inoltre avrebbe dovuto tenersi conto anche della situazione di disagio derivante dalla errata collocazione urbanistica delle abitazioni rispetto all’allevamento e indicare un contesto territoriale in cui ricollocare quest’ultimo, favorendone così lo spostamento.
Peraltro esso non sarebbe possibile nel Comune di Caneva, non essendoci disponibilità sul piano urbanistico, ed essendo l’operazione troppo costosa sul piano economico finanziario, sia per i costi di nuova costruzione e spostamento sia per l’impossibilità di sfruttare economicamente l’area così liberata.
Del resto la Provincia di Pordenone, con nota dd. 19.9.2011, limitandosi alla propria competenza in materia alle emissioni in atmosfera onestamente ammette che l’unico mezzo possibile sarebbe l’applicazione delle BAT nella gestione dell’allevamento.
Di tali considerazioni, peraltro, pur allegate al relativo verbale, non si troverebbe traccia nei lavori della Conferenza dei servizi e nel provvedimento impugnato.
5) Violazione di legge, carenza e perplessità della motivazione, travisamento di fatto
Mentre si può condividere l’inizio della nota dell’ARPA dd. 20.9.2011, in cui si dà atto di un progressivo miglioramento dell’attività industriale che, anche se correttamente effettuata, determina inevitabilmente la diffusione nell’ambiente di odori molesti e polveri, non altrettanto si può dire per le considerazioni che seguono.
Innanzitutto appare ultroneo e fuorviante il richiamo alle “Linee guida della Regione Piemonte” a dimostrare che né lo Stato né la Regione Friuli Venezia Giulia hanno provveduto a disciplinare la fattispecie. Tale documento peraltro esplicitamente afferma che gli allevamenti suinicoli e avicoli generano odori molesti e, per quanto li riguarda, l’unico intervento efficace è di carattere preventivo, consistente nell’evitare di collocarli vicino alle case. Nel presente caso si sono collocate case a meno di 30 metri dall’allevamento della ricorrente.
Inoltre il rispetto delle migliori tecniche disponibili (BAT o MTD) deve riferirsi a tecniche esistenti nello Stato, senza che vengano surrettiziamente introdotte spulciando nelle legislazioni di altri Paesi.
Invece l’ARPA prende a riferimento la normativa degli Stati Uniti d’America, relativamente al parametro ammoniaca, per una conclusione fondamentale, cioè addirittura per evincerne l’incompatibilità dell’attuale collocazione dell’Azienda con l’adiacente zona residenziale, in alternativa alla collocazione in altra sede dell’impianto industriale in un’area da indicare dal Comune di Caneva.
Per contro delle analisi serie, condotte sullo stesso allevamento dal Dipartimento di Chimica dell’Università di Pavia ne 2006 e nel 2008 non avevano segnalato incompatibilità con la vigente normativa italiana.
Sarebbe pertanto del tutto illegittima la valutazione dell’ARPA, dal momento che le BAT e le MTD da utilizzare a norma dell’art. 4 del D. Lgs. n. 59/2005 ai fini del rilascio dell’AIA sono soltanto quelle emanate daL Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, previa istruttoria tecnica.
Al di fuori di tali disposizioni le autorità pubbliche non possono operare se non in violazione di legge.
Un tanto è stato rilevato dalla competente ASS, che ha ricordato nelle MTD la fonte normativa di riferimento per valutare la gestione dell’allevamento.
6) Difetto di motivazione e travisamento dei fatti
Erroneamente l’ARPA qualificherebbe la zona, in cui è ubicato l’allevamento, come residenziale, mentre essa è stata sempre classificata come agricola, dove, a norma del PUR, non doveva essere incentivata la residenzialità, trattandosi della bassa collina friulana, in cui l’edilizia doveva essere collegata alle esigenze dell’imprenditore agricolo. Parlare quindi, come si fa negli atti impugnati, di zona residenziale sarebbe un palese travisamento dei fatti.
