Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Pubblica amministrazione Numero: 6885 | Data di udienza: 20 Giugno 2012
* PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Modalità per il computo degli astenuti da parte di organi collegiali deliberanti – Mancanza di un principio generale di matrice costituzionale – In assenza di una disciplina di rango legislativo – Spetta all’autonomia organizzativa dell’organo collegiale.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Lazio
Città: Roma
Data di pubblicazione: 25 Luglio 2012
Numero: 6885
Data di udienza: 20 Giugno 2012
Presidente: Tosti
Estensore: Polidori


Premassima

* PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Modalità per il computo degli astenuti da parte di organi collegiali deliberanti – Mancanza di un principio generale di matrice costituzionale – In assenza di una disciplina di rango legislativo – Spetta all’autonomia organizzativa dell’organo collegiale.



Massima

 

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ – 25 luglio 2012, n. 6885

 

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – Modalità per il computo degli astenuti da parte di organi collegiali deliberanti – Mancanza di un principio generale di matrice costituzionale – In assenza di una disciplina di rango legislativo – Spetta all’autonomia organizzativa dell’organo collegiale.

 

Non esiste alcun principio generale, di matrice costituzionale, dal quale possa ricavarsi il corretto metodo di computo degli astenuti da parte di organi collegiali deliberanti, sicché – in assenza di una puntuale disciplina di rango legislativo – rientra nell’autonomia organizzativa dell’organo collegiale stabilire come vada computata la posizione degli astenuti. (Cfr. T.A.R. Lazio Roma, Sez. I, 2 ottobre 2007, n. 9642).

 

Pres. Tosti, Est. Polidori – S.S.. (avv.ti Calafiore ed altro) c. il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa ed altri.


Allegato


Titolo Completo

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ – 25 luglio 2012, n. 6885

SENTENZA

 

 TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ – 25 luglio 2012, n. 6885

 

 


N. 06885/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00950/2012 REG.RIC.
 
REPUBBLICA ITALIANA
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
 
(Sezione Seconda)
 
ha pronunciato la presente

SENTENZA
 
sul ricorso numero di registro generale 950 del 2012, proposto dal dott. Salvatore Schillaci, rappresentato e difeso dagli avvocati Claudia Calafiore e Sergio Finocchiaro ed elettivamente domiciliato in Roma, via Igino Giordano n. 14, presso lo studio dell’avvocato Daniela Brunetti; 

contro
 
– il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede, in Roma, via dei Portoghesi, 12, è ex lege domiciliato; 
– la Presidenza della Repubblica, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa, in persona dei rispettivi, legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio:
 
nei confronti di
 
– Cosimo Di Paola, rappresentato e difeso dall’avvocato Diego Marcello Fecarotti ed elettivamente domiciliato in Roma, piazza dei Quiriti n. 3, presso lo studio dell’avvocato Bruno Forti;
– Roberto Politi e Gabriella Guzzardi, non costituiti in giudizio; 
 
per l’annullamento
– quanto al ricorso introduttivo, dei seguenti atti: a) delibera adottata nella seduta del 25 febbraio 2011, con la quale il Plenum del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa ha respinto la proposta della IV Commissione di conferimento al ricorrente delle funzioni di Presidente di Sezione Interna presso il TAR Sicilia, Sezione staccata di Catania; b) delibera adottata nella seduta dell’11 marzo 2011, con la quale il Plenum del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa ha dichiarato inammissibile la nuova proposta della IV Commissione di conferimento al ricorrente delle funzioni di Presidente di Sezione Interna presso il TAR Sicilia, Sezione staccata di Catania; c) nota prot. n.0006949 del 22 marzo 2011, pervenuta al ricorrente, tramite servizio postale, il giorno 4 aprile 2011, con la quale il Segretario del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa ha dato comunicazione delle predette delibere; nonché per l’annullamento e/o la disapplicazione, del Regolamento Interno per il funzionamento del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa in data 6 febbraio 2004 e della delibera del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa del 22 ottobre 2010, recante criteri in materia di interpello e giudizio di idoneità per la nomina a Presidente di Sezione Interna di TAR, e per l’annullamento, in via derivativa, della deliberazione del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa in data 20 maggio 2011, con la quale è stata approvata la proposta di conferimento al cons. Cosimo Di Paola delle funzioni di Presidente di Sezione Interna del TAR Sicilia, Sezione staccata di Catania, della conseguente proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del decreto del Presidente della Repubblica in data 12 luglio 2011, con il quale sono state conferite al cons. Cosimo Di Paola le funzioni di Presidente di Sezione Interna del TAR Sicilia, Sezione staccata di Catania; con conseguente accertamento del diritto del ricorrente a conseguire nomina a Presidente di Sezione;
– quanto al ricorso incidentale proposto dal controinteressato Cosimo Di Paola, delle delibere adottate dal Plenum del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa nelle sedute del 25 febbraio 2011 e dell’11 marzo 2011, nella parte in cui non escludono il ricorrente principale dalla procedura di valutazione nomina a Presidente di Sezione;
 
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa e del cons. Cosimo Di Paola;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 giugno 2012 il dott. Carlo Polidori e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
 
FATTO
 
1. Il cons. Salvatore Schillaci, magistrato in servizio presso la Prima Sezione del TAR Sicilia, Sezione staccata di Catania (di seguito denominato TAR Catania), in punto di fatto premette quanto segue: A) egli ha partecipato all’interpello indetto dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa (di seguito denominato CPGA) nella seduta del 19 novembre 2010 per la presidenza di Sezione Interna del TAR Catania; B) hanno inizialmente presentato domanda di partecipazione anche i consiglieri Giuseppe Caruso, Cosimo di Paola, Roberto Politi e Gabriella Guzzardi; C) nel corso della procedura il consigliere Caruso ha ritirato la sua domanda; D) trattandosi di un giudizio di idoneità per merito assoluto, egli, in conformità all’ordine di ruolo, è stato scrutinato per primo, in quanto magistrato più anziano; E) nella sedute dell’11 gennaio 2011 (verbale n. 1) e del 13 gennaio 2011 (verbale n. 2), la competente IV Commissione consiliare ha proposto al Plenum del CPGA lo svolgimento di approfondimenti istruttori, proposta che il Plenum ha approvato nella seduta del 14 gennaio 2011; F) ulteriori chiarimenti sono stati richiesti dalla IV Commissione come da verbale n. 3 del 18 gennaio 2011; G) pervenuti i chiarimenti richiesti, la IV Commissione nella seduta del 26 gennaio 2011 ha proposto (verbale n. 6) al Plenum la nomina del ricorrente a Presidente di Sezione, evidenziandone i profili di capacità, diligenza e dedizione; H) il Plenum del CPGA, nella seduta del 27 gennaio 2011, al fine di chiarire le giustificazioni addotte dal ricorrente sui ritardi nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali, ha disposto una visita ispettiva presso il TAR Catania; I) la visita ispettiva si è svolta nei giorni 17 e 18 febbraio 2011 e gli ispettori nell’occasione, oltre a riscontrare i ritardi comunicati dal ricorrente, hanno rilevato: a) l’assegnazione di un carico annuale di fascicoli di merito, largamente superiore al massimo previsto dalle delibere del CPGA sui carichi di lavoro; b) che non vi era alcun ritardo nei depositi né al momento dell’interpello, né in atto, e soltanto due ritardi nell’anno 2010; c) lo svolgimento delle funzioni di Presidente in 116 udienze, nel periodo 2000 – 2010; L) all’esito all’ispezione la IV Commissione nella seduta del 24 febbraio 2011 (verbale n. 11) – ritenendo i dati sui ritardi, originariamente emersi dai tabulati del Nuovo Sistema Informatico della Giustizia Amministrativa (di seguito denominato NSIGA), ridimensionati e comunque giustificati anche con riferimento al notevole carico di lavoro assegnato al ricorrente nel quinquennio – all’unanimità ha nuovamente proposto al Plenum di conferire al ricorrente le funzioni di Presidente di Sezione; M) nella seduta del Plenum del 25 febbraio 2011, il cons. Siracusa (componente del CPGA delegato ad eseguire la suddetta ispezione) ha presentato il prospetto analitico sui ritardi e sul carico di lavoro assegnato al ricorrente per ciascuno degli anni del quinquennio di riferimento per la nomina a Presidente di Sezione ed il Presidente della IV Commissione – dopo aver segnalato, ancora una volta, il ridimensionamento dei ritardi e la giustificabilità di quelli residui con le difficoltà connesse con l’introduzione del sistema NSIGA e con il cospicuo carico di lavoro assegnato all’interessato – ha sciolto la riserva sottoposta al Plenum nella seduta del 27 gennaio 2011 ed ha confermato la proposta della Commissione; N) dal verbale della seduta medesima del 25 febbraio 2011 si evince che – a fronte della articolata e motivata proposta formulata dal Presidente della IV Commissione – in seno al Plenum sono emerse delle opinioni volte ad evidenziare la rilevanza dei suddetti ritardi, ancorché ridimensionati e giustificabili; O) la proposta della IV Commissione è stata quindi posta in votazione ed ha riportato sette voti favorevoli, quattro contrari e tre astenuti, con conseguente rigetto della proposta medesima; P) egli – ignaro sia delle risultanze dell’ispezione (alla quale non è stato invitato a partecipare), sia della decisione negativa del Plenum – con nota in data 8 marzo 2011 ha trasmesso, ad integrazione della precedente nota del 25 febbraio 2011, copia di un decreto presidenziale di delega generale e continuativa per l’adozione decreti ingiuntivi presso il TAR Catania ed ha ulteriormente evidenziato il numero complessivo dei decreti ingiuntivi adottati, anche ai fini di quanto previsto dall’art. 2, comma 3, punto b) della delibera del CPGA del 22 ottobre 2010; Q) la IV Commissione, prendendo spunto da tale ultima missiva e ritenendo ancora aperto il procedimento, ha nuovamente comparato i suddetti ritardi con il carico di fascicoli di merito assegnati nel quinquennio, ha qualificato tale carico «superiore rispetto al carico massimo numerico definito dal CPGA con specifici criteri» ed ha, quindi, riproposto al Plenum, ancora una volta e all’unanimità, il conferimento al ricorrente delle funzioni di Presidente di Sezione; R) nella seduta del Plenum del CPGA dell’11 marzo 2011, sebbene il relatore della Commissione evidenziasse le ulteriori emergenze acquisite nel corso dell’istruttoria, è stata posta ai voti una questione pregiudiziale, relativa all’ammissibilità di una nuova deliberazione sulla nomina del ricorrente; S) l’esito della votazione è stato il seguente: sei voti favorevoli, sei contrari ed un astenuto, sicché la terza proposta formulata dalla IV Commissione non è stata neppure presa nemmeno in considerazione; T) in data 2 maggio 2011, all’esito di apposita istanza di accesso, è stata rilasciata copia degli atti del procedimento; U) avverso i provvedimenti in epigrafe indicati egli ha proposto ricorso innanzi al TAR Sicilia – sede di Catania, ma l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 20 del 16 novembre 2011, adottata a seguito della proposizione del regolamento di competenza, ha dichiarato la competenza del TAR Lazio – sede di Roma;
 
