* DIRITTO DELL’ENERGIA – Sfruttamento degli idrocarburi – Legge n. 9/1991 – Finalità – Tutela della concorrenza e razionale sfruttamento delle risorse – Limite di 750 mq per i permessi di ricerca – Interpretazione – VIA, VAS E AIA – Principio di precauzione – Nozione e limiti – Valutazione di impatto ambientale – Complessiva analisi comparativa di tutti gli elementi incidenti sull’ambiente – Sacrificio imposto all’ambiente comparato rispetto all’utilità socio-economica perseguita – Giudizio di valutazione di impatto ambientale – Profili di discrezionalità amministrativa – Limiti del sindacato giurisdizionale.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^ bis
Regione: Lazio
Città: Roma
Data di pubblicazione: 14 Gennaio 2019
Numero: 449
Data di udienza: 20 Novembre 2018
Presidente: Stanizzi
Estensore: Fratamico
Premassima
* DIRITTO DELL’ENERGIA – Sfruttamento degli idrocarburi – Legge n. 9/1991 – Finalità – Tutela della concorrenza e razionale sfruttamento delle risorse – Limite di 750 mq per i permessi di ricerca – Interpretazione – VIA, VAS E AIA – Principio di precauzione – Nozione e limiti – Valutazione di impatto ambientale – Complessiva analisi comparativa di tutti gli elementi incidenti sull’ambiente – Sacrificio imposto all’ambiente comparato rispetto all’utilità socio-economica perseguita – Giudizio di valutazione di impatto ambientale – Profili di discrezionalità amministrativa – Limiti del sindacato giurisdizionale.
Massima
TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ bis – 14 gennaio 2019, n. 449
DIRITTO DELL’ENERGIA – Sfruttamento degli idrocarburi – Legge n. 9/1991 – Finalità – Tutela della concorrenza e razionale sfruttamento delle risorse – Limite di 750 mq per i permessi di ricerca – Interpretazione.
La disciplina della l.n. 9/1991 è dettata non tanto dall’esigenza di salvaguardare l’ambiente, alla cui tutela sono finalizzate altre normative, tra cui il d.lgs n. 152/2006, quanto, piuttosto, dalla necessità di favorire la concorrenza ed il razionale sfruttamento degli idrocarburi (cfr. sesto e nono Considerando della Direttiva CE 94/22 e art. 3 comma 3 d. lgs. n. 625/96). In quest’ottica, si deve allora ritenere che il limite territoriale dei 750 kmq., previsto per i permessi di ricerca dagli artt. 6 comma 2 l. m. 9/91 e 9 comma 1 d. lgs. n. 625/96, si riferisca esclusivamente ai singoli procedimenti finalizzati al rilascio di ciascun titolo, proprio perché funzionale alla tutela della concorrenza e al razionale sfruttamento delle risorse, e non già complessivamente all’operatore economico destinatario del permesso. In altri termini, la normativa vigente non prevede un limite di 750 mq. per i permessi di ricerca conseguibili dal medesimo operatore, ma consente che lo stesso possa risultare destinatario di più titoli abilitativi, anche per aree contigue, purché ogni istanza venga presentata per un’estensione inferiore a 750 kmq ed ogni autorizzazione sia rilasciata all’esito di un distinto procedimento, posto in essere secondo le disposizioni dettate dalla legge.
DIRITTO DELL’ENERGIA – VIA, VAS E AIA – Principio di precauzione – Nozione e limiti.
Il principio di precauzione, i cui tratti giuridici si individuano lungo un percorso esegetico fondato sul binomio analisi dei rischi – carattere necessario delle misure adottate, presupponga l’esistenza di un rischio specifico all’esito di una valutazione quanto più possibile completa, condotta alla luce dei dati disponibili che risultino maggiormente affidabili e che deve concludersi con un giudizio di stretta necessità della misura. Per tale sua natura, il principio di precauzione non può, però, mai legittimare un’interpretazione delle disposizioni normative, tecniche ed amministrative vigenti in un dato settore tale da dilatarne il senso fino a ricomprendervi vicende non significativamente pregiudizievoli, né condurre automaticamente a vietare ogni attività che, in via di mera ipotesi, si assuma foriera di eventuali rischi per la salute delle persone e per l’ambiente, privi di ogni riscontro oggettivo e verificabile, richiedendo esso stesso una seria e prudenziale valutazione, alla stregua dell’attuale stato delle conoscenze scientifiche disponibili, dell’attività che potrebbe ipoteticamente presentare dei rischi, valutazione consistente nella formulazione di un giudizio scientificamente attendibile.
