Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Acqua - Inquinamento idrico Numero: 11060 | Data di udienza:

* ACQUA E INQUINAMENTO IDRICO – Servizio idrico integrato – Art. 153, c. 1 d.lgs. n. 152/2006 – Infrastrutture idriche – Affidamento in concessione d’uso gratuita – Comune – Assoggettamento al pagamento di un canone dell’uso delle infrastrutture – Illegittimità.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^ bis
Regione: Lazio
Città: Roma
Data di pubblicazione: 8 Novembre 2016
Numero: 11060
Data di udienza:
Presidente: Stanizzi
Estensore: Andolfi


Premassima

* ACQUA E INQUINAMENTO IDRICO – Servizio idrico integrato – Art. 153, c. 1 d.lgs. n. 152/2006 – Infrastrutture idriche – Affidamento in concessione d’uso gratuita – Comune – Assoggettamento al pagamento di un canone dell’uso delle infrastrutture – Illegittimità.



Massima

 

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^  bis – 8 novembre 2016, n. 11060


ACQUA E INQUINAMENTO IDRICO – Servizio idrico integrato – Art. 153, c. 1 d.lgs. n. 152/2006 – Infrastrutture idriche – Affidamento in concessione d’uso gratuita – Comune – Assoggettamento al pagamento di un canone dell’uso delle infrastrutture – Illegittimità.

L’art. 153, c. 1 del d.lgs. n. 152/2006 stabilisce che “le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali ai sensi dell’articolo 143 sono affidate in concessione d’uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare”. Ne deriva la palese illegittimità di qualunque pretesa comunale di assoggettare al pagamento di un canone l’uso gratuito delle infrastrutture stabilito dalla legge.


Pres. Stanizzi, Est. Andolfi – A. s.p.a. (avv.ti Satta e Romano) c. Comune di Pomezia (avv. Mauro)


Allegato


Titolo Completo

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ bis – 8 novembre 2016, n. 11060

SENTENZA

TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^  bis – 8 novembre 2016, n. 11060

Pubblicato il 08/11/2016

N. 11060/2016 REG.PROV.COLL.
N. 03212/2016 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3212 del 2016, proposto da:
Acea S.p.a., in persona del procuratore generale p.t., mandataria con rappresentanza di Acea Ato 2 Spa, rappresentata e difesa dagli avvocati Filippo Arturo Satta C.F. STTFPP40B02D969D, Anna Romano C.F. RMNNNA65L63D612E, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Satta Romano & Associati in Roma, Foro Traiano, 1/A;

contro

Comune di Pomezia, in persona del sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Ciro Alessio Mauro C.F. MRACLS69T05H501B, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Bruno Buozzi, 87;

per l’annullamento

della nota del 21.12.2015 avente ad oggetto l’intimazione di pagamento del canone patrimoniale non ricognitorio per l’anno 2013;

dello schema di regolamento comunale per l’applicazione del canone patrimoniale non ricognitorio del comune di Pomezia approvato con deliberazione del c.c. n. 63 del 2 dicembre 2013;

del regolamento comunale per l’applicazione del canone patrimoniale non ricognitorio del comune di Pomezia approvato con deliberazione del c.c. n. 20 del 22 maggio 2014;

della delibera della giunta comunale di Pomezia n. 100 del 24 aprile 2015;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Pomezia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2016 il dott. Antonio Andolfi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La società ricorrente, nella qualità di mandataria con rappresentanza di ACEA ATO 2 s.p.a., notifica al comune di Pomezia, l’11 marzo 2016, l’impugnazione della nota dell’ufficio tributi comunali per canoni patrimoniali non ricognitori del 21 dicembre 2015, ricevuta il 12 gennaio 2016, avente ad oggetto l’intimazione al pagamento del canone patrimoniale non ricognitorio per l’anno 2013; lo schema di regolamento del canone patrimoniale non ricognitorio del comune di Pomezia, approvato con deliberazione del consiglio comunale n. 63 del 2 dicembre 2013; il regolamento comunale per l’applicazione del canone patrimoniale non ricognitorio del comune di Pomezia, approvato con deliberazione del consiglio comunale numero 20 del 22 maggio 2014; la delibera della giunta comunale di Pomezia numero 100 del 24 aprile 2015 di approvazione delle tariffe relative al canone patrimoniale concessorio non ricognitorio per l’anno 2015.