2. Dei provvedimenti impugnati il dott. Salvatore Schillaci chiede l’annullamento deducendo i seguenti motivi:
I) Violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990 per omessa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della istanza; eccesso di potere per travisamento della realtà, difetto dei presupposti, sviamento e ingiustizia manifesta; violazione del principio del giusto procedimento. In relazione alle delibere assunte dal Plenum del CPGA nelle sedute del 25 febbraio 2011 e dell’11 marzo 2011 il ricorrente lamenta la violazione della disposizione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990, evidenziando che non ha ricevuto la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza e che, nel caso in esame, trattandosi di un giudizio di idoneità per merito assoluto, non v’è dubbio che debba trovare applicazione la predetta garanzia procedimentale; del resto, dal verbale della seduta dell’11 marzo 2011 si evince che anche il Plenum del CPGA si è avveduto della necessità di tale preavviso, sicché non vale a giustificarne l’omissione l’ulteriore circostanza evidenziata nel predetto verbale, ove si legge che «il cons. Schillaci, facendo pervenire ulteriori chiarimenti, è a conoscenza della deliberazione di rigetto»;
II) Falsa ed erronea interpretazione dell’art. 3, lettera b), della delibera del 22 ottobre 2010; violazione del principio di irretroattività, delle norme comminatorie di sanzioni afflittive pregiudizievoli di situazioni giuridiche e dei principi sull’efficacia delle disposizioni normative nel tempo; ripetuta violazione del giusto procedimento; eccesso di potere per erroneità, illogicità, irrazionalità, disparità di trattamento ed ingiustizia manifesta; violazione dell’art.29, comma 2, del regolamento interno del CPGA del 6 febbraio 2004 e dell’art. 21, comma 1, della legge n. 186/1982; violazione dei principi relativi al procedimento disciplinare. Il ricorrente deduce innanzi tutto che risultano violati i criteri adottati dal CPGA con la delibera del 22 ottobre 2010 – nella parte in cui prevedono che il giudizio di idoneità per la nomina a Presidente di Sezione interna di TAR tiene conto dell’assenza di consistenti ritardi non adeguatamente giustificati nel deposito di provvedimenti giurisdizionali in atto al momento dell’interpello oppure reiterati nel corso degli ultimi cinque anni – perché nell’ottobre del 2010 e per l’intero anno 2010, quando la delibera è entrata in vigore, egli non aveva alcun arretrato nei depositi. Inoltre il ricorrente sostiene che nei confronti del magistrato con maggiore anzianità il giudizio di non idoneità ad esercitare una funzione superiore determina una caduta di prestigio e di credibilità nell’ambiente di lavoro, nella società in cui vive e nella famiglia stessa, specie nel caso in cui egli abbia esercitato per molti anni le funzioni relative della qualifica superiore (nella fattispecie, al ricorrente è stata affidata la presidenza di ben 116 udienze pubbliche e camerali). Pertanto il giudizio di inidoneità costituisce, di fatto, una sanzione afflittiva e, come tale, non può non essere sottoposto ai principi generali che governano il regime delle sanzioni afflittive, ivi compreso il principio di legalità – sancito dall’art. 2, comma 2, cod. pen. e dall’art. 25 cost. – secondo il quale nessuno può essere punito per un fatto che non costituiva reato secondo la legge del tempo in cui fu commesso. Ne consegue che, quanto meno per i ritardi nei depositi verificatisi prima dell’ottobre 2010, l’immediata entrata in vigore della predetta delibera comporterebbe una violazione del principio di irretroattività delle disposizioni sanzionatorie. A ciò si aggiunge, secondo il ricorrente, che la decisone di attribuire valenza retroattiva alla disposizione che prevede la valutazione dei ritardi nel quinquennio precedente alla valutazione è viziata per eccesso di potere, perché: A) si privilegiano i magistrati con minore anzianità di servizio, che «ben potranno calibrare per il futuro il loro ambito prestazionale, pretendendo puntigliosamente che venga rispettato “al meglio” il limite del carico di lavoro ovvero rifiutando indebite sostituzioni o incombenze accessorie rese in eccedenza rispetto al carico e/o al ruolo»; B) contestualmente si danneggiano – con un gravoso e punitivo «effetto sorpresa» – che l’ordinamento tende invece ad escludere, come si può evincere da disposizioni come quelle poste dagli articoli 7 e 10-bis della legge n. 24l/1990, dagli articoli 101, commi 1 e 2, 183, 184-bis e 294 cod. proc. civ. e dall’art. 73, comma 3, cod. proc. amm. – i magistrati con maggiore anzianità di servizio (come il ricorrente) che, «ritenendo in buona fede che il carico di lavoro in più rispetto a quello previsto … avrebbe compensato eventuali ritardi», hanno di buon grado accettato le maggiori incombenze agli stessi affidate. In via subordinata, per il caso in cui si dovesse ritenere legittima la previsione della retroattività dei criteri fissati dalla predetta delibera, tali criteri risulterebbero comunque illegittimi per violazione dell’art. 21, comma 1, della legge n. 186/1982 e dell’art. 29, comma 2, del regolamento interno approvato dal CPGA nella seduta del 6 febbraio 2004, perché «non risultano né oggettivi, né (anche soggettivamente) predeterminati». In particolare il ricorrente lamenta che i predetti criteri – nella parte in cui prevedono che il giudizio attitudinale tiene conto dell’assenza di «consistenti ritardi» non «adeguatamente giustificati» nel deposito di provvedimenti giurisdizionali – lasciano all’Amministrazione un’eccessiva discrezionalità, perché non specificano: A) quale sia il limite oltre il quale un ritardo diviene consistente, ossia se si debba tener conto o meno del rapporto tra il numero e la durata dei ritardi ed il carico di lavoro assegnato al magistrato nello stesso arco temporale. Infatti «un conto è accusare un ritardo di 5 ricorsi su un carico di 100 ricorsi assegnati in sede cautelare ed in sede di merito ed un altro conto è il ritardo di 5 ricorsi su un carico di 150 ricorsi in entrambe le sedi. Si tiene conto nel giudizio di idoneità di tale rapporto? In buona sostanza, si adotta un metodo assoluto o, come sarebbe giusto ed onesto, un metodo proporzionale? C’è da ritenere che, non essendovi un criterio predeterminato, alcuni componenti del Consiglio l’abbiano inteso in un senso ed altri in uno diverso. Il metodo assoluto è errato in quanto ingiusto, poiché, per giudicare sul punto, elemento di riferimento per il giudizio non può che essere la produttività. Nel caso preso ad esempio, se un magistrato ha prodotto 150 provvedimenti giurisdizionali con un ritardo di 20 od anche 30 depositi, non si può proprio dire che costui meriti meno di chi ha prodotto 100 provvedimenti senza alcun ritardo nel deposito»; B) se ai fini della valutazione della consistenza del ritardo si debba tener conto o meno della complessità delle questioni dibattute e del numero dei motivi di ricorso. Infatti «decidere un ricorso con dieci motivi d’impugnazione o decidere con una sola pronuncia più ricorsi riuniti o ripetitivi, non è la stessa cosa, ai fini dell’impegno, che decidere una questione pregiudiziale, ovvero decidere un ricorso che contenga un solo motivo di gravame, o sia ripetitivo di tanti altri proposti separatamente da ricorrenti diversi contro il medesimo provvedimento. Pare quindi che il termine “consistente” possa essere interpretato in tanti modi diversi, la qualcosa esclude che il criterio adottato abbia il requisito dell’obiettività»; C) in quali casi il ritardo possa ritenersi adeguatamente giustificato e, in particolare, se possa operare o meno un meccanismo compensativo laddove sussistano consistenti ritardi, ma nel contempo si registri un eccesso di produzione e, in caso di risposta affermativa, in quale misura possa operare tale meccanismo; inoltre «rendere maggiori risposte alla domanda di giustizia è, ovvero non è, un valore aggiunto, e quindi un contributo ulteriore all’efficienza del servizio giudiziario? in che cosa può consistere l’impedimento che crea il ritardo giustificato? Una malattia che impedisce solo la deambulazione e non tocca le facoltà intellettive giustifica il ritardo oppure no? E quale malattia è temporaneamente invalidante? Una lunga e grave malattia di un familiare è causa giustificativa? Occorre per forza di cose far ricorso al congedo straordinario ovvero all’aspettativa?». Infine il ricorrente evidenzia che la conferma della indeterminatezza dei criteri adottati dal CPGA si rinviene sia nel risultato della votazione espressa dal Plenum nei suoi confronti (sette voti favorevoli, tre astenuti e quattro voti contrari), sia nel verbale della seduta del Plenum del 27 gennaio 2011, ove si riconosce che «i parametri prefissati nella recente delibera sugli incarichi direttivi rimangono sostanzialmente generali senza che vi sia una chiara interpretazione soprattutto dei criteri che definiscono il non demerito»;
III) Violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990; eccesso di potere per difetto di motivazione, per contraddittorietà, palese irragionevolezza e travisamento dei fatti, nonché per sviamento dalla causa tipica, ingiustizia manifesta e straripamento, disparità di trattamento, difetto di istruttoria; violazione dell’art. 3, comma 2, lettera a), prima parte, e dell’art. 4 delibera del CPGA del 2 febbraio 2010, nonché dell’allegato B) alla predetta delibera, recante la scheda informativa predisposta dal CPGA. Il presente motivo è finalizzato a censurare l’applicazione, da parte del CPGA, dei criteri fissati con la delibera del 2 febbraio 2010, nonché la motivazione della delibera assunta nella seduta del 25 febbraio 2011. Innanzi tutto il ricorrente procede ad una analitica ricostruzione dell’iter procedimentale che ha preceduto l’adozione di tale delibera, evidenziando che: A) la IV Commissione nelle sedute dell’11 gennaio 2011 e del 13 gennaio 2011 ha deciso di proporre l’effettuazione, nei confronti di tutti i partecipanti alla procedura, di approfondimenti istruttori sui ritardi nei depositi risultanti dai tabulati NSIGA, mediante la richiesta di chiarimenti ai diretti interessati ed ai Presidenti dei TAR di appartenenza; B) il Plenum nella seduta del 14 gennaio 2011 ha approvato de plano tale proposta; C) eseguiti tali accertamenti la IV Commissione, nella seduta del 26 gennaio 2011, «preso in esame il prospetto illustrativo dell’attività giurisdizionale ed il fascicolo personale, considerato che emergono profili di capacità, diligenza e dedizione e ritenuto che assume comunque rilievo la poziore posizione di ruolo», ha deciso di proporre al Plenum di conferire al ricorrente l’incarico direttivo; D) il Plenum nella seduta del 27 gennaio 2011, nonostante la prima autolimitazione fissata nel momento in cui è stata approvata la proposta di approfondimento istruttorio (conclusosi positivamente per il ricorrente), anziché votare sul conferimento dell’incarico, ha deciso, a scrutinio palese e dopo ampia discussione, di far eseguire una visita ispettiva presso il TAR Catania al fine di riscontrare la rispondenza tra i chiarimenti e le giustificazioni fornite dal ricorrente sui ritardi con la reale situazione documentale esistente presso il TAR medesimo; E) tale decisione costituisce un’ulteriore autolimitazione che il Plenum si è imposto, così subordinando la propria decisione finale esclusivamente all’esito, positivo o negativo, della visita ispettiva; F) all’esito della visita ispettiva – effettuata nei giorni 17 e 18 febbraio 2011 «al fine di acquisire definitivi elementi conoscitivi relativi al consigliere Salvatore Gaetano Schillaci» e, in particolare, per verificare «la consistenza e la ripetitività dei ritardi nel deposito delle sentenze e ordinanze da parte dell’interessato» attraverso il confronto dei tabulati NSIGA con i registri cartacei e gli originali dei provvedimenti giurisdizionali sottoscritti dal ricorrente – sono emersi i seguenti dati: a) assenza di ritardi alla data di indizione dell’interpello e al momento dell’ ispezione; b) appena due ritardi (di cui uno giustificato per il grave intervento chirurgico subito dalla moglie del ricorrente e l’altro di alcuni giorni soltanto) nell’anno 2010 e relativo carico di affari n. 158; c) per gli altri anni del quinquennio: anno 2006, carico di merito n. 138 affari e n. 26 ritardi; anno 2007, carico di merito n. 190 affari e n. 14 ritardi; anno 2008, carico di merito n. 155 affari e n. 31 ritardi; anno 2009, carico di merito n.123 affari e n. 26 ritardi; d) pieno rispetto del numero di 80 sentenze da depositare annualmente; e) espletamento, dal 2000 al 2010, di n. 50 (in effetti n. 57) presidenze di udienze pubbliche e n. 66 presidenze di udienze camerali; G) da tali dati si evince che: a) a fronte di un carico massimo annuale di 120 fascicoli di merito, previsto dalla delibera del CPGA del 18 dicembre 2003, e prendendo come parametro di raffronto un carico annuale «medio-alto» di 110 fascicoli, relativamente all’anno 2006 i 26 ritardi vanno raffrontati con lo scostamento di 28 fascicoli, relativamente all’anno 2007 i 14 ritardi vanno raffrontati con lo scostamento di ben 80 fascicoli, relativamente all’anno 2008 i 31 ritardi vanno raffrontati con lo scostamento di 45 fascicoli, relativamente all’anno 2009 i 23 ritardi vanno raffrontati con lo scostamento di 13 fascicoli, relativamente all’anno 2010 i 2 ritardi vanno raffrontati con lo scostamento di ben 488 fascicoli; b) anche se si tiene conto del carico massimo annuale di 120 fascicoli di merito, previsto dalla predetta delibera, si registra comunque un costante superamento dei limiti massimi sui carichi di lavoro; c) non è stata affatto rilevata «l’usurante attività svolta dal magistrato dal 2002 al 2005 relativamente alla adozione, oltre all’ordinario carico di lavoro, di quasi cinquemila decreti ingiuntivi, nonostante che la visita fosse preordinata a verificare ex officio l’intera attività di istituto del magistrato così come emerge dalle premesse della relazione di ispezione e dalla perentoria previsione del punto a), comma secondo, dell’art. 3 dei criteri»; d) le funzioni presidenziali affidate al ricorrente denotano capacità organizzativa e al contempo fiducia da parte dei presidenti titolari delle Sezioni di cui il ricorrente ha fatto parte; H) la IV Commissione, nella seduta del 24 febbraio 2011, tenuto conto delle risultanze della visita ispettiva, ha ritenuto «ridimensionati i dati sui ritardi, anche in relazione al notevole carico di lavoro che risulta essere stato assegnato» ed ha quindi deciso, all’unanimità, di proporre al Plenum di conferire al ricorrente le funzioni di Presidente di Sezione; I) nella seduta del Plenum del 25 febbraio 2011, è avvenuto quanto segue: a) il magistrato che aveva condotto l’ispezione ha riferito che erano stati riscontrati tutti i dati e i chiarimenti in precedenza forniti dal ricorrente ed ha esposto analiticamente i dati numerici relativi ai ritardi ed al carico di lavoro per ogni anno del quinquennio, nonché alle presidenze espletate (ma solo quelle riferite al quinquennio), senza però far cenno all’attività relativa ai decreti ingiuntivi; b) il presidente della IV Commissione ha evidenziato che i dati sui ritardi rilevati presso la Sezione risultavano considerevolmente ridimensionati rispetto a quelli risultanti dai tabulati NSIGA e che i ritardi risultavano comunque pienamente giustificati, sia per le difficoltà connesse all’introduzione del sistema NSIGA, che ha interessato gli anni di maggior ritardo, sia per il «cospicuo volume dei carichi di lavoro assegnati al magistrato negli anni di interesse (2006-2010)»; c) altro componente del Plenum ha rilevato che per «il costante superamento dei limiti quantitativi in materia di carichi di lavoro … i ritardi sarebbero ampiamente assorbiti da tale eccedenza» e che occorre assicurare decisioni uniformi nella valutazione delle varie situazioni, posto che eventuali profili di demerito vanno considerati complessivamente e in correlazione con altri dati positivi emersi nel corso dell’istruttoria, così come del resto si è già operato per le presidenze di Parma e di Napoli. Poste tali premesse, il ricorrente conclusivamente afferma che – in ossequio ai canoni di coerenza e di razionalità dell’azione amministrativa – il Plenum alla luce dell’autovincolo fissato nella seduta del 27 gennaio 2011 avrebbe dovuto, sic et simpliciter, approvare la proposta della IV Commissione; invece il procedimento «viene deviato dal percorso designato e … si torna … a parlare ancora dei ritardi, “dimenticando” che sulla consistenza e rilevanza degli stessi, nonché sulla verifica complessiva della posizione del ricorrente, era stato già dato incarico agli ispettori di svolgere le opportune verifiche, e la decisiva circostanza che, per le presidenze di Parma e Napoli, i profili di demerito erano stati valutati unitariamente con gli altri dati positivi emersi nel corso dell’istruttoria». Inoltre, secondo il ricorrente, la decisione del Plenum è viziata perché: A) è stata omessa la valutazione della sua anzianità di servizio e delle attività di istituto svolte oltre l’ordinario carico di lavoro (quali la presidenza delle udienze, la gestione del settore dei decreti ingiuntivi, la sistematica assunzione della figura di consigliere “anziano” in tutti i collegi formati nelle sezioni di appartenenza); B) non si è tenuto conto della non reiterazione dei ritardi nei depositi, che risultavano comunque inesistenti al momento dell’interpello e nell’anno 2010, oltre che ampiamente giustificati dall’attività svolta negli anni precedenti; C) non sono state evidenziate in motivazione le ragioni del mancato accoglimento della proposta formulata dalla IV Commissione. In particolare il ricorrente censura le opinioni espresse nella seduta del 25 febbraio 2011 da taluno dei componenti del CPGA, evidenziando che: a) uno di essi si è limitato a richiamare «il dato del ritardo consistente, previsto come elemento ostativo dai nuovi criteri», senza considerare che i nuovi criteri non conferiscono ex se efficacia escludente ai ritardi, sia perché deve trattarsi di ritardi consistenti e non adeguatamente giustificati, sia perché l’attitudine ad assumere le funzioni di Presidente deve essere valutata sulla base della complessiva attività svolta dal magistrato; b) un altro componente ha affermato che «la Commissione non ha approfondito la questione concernente il superamento dei limiti quantitativi stabili dal Consiglio di Presidenza e che, pertanto, gli stessi non possono essere addotti a giustificazione dei ritardi», senza considerare che l’assegnazione di un carico di lavoro abnorme non può essere ininfluente ai fini del verificarsi di ritardi nel deposito dei provvedimenti e che la IV Commissione ha tenuto conto dell’incidenza del superamento dei carichi di lavoro; c) vi è stato poi chi sottolineato «l’esigenza di piena valorizzazione dei nuovi criteri vigenti», senza considerare che tale esigenza costituisce piuttosto il sintomo di uno sviamento di potere, «perché chi giudica deve semplicemente applicare nella sua interezza la norma e senza manifestare alcun preconcetto o partito preso»;
 
