APPALTI – Soggetti aggregatori – Centrali di committenza – Differenza – Mancato inserimento di una comunità montana tra i soggetti aggregatori – Possibilità di operare quale centrale di committenza – Servizio di illuminazione pubblica – Obbligo di adesione alle Convenzioni CONSIP – Inconfigurabilità.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^ quater
Regione: Lazio
Città: Roma
Data di pubblicazione: 24 Maggio 2018
Numero: 5781
Data di udienza: 8 Maggio 2018
Presidente: Pasanisi
Estensore: Rizzetto
Premassima
APPALTI – Soggetti aggregatori – Centrali di committenza – Differenza – Mancato inserimento di una comunità montana tra i soggetti aggregatori – Possibilità di operare quale centrale di committenza – Servizio di illuminazione pubblica – Obbligo di adesione alle Convenzioni CONSIP – Inconfigurabilità.
Massima
TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ quater – 24 maggio 2018, n. 5781
APPALTI – Soggetti aggregatori – Centrali di committenza – Differenza – Mancato inserimento di una comunità montana tra i soggetti aggregatori – Possibilità di operare quale centrale di committenza.
Mentre i Soggetti Aggregatori di cui all’art. 9 del D.L. n. 66/2014 (conv. in legge n. 89/2014) sono Centrali di Committenza “qualificate” mediante l’iscrizione nell’elenco predetto, la Centrale di Committenza costituita dai Comuni non Capoluogo è riconducibile alla Stazione Unica Appaltante di cui all’art. 13 della legge n. 136/2010 (DPCM 30.6.2011) – che dà attuazione all’art. 33 del Codice Appalti del 2006 (cfr. Determinazioni ANAC e n. 3 del 25.2.2015 e n. 11 del 23.9.2015), che ha in tal modo risolto lo spinoso problema del rapporto tra le Stazioni Uniche Appaltanti ed i Soggetti Aggregatori, chiarendo che i due istituti hanno in comune la natura di centrale di committenza, alla quale, tuttavia, il Soggetto Aggregatore unisce un’ulteriore qualità, consistente nell’abilitazione derivante dalla “qualificazione” conseguita ex lege o previa valutazione e iscrizione nell’elenco ANAC. Il Codice, seppure senza farvi espresso riferimento, consente ai Comuni non capoluogo di ricorrere alle SUA ex art. 13 (a condizione che siano iscritte nell’AUSA e, in futuro, che conseguano la qualificazione richiesta alle stazioni appaltanti), in quanto costituiscono una “species del genus” della Centrale di Committenza. A loro volta, le stesse Centrali di Committenza formate dall’iniziativa comunale, presentano un quid pluris, in quanto costituiscono espressione diretta dell’autonomia negoziale dell’Ente esponenziale della Comunità locale, che risponde a principi e valori che superano il mero compito (tecnico) di aggregare la domanda, per conseguire risparmi di spese, che è comune anche ai Soggetti aggregatori (cioè di fungere da “centrale di acquisto”, in modo di ottenere « economie di scala», aumentare la conoscenza dello specifico settore, riducendo le asimmetrie informative, incrementando la competenza e l’efficienza della parte contrattuale pubblica), che però risultano “neutri” sotto il profilo sopraevidenziato. Ne discende che dal mancato inserimento di una Comunità Montana nell’elenco dei soggetti aggregatori deriva solo l’incapacità dell’Ente in parola di operare come Soggetto Aggregatore della Domanda, ma non anche la sua incapacità di operare come Centrale di Committenza per l’Unione dei Comune che ne fanno parte. A tal fine è infatti sufficiente, come previsto dall’art. 216, co. 10, del Codice, richiamato anche dall’art. 38, co. 8, la mera iscrizione quale Centrale di Committenza nell’Anagrafe Unica delle Stazioni Appaltanti, di cui all’articolo 33-ter del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179 (conv. in legge n. 221/2012).
APPALTI – Servizio di illuminazione pubblica – Obbligo di adesione alle Convenzioni CONSIP – Inconfigurabilità.
Il servizio di illuminazione pubblica non forma oggetto dell’obbligo di adesione alle Convenzioni Consip, neppure ai sensi dell’art. 1, comma 7, del d.l. n. 95/2012, relativa alla fornitura di energia, in quanto l’ambito applicativo della normativa citata riguarda “esclusivamente i contratti aventi ad oggetto la sola fornitura di energia elettrica e non quelli (…) di concessione di lavori e servizi in cui l’oggetto è costituito da attività complessa, con affidamento di servizi/lavori per la gestione integrata del servizio di illuminazione stradale, ivi compresa la progettazione ed esecuzione degli interventi di messa a norma dell’impianto con sostituzione dei pali e delle armature e di ammodernamento tecnologico e funzionale dello stesso, etc.” (si veda, da ultimo, Cons. Stato, sez. V, n. 2392/2018; cfr., in precedenza, Cons. Stato, sez. V, n. 2194/2015; cfr., TAR Sicilia, Palermo, sez. II, n. 1007/2006, che si pone altresì il problema dell’applicabilità della disciplina sui settori esclusi, poi risolto evidenziando che una cosa è la manutenzione delle reti fisse ed altra è la produzione, trasporto e distribuzione di energia e alimentazione delle suddette reti).
Pres. Pasanisi, Est. Rizzetto – C. s.p.a. (avv. Della Porta) c. Comune di Monte Compatri (avv. Giurdanella) e altro (n.c.)