VIA, VAS E AIA – Valutazione di impatto ambientale – Complessiva analisi comparativa di tutti gli elementi incidenti sull’ambiente – Sacrificio imposto all’ambiente comparato rispetto all’utilità socio-economica perseguita.
Alla stregua dei principi comunitari e nazionali, la valutazione di impatto ambientale non concerne una mera e generica verifica di natura tecnica circa l’astratta compatibilità ambientale dell’opera, ma deve implicare la complessiva e approfondita analisi comparativa di tutti gli elementi incidenti sull’ambiente del progetto unitariamente considerato, al fine di valutare in concreto – alla luce delle alternative possibili e dei riflessi della stessa c.d. "opzione zero" – il sacrificio imposto all’ambiente rispetto all’utilità socioeconomica perseguita (cfr. Cons. Stato, sez. V, 6 luglio 2016, n. 3000; id., 31 maggio 2012 n. 3254).
VIA, VAS E AIA – Giudizio di valutazione di impatto ambientale – Profili di discrezionalità amministrativa – Limiti del sindacato giurisdizionale.
Nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale, l’Amministrazione esercita una amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta, al contempo, profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti; la natura schiettamente discrezionale della decisione finale risente inevitabilmente dei suoi presupposti, sia sul versante tecnico che amministrativo. Di conseguenza, le posizioni soggettive delle persone e degli enti coinvolti nella procedura sono pacificamente qualificabili in termini di interesse legittimo ed è altrettanto assodato che le relative controversie non rientrano nel novero delle tassative ed eccezionali ipotesi di giurisdizione di merito sancite dall’art. 134 c.p.a. Proprio in ragione di tali particolari profili che caratterizzano il giudizio di valutazione di impatto ambientale, la valutazione di legittimità giudiziale, di cui va escluso il carattere sostitutivo, deve essere limitata ad evidenziare la sussistenza di vizi rilevabili ictu oculi, a causa della loro abnormità, irragionevolezza, contraddittorietà e superficialità. Da ciò deriva che il sindacato sulla motivazione delle valutazioni discrezionali deve essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto acquisiti; non può avvalersi di criteri che portano ad evidenziare la mera non condivisibilità della valutazione stessa; può disporre c.t.u. o verificazione al fine di esercitare più penetranti controlli, con particolare riguardo ai profili accertativi.
Pres. Stanizzi, Est. Fratamico – Regione Puglia (avv. Mangiameli) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altri (Avv. Stato)
Allegato
Titolo Completo
TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ bis - 14 gennaio 2019, n. 449SENTENZA
TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ bis – 14 gennaio 2019, n. 449
Pubblicato il 14/01/2019
N. 00449/2019 REG.PROV.COLL.
N. 10617/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10617 del 2017, proposto da
Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Stelio Mangiameli, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Alessandro Poerio 56;
contro
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Ministero dello Sviluppo Economico, ciascuno in persona del Ministro p.t. e Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio p.t., rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Global Petroleum Limited, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Emanuele Turco, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Gioacchino Rossini 9;
per l’annullamento
– del Decreto del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, di concerto con il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, del 26 settembre 2017, n. 251, recante “la compatibilità ambientale di un progetto consistente nell’effettuazione di una indagine sismica 2D, ed eventualmente 3D, nell’area dell’istanza di permesso di ricerca di idrocarburi denominato ‘d 81 F.R-GP’ ubicato nella zona antistante la costa pugliese, presentato dalla Società Global Petroleum Limited, subordinatamente al rispetto delle prescrizioni” ivi riportate, pubblicato per estratto nella G.U. Parte Seconda – Foglio delle Inserzioni, n. 120 del 12 ottobre 2017;
– dei pareri della Commissione Tecnica di Valutazione dell’Impatto Ambientale VIA e VAS n. 1784 del 15 maggio 2015, n. 1836 del 17 luglio 2015, n. 1885 del 9 ottobre 2015 e n. 2052 del 29 aprile 2016;
– degli altri atti indicati e specificati nella narrativa del ricorso;
– di ogni altro atto presupposto, inerente e consequenziale, conosciuto o non conosciuto.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, del Ministero dello Sviluppo Economico e della Presidenza del Consiglio dei Ministri e della Global Petroleum Limited;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 novembre 2018 la dott.ssa Ofelia Fratamico e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in epigrafe la Regione Puglia ha chiesto al Tribunale di annullare, previa sospensione dell’efficacia, a) il decreto n. 251 del 26.09.2017 del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, adottato di concerto con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, recante “la compatibilità ambientale di un progetto consistente nell’effettuazione di una indagine sismica 2D ed eventualmente 3D nell’area dell’istanza di permesso di ricerca di idrocarburi denominato <<d 81 F.R –GP>>, ubicata nella zona antistante la costa pugliese, presentata dalla società Global Petroleum Limited, b) i pareri della Commissione Tecnica di Valutazione dell’Impatto Ambientale VIA e VAS n. 1784 del 15.05.2015, n. 1836 del 17.07.2015, n. 1885 del 9.10.2015 e n. 2052 del 29.04.2016, c) ogni altro atto presupposto, inerente o consequenziale.