IV) Eccesso di potere per macroscopica contraddittorietà, illogicità e ingiustizia manifesta, errore sui presupposti; violazione dell’art. 3, comma 2, lettera c), della delibera del 22 ottobre 2010, recante i criteri in materia di interpello e giudizio di idoneità per la nomina a Presidente di Sezione Interna di TAR, e delle delibere in materia di carichi di lavoro (delibere in data 18 dicembre 2003, 26 febbraio 2010 e 6 maggio 2010). Il ricorrente – dopo aver ricordato che, secondo l’art. 3, comma 2, lettera c), della delibera del 22 ottobre 2010 “il giudizio attitudinale tiene conto dell’assenza di significative violazioni degli obblighi previste dalle delibere in materia di assegnazione degli affari e carichi di lavoro” – si duole del fatto che il Plenum del CPGA, nel valutare la sua posizione, non abbia tenuto conto, nonostante le ripetute segnalazioni della IV Commissione, delle continue e ragguardevoli violazioni delle disposizioni sui carichi di lavoro perpetrate ai suoi danni;
V) Violazione dell’art. 15, comma 6, e dell’art. 16, commi 6 e 7 del Regolamento Interno del CPGA del 6 febbraio 2004; violazione dei principi in materia di giusto procedimento; straripamento di potere. Il presente motivo è finalizzato a censurare la decisione assunta dal Plenum del CPGA nella seduta dell’11 marzo 2011. Il ricorrente innanzi tutto evidenzia, in punto di fatto, che: A) nella seduta del 25 febbraio 2011, in sede di discussione, erano affiorate opinioni diverse dalla proposta della Commissione; B) ai sensi del comma 6 dell’art. 15 del Regolamento interno del CPGA, tali opinioni avrebbero dovuto essere formalizzate in una proposta alternativa a quella della Commissione, in modo da consentire al Plenum una ponderata discussione e la sottoposizione della proposta stessa a votazione; C) posto che tale procedura è stata omessa e considerato che il Plenum non ha approvato né la proposta della Commissione, né una proposta alternativa, l’affare avrebbe dovuto essere rinviato in Commissione ai sensi dell’art. 16, comma 7, del predetto Regolamento interno, perché il procedimento doveva considerarsi non ancora concluso; D) stante quanto precede, la IV Commissione ha correttamente ritenuto il procedimento ancora pendente e, quindi, tenuto conto della nota del ricorrente in data 8 marzo 2011 (con la quale è stato segnalato l’incarico generale e continuativo relativo all’adozione dei decreti ingiuntivi) ha riproposto, all’unanimità, al Plenum la nomina del ricorrente; E) nella successiva seduta del Plenum, svoltasi in data 11 marzo 2011, il relatore della IV Commissione ha ancora una volta evidenziato il mancato rispetto dalle delibere in materia carichi di lavoro, mentre un altro componente ha segnalato che la mancata valutazione dell’eccedenza del carico avrebbe comportato una lacuna istruttoria del provvedimento di inidoneità del ricorrente e che, in ogni caso, sarebbe stato necessario comunicare all’interessato il preavviso del rigetto; F) nonostante quanto precede, è stata posta in votazione una pregiudiziale di rito sulla ammissibilità o meno del riesame della posizione del ricorrente. Poste tali premesse il ricorrente conclusivamente afferma che la delibera assunta nella seduta dell’11 marzo 2011 – oltre ad essere affetta dai vizi denunciati in relazione alla precedente delibera del 25 febbraio 2011 – risulta illegittima sia perché è stato omesso il preavviso di rigetto, sia perché è stato violato il predetto Regolamento interno, sia perché nel verbale si richiama un caso analogo in cui il CPGA «si è già trovato a dover deliberare ex novo su una proposta in precedenza respinta», ma nulla viene chiarito al riguardo anche in relazione alle caratteristiche delle due fattispecie;
 
VI) Illegittimità dell’art. 16, comma 5, del Regolamento Interno del Consiglio di Presidenza del 6 febbraio 2004, nella parte in cui prevede che è approvata la proposta che abbia raccolto la maggioranza dei voti espressi ivi compresi gli astenuti, per violazione dell’art. 12, comma 2, della legge n. 186/1982; illegittimità del sistema di votazione sotto il profilo del travisamento dei fatti dipendente dall’erronea prevalenza del voto di una minoranza; illegittimità in via derivata ed in parte qua della delibera del CPGA del 25 febbraio 2011. Il ricorrente – dopo aver ricordato che la proposta della IV Commissione posta in votazione nella seduta del Plenum del 25 febbraio 2011 ha ottenuto il seguente risultato: 7 voti favorevoli, 4 voti contrari; 3 astenuti – denuncia l’illegittimità dell’art. 16, comma 5, del Regolamento interno del CPGA, nella parte in cui prevede che “è approvata la proposta che abbia raccolto la maggioranza dei voti espressi ivi compresi gli astenuti”. In particolare la valenza di voto contrario attribuita all’astensione dalla disposizione regolamentare impugnata contrasterebbe con l’art. 12, comma 2, della legge n. 186/1982. Infatti tale disposizione di legge prevede che le “deliberazioni sono prese a maggioranza”, così escludendo «qualsiasi addizione normativa che, mediante il non consentito istituto dell’astensione, possa stravolgere la struttura e il significato delle votazioni». A ciò si deve aggiungere, secondo il ricorrente, che è inammissibile l’astensione in una votazione che implica un giudizio di merito (e non una volontà di fare, caratteristica di un’attività meramente amministrativa), perché in tal caso l’espressione di un giudizio, favorevole o contrario, costituisce atto dovuto. Non sarebbe, quindi, ammissibile che in un collegio giudicante (come una commissione giudicante di un concorso a pubblico impiego) vi siano degli astenuti, perché con l’astensione il componente del collegio verrebbe meno ad un suo dovere funzionale. Inoltre l’astensione non potrebbe comunque essere assimilata al voto contrario, perché così ragionando si altera la reale ed effettiva volontà del componente dell’organo collegiale, che con l’astensione non intende partecipare alla formazione della volontà dell’organo stesso. Infatti l’applicazione della impugnata disposizione regolamentare può condurre a risultati aberranti, perché in un collegio come il Plenum del CPGA (composto da 14 membri) se in una votazione vengono espressi sette voti favorevoli alla persona che forma oggetto del giudizio, quattro contrari e vengono dichiarate tre astensioni, il voto contrario di una minoranza finisce per prevalere sulla volontà espressa da una stragrande maggioranza. In altri termini, posto che negli organi collegiali il principio maggioritario adempie alla funzione di far prevalere la volontà che si distacca meno dall’unanimità, nella fattispecie in esame la volontà che meno si distacca dalla unanimità è quella espressa dai sette consiglieri favorevoli al conferimento dell’incarico direttivo ed, invece, è prevalsa la volontà espressa da una esigua minoranza. È così risultata alterata anche la volontà degli astenuti, perché nella normalità dei casi, ossia quando l’astensione è dichiarata in buona fede, essa altro non è che l’estrinsecazione di uno stato di perplessità aggravato dalla persistenza di motivi di dubbio o di incertezza e, quindi, esprime una condizione di ambiguità implicante la possibilità di una duplice interpretazione. Del resto l’astensione è la risultante di valutazioni contrapposte, in parte favorevoli ed in parte contrarie, in quanto al componente del collegio nessuna delle soluzioni alternative poste in votazione appare prevalente; pertanto, se il voto fosse divisibile, metà andrebbe ad una parte e metà all’altra, fermo restando che il votante lascerebbe invariato il risultato della votazione perché il suo voto, diviso a metà, non concorrerebbe alla formazione della maggioranza;
 
VII) Violazione di legge ed eccesso di potere per trasposizione dell’oggetto della votazione ed erroneità; illegittimità in via derivata degli impugnati dinieghi di approvazione della favorevole proposta della IV Commissione. Il ricorrente sostiene innanzi tutto che è illogico ed irragionevole mettere ai voti il conferimento delle funzioni di Presidente di Sezione, laddove siano sollevate ragioni ostative al riguardo. Infatti la maggiore anzianità può essere derogata solo in presenza di circostanze ostative tassativamente stabilite. Ne consegue che se non vengono sollevate eccezioni, deve essere messa ai voti non l’idoneità, che è implicita nella maggiore anzianità, ma ogni singola ragione ostativa. Del resto, nel caso in esame la questione riveste importanza determinante perché, se fosse stata posta in votazione l’eccezione relativa ai ritardi nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali, il risultato di parità (anche inteso, quale è stato, come non raggiungimento della maggioranza) avrebbe condotto de plano al giudizio di idoneità, anche in virtù del principio in dubio pro reo, che trova applicazione sia nelle elezioni politiche (infatti il regolamento della Giunta delle elezioni della Camera dei Deputati ed il regolamento interno dell’Assemblea Regionale Siciliana approvato nel 1950 dispongono che, in sede di convalida, sopra ciascuna elezione contestata la giunta delibera a maggioranza e che in caso di parità si intende ammessa la convalida), sia nel settore del pubblico impiego (infatti secondo l’art. 112 del T.U. n. 3/1957, la Commissione di disciplina vota separatamente su ogni singola questione sia essa pregiudiziale, di fatto o di diritto, e quando vi è parità di voti prevale l’opinione più favorevole all’impiegato);
 
VIII) Illegittimità, in parte qua, dei criteri sul giudizio di idoneità approvati il 22 ottobre 2010 per violazione dell’art. 21 legge n.186/1982 e dell’art. 29 del Regolamento interno del 6 febbraio 2004; eccesso di potere per manifesta irrazionalità ed ingiustizia; illegittimità derivata degli impugnati dinieghi di approvazione della favorevole proposta della IV Commissione. In via subordinata il ricorrente sostiene che i criteri sul giudizio di idoneità approvati dal CPGA il 22 ottobre 2010 contrastano con le disposizioni di cui all’art. 21 della legge n. 186/1982 e all’art. 29 del Regolamento interno del 6 febbraio 2004, perché in base a tali disposizioni l’anzianità di servizio costituisce l’elemento essenziale su cui si fonda il giudizio di idoneità e, quindi, di essa si deve tenere conto in ogni caso, mentre in base ai predetti criteri tale elemento viene svuotato di ogni rilievo, stante l’ampiezza della discrezionalità dell’Amministrazione nella valutazione della consistenza e reiterazione dei ritardi e della adeguatezza delle relative giustificazioni.
 