Invero la giurisprudenza del Consiglio di Stato, trattando di provvedimenti igienico sanitari negativi nei confronti di allevamenti ha sempre imposto di accertare quali fossero gli insediamenti esistenti per primi e, nel caso di specie, si sarebbe in grado di provare l’anteriorità dell’allevamento qui in discussione.
Anche la Regione, uniformandosi all’ARPA, là dove parla di “adiacente zona residenziale” sarebbe incorsa nello stesso travisamento.
DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Il Collegio ritiene, doverosamente applicando l’obbligo di sinteticità degli atti, di cui all’art 3 CPA, di raggruppare, nella motivazione, il suo giudizio sulle censure, che si fondano su elementi in tutto o in parte comuni.
Vanno pertanto esaminati congiuntamente i motivi che lamentano la mancata adozione di una autorizzazione integrata ambientale “ad tempus” o condizionata, o dedicata a un diverso tipo di allevamento, con modifica del numero dei capi o del tipo di animali allevati, o contrastano il riferimento alle linee guida dell’E.P.A., vigenti soltanto negli Stati Uniti, per trarne la conseguenza che il diniego dell’A.I.A. è illegittimo e che lo spostamento dell’azienda in altra sede, in quella sede stabilito, non è necessario, potendo la situazione rilevata essere rimediata con altri mezzi.
Allo scopo non sarà inutile ripercorrere la vicenda penale, che ha interessato la società ricorrente e che solo in tempi assai recenti si è conclusa. Dato che si ritiene che da essa, le cui conclusioni sono più volte richiamate dalle parti resistenti, possano essere tratti elementi utili anche nel presente giudizio amministrativo.
E’ opportuno prendere le mosse proprio da questa ultima contestazione, introdotta in questa sede dall’ARPA, che ha osservato di aver disposto indagini ambientali negli anni 2003, 2004, 2005, 2007 e 2008 e numerosi sopralluoghi, di cui l’ultimo in data 15.9.2011, dalle quali risulta che la soglia di accettabilità del parametro ammoniaca, fissato dall’E.P.A. – Agenzia dell’ambiente degli Stati Uniti d’America viene superata anche del 100%.
Tali dati vengono contestati dalla ricorrente azienda, sostanzialmente sotto il profilo della loro irrilevanza, provenendo da autorità diversa da quella nazionale e da quella europea.
In proposito va rilevata la diversa prospettiva, in cui si muove la vicenda penale, di cui sopra si è discorso.
Nel processo, poi concluso con sentenza del Tribunale di Pordenone n. 801 del 2009, emessa nei confronti degli amministratori di detta società per il reato di cui all’art. 647 C.P. perché nella loro “attività di conduzione di allevamento avicolo provocavano, in casi non consentiti dalla legge, emissioni di polveri ed effluenti gassosi, provenienti dai capannoni destinati ad attività d’impresa, atti ad offendere o molestare le persone dimoranti nelle vicinanze dell’impianto…permanenza in atto” è stato chiamato a testimoniare al processo un responsabile tecnico dell’ARPA in ordine alle emissioni di ammoniaca provenienti dall’allevamento e rilevate fin dal 2005.
Egli ha, fra l’altro affermato che “in base ai criteri elaborati dall’EPA (Agenzia per l’ambiente americana) il valore limite di ammoniaca giornaliero è fissato in 100 microgrammi/mc dunque una soglia che doveva ritenersi superata in varie giornate” aggiungendo quindi che “l’attività da allevamento di polli sia da indicare come fonte delle molestie olfattive.”
Ha aggiunto che “anche nel 2007 si era proceduto ad un’ulteriore fase di monitoraggio accertando…(che) per il parametro ammoniaca nell’aria si riscontravano…punte di concentrazione di ammoniaca, che raggiungevano anche 219 microgrammi/mc quale media settimanale” così superando “il limite EPA dei 100 microgrammi/mc per ben 8 settimane, ossia in una percentuale del 22% del tempo”.