A sostegno della sua domanda, la ricorrente ha dedotto i seguenti motivi: 1) elusione del divieto di superamento dell’estensione massima dell’area di ricerca (750 kmq) previsto dall’art. 6 comma 2 della l.n. 9/1991; 2) elusione del divieto di superamento dell’estensione massima dell’area di ricerca, quand’anche l’attività fosse inquadrata nell’ambito della prospezione di idrocarburi; 3) irragionevole utilizzo della tecnica dell’air-gun; 4) violazione della direttiva 2008/56/CE del Parlamento Europeo e del consiglio del 17 giugno 2008 (recepita con d.lgs. n. 190/2010).
Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, il Ministero dello Sviluppo Economico, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la controinteressata Global Petroleum Limited, eccependo l’inammissibilità e, in ogni caso, l’infondatezza nel merito del ricorso.
All’udienza pubblica del 20.11.2018, la causa è stata, infine, trattenuta in decisione.
DIRITTO
La Regione Puglia ha dedotto l’illegittimità degli atti impugnati, rappresentando, in primo luogo, che la Global Petroleum Limited, avendo richiesto, nell’area de qua (situata sulla piattaforma continentale italiana) ben quattro permessi di ricerca “d 80 F.R – GP” “d 81 F.R – GP”, (oggetto, con i relativi pareri positivi ed atti autorizzativi, del presente giudizio), “d 82 F.R – GP” e “d 83 F.R – GP”, afferenti a zone contigue, ciascuna di superficie di poco inferiore a 750 kmq, avrebbe inteso eludere, attraverso la frammentazione delle domande, il divieto legislativo posto dall’art. 6 comma 2 della l.n. 9/1991, per cui “L’area del permesso di ricerca deve essere tale da consentire il razionale sviluppo del programma di ricerca e non può comunque superare l’estensione di 750 chilometri quadrati”.
L’avvio di quattro distinti procedimenti per domande concernenti, in realtà, un’area unitaria (formulate, per di più, dall’istante il medesimo giorno, 27.08.2013) sarebbe, in breve, un semplice “escamotage” per aggirare il suddetto divieto, “avvallato dall’Amministrazione procedente”, che emanando dapprima i decreti n. 283 e n. 284, relativi alle due frazioni “esterne” della zona complessivamente considerata e successivamente i decreti n. 222 (oggetto di ricorso parallelo), e n. 251 (impugnato nel presente giudizio) concernenti i frammenti “centrali”, non avrebbe fatto altro che consentire allo stesso soggetto – la Global Petroleum Limited – di svolgere la sua attività di ricerca per un’estensione ben più ampia rispetto a quanto consentito dalla legge, tale da porsi “in conflitto con altri interessi giuridicamente rilevanti” ed in contrasto proprio con “il razionale sviluppo del programma di ricerca”, tutelato dalla normativa vigente.
Secondo la Regione Puglia, poi, a nulla sarebbe valso “il pur pregevole intento del Ministero resistente e della Commissione VIA di valutare gli impatti cumulativi delle quattro istanze, poichè – molto semplicemente – entrambi avrebbero dovuto procedere al rigetto dell’istanza di VIA per palese aggiramento del divieto legislativo posto dall’art. 6 comma 2 della legge n. 9 del 1991”.