3. Il controinteressato, cons. Cosimo Di Paola, con memoria depositata in data 14 febbraio 2012 innanzi tutto eccepisce l’irricevibilità del presente ricorso per tardività, perché dal verbale della seduta del Plenum dell’11 marzo 2011 si evincerebbe che a quella data la delibera del 25 febbraio 2011 era ben nota al ricorrente; in particolare il controinteressato evidenzia che: A) nel suddetto verbale si legge che «il cons. Schillaci facendo pervenire ulteriori chiarimenti, è a conoscenza della deliberazione di rigetto»; B) sebbene la richiesta di chiarimenti formulata dal CPGA risalga al 18 gennaio 2011, il ricorrente soltanto in data 8 marzo 2011, cioè dopo la pronuncia negativa del Plenum, ha ritenuto di trasmettere una nota con allegate integrazioni documentali al fine di superare la delibera di rigetto dell’istanza, invitando la Commissione a riproporre al Plenum nuovamente la sua nomina; C) la IV Commissione ha investito nuovamente il Plenum, integrando la propria proposta con il contenuto della nota del ricorrente in data 8 marzo 2011; D) essendo acclarata la piena conoscenza della delibera del CPGA del 25 febbraio 2011 quantomeno a far data dall’8 marzo 2011, il ricorso introduttivo è tradivo perché è stato consegnato all’Ufficiale giudiziario soltanto in data 28 maggio 2011. Inoltre ripropone il ricorso incidentale (già proposto innanzi al TAR Catania) avverso le delibere adottate nelle sedute del 25 febbraio 2011 e dell’11 marzo 2011, deducendo una questione pregiudiziale incidente sulla legittimazione ad agire del ricorrente principale; in particolare il cons. Di Paola lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 28 della legge n. 186/1982, nonché degli articoli 18 e 19 dell’ordinamento giudiziario, nel testo novellato dal decreto legislativo n. 109/2006, evidenziando che il cons. Schillaci avrebbe dovuto essere escluso dalla procedura di valutazione perché: A) l’interpello richiedeva a ciascuno dei concorrenti di dichiarare (nel modello A, allegato alla domanda di partecipazione) se “è – non è – parente fino al secondo grado, affine di primo grado, o convivente, di avvocato esercente la professione forense, o iscritto in un Consiglio dell’ordine, nella circoscrizione dell’ufficio giudiziario oggetto del presente interpello (solo per i magistrati interessati a sedi diverse dal Consiglio di Stato e dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio-Roma)”; B) il cons. Schillaci, come risulta dalla documentazione dallo stesso presentata, ha dichiarato che «è coniuge di avvocato esercente la professione forense; al riguardo precisa che il proprio coniuge, ormai prossimo al pensionamento, non si occupa di diritto amministrativo, ma soltanto di affari inerenti al diritto civile»; C) la circostanza che la moglie del ricorrente, avvocato Carmela Barbagallo, risulti essere iscritta nel Consiglio dell’Ordine di Catania, radica di per sé la situazione di incompatibilità che il legislatore ed il CPGA mirano ad impedire; D) contrariamente a quanto si evince dalla suddetta dichiarazione, resa per la partecipazione all’interpello, il coniuge del ricorrente si occupa di diritto amministrativo, come si evince dal fatto che ha sottoscritto il ricorso proposto innanzi al TAR Catania. Infine eccepisce l’infondatezza delle censure dedotte con il ricorso principale, evidenziando, nell’ordine, quanto segue:
– non sussiste la violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990, sia perché il preavviso di rigetto non trova applicazione nelle procedure concorsuali, ossia nei procedimenti aperti alla partecipazione di più soggetti, sia perché, anche ad opinare diversamente, non potrebbe farsi a meno di rilevare che il procedimento in esame non è iniziato ad istanza di parte, bensì a seguito di apposito interpello indetto dal CPGA;
– in relazione alle censure dedotte con il secondo motivo: A) non può parlarsi di violazione del principio di irretroattività, sia perché i criteri posti dall’art. 3, comma 2, lettera c), della delibera del 22 ottobre 2010 sono perfettamente coerenti con quelli adottati dal CPGA in occasione di tutti i precedenti interpelli, sia perché è lo stesso art. 21 della legge n. 186/1982 – invocato dal ricorrente – che prevede, come condizione preliminare per la partecipazione all’interpello, il compimento di almeno otto anni nella qualifica di consigliere di TAR e, quindi, consente di guardare al passato; B) è inconferente il riferimento ai principi in materia di sanzioni disciplinari, perché nel caso in esame si tratta della tutela di un interesse pretensivo; C) le censure relative all’eccessiva discrezionalità che residua dall’applicazione dei criteri posti dall’art. 3, comma 2, lettera c), della delibera del 22 ottobre 2010 – oltre ad essere tardive, perché il ricorrente ha preso conoscenza di tali criteri sin dalla presentazione della domanda di partecipazione – risultano comunque infondate, sia perché dall’esame della scheda allegata all’interpello risulta che soltanto i ritardi superiori a 90 giorni sono stati ritenuti “consistenti”, sia perché il superamento dei carichi di lavoro fissati dal CPGA non costituisce una “adeguata giustificazione” di tali ritardi. In particolare, la tesi del ricorrente principale – secondo la quale l’Amministrazione avrebbe dovuto procedere ad una sorta di compensazione tra carichi di lavoro e ritardi nel deposito dei provvedimenti – non sarebbe condivisibile perché «la compensazione presupporrebbe valori analoghi da porre in relazione: quindi, carico di sentenza e ritardo nel deposito delle stesse e non invece, come pretende il ricorrente, carico di fascicoli con ritardo nel deposito delle sentenze. Invero, il ricorrente non ha dimostrato, né potrebbe, di avere prodotto, con riferimento ai fascicoli di merito assegnati, un numero altrettanto consistente di sentenze. Sicché, la mera assegnazione in surplus di fascicoli di merito, peraltro accettata dal ricorrente, non può giustificare il consistente ritardo nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali che avviene successivamente alla decisione delle suddette cause, e non anche alla mera assegnazione delle stesse. In altri termini, avere in carico il fascicolo non significa affatto che la causa venga posta in decisione (data la mole dei rinvii accordati, nonché la possibilità di sopravvenute carenze di interesse e/o cessazione della materia del contendere) e quindi che il decidente debba redigere la sentenza»; D) il ricorrente non ha comunque chiarito se la maggiorazione del carico di lavoro riguardi o meno anche agli altri magistrati del TAR Catania; pertanto «se, come sembra, anche gli altri magistrati del TAR hanno dovuto sopperire ad un carico di lavoro sovrabbondante senza, tuttavia, registrare ritardi nei depositi, non può invocare il ricorrente tale maggior carico a giustificazione del proprio personale ed ingiustificato ritardo»; E) non può assumere rilevanza decisiva il numero dei decreti ingiuntivi sottoscritti dal ricorrente, peraltro con riferimento ad un arco temporale escluso dalla valutazione, «attesa la natura seriale del suddetto adempimento che, modificato l’importo e l’indicazione delle parti, si riduce ad una mera stampigliatura di uno schema già ampiamente e preventivamente predisposto»; F) non rileva neppure la presidenza di udienze pubbliche e camerali, perché in occasione della visita ispettiva è stato accertato che i dati comunicati dal ricorrente principale si riferivano agli ultimi undici anni e non al quinquennio anteriore alla valutazione, durante il quale egli ha presieduto solo n. 8 udienze pubbliche e n. 12 udienze camerali;
– quanto alle censure dedotte con il terzo motivo, nella condotta del CPGA non si ravvisano profili di contraddittorietà o di illogicità, né il superamento di eventuali autolimiti; in particolare, dalla lettura dei verbali del CPGA emerge che: A) sono state svolte tutte le attività istruttorie richieste dal caso, anche in ragione dell’insufficienza e della contraddittorietà dei dati contenuti nella domanda presentata dal ricorrente e nelle note di chiarimento che lo riguardano, nonché della consistenza dei suoi ritardi nel deposito dei provvedimenti; B) non vi è stata alcuna autolimitazione, come dimostra il fatto che la stessa Commissione, in data 15 febbraio 2011, nel rinviare la decisione, ha puntualizzato che «qualora l’approfondimento concernente la posizione lavorativa del cons. Schillaci evidenzi un giudizio negativo in ordine al conferimento delle funzioni di Presidente della Sezione Interna della Sezione Staccata di Catania del TAR Sicilia si procederà con le stesse modalità, nei confronti del secondo magistrato in ordine di ruolo che ha prestato l’assenso»; C) come si evince dalla delibera del 25 febbraio 2011, l’esito dell’approfondimento istruttorio, la cui valutazione è demandata esclusivamente al Plenum, ha indotto il Plenum stesso a dichiarare il ricorrente non idoneo; infatti nella predetta delibera si legge che «il OMISSIS quanto al Cons. Schillaci ritiene che sussistano comunque consistenti e reiterati ritardi nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali che non trovano adeguata giustificazione, tali da costituire impedimento al conferimento di funzioni di Presidente di sezione interna. Il OMISSIS, a sua volta, pur dando atto che vi è stato un ridimensionamento del numero dei ritardi, nondimeno rivela come essi non possano non essere adeguatamente considerati … Il OMISSIS, pur prendendo atto delle considerazioni formulate dal OMISSIS in ordine alla assegnazione del carico di lavoro oltre il limite previsto dal CPGA, ritiene che non si possa sottacere il dato del ritardo consistente, previsto come elemento ostativo dai nuovi criteri. Il OMISSIS, in relazione alle considerazione del OMISSIS, osserva che la Commissione non ha approfondito la questione concernente il superamento dei limiti quantitativi stabiliti dal Consiglio di Presidenza e che, pertanto, gli stessi non possono essere addotti a giustificazione dei ritardi. Il OMISSIS concorda con il rilievo del OMISSIS circa l’esigenza di piena valorizzazione dei nuovi criteri vigenti»;
– quanto alla censura dedotta con il quarto motivo, l’art. 3, comma 2, lett. c), della delibera del 22 ottobre 2010, nel prevedere che “il giudizio attitudinale tiene conto dell’assenza di significative violazioni degli obblighi previste dalle delibere in materia di assegnazione degli affari e carichi di lavoro”, comporta che deve essere dichiarato idoneo il magistrato che «non ha violato i limiti (con ovvio riferimento a quelli minimi) di carico di lavoro. Al contrario, la presenza di significative violazioni dei carichi … conduce ad un giudizio attitudinale negativo»;
– quanto alla censura dedotta con il quinto motivo, con la delibera dell’11 marzo 2011 è stata correttamente dichiarata inammissibile la nuova proposta della IV Commissione, perché il Plenum aveva già deliberato la non idoneità del cons. Schillaci nella precedente seduta del 25 febbraio 2011;
– quanto alla censura dedotta con il sesto motivo, l’art. 12, comma 2, della legge n. 186/1982, invocato dal ricorrente, non può trovare applicazione per le deliberazioni relative alle persone o allo stato giuridico dei magistrati, per le quali vale il terzo comma del medesimo art. 12, che si limita a fissare la regola dello scrutinio segreto; inoltre la giurisprudenza (T.A.R. Lazio Roma, Sez. I, 2 ottobre 2007, n. 9642) ha chiarito che non esiste alcun principio generale, di matrice costituzionale, dal quale possa ricavarsi il corretto metodo di computo degli astenuti da parte di organi collegiali deliberanti, sicché non vi è motivo per dubitare della legittimità dell’art. 16, comma 5, del Regolamento interno del 6 febbraio 2004, nella parte in cui prevede che “è approvata la proposta che abbia raccolto la maggioranza dei voti espressi ivi compresi gli astenuti”;
– quanto alla censura dedotta con il settimo motivo, dalla delibera del 25 febbraio 2011 si evince che è stata oggetto di votazione la proposta di «conferimento al ricorrente delle funzioni di Presidente di Sezione Interna della Sezione Staccata di Catania del TAR Sicilia» e il già citato l’art. 16, comma 5, del Regolamento Interno del Consiglio di Presidenza prevede che “è approvata la proposta che abbia raccolto la maggioranza dei voti espressi ivi compresi gli astenuti”, sicché risulta per tabulas che oggetto della votazione non sono né possono essere le questioni ostative all’idoneità, bensì le proposte di conferimento delle funzioni di Presidente, previo giudizio di idoneità;
– fermo restando quanto precede, risulta provato che nell’arco del quinquennio che ha preceduto l’interpello il ricorrente principale «ha accumulato tanto considerevoli quanto imbarazzanti ritardi nel deposito di sentenze, di gran lunga superiori ai 90 gg. e relativamente a materie (ad es. in materia di silenzio) il cui sforzo nella redazione della motivazione non dovrebbe essere (come non lo è stato) particolarmente impegnativo», ed ha depositato sentenze, alcune delle quali in materia elettorale e tante altre in materia di appalti, «con un ritardo medio di 200 giorni a sentenza»;
 