Allegato
Titolo Completo
TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ quater - 24 maggio 2018, n. 5781SENTENZA
TAR LAZIO, Roma, Sez. 2^ quater – 24 maggio 2018, n. 5781
Pubblicato il 24/05/2018
N. 05781/2018 REG.PROV.COLL.
N. 04156/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 4156 del 2018, proposto da
Conversion & Lighting S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Pierfrancesco Della Porta, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Monte Compatri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Carmelo Giurdanella, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via dei Barbieri n.6;
Centrale Unica di Committenza XI Comunità Montana del Lazio, non costituita in giudizio;
per l’annullamento, previa sospensione,
– del bando [e di tutta la connessa documentazione: compresi il Disciplinare di gara, DDG, il Capitolato speciale d’appalto CSA, lo schema di contratto, le istruzioni e allegati vari, et coetera] di gara telematica per l’affidamento in concessione dell’attività di gestione e manutenzione degli impianti di pubblica illuminazione nonché della relativa progettazione ed esecuzione delle opere e dei servizi connessi alla riqualifica degli impianti di illuminazione pubblica e semaforici, e fornitura di energia, del comune di Montecompatri (CIG: 73336775b5, CUP: h 42e17000040005), pubblicato sulla GURI il 9 marzo 2018;
– di tutti gli atti presupposti (ivi compresa la determinazione a contrarre, di data ignota), collegati connessi, derivati e/o consequenziali.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Monte Compatri;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2018 la dott.ssa Floriana Rizzetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
La Società ricorrente, premesso di essere aggiudicataria della Convenzione Consip Servizio Luce 3 per un ambito operativo territoriale in cui ricade quello dell’appalto contestato, impugna il bando di gara telematica per l’affidamento in concessione dell’attività di gestione e manutenzione degli impianti di pubblica illuminazione nonché della relativa progettazione ed esecuzione delle opere e dei servizi connessi alla riqualifica degli impianti di illuminazione pubblica e semaforici, e fornitura di energia, del Comune di Montecompatri (CIG: 73336775b5, CUP: h 42e17000040005), pubblicato sulla GURI del 9 marzo 2018, nonché, tra gli atti presupposti, la determinazione a contrarre (di data ignota).
Il ricorso è affidato ai seguenti motivi: 1) Difetto di qualificazione della stazione appaltante: violazione degli artt. 37 e 38, comma 4, del Codice dei contratti pubblici, difetto del presupposto, sviamento; 2) Mancata adesione alla Convenzione “Luce 3”: omessa verifica del benchmark convenzionale di Consip; difetto di programmazione; difetto di motivazione, violazione della normativa di settore; difetto di istruttoria, sviamento; 3) Mancanza dei requisiti ontologici della concessione: violazione degli artt. 3, 164 e ss., nonché delle norme interne e comunitarie in tema di PPP e trasferimento del rischio; eccesso di potere per sviamento ed abuso di moduli negoziali; 4) termine presentazione offerte inadeguato alla prestazione appaltata: eccesso di potere per difetto di istruttoria e sviamento.
Con D.P. n. 2243/2018 è stata rigettata l’istanza di misure cautelari monocratiche.
Il Comune di Montecompatri s’è costituito in giudizio e con memoria scritta ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità/irricevibilità del gravame e ne ha contestato poi la fondatezza nel merito, chiedendone la reiezione.
Alla Camera di Consiglio odierna la causa è stata trattenuta in decisione per essere definita direttamente nel merito con sentenza breve, ai sensi dell’art. 60 c.p.a., sussistendone i presupposti e dandone preavviso alle parti costituite (nessuna delle quali ha espresso opinione contraria sul punto).
Va innanzitutto esaminata l’eccezione di inammissibilità/irricevibilità del ricorso per mancata impugnativa della determinazione a contrarre n. 259 del 28.12.2017.
La scelta fondamentale di assicurare in modo autonomo il servizio pubblico locale (a rete) mediante il ricorso alla concessione di lavori e servizi in project financing è stata operata, a monte, con la deliberazione della Giunta Comunale n. 132 del 24-09-2015. È allora infatti che il Comune ha deciso di indire una gara pubblica (anziché aderire alla Convenzione Consip) per l’affidamento in concessione mediante project financing ai sensi dell’art. 153 D. Lgs. n. 163/2006 e dell’art. 278, comma 4, del D.P.R. n. 207/2010 (con aggiudicazione sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa di cui all’art. 83 del D. Lgs. n. 163/2006). A seguire sono stati elaborati il progetto preliminare per la gestione e riqualificazione energetica degli impianti di illuminazione del territorio comunale, da porre a base di gara, approvato, unitamente alla relazione ed all’analisi economica, con successiva deliberazione n. 147 del 22-10-2015.
Con determinazione a contrarre n. 259 del 28.12.2017 il Dirigente responsabile del Settore Area Tecnica-LLPP, ai sensi dell’art. 192 D.lvo n. 267/2000, ha approvato i documenti di gara (bando e disciplinare), dando corso alle procedure di evidenza pubblica per la scelta del contraente secondo le modalità previste dalle deliberazioni soprarichiamate, demandandone l’esperimento alla Centrale Unica di Committenza – Comunità Montana dei Castelli Romani e Prenestini, ai sensi dell’art. 37, co. 3, d.lvo n. 50/2016.
Quest’ultimo atto risulta meramente confermativo della scelta fondamentale operata, a monte, con le deliberazioni della Giunta comunale, risalenti al 2015, sicchè il Comune eccepisce innanzitutto l’inammissibilità del ricorso per mancata impugnativa delle Deliberazioni del 2015.
L’eccezione va disattesa.
Nel caso in esame, le delibere del 2015 non avevano immediata efficacia lesiva, in quanto si incaricava il competente Ufficio comunale ad elaborare lo studio di fattibilità (ed, in caso, predisporre l’eventuale documentazione di gara) verifica che si sarebbe potuta anche concludere con esito negativo.