La violazione da parte dell’Amministrazione della “presunzione iuris et de iure” contenuta nella suddetta norma – applicabile, a parere della ricorrente, in ogni caso di “indagine geologica, geochimica e geofisica”, eseguita “con qualunque metodo e mezzo” – avrebbe, perciò, condotto ad una “patente violazione di legge”, nonché ad un grave “vizio di eccesso di potere nella forma dello sviamento”, sia con riguardo alla ratio di tutela ambientale del limite di superficie, stabilito per evitare che attività ad elevato impatto come l’utilizzo della tecnica dell’air-gun possano estendersi al di là di una ragionevole misura, sia in relazione alla finalità di garanzia della concorrenza, irrimediabilmente compromessa in caso di attribuzione ad un unico soggetto di un così significativo “diritto di preferenza”.
Proprio sul problema dei possibili danni cagionati all’ambiente marino dall’utilizzo della tecnica dell’air-gun il medesimo Ministero dell’Ambiente avrebbe assunto, secondo la ricorrente, un comportamento assai contraddittorio, continuando, da un lato, a rilasciare giudizi positivi di compatibilità ambientale per la ricerca e la prospezione di idrocarburi e, dall’altro lato, formulando nel Primo Rapporto sull’air-gun, pubblicato nel dicembre 2016, valutazioni in parte incerte e in parte negative sull’utilizzo di tale tecnica.
L’uso dell’air-gun contrasterebbe, infine, anche con quanto stabilito dalla direttiva-quadro sulla strategia dell’ambiente marino, già recepita dal nostro Paese, che identifica 11 descrittori di buono stato ambientale prevedendo, all’11°, proprio il fatto che non si emetta energia, incluso il rumore, che possa disturbare l’ecosistema.
Tali censure, pur ammissibili, in quanto provenienti da un soggetto – la Regione – chiamato ad esprimere il suo parere nel procedimento e, soprattutto, come ente esponenziale degli interessi della sua collettività di riferimento, abilitato a contestare in via d’azione i provvedimenti ritenuti dannosi per l’equilibrio dell’ambiente marino, suscettibili di recare pregiudizio anche al suo territorio (cfr. Cons. St., Sez. IV, 28.06.2017, ordin. n. 2733) – anche se relativi ad attività da svolgere su aree appartenenti alla piattaforma continentale e a distanza superiore a 12 miglia marine dalla costa e comunque immediatamente lesivi, a prescindere dalla necessità della adozione di un successivo decreto da parte del Ministero dello Sviluppo Economico – sono infondate e devono essere respinte.
Come già evidenziato da questo Tribunale in una recente pronuncia (TAR Lazio, Roma, Sez. III ter, 20.02.2018 n. 1963), la disciplina della l.n. 9/1991 è dettata non tanto dall’esigenza di salvaguardare l’ambiente, alla cui tutela sono finalizzate altre normative, tra cui il d.lgs n. 152/2006, quanto, piuttosto, dalla necessità di favorire la concorrenza ed il razionale sfruttamento degli idrocarburi (cfr. sesto e nono Considerando della Direttiva CE 94/22 e art. 3 comma 3 d. lgs. n. 625/96).
“In quest’ottica deve essere riguardata la necessaria procedimentalizzazione, imposta dal legislatore comunitario ai fini del rilascio dei titoli abilitativi e recepita dal d. lgs. n. 625/1996, che comporta l’obbligo del Ministero dello sviluppo economico di pubblicare nel Bollettino Ufficiale degli Idrocarburi e della Geotermia (BUIG) l’istanza di permesso di ricerca presentata da un operatore economico, di trasmettere un avviso contenente le informazioni essenziali sull’istanza alla Commissione Europea per la pubblicazione nella GUCE (art. 4 d. lgs. n. 625/96) e di individuare criteri obiettivi e predeterminati da pubblicare nel BUIG e nella GUCE (art. 5 d. lgs. n. 625/96) al fine di selezionare le domande presentate da eventuali ulteriori aspiranti al permesso di ricerca”.
Se tali sono la ratio ed il regime della l. n. 9/1991, si deve allora ritenere che il limite territoriale dei 750 kmq., previsto per i permessi di ricerca (e non, in verità, anche per quelli di mera prospezione, come invece affermato dalla ricorrente nel secondo motivo) dagli artt. 6 comma 2 l. m. 9/91 e 9 comma 1 d. lgs. n. 625/96, si riferisca esclusivamente ai singoli procedimenti finalizzati al rilascio di ciascun titolo, proprio perché funzionale alla tutela della concorrenza e al razionale sfruttamento delle risorse, e non già complessivamente all’operatore economico destinatario del permesso.