Lo stesso C.T. della difesa ha confermato che “l’EPA è…uno degli enti al mondo più qualificati” e che “il parametro dei 100 microgrammi al metro cubo è riconosciuto da vari stati americani come limite di tossicità dell’ambiente, ossia a titolo cautelativo rispetto a effetti tossici cronici (irritazione delle vie respiratorie e degli occhi, tosse e mal di gola)”.
Il processo si è concluso con la condanna di alcuni amministratori e la declaratoria di prescrizione per altri, ormai da tempo cessati dalla carica.
La sentenza è stata impugnata dinanzi alla Corte d’Appello di Trieste, la quale, riassumendo e confermando le risultanze acquisite in primo grado ha sottolineato, per quanto qui interessa, che “ per ben due mesi (otto settimane su trentacinque di rilevamento) risulta inoltre superata la soglia di 100 mc/Mc fissata come soglia di allerta dall’Agenzia Statunitense per l’ambiente (EPA) di talché è d’uopo trarne la conclusione, al contrario della valutazione che di tali relazioni fa la difesa, che per il 22% del tempo di rilevazione non solo le emissioni hanno superato il limite di salubrità dell’aria, ma esse hanno travalicato significativamente la soglia di tossicità fissata dall’EPA.”
Infine, a seguito di ulteriore ricorso, con sentenza dd. 26.9.2012 n. 3707, intervenuta nelle more del presente giudizio, la Corte di Cassazione, Sez. III Penale, ha confermato sul punto la sentenza d’appello.
Dopo aver premesso che “precisa la difesa che erano state prodotte in udienza le domande presentate dall’azienda agricola per ottenere l’autorizzazione integrata ambientale e le relazioni di analisi delle emissioni in atmosfera eseguite da un laboratorio specializzato, dalle quali risultava che i valori di emissione erano inferiori ai valori – limite” constata, al contrario che “l’odore di ammoniaca nell’aria, dovuto alle deiezioni degli animali è stato riconosciuto distintamente da una pluralità di soggetti…l’ammoniaca era, come accertato dall’Agenzia regionale per l’ambiente, presente in più momenti nell’aria in concentrazioni assai rilevanti…con specifico riferimento alla concentrazione di ammoniaca rilevata, la sentenza impugnata afferma, richiamando quanto già ampiamente accertato dal Tribunale, che nelle postazioni di rilevamento, per tutti i giorni delle misurazioni, sono state riscontrate concentrazioni medie di ammoniaca, che inducono a ritenere che l’attività di allevamento sia la fonte delle molestie olfattive lamentate dai residenti; con la conseguenza che, per il 22% del tempo di rilevazione, le immissioni hanno superato i limiti di salubrità dell’aria e hanno travalicato significativamente la soglia di tossicità corrispondente agli standard tecnico – scientifici internazionalmente riconosciuti…quanto alla sussistenza del reato la motivazione in questione risulta, dunque, pienamente sufficiente e logicamente coerente”.
La Corte, di conseguenza, respinge la richiesta di rinnovazione parziale dell’istruttoria “perché la Corte d’Appello…ha puntualmente rilevato che tale rinnovazione appare nella specie superflua, alla stregua dell’esaustività della documentazione in atti e delle deposizioni raccolte”.
Per completezza va soggiunto che la Corte nega che l’ordinamento preveda determinati valori limite per le immissioni olfattive, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 C.C. per configurare il reato ex art. 647 C.P., nella specie contestato agli imputati.
Il Collegio ha inteso ricordare i principali passaggi della vicenda penale, almeno per quanto riguarda le emissioni di ammoniaca, vertendo altresì la condanna degli imputati anche sulla minore vicenda della diffusione di odori molesti, per sottolineare che, in quella sede, sulla base fondamentalmente della deposizione di un dirigente dell’ARPA, si è giunti a sancire, non solo che le emissioni dell’azienda eccedenti la normale tollerabilità costituiscono reato, ma anche – e questo è l’elemento più notevole in questa vicenda processuale – è il fatto che, in uno Stato come l’Italia, dove, come osservano, sia il Tribunale che la Corte d’Appello e la Cassazione, non vi sono limiti fissati dalla legge alle emissioni moleste, qualora queste, eccedano la normale tollerabilità al punto di superare abbondantemente, fino a più del doppio, per il 22% dei tempi di rilevazione, la soglia fissata dall’EPA per il parametro ammoniaca “hanno superato i limiti di salubrità dell’aria e hanno travalicato significativamente la soglia di tossicità corrispondente agli standard tecnico – scientifici internazionalmente riconosciuti”, come si esprime la Corte di Cassazione, riecheggiando la sentenza d’appello, con statuizione che costituisce cosa giudicata.