Si pone ancora il problema dell’inammissibilità/irricevibilità del ricorso per omessa o tardiva impugnazione della determinazione a contrarre n. 259 del 28.12.2017, sollevato dal Comune resistente, che eccepisce, oltre alla mancata impugnativa di detta Determinazione (non ritenendo a tal fine sufficiente il generico riferimento, “alla determinazione a contrarre, di data ignota”, nell’epigrafe del ricorso), in ogni caso, l’irricevibilità dell’impugnativa della stessa per tardività.
La questione dell’inammissibilità dei ricorsi avverso il bando di gara proposti senza impugnare la determinazione a contrarre è già stata affrontata recentemente da questo Tribunale (si veda, in tal senso, Tar Lazio, sez. II bis, n. 4374/2018, secondo cui la delibera avrebbe dovuto essere impugnata immediatamente, senza attendere l’adozione del successivo bando, che, relativamente alla predetta scelta risulta meramente confermativo).
Si tratta tuttavia di principi che non possono trovare applicazione nel caso in esame, in cui la predetta determinazione non risulta essere mai stata pubblicata, sicchè risulta sufficiente la cautelativa e generica menzione nell’indicazione degli atti impugnati contenuta nell’epigrafe del ricorso. L’Amministrazione ha formulato in modo labiale l’eccezione, limitandosi ad asserire in via del tutto generica l’avvenuta rituale pubblicazione della predetta determinazione, senza tuttavia fornire alcuna prova di tale circostanza, non avendo depositato il relativo attestato di pubblicazione, a differenza di quanto fatto con le altre delibere. Né dagli atti di causa è desumibile alcun elemento indicativo dell’avvenuto adempimento. Ne consegue che non avendo il Comune soddisfatto l’onere della prova della pubblicazione di tale deliberazione su cui fondava l’eccezione di tardività, questa va disattesa.
Si passa, pertanto, ad esaminare il merito del ricorso.
Con il primo motivo di censura il ricorrente contesta la qualificazione della Centrale Unica di Committenza della XI Comunità Montana dei Castelli Romani e Prenestini ad agire ai sensi dell’art. 37 D. Lgs. n. 50/2016; doglianza alla quale l’Amministrazione resistente replica che la predetta risultava invece legittimata ad operare ai sensi dell’art. 216, comma 10, del d.lgs. n. 50/2016.
Come si è ricordato sopra, la scelta di affidare la procedura di gara in contestazione alla Centrale Unica di Committenza – Comunità Montana dei Castelli Romani e Prenestini, ai sensi dell’art. 37, co. 3 (rectius 4), D. Lgs. n. 50/2016 risale alla determinazione a contrarre n. 259 del 28.12.2017, con cui è stata approvata la legge di gara (bando e disciplinare), affidandone lo svolgimento alla Centrale di Committenza in contestazione. Ad essa il Comune aveva aderito con delibera del C.C. n. 2 del 28.1.2015, sottoscrivendo in data 3.2.2015 la relativa convenzione ai sensi dell’art. 33, co. 3 bis, D. Lgs. n. 153/2006. Detta Comunità montana aveva presentato richiesta di iscrizione all’elenco dei Soggetti Aggregatori che però è stata respinta dall’ANAC con delibera n. 23.7.2015 perché ritenuta carente dei requisiti oggettivi prescritti dall’art. 2, co. 2, DPCM 11.11.2014.
Tale circostanza è invocata dalla società ricorrente nel primo motivo di ricorso ove lamenta la violazione degli artt. 37 e 38 del Codice appalti per difetto di qualificazione della stazione appaltante.
La doglianza non è condivisibile.
Per meglio comprendere i termini della controversia, giova premettere un breve richiamo alla normativa in tema di soggetti accentratori, rinviando, per il resto all’analisi degli istituti effettuata dalla giurisprudenza in materia (TAR Lazio, Sez. III, n. 2339/2016).
L’art. 33-ter del d.l. 18.10.2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla l. 17.12.2012, n. 221, aveva istituito l’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti (AUSA), presso l’AVCP, obbligando le stazioni appaltanti a richiedere l’iscrizione ai sensi dell’art. 62-bis d.lg. 7.03.2005, n. 82.
L’art. 9 del D.L. n. 66/2014 (conv. in legge 89/2014), commi 1 e 2, ha istituto, nell’ambito della predetta Anagrafe, un ulteriore elenco, quello dei « soggetti aggregatori », al quale sono iscritti “di diritto” Consip S.p.A. e una centrale di committenza per ogni Regione (ove costituita ai sensi dell’articolo 1, comma 455, della legge 27 dicembre 2006, n. 296) e, previa valutazione del possesso di specifici requisiti individuati con DPCM (11.11.2014), anche « i soggetti diversi da quelli di cui al comma 1 che svolgono attività di centrale di committenza ai sensi dell’art. 33 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 », fino ad un massimo di 35 soggetti. Il sistema è stato confermato anche dal nuovo Codice del 2016 che all’art. 213, co. 16, ha affidato all’ANAC il compito di gestire tale elenco.
In effetti, nel nuovo elenco, compilato dall’ANAC a seguito della riapertura dei termini per la presentazione delle domande, risulta iscritta solo la Città Metropolitana di Roma Capitale, unitamente a qualche altra Provincia (Delibera n. 31 del 17.1.2018) e non risulta inserita la Centrale di Committenza della Comunità Montana in parola. Però, tra i 35 soggetti aggregatori non risulta inserita nessun’altra entità analoga. Inoltre dalla Delibera n. 31 del 17.1.2018 non risulta nemmeno che la Centrale in questione abbia ripresentato la domanda e che questa sia stata respinta (come invece riportato nella delibera n. 23.7.2015).
