Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Rifiuti Numero: 261 | Data di udienza: 23 Maggio 2012

* RIFIUTI – Terre e rocce da scavo – Art. 186, c. 3 d.lgs. n. 152/2006 – Opere o attivitià subordinate a DIA – Dimostrazione dei requisiti previsti per il reimpiego delle rocce e terre da scavo – Inosservanza delle regole procedurali – Terreno inquinato da sostanze estranee – Applicazione del quinto comma dell’art. 186.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Friuli Venezia Giulia
Città: Trieste
Data di pubblicazione: 27 Giugno 2012
Numero: 261
Data di udienza: 23 Maggio 2012
Presidente: Corasaniti
Estensore: De Piero


Premassima

* RIFIUTI – Terre e rocce da scavo – Art. 186, c. 3 d.lgs. n. 152/2006 – Opere o attivitià subordinate a DIA – Dimostrazione dei requisiti previsti per il reimpiego delle rocce e terre da scavo – Inosservanza delle regole procedurali – Terreno inquinato da sostanze estranee – Applicazione del quinto comma dell’art. 186.



Massima

 

TAR FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. 1^ – 27 giugno 2012, n. 261


RIFIUTI – Terre e rocce da scavo – Art. 186, c. 3 d.lgs. n. 152/2006 – Opere o attivitià subordinate a DIA – Dimostrazione dei requisiti previsti per il reimpiego delle rocce e terre da scavo – Inosservanza delle regole procedurali – Terreno inquinato da sostanze estranee – Applicazione del quinto comma dell’art. 186.

Ai sensi dell’art. 186, c. 3 del d.lgs. n. 152/2006, nel caso in cui la disciplina urbanistica preveda che per intraprendere attività od opere diverse da quelle di cui al comma 2 (nella specie: reimpiego dellla terra di scotico, sottoposta, ai sensi del REC vigente, a DIA) è necessario munirsi di DIA, la dimostrazione dei requisiti previsti per il reimpiego delle “rocce e terre da scavo” deve essere data nell’alveo di tale procedimento.  La mancata osservanza delle regole procedurali previste ed il fatto che il terreno risulti – oggettivamente e nella sua totalità – inquinato da sostanze estranee (nella specie, non essendo oramai più possibile distinguere la terra di scotico, da quella contenente i materiali inquinanti ivi rinvenuti, essendo il materiale già stato spianato sui fondi) determina la necessaria applicazione del quinto comma del menzionato art. 186, che espressamente prescrive che “le terre e rocce da scavo, qualora non utilizzate nel rispetto delle condizioni di cui al presente articolo, sono sottoposte alle disposizioni in materia di rifiuti di cui alla parte quarta del presente decreto”.


Pres. Corasaniti, Est. De Piero – Azienda agricola G. s.s. (avv. Comand) c. Comune di Tricesimo (avv. Sbisà)

 


Allegato


Titolo Completo

TAR FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. 1^ - 27 giugno 2012, n. 261

SENTENZA

 

TAR FRIULI VENEZIA GIULIA, Sez. 1^ – 27 giugno 2012, n. 261

N. 00261/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00568/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia

(Sezione Prima)
 

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 568 del 2009, proposto da:
Azienda Agricola Giovanni Dri il Roncat S.S., rappresentata e difesa dall’avv. Oliviero Comand, con domicilio eletto presso l’avv. Alessandro Giadrossi, in Trieste, via S. Caterina Da Siena 5;

contro

Comune di Tricesimo, rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Sbisa’, con domicilio eletto presso lo stesso, in Trieste, via Donota 3;

per l’annullamento

dell’ordinanza n. 65 dd. 26 agosto 2009 del Comune di Tricesimo, di ripristino dello stato di luoghi e alla rimozione di materiale depositato su fondi agricoli;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Tricesimo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 maggio 2012 il dott. Rita De Piero e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. – La ricorrente Azienda Agricola impugna l’ordinanza n. 65 del 28.8.09, emessa dal Comune di Tricesimo, di ripristino dello stato dei luoghi e rimozione di materiale depositato.