La società ricorrente espone di gestire il servizio idrico integrato nell’ambito territoriale ottimale numero 2, Lazio centrale – Roma in virtù di delibera dell’Autorità di ambito n. 1 del 1999.

La convenzione di gestione del servizio idrico integrato è stata deliberata dalla conferenza dei sindaci, organo della Autorità di ambito, con delibera numero 1 del 24 maggio 2002 ed è stata sottoscritta il 6 agosto 2002.

Riguardo i rapporti tra il gestore del servizio idrico e il comune di Pomezia, la ricorrente afferma che essi sono regolati da una convenzione approvata con deliberazione del commissario straordinario del 13 gennaio 2006, attuata con deliberazione del consiglio comunale n. 114 del 5 giugno 2014, in esito alla quale la ricorrente ha assunto il servizio idrico già gestito da altra società e preso in carico da ACEA ATO 2 l’11 giugno 2014.

D’altra parte, con i regolamenti comunali impugnati è stato stabilito che le occupazioni permanenti del demanio e del patrimonio stradale del comune di Pomezia, la cui consistenza è misurata a corpo o in metri quadrati o in metri lineari, sono soggette a un canone non ricognitorio proporzionale “alla superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico nell’ambito del territorio comunale, graduato a seconda dell’importanza della località ove è ubicata l’occupazione”.

In applicazione del regolamento, la giunta comunale, con la delibera numero 100 del 24 aprile 2015, ha aggiornato le tariffe relative al canone per l’anno 2015, prevedendo, per le occupazioni derivanti da condutture sotterranee della distribuzione di acqua potabile, la tariffa di euro 2,5 per metro lineare.

In esecuzione degli atti comunali indicati l’ufficio comunale competente, con nota del 21 dicembre 2015, ha intimato alla società che gestisce il servizio idrico il pagamento del canone patrimoniale non ricognitorio per l’anno 2013.

I motivi di impugnazione dedotti dalla ricorrente sono i seguenti:

Primo motivo: travisamento dei fatti: il comune di Pomezia ha preteso il pagamento del canone non ricognitorio per l’anno 2013, senza tener conto che il verbale di consegna parziale del sistema idrico attesta che solo a partire dal 23 giugno 2014 la ricorrente ha iniziato a gestire il servizio, occupando il patrimonio stradale comunale.

Secondo motivo: violazione dell’articolo 153, comma 1, del decreto legislativo 152 del 2006. La disposizione richiamata stabilisce che le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali sono affidate in concessione d’uso gratuito, per tutta la durata della gestione, al gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare.

Anche la convenzione di gestione dell’ambito territoriale ottimale 2, all’articolo 22.9, comma 5, stabilisce che l’affidamento comporta l’uso gratuito del soprassuolo, del suolo e del sottosuolo di proprietà dei comuni della provincia. Ne deriverebbe che il gestore del servizio idrico è esonerato dal pagamento non solo del canone patrimoniale non ricognitorio, ma di qualsiasi altro tipo di onere comprese la tassa per l’occupazione del suolo e delle aree pubbliche e il contributo per l’occupazione del suolo e delle aree pubbliche.

Terzo motivo: illegittimità dello stesso regolamento comunale per violazione dell’articolo 27, comma 8, del decreto legislativo numero 285 del 1992 che elenca i criteri in base ai quali deve essere determinato il canone non ricognitorio, individuati nelle soggezioni che derivano alla strada, nel valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione e, infine, nel vantaggio che l’utente ne ricava. Il regolamento, in contrasto con la norma di legge, individuerebbe parametri per la determinazione del canone del tutto diversi, facendo riferimento alla superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico graduata a seconda dell’importanza della località ove è ubicata l’occupazione.