E non a caso, vista la diversità delle figure in questione.
Infatti il medesimo art. 9 del D.L. n. 66/2014 (conv. in legge n. 89/2014) soprarichiamato, oltre ad istituire ai commi 1 e 2 l’elenco dei Soggetti Accentratori, stabilendone il numero massimo (35 operatori), al successivo comma 4, modifica l’allora vigente Codice, disponendo all’art. 33, comma 3-bis, per i Comuni non capoluogo di provincia che essi procedono all’acquisizione di lavori, beni e servizi nell’ambito delle unioni dei Comuni di cui all’articolo 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ove esistenti, ovvero costituendo un apposito accordo consortile tra i Comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici anche delle Province, ovvero ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alle Province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56. In alternativa, gli stessi Comuni possono acquisire beni e servizi attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip S.p.A. o da altro soggetto aggregatore di riferimento.
La mancata inclusione della Centrale di Committenza della Comunità Montana in questione nell’elenco dei 35 “Soggetti Aggregatori” soprarichiamati, pertanto, non comporta le conseguenze ipotizzate dalla società ricorrente dato che si tratta di figure diverse.
La censura è frutto di un equivoco scaturito dal problema del complesso intreccio di normative che non ha trovato sistemazione nel vigente Codice, come rilevato già dai primi commentatori. In particolare è stato osservato che “la previsione legale di un numero massimo di 35 soggetti aggregatori non affronta però il problema della perdurante esistenza di altre centrali di committenza, che possono continuare ad operare, sia pure fuori dall’ambito dei casi in cui le varie leggi che si sono succedute, nel prevedere obblighi di ricorso a centrali di committenza, facciano riferimento solo ai soggetti aggregatori”. Inoltre viene precisato che “La legislazione esterna al codice, quando prevede obblighi di ricorso a centrali di committenza, fa in genere riferimento a CONSIP, alle Centrali di Committenza regionali o alla nuova tipologia di Soggetti Aggregatori, prevista dal D.L. n. 66/14. Diversamente, il Codice, per i Comuni non Capoluogo di Provincia, contempla la possibilità di avvalersi anche di centrali di committenza diverse”.
Mentre i Soggetti Aggregatori sopraindicati sono Centrali di Committenza “qualificate” mediante l’iscrizione nell’elenco predetto, la Centrale di Committenza costituita dai Comuni non Capoluogo è riconducibile alla Stazione Unica Appaltante di cui all’art. 13 della legge n. 136/2010 (DPCM 30.6.2011) – che dà attuazione all’art. 33 del Codice Appalti del 2006 – come chiarito dall’ANAC con Determinazione n. 3 del 25.2.2015 (nonché Determinazione n. 11 del 23.9.2015), che ha in tal modo risolto lo spinoso problema del rapporto tra le Stazioni Uniche Appaltanti di cui all’art. 13 della legge n. 136/2010 ed i Soggetti Aggregatori previsti dall’art. 9 del D.L. n. 66/2014 (conv. in legge n. 89/2014), chiarendo che i due istituti hanno in comune la natura di centrale di committenza, alla quale, tuttavia, il Soggetto Aggregatore unisce un’ulteriore qualità, consistente nell’abilitazione derivante dalla “qualificazione” conseguita ex lege o previa valutazione e iscrizione nell’elenco ANAC. Tale impostazione ha trovato favorevole seguito nella dottrina, che ha evidenziato che anche il nuovo Codice, seppure senza farvi espresso riferimento, consente ai Comuni non capoluogo di ricorrere alle SUA ex art. 13 (a condizione che siano iscritte nell’AUSA e, in futuro, che conseguano la qualificazione richiesta alle stazioni appaltanti), in quanto costituiscono una “species del genus” della Centrale di Committenza. Inoltre va osservato che, a loro volta, le stesse Centrali di Committenza formate dall’iniziativa comunale, presentano un quid pluris, in quanto costituiscono espressione diretta dell’autonomia negoziale dell’Ente esponenziale della Comunità locale, che risponde a principi e valori che superano il mero compito (tecnico) di aggregare la domanda, per conseguire risparmi di spese, che è comune anche ai Soggetti aggregatori (cioè di fungere da “centrale di acquisto”, in modo di ottenere « economie di scala», aumentare la conoscenza dello specifico settore, riducendo le asimmetrie informative, incrementando la competenza e l’efficienza della parte contrattuale pubblica), che però risultano “neutri” sotto il profilo sopraevidenziato.
Ne discende che dal mancato inserimento della Comunità Montana dei Castelli Romani e Prenestini nell’elenco dei soggetti aggregatori deriva solo l’incapacità dell’Ente in parola di operare come Soggetto Aggregatore della Domanda, ma non anche la sua incapacità di operare come Centrale di Committenza per l’Unione dei Comune che ne fanno parte.
A tal fine è infatti sufficiente, come previsto dall’art. 216, co. 10, del Codice, richiamato anche dall’art. 38, co. 8, la mera iscrizione quale Centrale di Committenza nell’Anagrafe Unica delle Stazioni Appaltanti, di cui all’articolo 33-ter del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179 (conv. in legge n. 221/2012); questa costituisce condizione necessaria e sufficiente per consentire alla Comunità Montana in parola di operare come Centrale di Committenza almeno nel regime transitorio delineato dall’art. 216, co. 10, del Codice, fino all’entrata a regime del sistema di qualificazione di cui all’art. 38 del Codice, come ribadito anche dalla Delibera ANAC n. 911 del 31.8.2016.