1.1. – Espone in fatto che le due Socie dell’Azienda sono proprietarie di un lotto di terreno di circa 16 ettari, coltivato in parte a vigneto in parte a uliveto. Un’ulteriore porzione è stata mantenuta a bosco, e, al suo interno, è stato realizzato un bacino di riserva idrica. Essendo intenzionate a completare la sistemazione dell’area, si munivano di un provvedimento autorizzatorio, datato 30.12.05, in virtù del quale hanno realizzato un intervento di bonifica e miglioramento agrario, con creazione di un vigneto sul fianco di una collina, previo scotico della parte superficiale del terreno e suo riutilizzo per migliorarne la pendenza. Durante l’esecuzione dei lavori, la terra veniva ammassata alla base del versante della collina.

In data 8.1.08, la Società comunicava al Comune l’intento di eseguire sui propri fondi “lavori di decespugliamento per il ripristino delle condizioni preesistenti a prato, con salvaguardia delle specie arboree pregiate e reimpianto di specie arboree autoctone”, precisando che ciò costituiva adempimento degli “impegni assunti con domanda n. 54710634251 presentata presso la Direzione Regionale dell’Agricoltura, misura F, Regolamento CE 1257/1999, per il mantenimento di elementi portanti dell’agro-sistema e del paesaggio rurale”.

Per far ciò, tuttavia, l’istante riteneva fosse previamente necessario rendere uniformi i fondi interessati, con riporto di uno strato di terreno vegetale di almeno 10 cm, utilizzando il residuo terreno di scotico non reimpiegato nei lavori già eseguiti. Di questo dava comunicazione al Comune con lettera del 28.3.08. Con nota del 22.4.08 l’Ente faceva presente che l’intervento “potrebbe essere soggetto alla presentazione di una DIA”, corredata dagli elaborati previsti dagli art. 5 e 6 del REC e dall’art. 186 del D.Lg. 152/06.

La Società, non ritenendo necessario alcun titolo, dava inizio ai lavori, incaricando tale Sandro Sommaro di trasportare la terra di cui si parla (asseritamente pari a circa 250 metri cubi) dal piede alla sommità della collina, più ulteriori 40 metri cubi di terreno vegetale acquistato dalla ditta Dominione Costruzioni s.r.l. (la cui qualità veniva certificata in data 28.10.08).

Con atto n. 90, del 14.11.08, il Comune ordinava la sospensione dei lavori (peraltro già completati). Con la successiva ord. n. 2 del 12.1.09 veniva imposta la rimozione dl materiale depositato e spianato sui fondi. Questo provvedimento veniva impugnato innanzi a questo Tribunale con ric. n. 162/09, accolto con sentenza n. 382/09, per omessa comunicazione di avvio del procedimento.

Riaperta l’istruttoria ed assunte le necessarie informazioni, il Comune ha infine emesso l’ordinanza oggetto di gravame, con la quale ha imposto la rimozione del materiale depositato. nella misura di mc. 290 “come quantificato dalla stessa Azienda Agricola”, ed il conferimento ad idoneo impianto, per asserita violazione dell’art. 186 del D.Lg. 152/06, della L.r. 5/07 e D.P.R. 380/01.

1.2. – Questi i motivi di ricorso:

1) violazione dell’art. 185, comma 1, lett. c)-bis, del D.Lg. 152/06, come risultante dalle successive modificazioni. Difetto di istruttoria, travisamento di fatto ed illogicità.

2) Violazione dell’art. 6 della Direttiva 2008/98/CE . Violazione degli artt. 1, 3, 7 e 10 della L. 241/90. Mancanza di trasparenza, carenza di motivazione; carenza di presupposti Difetto di istruttoria, travisamento di fatto ed illogicità.

2. – Il Comune, costituito, puntualmente controdeduce nel merito del ricorso, concludendo per la sua reiezione.

2.1. – In fatto, precisa che i fondi di cui si controverte, a tenore del vigente P.R.G., sono situati in zona E.1.1, di interesse agricolo-paesaggistico, per intervenire sui quali sono previste procedure particolari. Sottolinea poi che, in data 25.11.08, era stato effettuato un sopralluogo sui fondi di proprietà della Società, rinvenendovi materiale spianato su una superficie di circa m 89 x 30, di circa 20 cm di altezza, per un volume stimato di circa 480 mc., nonchè cumuli di terra da cui affioravano pezzi di asfalto e laterizi, con conseguente necessità di applicare le disposizioni sulle “terre e rocce da scavo” di cui al D.Lg. 152/06.