In altri termini, la normativa vigente non prevede un limite di 750 mq. per i permessi di ricerca conseguibili dal medesimo operatore, ma consente che lo stesso possa risultare destinatario di più titoli abilitativi, anche per aree contigue, purché ogni istanza venga presentata per un’estensione inferiore a 750 kmq ed ogni autorizzazione sia rilasciata all’esito di un distinto procedimento, posto in essere secondo le disposizioni dettate dalla legge.
La lettura dell’art. 6 comma 2 della l.n. 9/1991 proposta dalla Regione Puglia nel senso dell’esistenza di una presunzione legale di assoluta contrarietà al “razionale sviluppo di un programma di ricerca” del rilascio allo stesso operatore di più permessi di ricerca per un’estensione superiore complessivamente ai 750 kmq è, in verità, contraddetta da una serie di elementi emergenti sia dall’esame delle norme succedutesi nel tempo in materia, sia dalla presenza, all’interno della disciplina dell’attività ricerca degli idrocarburi, di una apposita regolamentazione della cd. “ricerca unificata”.
Da un lato, infatti, può osservarsi come la prima legge sulla ricerca e coltivazione degli idrocarburi nel mare territoriale e nella piattaforma continentale (legge n. 613/1967) avesse previsto due distinti limiti, il primo relativo all’area massima richiedibile con il singolo permesso (che non poteva superare i 100.000 ettari e, dunque, i 1.000 kmq), il secondo concernente il numero massimo dei permessi che un singolo operatore poteva richiedere (pari a 10 permessi).
La legge n. 9/1991 ed il successivo d.lgs. n. 625/1996 (attuazione della direttiva 94/22/CEE) hanno inciso su entrambe le previsioni, riducendo alla misura di 750 kmq l’estensione massima oggetto dell’istanza di un singolo permesso ed abrogando il limite massimo dei permessi richiedibili.
Da qui l’impossibilità di un’interpretazione della attuale normativa tale da ripristinare in via ermeneutica un limite espressamente eliminato dal legislatore.
Dall’altro lato, la tesi della Regione Puglia per cui uno stesso operatore non potrebbe svolgere nella medesima zona, attraverso il rilascio di distinti permessi, attività di ricerca in un’area complessivamente superiore ai 750 kmq contrasta anche, come anticipato, con la disciplina dettata dalla stessa l.n. 9/1991 e dal decreto del Direttore Generale per le Risorse minerarie ed energetiche del Ministero dello Sviluppo Economico del 15.07.2015 in materia di “programma unitario di lavoro”, per cui “l’autorità amministrativa competente può autorizzare … la realizzazione di un programma unitario di lavoro nell’ambito di più permessi quando il particolare impegno tecnico e finanziario dei lavori programmati e l’omogeneità degli obiettivi rendano più razionale la ricerca su base unificata” (art. 8 della l.n. 9/1991) e “Il programma unitario di lavoro deve riguardare permessi o titoli concessori unici nella fase di ricerca confinanti o finitimi, motivato dalla presenza di obiettivi minerari omogenei, che possono essere ricercati in modo più razionale ed economico nel complesso delle aree dei titoli” (art. 25 comma 2 D.D. 15.07.2015 – Procedure operative di attuazione del decreto 25 marzo 2015 e modalità di svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi e dei relativi controlli, ai sensi dell’art. 19, comma 6, dello stesso decreto).
Tale disciplina, proprio per la finalità di un più razionale sfruttamento delle risorse, rende possibile e favorisce, in certa misura, l’elaborazione di programmi unitari di lavoro relativi ad aree confinanti o finitime, non necessariamente oggetto dell’attività di diversi operatori.
Il fatto che nell’atto principale tra quelli impugnati, il decreto n. 251/2017 l’Amministrazione abbia espressamente “preso atto che … la Società Global Petroleum Limited … (aveva) fatto istanza per quattro permessi di ricerca … le cui aree sono contigue, ognuno di essi di superficie di poco inferiori ai 750 kmq… (e che non era) stato possibile presentare un’unica istanza di conferimento, in quanto la legge del 9 gennaio 1991 n. 9 prevede che l’area del permesso di ricerca di idrocarburi debba essere tale da consentire il razionale sviluppo del programma di ricerca e non possa comunque superare l’estensione di 750 kmq…”, dettando specifiche prescrizioni al riguardo, volte a garantire il regolare svolgimento dell’attività di indagine su una superficie così estesa, (come la previsione della necessità di concordare con l’ISPRA un dettagliato cronoprogramma di effettuazione delle prospezioni che contenga l’intera area, volta ad evitare, tra l’altro, la contemporanea esecuzione, in varie frazioni della zona, di indagini sismiche e di altre operazioni di rilevante impatto per l’ambiente marino), lungi dal compromettere la validità del provvedimento e dal manifestarne l’asserito sviamento di potere, appare al Collegio dimostrare, al contrario, la correttezza dell’operato del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare che, di concerto con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, chiamato a valutare, con il supporto della Commissione Tecnica, la compatibilità ambientale del progetto presentato dalla controinteressata, ha ritenuto di doverne vagliare tutti gli effetti ed i risvolti, compresi quelli determinati dalla contemporanea presenza di ulteriori istanze di rilascio di permesso di ricerca e di esecuzione di indagini sismiche avanzate dal medesimo operatore per frazioni contigue di piattaforma continentale.