Si passa pertanto ad esaminare la seconda censura, relativa alla scelta del Comune di Montecompatri di avvalersi della procedura in contestazione, anziché aderire alla Convenzione Consip LUCE 3, senza tener conto delle condizioni più vantaggiose da questa offerte.
Come ammesso dalla stessa ricorrente, la normativa generale sulla centralizzazione degli acquisti in funzione del risparmio da economia di scala è questione complicata, dato l’intreccio di svariate disposizioni contenute nelle leggi sul contenimento della spesa pubblica centrale e locale (spending review), sulle leggi di stabilità, nonché, in varie leggi settoriali, che pongono problemi di individuazione, ancor prima che di interpretazione e coordinamento, della norma applicabile. Si tratta di un coacervo di norme che il Codice ha rinunciato a “sistematizzare”, limitandosi ad un generico rinvio alle “vigenti disposizioni in materia di contenimento di spesa”, le quali finiscono per costituire un “sistema parallelo”, come evidenziato già dai primi Commentatori.
Sulla questione dell’obbligatorietà, per gli Enti Locali, di avvalersi della Convenzione CONSIP (e poi di analoghe convenzioni predisposte da Soggetti Aggregatori) l’evoluzione normativa è stata ondivaga, alternando facoltatività ed obbligatorietà dell’adesione alle Convenzioni CONSIP per determinate Amministrazioni, passando per l’imposizione di parametri di prezzi e costi, non superabili dalle Amministrazioni ove autorizzate ad acquisire beni e servizi autonomamente, attraverso un’ordinaria procedura a evidenza pubblica, oppure condizionando tale autonomia negoziale alla dimostrazione del conseguimento di un vantaggio in termini di spesa.
Anche in questo caso giova premettere un breve richiamo alla ricostruzione della normativa in materia, come operato dalla dottrina e giurisprudenza maggioritaria.
L’art. 26 della legge n. 499/1988 non obbliga le amministrazioni pubbliche ad avvalersi delle convenzioni CONSIP, ma prevede solo che queste ne “utilizzano i parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi, per l’acquisto di beni e servizi comparabili oggetto delle stesse anche utilizzando procedure telematiche per l’acquisizione di beni e servizi ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 4 aprile 2002, n. 101” (quest’ultimo era stato abrogato dalla lettera g del comma 1 dell’art. 358, D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, a decorrere dall’8 giugno 2011; lo stesso articolo 26 della legge n. 488/99 in esame, che ad esso faceva riferimento, era stato abrogato dal comma 209 dell’art. 1, L. 27 dicembre 2006, n. 296, ma l’abrogazione non è stata confermata nella versione del comma 209, come modificato dal comma 6- bis dell’art. 15, D.L. 2 luglio 2007, n. 81, aggiunto dalla relativa legge di conversione).
L’ambito applicativo di tale previsione è chiarito dall’art. 58, co. 1, della legge n. 388/2000 – legge finanziaria 2001- precisando che “ai sensi di quanto previsto dall’articolo 26, comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, per pubbliche amministrazioni si intendono quelle definite dall’articolo 1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29” – quindi inclusi gli enti locali – e che “le convenzioni di cui al citato articolo 26 sono stipulate dalla Concessionaria servizi informatici pubblici CONSIP Spa”.
Una norma analoga a quella ricavabile dall’art. 26 della legge n. 499/1988 è riportata all’art. 1, co. 449, della legge n. 296/2006 (legge finanziaria 2007), che, da un lato, obbliga le sole amministrazioni statali ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni-quadro, dall’altro, conferma, per le restanti amministrazioni, inclusi quindi gli enti locali, la mera facoltatività del ricorso alle convenzioni CONSIP, ribadendo, tuttavia, l’obbligo ad utilizzarne i parametri di prezzo-qualità come limiti massimi per la stipulazione dei contratti. L’art. 1, comma 458, della legge n. 296 in parola, peraltro, dispone l’abrogazione dell’art. 59 della legge finanziaria per il 2001 soprariportata, che prevedeva l’aggregazione degli acquisti di beni e servizi a rilevanza regionale, specificando che “agli enti locali e alle università che non aderiscono alle convenzioni si applicano le disposizioni di cui al comma 3 dell’articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488” precisando che “Gli enti devono motivare i provvedimenti con cui procedono all’acquisto di beni e servizi a prezzi e a condizioni meno vantaggiosi di quelli stabiliti nelle convenzioni suddette e in quelle di cui all’articolo 26 della citata legge n. 488 del 1999”.
In sostanza, l’obbligatorietà non investe l’intero contenuto della Convenzione CONSIP, dato che la scelta di agire in autonomia dell’Ente viene salvaguardata (anche se sottoposta ad un rigoroso procedimento aggravato, nonché ad un regime di controlli, di pubblicità e di responsabilità delle relative decisioni, come specificato nel ripetuto art. 26 ai commi 3 e seguenti), ma semmai “i parametri di prezzo-qualità, come limiti massimi, per l’acquisto di beni e servizi” individuati in tale convenzione.
L’art. 59, co. 5, della legge n. 388/2000 prevedeva l’obbligo, anche per i Comuni, di aderire alle Convenzioni Consip, fatta salva la possibilità di procurarsi in autonomia beni e servizi, a condizione di motivare la relativa scelta, ove più vantaggiosa economicamente. Tale disposizione è stata successivamente abrogata dall’art. 1, co. 458, della legge n. 297/2007.