4. Il cons. Salvatore Schillaci con memoria depositata in data 2 marzo 2012, oltre ad insistere per l’accoglimento del ricorso, ha replicato alle eccezioni di controparte evidenziando che: A) il ricorso non può essere considerato tardivo perché non può assumere rilevanza decisiva la dichiarazione di un componente del CPGA, neppure identificabile; B) l’incompatibilità di cui all’art.18 del R.D. n. 12/1941 è una questione che si pone ex post (ossia successivamente all’acquisizione dell’ufficio), meritevole di essere esaminata, caso per caso, quando vengono in concreto a coesistere le due attività, e da risolvere tramite un’opzioni all’esito di uno specifico procedimento; C) l’avvocato Carmela Barbagallo ha patrocinato presso il TAR Catania, nel lontano 1996, soltanto due cause (ormai da tempo definite), in quanto legale di fiducia di due IPAB e, quindi, non potrebbero ricorrere le evenienze indicate all’art. 18 del R.D. n. 12/1941, anche perché il TAR Catania è articolato su ben quattro sezioni; D) quanto al fatto che abbia sottoscritto il ricorso presentato innanzi al TAR Catania, si spiega anche in ragione della difficoltà di reperire in loco un difensore «professionalmente dedito alle controversie innanzi ai TAR».
 
5. La Difesa erariale con memoria depositata in data 2 marzo 2012 ha chiesto la reiezione del ricorso, evidenziando che:
– non sussiste la violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990, sia perché il preavviso di rigetto trova applicazione solo nei procedimenti avviati ad istanza di parte, tra i quali non può essere ricompreso quello di cui trattasi, sia perché è stato comunque raggiunto lo scopo del predetto preavviso, come dimostra il fatto che il ricorrente ha potuto presentare le proprie osservazioni;
– non vi è stata alcuna violazione del principio di irretroattività, perché sin dalla delibera del 17 ottobre 2002 è previsto, ai fini del conferimento delle funzioni semidirettive, l’inoltro al CPGA di un dettagliato prospetto circa l’attività svolta dal magistrato nel quadriennio precedente, con specifica indicazione, tra l’altro, del numero di provvedimenti depositati con un ritardo superiore ai 90 giorni, sicché la delibera del 22 ottobre 2010 si limita a riprodurre un criterio di valutazione già utilizzato per i conferimenti anteriori al 22 ottobre 2010;
– la censura incentrata sull’eccessiva indeterminatezza dei criteri previsti dalla delibera del 22 ottobre 2010 non può essere accolta perché il Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi sui criteri precedentemente in vigore, ha ritenuto pienamente legittimo il criterio che tenga conto dei ritardi nel deposito delle minute di sentenze da parte del magistrato, trattandosi di situazione giuridicamente non irrilevante o priva di effetti e, come tale, valutabile dall’organo di autogoverno, al quale è riconosciuta dalla legge ampia discrezionalità nel valutare il merito e il demerito ai fini del conferimento di incarichi direttivi o semidirettivi (Cons. Stato, Sez. IV, 11 marzo 2005, n. 1043);
– le censure relative alla delibera del 25 febbraio 2011 non possono essere accolte perché: A) il CPGA ha svolto un’accurata istruttoria, attraverso una visita ispettiva presso il TAR Catania per accertare il carico di lavoro del ricorrente, la consistenza dei suoi ritardi ed il numero di udienze presiedute; B) la relazione finale della visita ispettiva, allegata al verbale della seduta della IV commissione del 24 febbraio 2011, evidenzia i seguenti ritardi: anno 2006: n. 16 sentenze e n. 10 ordinanze istruttorie; anno 2007; n. 10 sentenze e n. 4 ordinanze istruttorie; anno 2008: n. 18 sentenze e n. 13 ordinanze istruttorie; anno 2009: n. 23 sentenze e n. 3 ordinanze istruttorie; anno 2010: n. 2 sentenze; C) lo stesso ricorrente riconosce la sussistenza di ritardi nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali e per giustificarsi invoca il costante superamento del limite massimo del carico di lavoro fissato dal CPGA, ma non considera che la delibera del 18 dicembre 2003 stabilisce che “in ciascun mese dovrà essere assegnato ad ogni magistrato, tenuto conto anche dell’aggravio sempre crescente derivante dai provvedimenti cautelari, un numero complessivo di fascicoli, relativi a ricorsi da decidere nel merito, non inferiore a 9 e non superiore a 12” e che il CPGA, attraverso un corretto computo dei carichi di lavoro assegnati al ricorrente, ha ritenuto i ritardi del ricorrente non giustificati;
– la tesi sostenuta nel quinto motivo, secondo la quale il procedimento relativo alla valutazione della sua idoneità non si sarebbe concluso nella seduta del 25 febbraio 2011, non è condivisibile, perché la delibera del Plenum di rigetto della proposta della Commissione favorevole alla nomina del ricorrente ha avuto il preciso effetto di indirizzare l’attività successiva della Commissione nel senso di prendere in esame, in successione, le altre domande presentate; pertanto nella successiva seduta dell’11 marzo 2011 il Plenum, a fronte di una proposta della Commissione che sostanzialmente riproduceva quella già respinta, ha correttamente ritenuto preclusa, in assenza di fatti nuovi, la possibilità di riproporre una delibera dal medesimo contenuto di quella non approvata dallo stesso Plenum;
– l’art. 16, comma 5, del regolamento interno del 6 febbraio 2004, nella parte in cui prevede che è approvata la proposta che abbia raccolto la maggioranza dei voti espressi ivi compresi gli astenuti, è pienamente legittimo, perché l’avere comunque attribuito un effetto al voto di astensione appare coerente con il principio secondo il quale, in seno ad un organo collegiale, quale è il CPGA, la manifestazione dei voto è un dovere dei componenti dell’organo stesso;
– quanto alla censura dedotta con il settimo motivo di ricorso è sufficiente richiamare la disposizione dell’art. 3 della delibera del 22 ottobre 2010, ove si prevede che “è nominato il magistrato in possesso della maggior anzianità computabile secondo la normativa vigente, una volta verificata la sua attitudine all’ufficio direttivo da assegnare” (comma 1) e che nel giudizio di idoneità si tenga conto “dell’assenza di consistenti ritardi non adeguatamente giustificati nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali … in atto al momento dell’interpello oppure reiterati nel corso degli ultimi cinque anni” (comma 2, lett. b);
– non sussiste la violazione dell’art. 21 della legge n. 186/1982 e dell’art. 29 del regolamento interno del CPGA, denunciata con l’ottavo motivo in relazione alla mancata attribuzione del giusto rilievo al dato relativo all’anzianità di servizio, sia perché l’art. 3 della delibera del 22 ottobre 2010 attribuisce precipuo rilievo a tale dato stabilendo, al comma 1, che è nominato il magistrato in possesso della maggior anzianità, una volta verificata la sua attitudine all’ufficio direttivo da assegnare, sia perché l’art. 1, comma 2, della predetta delibera prevede che “il giudizio di idoneità è compiuto per merito assoluto secondo l’ordine di ruolo, in base ai criteri previsti dall’articolo 3”, ossia in assenza di ogni valutazione comparativa che ben potrebbe attenuare la rilevanza del dato relativo all’anzianità di servizio.
 
6. Il cons. Cosimo Di Paola in data 9 maggio 2012 ha depositato un prospetto riepilogativo dei ritardi nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali accumulati dal cons. Schillaci nel quinquennio anteriore all’interpello (2006 – 2010) e nel periodo ancora precedente, fino all’anno 1991. Inoltre con memoria depositata in data 18 maggio 2012 ha insistito per l’accoglimento del ricorso incidentale e per il rigetto del ricorso principale, evidenziando, in particolare, quanto segue: «l’ostinazione del ricorrente nell’obnubilare i propri ingiustificabili “demeriti” (a prescindere dagli scarni periodi di asseriti surplus di carico di lavoro), impone di chiarire definitivamente che la consistenza, la cronicità e la tipologia dei ritardi accumulati dal ricorrente sia nel periodo di interpello che in quello precedente, non è né recente né transeunte, né occasionale. Invero, come risulta dagli ulteriori tabulati e dalle sentenze depositate con fascicolo documentale del 9/5/2012, nel quinquennio di riferimento, il ricorrente è incorso in consistenti, vistosi ed ingiustificati ritardi in materie per di più sensibili regolate dal c.d. rito abbreviato ed in materiale elettorale. Dal tabulato … si sono evidenziati n. 106 ritardi caratterizzati dalla pubblicazione della sentenza, in alcuni casi, dopo oltre un anno in materia di appalti pubblici o dopo oltre sei mesi in materia elettorale … Inoltre, qualora come voluto dal ricorrente il periodo di riferimento dell’interpello fosse stato più ampio, i ritardi del ricorrente, come risulta dalla seconda parte del tabulato prodotto, risulterebbero ancor più consistenti sia nel numero complessivo 569, sia nella durata dei ritardi che in alcuni casi ha superato i 1.200 giorni (cioè più di tre anni) che nella tipologia degli stessi (rito appalti, rito elettorale), con le intuibili conseguenze per le parti e, soprattutto, per la stessa immagine della giustizia invocata proprio dallo stesso ricorrente».
 
7. Il cons. Salvatore Schillaci con memoria depositata in data 18 maggio 2012 ha ulteriormente replicato alle eccezioni di controparte ed ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
 
8. Anche la Difesa erariale ed il cons. Cosimo Di Paola con memorie depositate, rispettivamente, in data 18 maggio 2012 e 30 maggio 2012 hanno insistito per una declaratoria di inammissibilità del ricorso e, in via subordinata, per il rigetto dello stesso.
 
9. Alla pubblica udienza del 20 giugno 2012 la causa è stata chiamata e trattenuta per la decisione.

DIRITTO
 
1. In via preliminare questo Tribunale ritiene che non possa essere accolta l’eccezione di irricevibilità sollevata dal controinteressato con la memoria depositata in data 14 febbraio 2012. Infatti se è vero che, con riferimento agli ulteriori chiarimenti fatti pervenire dal cons. Schillaci con la nota in data 8 marzo 2011, nel verbale della seduta del Plenum dell’11 marzo 2011 si legge che «il cons. Schillaci facendo pervenire ulteriori chiarimenti, è a conoscenza della deliberazione di rigetto», ossia della deliberazione assunta nella seduta del 25 febbraio 2011, è anche vero che tale circostanza non è sufficiente per ritenere che di tale deliberazione egli abbia avuto piena conoscenza a far data dal giorno 8 marzo 2011. Del resto, secondo la giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 22 maggio 2012, n. 2974), ai fini di individuare la decorrenza del termine decadenziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale, la verifica della piena conoscenza dell’atto lesivo da parte del ricorrente deve essere estremamente cauta e rigorosa, non potendo basarsi su mere supposizioni ovvero su deduzioni, pur sorrette da apprezzabili argomentazioni logiche. Coglie, quindi, nel segno la replica del ricorrente principale, secondo il quale non può assumere decisiva rilevanza la dichiarazione di un componente del CPGA, allo stato neppure identificabile, con l’ulteriore conseguenza che si deve ritenere che egli abbia avuto piena conoscenza delle delibere assunte nelle sedute del 25 febbraio 2011 e dell’11 marzo 2011 solo in data 4 aprile 2011, ossia al momento della ricezione della nota del Segretario del CPGA del 22 marzo 2011, con la quale è stata data comunicazione delle predette delibere.
 