In considerazione delle argomentazioni che precedono, le doglianze svolte dalla ricorrente nel primo motivo devono essere, come detto, rigettate.
Non pertinenti, come evidenziato anche dalla difesa della controinteressata nella sua memoria di costituzione, risultano, poi, le censure svolte dalla ricorrente nel secondo motivo, in relazione alla asserita validità del limite dell’estensione massima dei 750 kmq previsto dall’art. 6 comma 2 della l.n. 9/1991 per i permessi per attività di ricerca anche per i permessi di prospezione, titoli distinti e diversi da quello richiesto dalla Global Petroleum Limited e, peraltro, non oggetto di nessuna istanza da parte della controinteressata nel caso esaminato nel presente giudizio.
Anche gli ultimi due motivi di ricorso, articolati in rapporto alla pretesa contraddittorietà della condotta del Ministero dell’Ambiente nell’espressione di giudizi positivi di compatibilità ambientale delle attività di ricerca e prospezione di idrocarburi e di gravi dubbi ed incertezze sugli effetti dell’uso della tecnica dell’air-gun nel Primo Rapporto sull’air-gun del dicembre 2016 ed alla asserita violazione dei principi stabiliti dalla direttiva 2008/56/CE, recepita in Italia con d.lgs n. 190/2010, sono infondati e devono essere respinti, in base ad un’attenta lettura del Rapporto stesso e dei medesimi provvedimenti impugnati.
Nell’Allegato II al Rapporto MATTM- ISPRA è, infatti, riportata anche la netta contrarietà di numerosi Enti di Ricerca Italiani alla proposta di istituzione del reato di utilizzo della tecnica dell’air-gun per la ricerca di idrocarburi e per l’ispezione dei fondali marini, per le conseguenze estremamente negative sull’attività di ricerca italiana e per l’esistenza di procedure e pratiche in grado, se rigorosamente rispettate, di ridurne sensibilmente l’impatto ambientale.
La medesima ottica risulta permeare, in verità, i decreti di compatibilità e gli atti ad essi presupposti, dai quali emerge la ricorrenza di un’attenta valutazione ex ante, da parte della Commissione Tecnica, dei potenziali rischi e di una complessiva analisi di tutta l’attività di indagine posta in essere dai soggetti richiedenti i permessi di ricerca nell’intera area.
L’ attenzione e la considerazione globale degli effetti dell’attività progettata sono, infatti, all’origine delle numerose prescrizioni contenute nei provvedimenti impugnati quali
1) la necessità di concordare con l’ISPRA un dettagliato “cronoprogramma di effettuazione delle prospezioni” che per l’intera area (oggetto di più istanze di permesso) impedisca di svolgere contemporaneamente ulteriori indagini sismiche in ambiti geografici dove la distanza fra le imbarcazioni sismiche sia inferiore, nel punto più vicino atteso, a 55 miglia nautiche (100 km), in modo da garantire un’adeguata via di fuga ai mammiferi marini
2) il divieto di contemporanea esecuzione di indagini sismiche 2D e 3D se non siano trascorsi almeno 12 mesi dalla prima campagna
3) l’obbligo di utilizzo all’interno di due aree adiacenti assegnate allo stesso proponente, per l’esecuzione del rilevamento, di un’unica nave di acquisizione e quindi un’unica sorgente acustica, eliminando in tal modo ogni possibilità di sovrapposizione di effetti legati alla generazione di più segnali acustici contemporaneamente presenti in una medesima area;
4) il dovere di esecuzione del biomonitoraggio e di un piano di monitoraggio bioacustico preventivo e successivo alla crociera sismica, con la previsione che il piano preventivo debba consentire di definire le strategie di mitigazione da adottare nel corso delle operazioni di air gun;
5) la definizione di una zona di esclusione/area di sicurezza, attorno alla sorgente di rumore per l’individuazione del rischio potenziale per i mammiferi marini;
6) l’indicazione di precisi parametri di misurazione acustica per suddividere l’area di sicurezza.