Un analogo onere è stato reintrodotto dall’art. 9 del D. L. n. 66/2014 (già richiamato sopra con riferimento all’istituzione nell’ambito dell’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti dell’elenco dei Soggetti Aggregatori) il cui comma 3 stabilisce che “Fermo restando quanto previsto all’articolo 1, commi 449, 450 e 455, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, all’articolo 2, comma 574, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, all’articolo 1, comma 7, all’articolo 4, comma 3-quater e all’articolo 15, comma 13, lettera d) del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (….) entro il 31 dicembre di ogni anno, sulla base di analisi del Tavolo dei soggetti aggregatori e in ragione delle risorse messe a disposizione ai sensi del comma 9, sono individuate le categorie di beni e di servizi nonché le soglie al superamento delle quali le amministrazioni statali (….) nonché le regioni, gli enti regionali, gli enti locali di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonché loro consorzi e associazioni, e gli enti del servizio sanitario nazionale ricorrono a Consip S.p.A. o agli altri soggetti aggregatori di cui ai commi 1 e 2 per lo svolgimento delle relative procedure. Per le categorie di beni e servizi individuate dal decreto di cui al periodo precedente, l’Autorità nazionale anticorruzione non rilascia il codice identificativo gara (CIG) alle stazioni appaltanti che, in violazione degli adempimenti previsti dal presente comma, non ricorrano a Consip S.p.A. o ad altro soggetto aggregatore”.
In attuazione di tale disposizione il D.P.C.M. 24 dicembre 2015 individua un elenco di beni e servizi standardizzati per i quali tutte le Amministrazioni pubbliche, inclusi gli Enti Locali, non possono effettuare acquisti con procedure autonome, ma sono costrette ad avvalersi della Convenzione Consip.
Ove questa non sia disponibile, invece, resta salva l’autonomia negoziale dell’Istituzione, che però è tenuta al rispetto di parametri di prezzo e costo, prefissati nel limite massimo dall’ANAC, a pena di nullità dei contratti conclusi in violazione di essi (violazione che è altresì causa di responsabilità erariale), come sancito dal successivo comma 7 dell’art. 9 del DL 66/94. Quest’ultimo comma prevede che “I prezzi di riferimento pubblicati dall’Autorità e dalla stessa aggiornati entro il 1° ottobre di ogni anno, sono utilizzati per la programmazione dell’attività contrattuale della pubblica amministrazione e costituiscono prezzo massimo di aggiudicazione, anche per le procedure di gara aggiudicate all’offerta più vantaggiosa, in tutti i casi in cui non è presente una convenzione stipulata ai sensi dell’articolo 26, comma 1, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, in ambito nazionale ovvero nell’ambito territoriale di riferimento. I contratti stipulati in violazione di tale prezzo massimo sono nulli”.
Nel caso in esame la previsione di obbligatoria adesione alla Convenzione Consip sancita dall’art. 9 co. 3 non trova applicazione in quanto il servizio pubblico locale di illuminazione pubblica non risulta espressamente menzionato nell’elenco dei settori merceologici e di servizi contemplati dal DPCM del 24 dicembre 2015 (adottato in attuazione dell’art. 9 co. 3 in parola). E non a caso, dato che il suddetto decreto include categorie di beni (soprattutto prodotti sanitari, farmaci, vaccini) e servizi standardizzati (quali pulizie, vigilanza etc.) che non sono equiparabili a quello in esame.
Non solo, ma l’art. 9, co. 3, in parola fa comunque salve le specifiche previsioni di aggregazione delle commesse a fini di contenimento della spesa contenute nelle disposizioni espressamente richiamate, in particolare l’art. 1, comma 7, del decreto-legge n. 95/2012 (conv. in legge n. 135/2012), che, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 494, L. 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità) e dall’art. 1, comma 417, L. 27 dicembre 2017, n. 205, così recita: “Fermo restando quanto previsto all’articolo 1, commi 449 e 450, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e all’articolo 2, comma 574, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, quale misura di coordinamento della finanza pubblica, le amministrazioni pubbliche (…) relativamente alle seguenti categorie merceologiche: energia elettrica, gas, carburanti rete e carburanti extra-rete, combustibili per riscaldamento, telefonia fissa e telefonia mobile, sono tenute ad approvvigionarsi attraverso le convenzioni o gli accordi quadro messi a disposizione da Consip S.p.A. e dalle centrali di committenza regionali di riferimento costituite ai sensi dell’articolo 1, comma 455, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, ovvero ad esperire proprie autonome procedure nel rispetto della normativa vigente, utilizzando i sistemi telematici di negoziazione messi a disposizione dai soggetti sopra indicati. (….) È fatta salva la possibilità di procedere ad affidamenti, nelle indicate categorie merceologiche, anche al di fuori delle predette modalità, a condizione che gli stessi conseguano ad approvvigionamenti da altre centrali di committenza o a procedure di evidenza pubblica, e prevedano corrispettivi inferiori almeno (….) del 3 per cento per le categorie merceologiche carburanti extra-rete, carburanti rete, energia elettrica, gas e combustibili per il riscaldamento rispetto ai migliori corrispettivi indicati nelle convenzioni e accordi quadro messi a disposizione da Consip SpA e dalle centrali di committenza regionali”.
Però, il servizio di illuminazione pubblica non è riconducibile al servizio di mera fornitura di energia, come chiarito dalla giurisprudenza in materia.