Ne deriva che non è più lecito dubitare, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, che un significativo e perdurante scostamento dai limiti EPA possa essere consentito anche in Italia, dove tali limiti non sono stabiliti per legge, perché altrimenti si consentirebbero emissioni tossiche.
Così la Corte fa legittima, ancorché non esplicita, applicazione del principio comunitario di precauzione, mirando, al di là dell’assenza di limiti di legge, a tutelare il diritto alla salute.
Tutte le sentenze qui citate sono a disposizione del Collegio in quanto prodotte in giudizio dalle parti o da esse citate, sì che il Collegio può porle a fondamento di sue conclusioni ai sensi dell’art. 64 CPA e dell’art 654 c.p.p.
Ne consegue, ad avviso del Collegio:
– che legittimamente l’ARPA di Pordenone, che allora aveva effettuato i rilievi che hanno portato a una simile conclusione, e che ha proseguito i sopralluoghi fino a tempi recenti, si sia poi opposta, nella sede opportuna, al rilascio della richiesta autorizzazione integrata ambientale, richiamando il fatto che le sue indagini, ripetutamente reiterate “hanno messo in evidenza come la soglia di accettabilità giornaliera per il parametro ammoniaca, che l’EPA…ha fissato in 100mg/mc venga superata anche del 100% del valore indicato durante alcune fasi del ciclo di produzione” e, non trovando altra soluzione ritenga “doveroso segnalare come l’attuale situazione dell’Azienda Castello risulti incompatibile con l’adiacente zona residenziale” e che, altrettanto legittimamente, si sia ad essa associata la Regione;
– che altrettanto opportunamente l’Azienda Sanitaria n. 6, sempre richiamandosi alle indagini dell’ARPA di Pordenone è dell’avviso “ che vi è un impatto in termini di odori e polveri dovuto alle lavorazioni…tale impatto ha un andamento periodico con delle punte di criticità in corrispondenza delle fasi finali del ciclo di crescita dei polli e durante le operazioni di carico della pollina” cioè, detto altrimenti, esso si verifica sempre, ciclicamente, così che la conclusione è identica: gli enti responsabili dovranno “pensare a un contesto territoriale in cui ricollocare l’allevamento, favorendone quindi lo spostamento”.
Più o meno analoga, nel senso di auspicare una ricollocazione dell’azienda, dichiarandosi disponibile a ricercarla, è la posizione del Comune di Caneva.
Viene pertanto negata, e tale esito, ad avviso del Collegio, viste le premesse, era scontato, l’autorizzazione integrata ambientale.
Se infatti le emissioni dell’azienda ricorrente possono essere tossiche, e anzi lo sono ciclicamente, corrispondendo a determinate fasi necessarie dell’attività dell’azienda, come accertato in sede penale, non vi è spazio per le soluzioni subordinate, indicate nei motivi di gravame (autorizzazione condizionata o ad tempus, cambio di produzione ecc.) che, per giunta, o non sono previste dalla legislazione vigente o non possono considerarsi in sede di conferenza di servizi. Se l’azienda vuole modificare la sua attività o ottenere un diverso tipo di autorizzazione deve richiederlo con apposita istanza, dismettendo, nelle more, l’attività nociva alla salute dei residenti nelle case vicine, poiché si tratta di iniziare un nuovo procedimento. In ogni caso non si potrà continuare nell’attività riscontrata irretrattabilmente come dannosa.