Tali misure escludono la violazione sia dei principi della direttiva 2008/56/CE, sia del principio comunitario di precauzione.
Condividendo sul punto quanto espresso dalla costante giurisprudenza (ex multis, Cons. St., Sez. V, 27.12.2013, n. 6250; Cons. Giust. Amm. Sicilia Sez. Giurisd., 3.09.2015, n. 581 e, da ultimo, Cons. St., Sez. IV, 28.02.2018 n. 1240) il Collegio ritiene che il principio di precauzione, i cui tratti giuridici si individuano lungo un percorso esegetico fondato sul binomio analisi dei rischi – carattere necessario delle misure adottate, presupponga l’esistenza di un rischio specifico all’esito di una valutazione quanto più possibile completa, condotta alla luce dei dati disponibili che risultino maggiormente affidabili e che deve concludersi con un giudizio di stretta necessità della misura.
Per tale sua natura, il principio di precauzione non può, però, mai legittimare un’interpretazione delle disposizioni normative, tecniche ed amministrative vigenti in un dato settore tale da dilatarne il senso fino a ricomprendervi vicende non significativamente pregiudizievoli, né condurre automaticamente a vietare ogni attività che, in via di mera ipotesi, si assuma foriera di eventuali rischi per la salute delle persone e per l’ambiente, privi di ogni riscontro oggettivo e verificabile, richiedendo esso stesso una seria e prudenziale valutazione, alla stregua dell’attuale stato delle conoscenze scientifiche disponibili, dell’attività che potrebbe ipoteticamente presentare dei rischi, valutazione consistente nella formulazione di un giudizio scientificamente attendibile.
Concernendo molte delle censure svolte dalla ricorrente proprio le valutazioni poste dalla Commissione Tecnica e dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare alla base del giudizio favorevole di compatibilità ambientale, nel caso in questione non possono non venire in rilievo l’esercizio da parte dell’Amministrazione sia della discrezionalità tecnica sia della discrezionalità amministrativa ed il problema dell’estensione e dei limiti del sindacato giurisdizionale al riguardo.
Alla stregua dei principi comunitari e nazionali, la valutazione di impatto ambientale non concerne una mera e generica verifica di natura tecnica circa l’astratta compatibilità ambientale dell’opera, ma deve implicare la complessiva e approfondita analisi comparativa di tutti gli elementi incidenti sull’ambiente del progetto unitariamente considerato, al fine di valutare in concreto – alla luce delle alternative possibili e dei riflessi della stessa c.d. "opzione zero" – il sacrificio imposto all’ambiente rispetto all’utilità socioeconomica perseguita (cfr. Cons. Stato, sez. V, 6 luglio 2016, n. 3000; id., 31 maggio 2012 n. 3254).
Quanto alla natura del potere ed all’estensione della discrezionalità esercitata dall’Amministrazione in sede di VIA, istituto finalizzato alla tutela preventiva dell’ambiente inteso in senso ampio, il Collegio condivide gli approdi esegetici cui è pervenuta la recente giurisprudenza (internazionale e nazionale), da cui emerge il carattere ampiamente discrezionale delle scelte effettuate, giustificate alla luce dei valori primari ed assoluti coinvolti (cfr., Cons. St., sez. II, 02 ottobre 2014, n. 3938; sez. IV , 09 gennaio 2014, n. 36; sez. IV, 17 settembre 2013, n. 4611 sez. VI, 13 giugno 2011, n. 3561; Corte Giust., 25 luglio 2008, c-142/07; Corte Cost., 7 novembre 2007, n. 367).
Nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale, l’Amministrazione esercita, dunque, una amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta, al contempo, profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti; la natura schiettamente discrezionale della decisione finale risente inevitabilmente dei suoi presupposti, sia sul versante tecnico che amministrativo.
Di conseguenza, le posizioni soggettive delle persone e degli enti coinvolti nella procedura sono pacificamente qualificabili in termini di interesse legittimo ed è altrettanto assodato che le relative controversie non rientrano nel novero delle tassative ed eccezionali ipotesi di giurisdizione di merito sancite dall’art. 134 c.p.a. (cfr., sotto l’egida della precedente normativa, identica in parte qua, Cons. St., Ad. Plen., 9 gennaio 2002, n. 1).