3. – Col primo motivo la ricorrente lamenta l’illegittima commistione delle normative edilizie e ambientali, osservando che, da un lato, si contesta la mancanza di DIA e, dall’altro, si pretende di trattare la terra di scotico e quella – certificata – acquistata da terzi (che costituiscono semplicemente “terre naturali di riporto”) come rifiuti da smaltire.

Sul punto, fa presente che l’art. 185, comma 1, lett. c) ha espressamente escluso dall’applicazione della normativa sui rifiuti “il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato”.

Col secondo, afferma che ha errato la P.A. nel ritenere che la terra distribuita sul fondo avesse, almeno in parte, una provenienza diversa da quella dichiarata. Sostiene altresì che la comunicazione di avvio del procedimento (emessa dopo la sentenza che aveva accolto il ric. n. 162/09 sul punto), ha avuto solo valore formale. Infine rammenta che la direttiva 2008/98/CE, all’art. 6, dispone che taluni rifiuti, in determinate circostanze, cessano di essere tali, se sottoposti ad operazioni di recupero e se soddisfano alle condizioni ivi riportate. Conclude affermando che appare “inverosimile che la Società ricorrente abbia voluto utilizzare la terra ottenuta nell’ambito del proprio fondo, acquistare con 40 metri cubi di terra certificata, per poi mischiare il tutto a rifiuti provenienti da chissà dove per inquinare il proprio terreno”.

3.1. – Come precisa il Comune (e si evince dalla documentazione in atti) il 14.1.08 l’istante ha chiesto di eseguire sui propri fondi attività di “manutenzione straordinaria”, integrando l’istanza con altra comunicazione del 31.3.08, con la quale veniva evidenziata la necessità di “riporto di terra vegetale, per circa 10 cm e per una superficie di 1700 metri”, alla quale il Comune ha risposto con nota del 15.4.09, ricordando che l’art. 186 del D.Lg. 152/06 “dispone procedure ben precise riguardo alla movimentazione e spostamento delle terre vegetali”, e chiedendo l’integrazione dell’istanza prodotta “con tutti gli elementi necessari e indispensabili alla dimostrazione del rispetto dei requisiti della sopracitata normativa nazionale, che dovrà avvenire nell’ambito della procedura edilizia riconosciuta dalla L.r. 5/07”. Precisava altresì la nota che “qualora l’intervento venisse svolto in assenza di tale procedura, esso verrà considerato privo di titolo abilitativo…e verranno applicate le conseguenti disposizioni normative”

Il Comune, infatti, in applicazione del proprio REC – più che della L.r. 5/07, la quale, peraltro, all’art. 48, comma 1-bis, in tema di edilizia libera, fa “salve le prescrizioni comunali di natura regolamentare” – ha ritenuto che la movimentazione di terra effettuata dalla ricorrente necessitasse di DIA, corredata dalla documentazione di cui all’art.6 del REC, con riferimento a “scavi e reinterri”; documenti che la ricorrente, pur richiesta, mai ha fatto pervenire.

3.2. – Anche a prescindere da questo, tuttavia, come correttamente sostiene il Comune nelle proprie difese, l’istante ha violato l’art. 186 del D.Lg. 152/06, che si occupa espressamente delle terre e rocce da scavo (e questa circostanza, da sola, giustifica e sorregge il provvedimento opposto).

Dispone tale norma, per quanto qui rileva, che “le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, ottenute quali sottoprodotti, possono essere utilizzate per reinterri, riempimenti, rimodellazioni e rilevati purchè:

a) siano impiegate direttamente nell’ambito di opere o interventi preventivamente individuati e definiti;

b) sin dalla fase della produzione vi sia certezza dell’integrale utilizzo;

c) l’utilizzo integrale della parte destinata a riutilizzo sia tecnicamente possibile senza necessità di preventivo trattamento o di trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e, più in generale, ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli ordinariamente consentiti ed autorizzati per il sito dove sono destinate ad essere utilizzate;

d) sia garantito un elevato livello di tutela ambientale;