Quarto motivo: illegittimità della delibera della giunta comunale numero 100 del 2015 per difetto di motivazione, non essendo ricostruibile il percorso logico giuridico seguito dall’amministrazione nella determinazione delle tariffe.

Quinto motivo: difetto di motivazione e di istruttoria della nota del 21 dicembre 2015, non essendo spiegate le ragioni di fatto e di diritto che hanno determinato l’importo del canone.

Il comune di Pomezia, costituitosi in giudizio, eccepisce il difetto di giurisdizione, trattandosi, a suo avviso, di un’azione di accertamento negativo del credito, fondata sull’inadempimento alla convenzione che disciplina il servizio; essendo contestata la legittimità dell’avviso di pagamento, la controversia rientrerebbe nella giurisdizione ordinaria, laddove la dedotta illegittimità del regolamento potrebbe essere valutata in vista della sua eventuale disapplicazione. Inoltre, essendo dedotta la violazione di clausole contrattuali contenute nella convenzione sottoscritta nell’ambito del rapporto di servizio, la cognizione della controversia dovrebbe essere deferita a un collegio arbitrale. Infatti l’articolo 36 della convenzione contiene una clausola compromissoria laddove si prevede che qualsiasi controversia afferente l’applicazione ovvero l’interpretazione della medesima sia devoluta a un collegio arbitrale.

Il comune resistente, quindi, eccepisce la tardività del ricorso, notificato oltre la scadenza del termine decadenziale per l’impugnazione del regolamento, che avrebbe iniziato a decorrere dalla fine del periodo di pubblicazione nell’albo pretorio. La delibera di approvazione del regolamento, come tutte le delibere comunali, ai sensi dell’articolo 124 del testo unico enti locali numero 267 del 2000, è stata pubblicata all’albo pretorio, nella sede dell’ente, per 15 giorni consecutivi. Quindi, il regolamento avrebbe dovuto essere impugnato nel termine decadenziale di 60 giorni, tenuto conto della natura di volizione-azione del medesimo. Né la richiesta di pagamento avrebbe potuto riaprire il termine di impugnazione, essendo solo un atto di quantificazione della somma di denaro dovuta, vincolato dal regolamento che costituirebbe l’unica fonte dell’obbligazione contestata.

Nel merito, il comune eccepisce la differenza tra canoni ricognitori e non ricognitori. I primi sarebbero determinati senza alcuna relazione con il beneficio economico e l’utilità particolare traibile dall’occupazione, a titolo di riconoscimento del diritto di proprietà del comune sul bene oggetto della concessione, come nel caso della tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche e del contributo per l’occupazione dei suoli e aree pubbliche; i canoni non ricognitori, invece, sarebbero direttamente correlati al beneficio economico che il concessionario ricava dall’occupazione dello spazio pubblico.

Il comune richiama la sentenza della Cassazione numero 23244 del 2006, ove è stato ritenuto che la tassa per l’occupazione di suoli e aree pubbliche non è incompatibile con il canone di concessione non ricognitorio, non trattandosi di una doppia imposizione, per la diversità della natura giuridica e del fondamento della obbligazione tributaria rispetto al corrispettivo correlato al beneficio economico derivante dalla occupazione.

Ad avviso del Comune, il canone non ricognitorio sarebbe dovuto anche dai concessionari di servizi pubblici.

All’udienza pubblica del 12 ottobre 2016, il ricorso è trattato e posto in decisione.


DIRITTO

Preliminarmente, deve essere esaminata l’eccezione preliminare di irricevibilità del ricorso, notificato oltre la scadenza del termine di 60 giorni decorrente dal giorno in cui la società interessata ha acquisito conoscenza legale del regolamento, la cui natura di volizione-azione lo avrebbe reso immediatamente lesivo. Contestualmente, devono essere precisati i parametri della giurisdizione amministrativa, essendo stato eccepito dall’amministrazione resistente il difetto di giurisdizione.