Proprio in ragione di tali particolari profili che caratterizzano il giudizio di valutazione di impatto ambientale, il Tribunale non può che far proprie le considerazioni già espresse più volte dal Consiglio di Stato in materia (cfr. Cons. St. Sez. IV, 28.02.2018 n. 1240 cit. e Cons. Stato, Sez. IV, 27.03.2017, n. 1392), per cui, “prescindendo da specifiche aggettivazioni (debole o forte)…, la relativa valutazione di legittimità giudiziale, escludendo in maniera assoluta il carattere sostitutivo della stessa, debba essere limitata ad evidenziare la sussistenza di vizi rilevabili ictu oculi, a causa della loro abnormità, irragionevolezza, contraddittorietà e superficialità. Invero, il giudizio di compatibilità ambientale quand’anche reso sulla base di criteri oggettivi di misurazione, pienamente esposti al sindacato del giudice amministrativo, è attraversato, come visto, da profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa sul piano dell’apprezzamento degli interessi pubblici in rilievo e della loro ponderazione rispetto all’interesse all’esecuzione dell’opera, con la conseguenza che le scelte effettuate dall’Amministrazione si sottraggono al sindacato del giudice amministrativo ogniqualvolta le medesime non si appalesino come manifestamente illogiche o incongrue (in termini, cfr., Cass. civ., sez. un., 17 febbraio 2012, nn. 2312 e 2313; Corte cost., 3 marzo 2011, n. 175; Cons. St., sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 871)”.
Da ciò deriva che, in una materia così complessa:
“a) la sostituzione, da parte del giudice amministrativo, della propria valutazione a quella riservata alla discrezionalità dell’amministrazione costituisce ipotesi di sconfinamento vietato della giurisdizione di legittimità nella sfera riservata alla p.a., quand’anche l’eccesso in questione sia compiuto da una pronuncia il cui contenuto dispositivo si mantenga nell’area dell’annullamento dell’atto;
b) in base al principio di separazione dei poteri sotteso al nostro ordinamento costituzionale, solo l’amministrazione è in grado di apprezzare, in via immediata e diretta, l’interesse pubblico affidato dalla legge alle sue cure;
c) conseguentemente, il sindacato sulla motivazione delle valutazioni discrezionali:
I) deve essere rigorosamente mantenuto sul piano della verifica della non pretestuosità della valutazione degli elementi di fatto acquisiti;
II) non può avvalersi di criteri che portano ad evidenziare la mera non condivisibilità della valutazione stessa;
III) può disporre c.t.u. o verificazione al fine di esercitare più penetranti controlli, con particolare riguardo ai profili accertativi”.
Facendo applicazione dei suesposti principi alla vicenda per cui è causa, sulla scorta delle risultanze documentali in atti, le censure svolte dalla ricorrente in relazione alla pretesa omessa considerazione degli impatti cumulativi prodotti dalle diverse prospezioni autorizzate, unitamente all’attività di ricerca già in essere nel Mediterraneo, all’asserita insufficienza ed inadeguatezza delle prescrizioni imposte alla controinteressata ed alla affermata pericolosità della tecnica dell’air-gun per l’ambiente marino si rivelano prima che infondate, come già evidenziato, addirittura inammissibili, se volte a censurare l’opportunità delle scelte, tecniche e amministrative, rimesse all’Autorità preposta alla cura degli interessi pubblici coinvolti ed a sostituire, in verità, alle contestate valutazioni, che non superano mai la soglia dell’abnormità o della manifesta illogicità, le sue soluzioni (valoristiche, progettuali, istituzionali, economiche).
In conclusione, il ricorso non può che essere integralmente respinto.
Le spese seguono la soccombenza e, in considerazione delle difese in concreto svolte dalle parti, sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis),
definitivamente pronunciando,
– rigetta il ricorso;
– condanna la ricorrente alla rifusione, in favore dell’Amministrazione e della controinteressata, delle spese di lite, liquidate, rispettivamente, in complessivi € 3000,00 oltre accessori di legge per ciascuna.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 novembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Elena Stanizzi, Presidente
Ofelia Fratamico, Consigliere, Estensore
Antonio Andolfi, Consigliere
L’ESTENSORE
Ofelia Fratamico
IL PRESIDENTE
Elena Stanizzi
IL SEGRETARIO