Risulta decisivo, al riguardo, quanto osservato dal Supremo Consesso, secondo cui il servizio di illuminazione pubblica non forma oggetto dell’obbligo di adesione alle Convenzioni Consip, neppure ai sensi dell’art. 1, comma 7, del d.l. n. 95/2012, relativa alla fornitura di energia, nonché le attività finalizzate al conseguimento del risparmio energetico ai sensi dell’art. 153, commi 1-19, del D.Lgs. n. 163 del 2006, in quanto l’ambito applicativo della normativa citata riguarda “esclusivamente i contratti aventi ad oggetto la sola fornitura di energia elettrica e non quelli (…) di concessione di lavori e servizi in cui l’oggetto è costituito da attività complessa, con affidamento di servizi/lavori per la gestione integrata del servizio di illuminazione stradale, ivi compresa la progettazione ed esecuzione degli interventi di messa a norma dell’impianto con sostituzione dei pali e delle armature e di ammodernamento tecnologico e funzionale dello stesso, etc.” (si veda, da ultimo, Cons. Stato, sez. V, n. 2392/2018; cfr., in precedenza, Cons. Stato, sez. V, n. 2194/2015; cfr., TAR Sicilia, Palermo, sez. II, n. 1007/2006, che si pone altresì il problema dell’applicabilità della disciplina sui settori esclusi, poi risolto evidenziando che una cosa è la manutenzione delle reti fisse ed altra è la produzione, trasporto e distribuzione di energia e alimentazione delle suddette reti).
Va inoltre ricordato, sul piano del raggiungimento dell’obiettivo prefissato dalla previsione della spending review in parola, che la modalità centralizzata di acquisto della fornitura di energia mediante Convenzione Consip non è risultata neppure in assoluto più o meno conveniente rispetto alle condizioni spuntate da diversi Comuni, anche di piccole dimensioni, che “sono apparsi tecnicamente preparati per affrontare le gare fuori convenzione”, sfruttando i margini di flessibilità per l’adeguamento ai rapidi cambiamenti di mercato ed adeguando il servizio alle specifiche esigenze dell’ente (Analisi degli Affidamenti in deroga alle Convenzioni Consip di energia elettrica ed altre forniture di materie prime combustibili, Comunicato ANAC 4.11.2015).
Comunque anche il Collegio ritiene che l’attività che si intende affidare con la procedura in contestazione non sia affatto riconducibile al mero servizio energia, ma rientri, invece, tra servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica di cui all’art. 3 bis del D.L. 13/08/2011, n. 138 (conv. in legge n. 148/2011), per i quali la predetta disposizione prevede criteri di organizzazione, demandando espressamente “le funzioni di organizzazione degli stessi, di scelta della forma di gestione, di affidamento della gestione e relativo controllo agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei (….)”; precisando che la motivazione sulla forma di affidamento prescelta nell’apposita relazione da pubblicare sul sito internet degli organi di governo interessati ai sensi dell’art. 34, co. 20, DL n. 179/2012, come ricordato anche dall’ANAC nel Comunicato del Presidente del 14.9.2016 che, oltre a ribadire l’illegittimità dell’affidamento del servizio a ENEL Sole, al di fuori di ogni procedura pubblica, invita gli Enti Locali a utilizzare gli altri strumenti disponibili, soprarichiamati, nel rispetto del Codice e del DL 179/2012 cit.).
Ne consegue che, alla luce degli elementi sopraindicati, vanno dissipati i dubbi della ricorrente – su cui è incentrato il terzo motivo di ricorso che conviene esaminare nell’ambito della trattazione del secondo motivo – sulla correttezza della ricostruzione in termini concessori dell’appalto di lavori e servizi in contestazione.
La ricorrente, infatti, ripropone questioni già da tempo risolte dalla giurisprudenza, che riconosce pacificamente la natura di servizio pubblico locale (di natura economica) dell’illuminazione pubblica (cfr. Cons. St., sez. V, n. 8090/2004 e n. 8232/2010) e ritiene legittimo il suo affidamento secondo il modulo della concessione tramite project financing (quest’ultimo, peraltro, costituisce un modello ormai consolidato che si sta sostituendo alla vecchia prassi degli enti locali di affidare, peraltro senza gara, detto servizio a ENEL SOLE spa -società del gruppo ENEL dedicata all’illuminazione pubblica), al quale l’ente locale può ricorrere tra le varie modalità alternative possibili (assieme a appalto di lavori/servizi; ovvero finanziamento tramite terzi) oltre alla amministrazione diretta, inclusa l’amministrazione in economia, che costituiscono un ventaglio di opzioni tutte possibili e lecite (come ricordato nella stessa Comunicazione ANAC; si veda, in giurisprudenza, TAR Emilia Romagna, Parma, n. 148/2012).
La scelta di assicurare l’espletamento del servizio pubblico locale (a rete) in questione attraverso l’affidamento in concessione a seguito di un’ordinaria procedura ad evidenza pubblica, rispetto alle alternative modalità di gestione sopraindicate, o rispetto alla possibilità di aderire alla Convenzione Consip Servizio Luce 3, costituisce una facoltà discrezionale del Comune, sottratta al sindacato giurisdizionale di legittimità, salvo il caso in cui sia manifestamente inficiata da illogicità, irrazionalità, arbitrarietà od irragionevolezza, ovvero non sia fondata su di un altrettanto macroscopico travisamento dei fatti (cfr., tra tante, da ultimo, TAR Veneto, sez. I, n. 811/2017) che, però, non appaiono ravvisabili nel caso di specie.