2. Passando al ricorso incidentale proposto dal cons. Di Paola, questo Tribunale in via preliminare osserva che trattasi di un ricorso “ad effetto paralizzante”, ossia di un ricorso finalizzato a contestare la legittimazione ad agire del ricorrente principale, e quindi si pone innanzi tutto il problema di stabilire se il suo esame debba precedere o seguire quello del ricorso principale. A tal riguardo occorre rammentare che l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con particolare riferimento alle controversie in materia di appalti pubblici, con la sentenza n. 4/2011 ha superato il suo precedente orientamento (affermato nella sentenza n. 11/2008), pervenendo ad affermare il principio di diritto secondo il quale «il ricorso incidentale, diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale, mediante la censura della sua ammissione alla procedura di gara, deve essere sempre esaminato prioritariamente, anche nel caso in cui il ricorrente principale alleghi l’interesse strumentale alla rinnovazione dell’intera procedura. Detta priorità logica sussiste indipendentemente dal numero dei partecipanti alla procedura selettiva, dal tipo di censura prospettata dal ricorrente incidentale e dalle richieste formulate dall’amministrazione resistente. L’esame prioritario del ricorso principale è ammesso, per ragioni di economia processuale, qualora sia evidente la sua infondatezza, inammissibilità, irricevibilità o improcedibilità». Ciò posto, nel caso in esame si può prescindere dall’esame del ricorso incidentale perché il ricorso principale non può comunque essere accolto, alla luce delle seguenti considerazioni.
 
3. Innanzi tutto questo Tribunale ritiene che non possa essere accolto il primo motivo di ricorso, incentrato sulla violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990. Infatti il primo periodo di tale disposizione circoscrive l’ambito applicativo della garanzia procedimentale costituita dalla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza ai procedimenti avviati su domanda di parte, mentre il successivo terzo periodo esclude che tale garanzia trovi applicazione nelle procedure concorsuali. Pertanto – a fronte dell’ordinanza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 20/2011, nella quale il procedimento in esame, finalizzato al conferimento delle funzioni di Presidente di Sezione Interna del TAR Catania, viene espressamente qualificato «procedura valutativa e selettiva» – a questo Tribunale resta solo da evidenziare che il CPGA non era tenuto a far precedere dal preavviso di rigetto l’adozione della delibera del 25 febbraio 2011, perché il procedimento di cui trattasi può essere assimilato ad una procedura concorsuale e, comunque, non è stato avviato ad istanza di parte, bensì a seguito di apposito interpello indetto dal CPGA. Quanto poi all’ulteriore censura, incentrata sul fatto che neppure l’adozione della delibera dell’11 marzo 2011 sia stata preceduta dal preavviso di rigetto, è sufficiente evidenziare che la proposta di riesame della posizione del ricorrente non è stata determinata da un’istanza di parte – perché lo stesso ricorrente (per replicare all’eccezione di tardività del ricorso) ha affermato di aver appreso la notizia dell’adozione della delibera del 25 febbraio 2011 solo in data 4 aprile 2011 (ossia al momento della ricezione della nota del Segretario del CPGA del 22 marzo 2011) – bensì da una iniziativa assunta, d’ufficio, dalla IV Commissione all’atto della ricezione della nota trasmessa dal ricorrente in data 8 marzo 2011 ad integrazione della precedente nota in data 25 febbraio 2011; pertanto neppure il procedimento conclusosi con la predetta delibera può essere qualificato come un procedimento avviato su richiesta di parte.
 
4. Né miglior sorte meritano i due gruppi di censure dedotti con il secondo motivo di ricorso avverso la delibera del 22 ottobre 2010, con la quale sono stati adottati i criteri utilizzati dal CPGA nel valutare l’idoneità del ricorrente. In particolare:
– il primo gruppo di censure muove dal carattere afflittivo del giudizio di inidoneità espresso dal CPGA nei confronti del ricorrente con la deliberazione assunta nella seduta del 25 febbraio 2011 ed è incentrato sulla violazione del principio di irretroattività che, secondo la tesi di parte ricorrente, avrebbe imposto di fare applicazione solo per il futuro dei “nuovi” criteri adottati dal CPGA con delibera del 22 ottobre 2010. Tuttavia tali doglianze non colgono nel segno, sia perché il procedimento per la nomina a Presidente di Sezione interna non è assimilabile ad un procedimento disciplinare, stante la differenza radicale tra la posizione del soggetto che si oppone all’applicazione di una sanzione disciplinare e quella del soggetto che mira a conseguire l’idoneità ad esercitare le funzioni presidenziali, sia perché (come correttamente evidenziato dalla Difesa erariale) i criteri posti dall’art. 3, comma 2, lettera b), della delibera del 22 ottobre 2010, ove si prevede che il giudizio di idoneità deve tener conto “dell’assenza di consistenti ritardi non adeguatamente giustificati nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali … in atto al momento dell’interpello oppure reiterati nel corso degli ultimi cinque anni” sono sostanzialmente in linea con quelli seguiti dal CPGA in occasione dei precedenti interpelli, quantomeno a partire dalla delibera del 17 ottobre 2002. Infatti quest’ultima delibera (che risulta espressamente abrogata dall’art. 6 della delibera del 22 ottobre 2010) prevedeva l’inoltro al CPGA, da parte del dirigente dell’ufficio di segreteria della sezione ove il magistrato presta servizio, di un dettagliato prospetto dell’attività giurisdizionale svolta nel precedente quadriennio, nel quale dovevano essere indicati, per ciascun anno, il numero di provvedimenti depositati distinti per tipologia (sentenze, ordinanze), la data di discussione del ricorso e la data di deposito della minuta della relativa sentenza, con specificazione della natura della stessa (irricevibile, improcedibile, merito, ecc.), chiarendo che tale indicazione doveva limitarsi “soltanto alle sentenze depositate in minuta oltre i 90 giorni dalla data della Camera di Consiglio”;
– quanto poi al secondo gruppo di censure, incentrato sulla violazione dell’art. 21, comma 1, della legge n. 186/1982 (nella parte in cui prevede che i consiglieri TAR, al compimento di otto anni di anzianità nella qualifica, conseguono la nomina alle qualifiche di presidente “nei limiti dei posti disponibili, previo giudizio di idoneità espresso dal consiglio di presidenza sulla base di criteri predeterminati che tengano conto in ogni caso dell’attitudine all’ufficio direttivo e dell’anzianità di servizio”) e dell’art. 29, comma 2, del regolamento interno approvato dal CPGA nella seduta del 6 febbraio 2004 (ove si prevede che “con propria deliberazione il consiglio di presidenza fissa criteri oggettivi e predeterminati per la valutazione sull’idoneità dei magistrati allo svolgimento di funzioni direttive, tenendo conto in ogni caso dell’attitudine all’ufficio direttivo e dell’anzianità di servizio”) e teso a censurare la genericità dei criteri previsti dal citato art. 3, comma 2, lettera b), della predetta delibera del 22 ottobre 2010, si ritiene di poter prescindere dall’esame dell’eccezione di tardività sollevata dal controinteressato, perché trattasi di censure prive di fondamento. Infatti, con particolare riferimento al criterio della “assenza di consistenti ritardi … nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali … in atto al momento dell’interpello oppure reiterati nel corso degli ultimi cinque anni”, il ricorrente non considera che: A) il CPGA – essendo tenuto a fissare “criteri oggettivi e predeterminati per la valutazione sull’idoneità dei magistrati allo svolgimento di funzioni direttive” – con la delibera del 22 ottobre 2010 ha confermato la scelta (risalente alla delibera del 17 ottobre 2002) di utilizzare come parametro di riferimento i tempi occorrenti al magistrato per il deposito dei provvedimenti giurisdizionali; e tale scelta appare pienamente condivisibile, perché la produttività del giudice si deve evidentemente valutare anche in base al tempo che impiega per adempiere ai doveri del proprio ufficio; B) a fronte del termine generale di 45 giorni oggi previsto dall’art. 89, comma 1, cod. proc. amm. per la redazione della sentenza, il CPGA ha operato la scelta di tener conto, ai fini del giudizio di idoneità ad assolvere funzioni direttive, non di ogni situazione in cui si sia verificato il superamento del predetto termine, ma solo delle situazioni in cui sussistano consistenti ritardi nel deposito dei provvedimenti, in atto al momento dell’interpello oppure reiterati nel corso degli ultimi cinque anni; e tale scelta appare altrettanto condivisibile se si considera che la precedente delibera del 22 ottobre 2010, nel prevedere che la segnalazione al CPGA dei soli casi di sentenze depositate in minuta oltre i 90 giorni dalla data della camera di consiglio, non solo limitava la segnalazione alle sole sentenze, ma soprattutto finiva per legittimare situazioni di sistematico superamento del suddetto termine di 45 giorni; C) alla luce di quanto precede, il primo criterio fissato con la predetta delibera del 22 ottobre 2010 non risulta affatto eccessivamente generico, perché in realtà predetermina con sufficiente precisione due distinte situazioni (i consistenti ritardi in atto al momento dell’interpello ed i consistenti ritardi reiterati nel corso degli ultimi cinque anni) nelle quali il mancato rispetto dei termini per il deposito dei provvedimenti può risultare un indice della non idoneità dei magistrati allo svolgimento di funzioni direttive; D) la mancata predeterminazione del numero dei giorni oltre il quale il singolo ritardo diviene consistente e del numero dei ritardi oltre i quali può parlarsi di reiterazione si giustifica agevolmente proprio alla luce delle diverse situazioni di fatto evidenziate dal ricorrente, essendo evidente, ad esempio, che la consistenza del ritardo nel deposito di un provvedimento deve essere rapportata al tipo e alla complessità del provvedimento stesso e al numero dei motivi di ricorso. Analoghe considerazioni valgono per il secondo criterio, costituito dalla “assenza di … ritardi non adeguatamente giustificati nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali”, anche perché il ricorrente non considera che sono molteplici le situazioni di carattere soggettivo (ossia legate alla condizione personale del magistrato) e oggettivo (ossia legate al tipo e alla complessità dei provvedimenti che il magistrato è chiamato a redigere) che possono giustificare il mancato rispetto dei termini di deposito, sicché tipizzare tali situazioni sarebbe non solo assai arduo, ma anche pericoloso, stante il rischio che non vengano disciplinate situazioni meritevoli della dovuta considerazione. Infine corre l’obbligo di evidenziare che l’art. 21, comma 1, della legge n. 186/1982 e l’art. 29, comma 2, del regolamento interno si limitano ad imporre al CPGA di predeterminare i criteri che orienteranno le future valutazioni, e non di prevedere criteri che azzerino la discrezionalità che caratterizza tali valutazioni al punto di trasformare il giudizio di idoneità in un’attività integralmente vincolata.
 