Al riguardo, il Collegio condivide l’orientamento espresso in analoga controversia dal Consiglio di Stato, 5ª sezione, con sentenza 28 giugno 2016, numero 2917.

Con la richiamata decisione, il supremo Giudice amministrativo ha premesso che, tra i regolamenti amministrativi, si devono distinguere i regolamenti insuscettibili di produrre autonoma lesione sulla sfera giuridica altrui, che non devono formare oggetto di impugnativa autonoma nel termine decadenziale, dai regolamenti invece contenenti disposizioni immediatamente lesive e che vanno subito impugnati ad evitare la stabilizzazione dei relativi effetti.

Le disposizioni dei primi non producono una lesione attuale degli interessi coinvolti che, dal punto di vista processuale, si verifica soltanto con la loro effettiva applicazione; anche se la loro attuazione ha comunque una capacità lesiva che abilita gli interessati a impugnarle, ma solo in via facoltativa, senza attendere la loro compiuta attuazione provvedimentale.

In generale, i primi contengono previsioni coerenti con i caratteri di generalità e astrattezza inidonee a incidere direttamente sugli interessi giuridici dei destinatari; un tale effetto presuppone infatti l’adozione anche del provvedimento di attuazione, tale da rendere concreta la possibile lesione, così determinando l’insorgere dell’interesse a ricorrere. Sul versante processuale ne consegue che la loro impugnazione è soggetta all’ordinario termine decadenziale decorrente dal momento dell’adozione dell’atto applicativo.

Nel caso in esame è evidente che la prescrizione regolamentare contestata non presenta alcuna idoneità ad incidere direttamente sulla sfera soggettiva dei destinatari, individuabili soltanto per categorie astratte, poiché l’effetto concreto, idoneo a rendere attuale l’interesse all’impugnazione, è l’adozione del provvedimento di attuazione che stabilisce la somma dovuta a titolo di canone non ricognitorio nel pretenderne il pagamento in capo ai concreti destinatari.

Con l’occasione, il Consiglio di Stato ha, inoltre, confermato l’insussistenza della giurisdizione amministrativa sulle controversie aventi ad oggetto la impugnazione degli avvisi di pagamento emessi ai sensi dell’articolo 27 del decreto legislativo numero 285 del 1992.

Quindi, la giurisdizione amministrativa sussiste solo in relazione alla contestazione del regolamento, mentre l’impugnazione dell’avviso di pagamento è compresa nella giurisdizione del giudice ordinario; la contestazione dell’avviso di pagamento integra un atto paritetico di mera quantificazione del debito vantato dall’amministrazione sulla base di criteri predeterminati in modo vincolante; l’avviso di pagamento è rilevante nel caso di specie solo ai fini della dimostrazione in fatto dell’interesse attuale all’impugnazione, stante il carattere non immediatamente lesivo delle norme regolamentari impugnate, la cui attitudine pregiudizievole si manifesta in modo completo solo quando l’amministrazione, ritenendo una particolare fattispecie compresa nella previsione regolamentare, faccia applicazione della nuova disciplina, quantificando la propria pretesa patrimoniale.

Nella fattispecie, il Comune ha eccepito il difetto di giurisdizione anche sulla impugnazione del regolamento, trattandosi, a suo avviso, di un’azione di accertamento negativo del credito, fondata sull’inadempimento alla convenzione che disciplina il servizio; richiamato l’articolo 36 della convenzione, contenente una clausola compromissoria, il Comune eccepisce che la cognizione della controversia dovrebbe essere deferita a un collegio arbitrale.

L’eccezione sulla giurisdizione è infondata perché la ricorrente non deduce l’inadempimento agli obblighi derivanti dalla concessione, se non in via subordinata alla principale censura dedotta, ma innanzitutto, con il secondo motivo, impugna il regolamento comunale per violazione dell’articolo 153, comma 1, del decreto legislativo 152 del 2006. Si tratta, quindi, della impugnazione di un atto di normazione secondaria per violazione di legge, pienamente compresa nella giurisdizione amministrativa.