e) sia accertato che non provengono da siti contaminati o sottoposti ad interventi di bonifica ai sensi del titolo V della parte quarta del presente decreto;

f) le loro caratteristiche chimiche e chimico-fisiche siano tali che il loro impiego nel sito prescelto non determini rischi per la salute e per la qualità delle matrici ambientali interessate ed avvenga nel rispetto delle norme di tutela delle acque superficiali e sotterranee, della flora, della fauna, degli habitat e delle aree naturali protette. In particolare deve essere dimostrato che il materiale da utilizzare non è contaminato con riferimento alla destinazione d’uso del medesimo, nonché la compatibilità di detto materiale con il sito di destinazione;

g) la certezza del loro integrale utilizzo sia dimostrata”.

Il terzo comma di tale articolo precisa altresì che “ove la produzione di terre e rocce da scavo avvenga nell’ambito della realizzazione di opere o attività diverse da quelle di cui al comma 2 e soggette a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività, la sussistenza dei requisiti di cui al comma 1, nonché i tempi dell’eventuale deposito in attesa di utilizzo, che non possono superare un anno, devono essere dimostrati e verificati nell’ambito della procedura per il permesso di costruire, se dovuto, o secondo le modalità della dichiarazione di inizio di attività (DIA)”.

Orbene, le norme del vigente REC (non impugnate, né altrimenti contestate) prevedono che per intraprendere l’attività di cui si controverte è necessario munirsi di DIA, con la conseguenza che la dimostrazione dei requisiti previsti per il reimpiego delle “rocce e terre da scavo” doveva essere data nell’alveo di tale procedimento.

Inoltre, il reimpiego della terra di scotico, di cui trattasi, presuppone comunque che sia “dimostrato che il materiale da utilizzare non è contaminato con riferimento alla destinazione d’uso del medesimo”, e che è compatibile “con il sito di destinazione”.

La ricorrente non contesta, in punto di fatto, l’accertamento compiuto dal Comune da cui è emerso che il terreno risultava contaminato da pezzi di asfalto e laterizi, limitandosi, con argomentazione ipotetica, astratta e inconsistente, a reputare “irragionevole” che la Ditta – che, a suo dire, avrebbe utilizzato solo il proprio residuo terreno di scotico e 40 mc. di terreno acquistato da terzi (e adeguatamente certificato) – abbia mischiato questi materiali “con un rifiuto, proveniente da chissà dove, per inquinare il terreno di sua proprietà”. A ciò aggiunge una serie di argomenti – del tutto ultronei – per contestare la quantificazione del terreno riportato. Infatti, ciò che rileva, ai fini del presente ricorso, è infatti unicamente la mancata osservanza delle regole procedurali previste ed il fatto che il terreno è risultato – oggettivamente e nella sua totalità – inquinato da sostanze estranee, non essendo oramai più possibile distinguere la terra di scotico, da quella – certificata – acquistata presso terzi o da altra contenente i materiali inquinanti ivi rinvenuti, essendo il materiale già stato spianato sui fondi.

Siffatta situazione di fatto ha determinato la necessaria applicazione del quinto comma dell’art. 186 del D.Lg. 152/06, che espressamente prescrive che “le terre e rocce da scavo, qualora non utilizzate nel rispetto delle condizioni di cui al presente articolo, sono sottoposte alle disposizioni in materia di rifiuti di cui alla parte quarta del presente decreto”.

Il provvedimento di riduzione in pristino appare, conseguentemente, corretto.

3.2. – Né sussiste alcuna falsa applicazione dell’art. 7 della L. 241/90, dato che il Comune (dopo la sentenza che aveva accolto il precedente ricorso per omessa comunicazione di avvio del procedimento) ha correttamente comunicato detto avvio, consentendo così al privato di presentare le proprie deduzioni.

In definitiva, a tenore di quanto esposto, il ricorso va respinto.

4. – Sussistono tuttavia le ragioni di legge per disporre la totale compensazione, tra le parti, delle spese e competenze di causa.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli – Venezia Giulia, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta.

Compensa le spese e competenze del giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 23 maggio 2012 con l’intervento dei magistrati:

Saverio Corasaniti, Presidente
Oria Settesoldi, Consigliere
Rita De Piero, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/06/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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