5. Passando al terzo motivo, occorre innanzi tutto rammentare che il ricorrente censura l’applicazione, da parte del CPGA, dei criteri fissati con la delibera del 2 febbraio 2010 e la motivazione della delibera assunta nella seduta del 25 febbraio 2011 deducendo che: A) alla luce dell’autovincolo fissato nella precedente seduta del 27 gennaio 2011, il CPGA nella seduta del 25 febbraio 2011 avrebbe dovuto, sic et simpliciter, approvare la proposta formulata dalla IV Commissione all’esito della visita ispettiva presso il TAR Catania; B) è stata omessa, da parte del CPGA, la valutazione della sua anzianità di servizio e della sua complessiva ed articolata attività di servizio, ivi compreso l’esercizio – in aggiunta all’ordinario carico di lavoro – di funzioni presidenziali in occasione di udienze pubbliche e camerali, della delega ad adottare i decreti ingiuntivi relativi alle materie di competenza della seconda Sezione del TAR di Catania, nonché delle funzioni di consigliere “anziano” in tutti i collegi formati nelle sezioni di appartenenza; C) non si è tenuto conto della non reiterazione dei ritardi nei depositi, che risultavano comunque inesistenti al momento dell’interpello e nell’anno 2010, oltre che ampiamente giustificati dall’attività svolta negli anni precedenti; D) non sono state evidenziate in motivazione le ragioni dello scostamento dalla proposta formulata, all’unanimità, dalla IV Commissione all’esito della seduta del 24 febbraio 2011, nel corso della quale i dati sui ritardi nel deposito dei provvedimenti erano risultati «ridimensionati … anche in relazione al notevole carico di lavoro che risulta essere stato assegnato»; E) il passaggio della impugnata delibera del 25 febbraio 2011 ove si evidenzia «l’esigenza di piena valorizzazione dei nuovi criteri vigenti» costituisce il sintomo di uno sviamento di potere, «perché chi giudica deve semplicemente applicare nella sua interezza la norma e senza manifestare alcun preconcetto o partito preso». Ebbene, con riferimento a tali censure, questo Tribunale osserva che:
– dall’esame del verbale della seduta del Plenum del 27 gennaio 2011 – nel corso della quale avrebbe dovuto essere sottoposta a votazione la proposta, deliberata della IV Commissione nella seduta del 25 gennaio 2011, di conferire al cons. Schillaci le funzioni di Presidente di Sezione interna – si evince che: A) all’esito di una articolata discussione su tale proposta, uno dei componenti della IV Commissione ha chiarito «il modo in cui si è svolta l’istruttoria», evidenziando che «le schede inviate dai magistrati riportano dati pressoché generici» e che «il confronto di tali dati con i tabulati del sistema NSIGA ha reso necessaria l’acquisizione di ulteriori chiarimenti non del tutto esaustivi», ed ha concluso precisando che «il proprio orientamento in commissione era indirizzato ad un ulteriore approfondimento»; B) sulla scorta di tali chiarimenti, uno dei componenti del Plenum ha proposto di «rinviare tutti conferimenti di funzioni in Commissione per svolgere un’istruttoria più approfondita, che tenga conto soprattutto del dato sui ritardi nel deposito delle sentenze»; C) un altro componente, in relazione all’attività svolta in Commissione, ha segnalato «di aver riscontrato, per il TAR di Catania, che la giustificazione addotta, non documentata, per chiarire le ragioni dei ritardi è stata quella dell’indicazione della doppia camera di consiglio»; D) un altro componente ha espresso l’avviso che «la Sezione Staccata di Catania debba essere oggetto di una visita ispettiva da parte del Consiglio di Presidenza»; E) il Plenum, all’unanimità, ha approvato la proposta del Presidente di rinvio in Commissione «per approfondimenti istruttori». Posta tale premessa, questo Tribunale ritiene che il Plenum con la decisione assunta della seduta del 27 gennaio 2011 non abbia affatto espresso la volontà di autovincolarsi in funzione delle future decisioni da assumere, ma abbia piuttosto inteso porre in rilievo che l’attività istruttoria svolta dalla IV Commissione non aveva consentito di risolvere tutti i dubbi relativi alla posizione del ricorrente, con particolare riferimento alle divergenze risultanti dal confronto tra i dati provenienti dal TAR di Catania e quelli desumibili dal sistema NSIGA. Non coglie, quindi, nel segno il ricorrente quando afferma che il CPGA nella seduta del 25 febbraio 2011 avrebbe dovuto limitarsi ad approvare la nuova proposta di conferimento delle funzioni direttive, formulata dalla IV Commissione nella seduta del 24 febbraio 2011 (sulla scorta delle risultanze della visita ispettiva svoltasi presso il TAR Catania nei giorni 17 e 18 febbraio 2011), perché, come già evidenziato, la decisione assunta della seduta del 27 gennaio 2011 non esprimeva affatto la volontà di subordinare, sic et simpliciter, l’accoglimento della proposta della IV Commissione all’esito del supplemento di attività istruttoria, ma esprimeva piuttosto la volontà di rinviare ogni valutazione su tale proposta al momento in cui fossero state chiarite le divergenze innanzi evidenziate;
– quanto alle successive tre censure – incentrate sulla omessa valutazione della anzianità di servizio del ricorrente, della sua complessiva attività di servizio, con particolare riferimento alle funzioni assolte in aggiunta all’ordinario carico di lavoro, dell’assenza di ritardi nei depositi al momento dell’interpello e nell’anno 2010 e, soprattutto, della possibilità di giustificare i ritardi nei depositi (come emersi all’esito della suddetta visita ispettiva) attraverso una sorta di meccanismo compensativo, che tenga conto del fatto che nel quinquennio di riferimento (2006-2010) si sarebbe verificato, nel suo caso, un costante superamento dei carichi di lavoro fissati dal CPGA – devono essere trattate congiuntamente perché sono strettamente connesse tra loro. Infatti l’art. 3 della delibera del 2 febbraio 2010 – nel dare attuazione al precedente art. 1 (ove si prevede che “il giudizio di idoneità è compiuto per merito assoluto secondo l’ordine di ruolo, in base ai criteri previsti dall’articolo 3”) – dapprima afferma (al comma 1) che “è nominato il magistrato in possesso della maggior anzianità computabile secondo la normativa vigente, una volta verificata la sua attitudine all’ufficio direttivo da assegnare”, così chiarendo i rapporti tra l’anzianità di servizio e il giudizio attitudinale, e poi menziona (al comma 2) i diversi aspetti sui quali verte il giudizio attitudinale (attività di servizio, procedimenti e provvedimenti penali o disciplinari, ritardi nei depositi dei provvedimenti giurisdizionali, assenza di significative violazioni degli obblighi previsti dalle delibere in materia di assegnazione degli affari e carichi di lavoro), lasciando chiaramente intendere che tali aspetti devono essere oggetto di una valutazione complessiva. Posta tale premessa metodologica, questo Tribunale ritiene che le censure in esame non possano essere accolte per le seguenti ragioni: A) innanzi tutto dalla lettura del verbale della seduta del 25 febbraio 2011 si evince inequivocabilmente che il giudizio di inidoneità del ricorrente è dipeso essenzialmente dai «consistenti e reiterati ritardi nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali che non trovano adeguata giustificazione»; B) ciò posto, non può farsi a meno di evidenziare che la copiosa documentazione prodotta in giudizio dal controinteressato (ad integrazione della relazione redatta all’esito della visita ispettiva) – non contestata in alcun modo dal ricorrente – fa emergere in modo inequivocabile i consistenti e reiterati ritardi accumulati dal ricorrente nel quinquennio 2006-2010, ossia la sussistenza di entrambi gli indici negativi che possono condurre ad un giudizio di inidoneità ai sensi dell’art. 3, comma 2, lettera b), della delibera del 22 ottobre 2010, sicché non può assumere rilievo decisivo la prima circostanza addotta dal ricorrente a sua giustificazione, ossia l’assenza di ritardi nei depositi al momento dell’interpello e la presenza di due soli ritardi nell’anno 2010. In particolare, quanto alla reiterazione dei ritardi nel periodo 2006-2009, questa emerge chiaramente dalla relazione redatta all’esito della visita ispettiva, da cui si evincono n. 26 ritardi per l’anno 2006, n. 14 ritardi per l’anno 2007, n. 31 ritardi per l’anno 2008, n. 26 ritardi per l’anno 2009. Quanto poi alla consistenza di tali ritardi, dal tabulato prodotto in giudizio in data 9 maggio 2012 si evincono finanche ritardi di oltre un anno, non solo in relazione a provvedimenti inerenti materie complesse, come quella degli appalti pubblici (si vedano, in particolare, le sentenze n. 1083/2009 e n. 1684/2009), ma anche in relazione a provvedimenti inerenti materie come l’accesso (si veda, in particolare, la sentenza n. 1379/2009); C) se è innegabile che il ricorrente nel corso della sua carriera abbia svolto molteplici attività eccedenti l’ordinario carico di lavoro, come dimostrano, in particolare, le funzioni presidenziali assolte anche nel quinquennio 2006-2010 e l’attività di magistrato delegato ad adottare i decreti ingiuntivi relativi alle materie di competenza della seconda Sezione del TAR Catania, tuttavia neppure tali attività aggiuntive possono giustificare i consistenti e reiterati ritardi accumulati dal ricorrente stesso nel predetto quinquennio, sia perché in tale periodo il ricorrente ha presieduto un numero ridotto di udienze (complessive n. 8 udienze pubbliche e n. 12 udienze camerali), che risultano, peraltro, concentrate nell’anno 2010 (n. 7 udienze pubbliche e n. 8 udienze camerali), durante il quale lo stesso ricorrente sottolinea di aver accumulato solo due ritardi (di cui uno giustificato per il grave intervento chirurgico subito dalla moglie del ricorrente e l’altro di alcuni giorni soltanto); sia perché è noto che, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 2004, è fortemente diminuito il numero dei decreti ingiuntivi adottati dai TAR, sicché lo stesso ricorrente è costretto ad evidenziare che l’attività inerente l’adozione di tali provvedimenti si è concentrata nel periodo 2002-2005, ossia in un periodo anteriore al quinquennio preso in considerazione per la valutazione dei ritardi; D) né può ritenersi che i ritardi in questione siano giustificabili applicando il peculiare meccanismo della compensazione prospettato dal ricorrente, secondo il quale in caso di assegnazione di un numero di fascicoli eccedente lo standard fissato dal CPGA con le delibere in data 18 dicembre 2003, 26 febbraio 2010 e 6 maggio 2010 sorgerebbe una sorta di “credito” in favore del magistrato assegnatario, tale da giustificare il mancato rispetto dei termini previsti per il deposito dei provvedimenti giurisdizionali. Si deve infatti osservare che la delibera sui carichi di lavoro in data 18 dicembre 2003 – oltre a prevedere che «in ciascun mese dovrà essere assegnato ad ogni magistrato, tenuto conto anche dell’aggravio sempre crescente derivante dai provvedimento cautelari, un numero complessivo di fascicoli, relativi a ricorsi da decidere nel merito, non inferiore a 9 e non superiore a 12», stabilisce anche come debba essere calcolato il numero dei fascicoli da assegnare (specificando, ad esempio, che non sono compresi in tale numero «i ricorsi identici – meno che nel nome delle parti in giudizio – nei motivi e nelle condizioni di fatto ovvero nei quali siano formulate solo censure di illegittimità derivata») e puntualizza che «in caso di errore nell’applicazione delle presenti direttive ovvero di scostamento dalle stesse per oggettive esigenze si procede a compensazione nei tre mesi successivi». Risulta quindi evidente che, per l’ipotesi in cui si verifichi uno scostamento dal numero massimo dei ricorsi assegnabili, la delibera del 18 dicembre 2003 prevede – anche al fine di evitare che tale scostamento possa creare al magistrato assegnatario difficoltà nel rispetto dei termini per il deposito dei provvedimenti – un apposito meccanismo compensativo, la cui operatività è però limitata ai tre mesi successivi. Ne consegue che, laddove il presidente non provveda d’ufficio alla compensazione (come richiesto dalla delibera del 18 dicembre 2003), mediante una riduzione del carico di lavoro proporzionale rispetto allo scostamento in eccesso, il magistrato assegnatario ha l’onere di richiedere al presidente – entro il termine di tre mesi dal giorno in cui si verificata l’assegnazione di un carico di lavoro eccedente il limite massimo previsto dalla delibera del 18 dicembre 2003 – di operare la predetta compensazione. Ne consegue altresì che, se il presidente non provvede d’ufficio e il magistrato non si attiva tempestivamente per richiedere l’applicazione del meccanismo compensativo previsto e disciplinato dalla delibera del 18 dicembre 2003, non residua alcuna possibilità di recuperare lo scostamento in eccesso e, comunque, non può ammettersi che il magistrato assegnatario si ritenga automaticamente legittimato a non rispettare i termini previsti per il deposito dei provvedimenti giurisdizionali; E) fermo restando quanto precede, osta comunque all’accoglimento della doglianza in esame anche la circostanza che il ricorrente si sia limitato ad indicare solo il numero dei ricorsi assegnati nel quinquennio (n. 138 per l’anno 2006, n. 190 per l’anno 2007, n. 155 per l’anno 2008, n. 123 per l’anno 2009 e n. 158 per l’anno 2010), senza provare che il superamento del numero massimo di 12 fascicoli mensili non sia dipeso, ad esempio, dal fatto che siano stati assegnati ricorsi tra loro identici, oppure dal fatto che vi siano stati rinvii prima della presa in carico del fascicolo da parte del magistrato (fattispecie in relazione alla quale la delibera sui carichi di lavoro in data 6 maggio 2010 prevede espressamente che «il relatore, essendo stato tempestivamente avvertito del fatto che la causa non sarà trattata, non ha svolto alcuna attività di studio del fascicolo, per cui deve escludersi ogni rilevanza della causa ai fini dei carichi di lavoro»), oppure dalla necessità che sia comunque rispettato il limite minimo, previsto dalla delibera in data 18 dicembre 2003, delle ottanta sentenze depositate in ciascun anno solare (si veda al riguardo la delibera sui carichi di lavoro in data 6 maggio 2010, ove è stato opportunamente precisato che «la “tenuta finale” del sistema va poi coordinata con la regola “concorrente” secondo cui ciascun magistrato ha il dovere di depositare annualmente non meno di 80 sentenze. Sarà, quindi, possibile superare il limite di 12 fascicoli mensili anche per assicurare il rispetto di tale parametro annuo minimo, laddove l’eventuale recupero dovrà essere in questo caso concentrato nelle udienze collocate a ridosso della fine dell’anno giudiziario, allorché sia concretamente e compiutamente rilevabile un eventuale scostamento in ribasso rispetto al numero minimo di 80 sentenze nel corso dell’anno stesso»); E) secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 11 marzo 2010, n. 1418) la censura di eccesso di potere per sviamento deve essere supportata da precisi e concordanti elementi di prova, idonei a dar conto delle divergenze dell’atto dalla sua tipica funzione istituzionale, non essendo a tal fine sufficienti semplici supposizioni o indizi che non si traducano nella dimostrazione dell’illegittima finalità perseguita in concreto dall’organo amministrativo. Risulta, quindi, evidente che – una volta dimostrato che il giudizio di inidoneità del ricorrente è dipeso dai «consistenti e reiterati ritardi nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali che non trovano adeguata giustificazione» – il passaggio del verbale della seduta del 25 febbraio 2011 nel quale uno dei componenti del Plenum evidenzia «l’esigenza di piena valorizzazione dei nuovi criteri vigenti», di per sé, non può essere intesto come il sintomo di una volontà sviata dell’organo Collegiale, perché costituisce piuttosto una richiamo alla necessità di garantire il puntuale rispetto dei criteri fissati dall’art. 3 della delibera del 2 febbraio 2010 in occasione di una delle prime applicazioni degli stessi.
 