In conclusione, sono infondate le eccezioni di irricevibilità e inammissibilità dell’impugnazione del regolamento, mentre va dichiarato il difetto di giurisdizione sull’impugnazione della intimazioni al pagamento.

Nel merito, il secondo motivo dedotto (violazione dell’articolo 153, comma 1, del decreto legislativo 152 del 2006) è fondato e assorbente.

La disposizione richiamata stabilisce che “le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali ai sensi dell’articolo 143 sono affidate in concessione d’uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare”.

Ne deriva la palese illegittimità di qualunque pretesa comunale di assoggettare al pagamento di un canone l’uso gratuito delle infrastrutture stabilito dalla legge.

Al riguardo, il comune eccepisce la impossibilità di applicare l’articolo 153 del decreto legislativo 152 del 2006 a una fattispecie precedente alla sua entrata in vigore, trattandosi di un rapporto concessorio disciplinato dalla convenzione d’ambito del 6 agosto 2002, per cui il principio di gratuità non potrebbe essere imposto ai rapporti di concessione già sorti al momento della sua entrata in vigore.

L’eccezione è priva di fondamento perché non si discute della non gratuità della concessione del servizio idrico, come disciplinata dal rapporto convenzionale, in quanto è pacifico che essa comporti l’obbligo di versamento di un canone da parte del gestore, a beneficio dell’autorità di ambito. L’illegittimità risiede nella imposizione, con il regolamento impugnato, di un onere ulteriore, gravante su infrastrutture di uso gratuito “ex lege”, stabilita ben oltre l’entrata in vigore del d. lgs. 152 del 2006, trattandosi di un regolamento adottato il 2 dicembre 2013.

Infine, il comune eccepisce che l’interpretazione escludente la legittimità del canone sarebbe in contrasto con l’articolo 1 del protocollo addizionale alla convenzione europea dei diritti dell’uomo, per violazione del diritto di proprietà, in quanto comporterebbe l’uso di una proprietà altrui senza alcun indennizzo.

La questione è palesemente infondata perché il canone non ricognitorio, per definizione, non è dovuto quale corrispettivo per il riconoscimento della proprietà altrui, bensì come corrispettivo per la privazione dell’uso pubblico di un bene a vantaggio economico di un singolo.

In sintesi, il ricorso è inammissibile, per difetto di giurisdizione, nella parte in cui è impugnata la nota comunale del 21 dicembre 2015, recante l’intimazione al pagamento del canone; deve invece essere accolto per la restante parte e, per l’effetto, devono essere annullati, per quanto di interesse, il regolamento comunale per l’istituzione del canone di concessione patrimoniale non ricognitorio approvato con deliberazione del consiglio comunale numero 63 del 2 dicembre 2013 e il regolamento comunale per l’applicazione del canone patrimoniale non ricognitorio approvato con deliberazione del consiglio comunale n. 20 del 22 maggio 2014, così come deve essere annullata la deliberazione di giunta n. 100 del 2015 nei limiti in cui applica le tariffe stabilite per l’anno 2015 alle infrastrutture gestite dalla ricorrente.

Le spese processuali, tenuto conto della complessità delle questioni trattate, devono essere interamente compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara il difetto di giurisdizione, in favore del giudice ordinario, sull’impugnazione della nota comunale del 21 dicembre 2015.

Accoglie, per il resto, il ricorso e, per l’effetto, annulla, nei limiti indicati in motivazione, il regolamento comunale per l’istituzione del canone di concessione patrimoniale non ricognitorio approvato con deliberazione del consiglio comunale numero 63 del 2 dicembre 2013, il regolamento comunale per l’applicazione del canone patrimoniale non ricognitorio approvato con deliberazione del consiglio comunale n. 20 del 22 maggio 2014 e la deliberazione di giunta comunale n. 100 del 2015.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Elena Stanizzi, Presidente
Antonella Mangia, Consigliere
Antonio Andolfi, Primo Referendario, Estensore

L’ESTENSORE
Antonio Andolfi
        
IL PRESIDENTE
Elena Stanizzi
        
        
IL SEGRETARIO

 

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