Non può nemmeno essere fondatamente sostenuto che è sufficiente, per ottenere l’autorizzazione integrata ambientale, rispettare le BAT. Nessuno ha negato, nemmeno in sede penale, che l’allevamento sia condotto al meglio, ma tale sua conduzione non è stata in grado di evitare le conseguenze derivanti, data la vicinanza di abitazioni, dalla natura delle emissioni prodotte e dalla idoneità delle stesse ad assumere, in determinati casi, carattere tossico.
Nemmeno sono fondate le censure che si basano su una asserita preesistenza dell’azienda alle abitazioni, i cui abitanti, costituiti in comitato anche in questa sede, sopportano le emissioni dello stabilimento gestito dalla ricorrente.
Come rilevato dal Comune di Caneva l’azienda è stata rilevata dagli attuali amministratori da altra analoga preesistente, che aveva cessato l’attività, nei primi anni settanta e, a quell’epoca, la maggior parte delle abitazioni esistevano legittimamente, salvo due, che sono sorte comunque in base a regolare licenza edilizia, in virtù del piano regolatore allora vigente, poi variato nel 2002 nel senso di impedire l’attività di allevamento a carattere industriale e il subentro a tale attività.
Venendo ora alle censure di carattere formale non possono essere accolte quelle che, in relazione al procedimento per l’autorizzazione integrata ambientale, pretenderebbero risposta ad ulteriori istanze della ricorrente dopo che detto procedimento si è chiuso con il rigetto dell’autorizzazione stessa.
Appare del pari infondata la censura che ritiene illegittimo che per il Comune di Caneva, chiamato a pronunciarsi in ordine all’applicazione degli artt. 216 e 217 TULPS, la risposta sia stata fornita dal Sindaco ma dai dirigenti gli uffici.
L’argomentazione dedotta va respinta, perché in sé contraddittoria.
Invero, se si vuole seguire il dettato letterale delle norme citate, dovrebbe pronunciarsi il Podestà. Essendo i suoi poteri poi stati assunti dal Sindaco si è fatto riferimento ad esso, ma ora essi spettano ai dirigenti degli uffici competenti, onde è legittimo che gli atti relativi siano stati da essi sottoscritti.
Vanno respinte le censure svolte nei confronti del parere dell’Azienda sanitaria, sia perché sottovalutano gli effetti, da essa rilevati, nei confronti delle abitazioni vicine, sia perché ritengono sufficienti le BAT, sia perché sottovalutano la gravità della situazione, come accertata più volte in sede penale, che consiglia l’ASS a suggerire la ricollocazione dell’azienda ricorrente.
Sull’infondatezza delle censure mosse al parere dell’ARPA e al suo richiamo agli indici EPA si è già detto abbastanza sopra. Va aggiunto che la situazione urbanistica, caratterizzata da numerose abitazioni, i cui residenti si sono costituiti parte civile nelle varie fasi del processo penale e sono intervenuti in questa sede, al di là dei termini descrittivi, è stata ben esposta dal Comune di Caneva, con considerazioni sullo stato di fatto e di diritto dell’area in cui sorge lo stabilimento della ricorrente e le case circostanti, che il Collegio non può che condividere, in quanto esaustivamente documentate anche in base agli archivi comunali.
Per queste ragioni il ricorso, insieme alla richiesta risarcitoria, dev’essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna la società ricorrente al rimborso delle spese e competenze giudiziali, che liquida in € 4000 (quattromila) nei confronti della Regione Friuli Venezia Giulia, € 4000 (quattromila) nei confronti del Comitato salvaguardia dietro Castello, € 3000 (tremila) nei confronti del Comune di Caneva, € 2500 (duemilacinquecento) nei confronti dell’ASS n. 6 – Friuli Occidentale.
Nulla per le spese nei confronti del Dipartimento provinciale di Pordenone dell’ARPA, della Provincia di Pordenone e della Conferenza dei Servizi, non costituiti in giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste nelle camere di consiglio dei giorni 14 e 28 novembre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Umberto Zuballi, Presidente
Enzo Di Sciascio, Consigliere, Estensore
Oria Settesoldi, Consigliere
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)