6. In relazione al quarto motivo – con il quale il ricorrente, invocando il criterio di cui all’art. 3, comma 2, lettera c), della delibera del 22 ottobre 2010, si duole del fatto che nel valutare la sua posizione il Plenum non abbia tenuto conto delle continue e ragguardevoli violazioni delle disposizioni sui carichi di lavoro, perpetrate anno dopo anno ai suoi danni – questo Tribunale ritiene che la doglianza sia infondata perché (come evidenziato dal controinteressato) la disposizione dell’art. 3, comma 2, lettera c), secondo la quale “il giudizio attitudinale tiene conto dell’assenza di significative violazioni degli obblighi previsti dalle delibere in materia di assegnazione degli affari e carichi di lavoro”, deve essere interpretata nel senso che “l’assenza di significative violazioni degli obblighi previsti dalle delibere in materia di assegnazione degli affari e carichi di lavoro” si riferisce agli obblighi incombenti sul magistrato sottoposto a valutazione. Inoltre, seppure si volesse ritenere che la predetta disposizione riguardi anche i Presidenti (essendo anch’essi tenuti al rispetto delle delibere sui carichi di lavoro), comunque la censura in esame non potrebbe essere accolta per le ragioni già evidenziate in occasione dell’esame del secondo motivo;
 
7. Passando al quinto motivo, con il quale il ricorrente censura la delibera assunta dal Plenum nella seduta dell’11 marzo 2011, occorre innanzi tutto evidenziare che tale motivo si articola in tre distinte censure, perché viene dedotto che l’adozione della predetta delibera non è stata preceduta dal preavviso di rigetto, che invece di deliberare sulla nuova proposta formulata dalla IV Commissione all’esito della seduta dell’8 marzo 2011 è stata posta illegittimamente in votazione una questione pregiudiziale di rito sulla ammissibilità o meno del riesame della posizione del ricorrente e che nel verbale della predetta seduta dell’11 marzo 2011 si richiama un caso analogo in cui il «Consiglio di Presidenza si è già trovato a dover deliberare ex novo su una proposta in precedenza respinta», ma nulla viene chiarito al riguardo anche in relazione alle caratteristiche delle due fattispecie. Ebbene nessuna di queste censure può essere accolta per le seguenti ragioni: A) non sussiste la violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990 per le ragioni già evidenziate in occasione dell’esame del primo motivo di ricorso; B) come evidenziato dall’Amministrazione resistente e dal controinteressato, nella seduta dell’11 marzo 2011 la proposta di riesame formulata dalla IV Commissione è stata correttamente dichiarata inammissibile, perché il Plenum aveva già deliberato la non idoneità del cons. Schillaci nella precedente seduta del 25 febbraio 2011 e, quindi, a fronte di una proposta della Commissione che sostanzialmente riproduceva quella già respinta, il Plenum ha correttamente ritenuto preclusa la possibilità di riesaminare la medesima questione delibata nella precedente seduta. Del resto, dall’esame del verbale della seduta della IV Commissione dell’8 marzo 2011 l’unico “fatto nuovo” parrebbe rappresentato dalla nota trasmessa dal ricorrente in data 8 marzo 2011 e afferente l’attività dallo stesso svolta in esecuzione di decreto presidenziale di delega generale e continuativa per l’adozione dei decreti ingiuntivi presso il TAR di Catania, ma non è verosimile ritenere che tale attività non sia mai stata presa in considerazione dalla IV Commissione, nonostante gli approfondimenti istruttori culminati nella visita ispettiva presso il TAR Catania; C) secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 30 giugno 2011, n. 3894), la censura di eccesso di potere per disparità di trattamento a fronte di scelte discrezionali dell’Amministrazione è riscontrabile soltanto in caso di assoluta identità di situazioni di fatto e di conseguente assoluta irragionevole diversità del trattamento riservato, situazioni la cui prova rigorosa deve essere fornita dall’interessato. Ne consegue che nessun rilievo può assumere il generico riferimento del ricorrente al caso analogo nel quale il CPGA si sarebbe già trovato «a dover deliberare ex novo su una proposta in precedenza respinta», perché il ricorrente, anche avvalendosi del diritto di accesso, avrebbe dovuto dimostrare l’assoluta identità delle situazioni di fatto e la conseguente assoluta irragionevole diversità del trattamento riservato alla sua situazione ed a quella fugacemente richiamata nel verbale della seduta dell’11 marzo 2011.
 
8. Parimenti infondato risulta il sesto motivo, con il quale il ricorrente denuncia l’illegittimità dell’art. 16, comma 5, del Regolamento interno del CPGA – nella parte in cui dispone che “è approvata la proposta che abbia raccolto la maggioranza dei voti espressi ivi compresi gli astenuti” – evidenziando che: A) la valenza di voto contrario, attribuita all’astensione dalla disposizione regolamentare impugnata, contrasta con l’art. 12, comma 2, della legge n. 186/1982, il quale si limita a prevedere che le “deliberazioni sono prese a maggioranza”; B) deve comunque ritenersi inammissibile l’astensione in una votazione che implica un giudizio di merito, perché in tal caso l’espressione di un giudizio, favorevole o contrario, costituisce atto dovuto; C) non sarebbe comunque possibile assimilare l’astensione ad un voto contrario, perché così ragionando si altera la reale ed effettiva volontà del componente dell’organo collegiale.
Occorre infatti evidenziare che l’art. 12, comma 2, della legge n. 186/1982, nel prevedere che le “deliberazioni sono prese a maggioranza”, in realtà non fornisce alcuna indicazione circa le modalità di computo, ai fini del raggiungimento del quorum strutturale e del quorum funzionale, della posizione degli astenuti; si deve quindi ritenere che il CPGA con l’art. 16, comma 5, del Regolamento interno, nel prevedere che “è approvata la proposta che abbia raccolto la maggioranza dei voti espressi ivi compresi gli astenuti”, abbia opportunamente colmato (nell’esercizio della sua autonomia organizzativa) una lacuna normativa sul funzionamento del Plenum. Né può ritenersi che la scelta operata con tale previsione regolamentare contrasti con un principio di carattere generale, in forza del quale gli astenuti non devono essere computati ai fini della formazione del quorum funzionale dell’organo collegiale. Infatti la disposizione dell’art. 64, comma 3, Cost., in forza del quale “le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti, e se non sono adottate a maggioranza dei presenti”, ha ricevuto due opposte interpretazioni da parte dei Regolamenti delle due Camere. In particolare, mentre il Regolamento della Camera dei Deputati (art. 48, comma 2) dispone che sono invece “presenti” soltanto coloro che esprimono voto favorevole o contrario, con esclusione, quindi, del computo degli astenuti, il Regolamento del Senato (art. 107, comma 1) ai fini del quorum funzionale considera presenti coloro “che partecipano alla votazione”. Inoltre, la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sul differente metodo di calcolo degli astenuti, ha evidenziato che, dal constatato divario, non discende necessariamente che uno dei due regolamenti contrasti con la Costituzione. Infatti secondo la Consulta (C. Cost., 29 marzo 1984, n. 78) «dichiarare di astenersi (alla Camera) ed assentarsi (al Senato) sono manifestazioni di volontà che si differenziano solo formalmente – come una dichiarazione espressa si differenzia da un comportamento concludente – ma che in realtà poi si accomunano grazie all’univocità del risultato cui entrambe mirano con piena consapevolezza, che è quello di non concorrere all’adozione dell’atto collegiale. In definitiva, potrebbe anche dirsi che rientrano fra i modi di votazione. Se così è, ben può allora ognuna delle due assemblee, nella sua discrezionale valutazione, stabilire in via generale ed astratta quale sia, ai fini del computo della maggioranza e, quindi, della validità delle deliberazioni, il valore dell’un modo o dell’altro, di manifestare la volontà di non partecipare alla votazione». Si deve quindi convenire con la giurisprudenza richiamata dalla Difesa erariale (T.A.R. Lazio Roma, Sez. I, 2 ottobre 2007, n. 9642), secondo la quale non esiste alcun principio generale, di matrice costituzionale, dal quale possa ricavarsi il corretto metodo di computo degli astenuti da parte di organi collegiali deliberanti, sicché – in assenza di una puntuale disciplina di rango legislativo – rientra nell’autonomia organizzativa dell’organo collegiale stabilire come vada computata la posizione degli astenuti.
 
9. Quanto al settimo e all’ottavo motivo, preliminarmente questo Tribunale osserva che possono essere trattati congiuntamente, perché partono entrambi dalla comune premessa che il CPGA non avrebbe correttamente inteso la valenza che l’anzianità del magistrato assume ai fini del giudizio di idoneità per la nomina a Presidente di Sezione interna. In particolare, con il settimo motivo il ricorrente deduce che, trattandosi di un giudizio di idoneità che ha luogo per merito assoluto, e non per merito comparativo, l’anzianità di servizio assume rilievo prioritario e, quindi, se non vengono sollevate questioni ostative all’idoneità, il candidato più anziano acquisisce automaticamente il diritto alla nomina, con l’ulteriore conseguenza che deve essere messa ai voti non l’idoneità del magistrato più anziano, che è implicita nella sua maggiore anzianità, ma ogni singola questione ostativa al giudizio di idoneità. In via subordinata il ricorrente sostiene che i criteri approvati con la delibera del 22 ottobre 2010 contrastano con le disposizioni di cui all’art. 21 della legge n. 186/1982 e all’art. 29 del Regolamento interno del CPGA, perché in base a tali disposizioni l’anzianità di servizio costituisce l’elemento essenziale su cui si fonda il giudizio di idoneità, mentre in base ai predetti criteri tale elemento viene svuotato di ogni rilievo, stante l’ampiezza della discrezionalità dell’Amministrazione nella valutazione della consistenza e reiterazione dei ritardi e della adeguatezza delle relative giustificazioni. Ebbene, secondo questo Tribunale, neppure tali censure possono essere accolte, alla luce delle seguenti considerazioni. Innanzi tutto si deve qui ribadire che – in attuazione dell’art. 21, comma 1, della legge n. 186/1982 (nella parte in cui prevede che i consiglieri TAR, al compimento di otto anni di anzianità nella qualifica, conseguono la nomina alle qualifiche di presidente “nei limiti dei posti disponibili, previo giudizio di idoneità espresso dal consiglio di presidenza sulla base di criteri predeterminati che tengano conto in ogni caso dell’attitudine all’ufficio direttivo e dell’anzianità di servizio”) e dell’art. 29, comma 2, del Regolamento interno del 6 febbraio 2004 (ove si prevede che “con propria deliberazione il consiglio di presidenza fissa criteri oggettivi e predeterminati per la valutazione sull’idoneità dei magistrati allo svolgimento di funzioni direttive, tenendo conto in ogni caso dell’attitudine all’ufficio direttivo e dell’anzianità di servizio”) – il CPGA nell’art. 3 della delibera del 2 febbraio 2010 dapprima afferma, al comma 1, che “è nominato il magistrato in possesso della maggior anzianità computabile secondo la normativa vigente, una volta verificata la sua attitudine all’ufficio direttivo da assegnare” e poi menziona, al comma 2, i diversi aspetti sui quali verte il giudizio attitudinale (attività di servizio, procedimenti e provvedimenti penali o disciplinari, ritardi nei depositi dei provvedimenti giurisdizionali, assenza di significative violazioni degli obblighi previsti dalle delibere in materia di assegnazione degli affari e carichi di lavoro). Risulta, quindi, evidente in primo luogo che il CPGA con la delibera del 2 febbraio 2010 ha dato il giusto rilievo all’anzianità di servizio, sia perché il giudizio di idoneità si svolge per merito assoluto (e non per merito comparativo), sia perché la valutazione dei magistrati che hanno risposto all’interpello inizia dal candidato più anziano. Inoltre non è condivisibile la tesi di parte ricorrente, secondo la quale il Plenum avrebbe errato nel porre in votazione la proposta (formulata dalla IV Commissione) di conferire al ricorrente le funzioni di Presidente, invece delle ragioni ostative (emerse nel corso della seduta del 25 febbraio 2011) al giudizio di idoneità del ricorrente, perché tale tesi parte – a ben vedere – dall’erroneo presupposto che nel caso in esame si tratti di un giudizio di idoneità per anzianità “salvo demerito”, mentre in realtà dall’art. 3, comma 1, della delibera del 2 febbraio 2010 si evince chiaramente che non si può prescindere mai dal giudizio relativo all’attitudine del candidato all’ufficio direttivo da assegnare, neppure laddove si tratti del magistrato in possesso della maggior anzianità. Ne consegue che il Plenum ha correttamente posto in votazione la proposta formulata dalla IV Commissione.
 
10. Stante quanto precede, il ricorso principale deve essere respinto perché infondato, con l’ulteriore conseguenza che il ricorso incidentale proposto dal controinteressato deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
11. Tenuto conto della novità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio
 
P.Q.M.
 
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 950/2012 e sul ricorso incidentale in epigrafe indicato, respinge il primo perché infondato e dichiara il secondo improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2012 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Tosti, Presidente
Salvatore Mezzacapo, Consigliere
Carlo Polidori, Consigliere, Estensore
 
 
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 
 
 
 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/07/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

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