Non convince nemmeno il richiamo al favor delle norme vigenti per le convenzioni della Consip -anche quando la relativa adesione non sia obbligatoria – desumibile anche dal fatto che queste, in difetto di adesione, rilevano comunque come parametri di prezzo-qualità fungenti da limiti massimi per la stipulazione dei contratti, in quanto da essi può farsi discendere, semmai, solo “una peculiare presunzione di convenienza” delle convenzioni in parola, alla quale “corrisponde pertanto, per le Amministrazioni, una sorta di regola di azione” (Cons. Stato, sez. V, n. 2194/2015) che comporta solo di motivare le relative scelte, facendole precedere da adeguata istruttoria (cfr. TAR Sicilia, Palermo, sez. III n. 2033/2017). Ma, appunto, come osservato in via preliminare, è in sede di programmazione dell’intervento che il Comune resistente ha svolto l’attività di indagine per stabilire se convenisse o meno procedere autonomamente all’affidamento del servizio pubblico locale di illuminazione stradale (studio di fattibilità del progetto per la gestione e riqualificazione energetica degli impianti di illuminazione del territorio comunale, da porre a base di gara, con relativi studi economici) che ha indotto la GM ad approvare il progetto preliminare (sulla base della relazione preliminare e analisi economica allegata al progetto) con deliberazione della Giunta Municipale n. 147 del 22.10.2015 – intervento successivamente inserito nel Programma Triennale con Delibera n. 145/2017 e validato con DD 258/2017 – di cui si dà atto nella determinazione a contrarre n. 259 del 28.12.2017, e che costituisce la motivazione della scelta finale (cioè questa è data, principalmente, mediante rinvio, per relationem, della determinazione predetta agli atti preparatori sopraindicati, che contengono le valutazioni di opportunità e convenienza della scelta di indire una gara ad hoc di competenza degli organi di governo dell’Ente Locale).
Nella sostanza, invece, la scelta in contestazione può essere sindacata solo nei limiti soprarichiamati del riscontro dell’eventuale palese irragionevolezza della decisione; ipotesi che, però, non è ravvisabile nel caso in esame alla luce delle specifiche esigenze di manutenzione e gestione d’esercizio della rete degli impianti di illuminazione e semaforici rappresentate dalla Stazione appaltante, in considerazione della vetustà, della localizzazione e caratteristiche degli impianti stessi, dell’incapacità tecnico-organizzativa e finanziaria dell’Ente a provvedere altrimenti. In sostanza la decisione di ricorrere al modello della concessione in project financing è stata assunta per sfruttare il know how e le disponibilità finanziare dell’impresa aggiudicataria, scaricando su di essa i costi per la progettazione ed esecuzione dei complessi interventi richiesti, da questa assunti a fronte del diritto di gestione funzionale e sfruttamento economico delle opere realizzate. Si tratta di ragioni che hanno già indotto numerosi enti locali ad avvalersi di tale possibilità anziché aderire alla Convenzione SERVIZIO LUCE 3, anche in considerazione delle criticità della stessa rilevate in sede di consultazione ANCI (in particolare si fa riferimento alla rigidità dello strumento ed alla difficoltà di prendere adeguatamente in considerazione le esigenze delle varie realtà locali; delle conseguenze economico-sociali, nonché degli effetti sulla concorrenza e la possibilità di accesso al mercato per le PMI e delle ricadute in termini di innovazione tecnologica etc.).
Per il resto, si tratta di scelte basate su “valutazioni di convenienza ed opportunità” che sono solo limitatamente apprezzabili in questa sede, in cui si deve solo verificare che l’Amministrazione non abbia superato i limiti posti dal canone di ragionevolezza e proporzionalità; evenienza che non pare essersi verificata, almeno allo stato degli atti e sulla base degli elementi di valutazione evidenziati in questa sede.
Non può, pertanto, essere seguita la prospettazione della parte ricorrente, ove si addentra nel cuore delle valutazioni contabili dell’operazione per dimostrarne l’antieconomicità, rispetto alla Convenzione, in particolare sotto il profilo del valore del canone annuale (€ 167.258,26 €/anno, per un importo complessivo della convenzione pari a: € 1.505.324,34€); della durata più vantaggiosa (9 anni anziché 20: secondo la ricorrente prima gli impianti tornano nella proprietà del Comune, prima questo potrà beneficiare di tutti i risparmi derivanti dagli interventi di messa in efficienza che, invece, in corso della concessione sono a beneficio del fornitore); della minore incidenza degli investimenti (quelli per la riqualificazione energetica e normativa degli impianti a carico del fornitore si attestano sulla quota del 45%-50% dell’importo complessivo del canone per circa 720.000,00€); del tetto massimo per gli interventi extra canone (nella convenzione Consip gli enti possono impegnare una quota massima del 20% del complessivo a canone per ulteriori interventi, mentre nell’appalto in contestazione tale quota è di circa: 300.000,00 €.; la quota extracanone deve essere anticipata dal fornitore nel 1° anno contrattuale e finanziata a tasso zero per tutti gli anni di convenzione; per un investimento sull’impiantistica per 1.020.000,00 € la Convenzione Consip richiede un importo annuale massimo di 200.591,59 €/anno (somma del canone ordinario e di quello extra), mentre nell’affidamento comunale per lo stesso sono preventivati 210.728,57 €/anno risultato IVA esclusa.
Si tratta di rilievi di natura contabile ai quali il Comune ha replicato eccependo innanzitutto che i servizi non sono comparabili, attesa la maggior complessità dell’attività oggetto di appalto (lavori e servizi complessi), che i prezzi nemmeno sono confrontabili in quanto il prezzo di circa 210 mila euro per annualità previsto dal Comune costituisce solo la base d’asta (quindi non è confrontabile con i 200 mila previsti nella Convenzione Luce 3 che invece sono prefissati ed insuscettibili di essere abbassati, a seguito di offerte migliorative). Rappresenta inoltre che la Convenzione Consip non comprende attività migliorative che vanno pagate a parte; inoltre nel capitolato del Comune di Monte Compatri sono previsti investimenti per 1.636.948,00 euro (per l’adeguamento normativo e l’efficientamento energetico degli impianti nonché il miglioramento tecnologico e della gestione degli stessi) che non potrebbero essere coperti mediante il ricorso alla Convenzione Consip (l’importo presupposto per l’intero servizio richiesto valutato in euro 1.505.324,34, nell’arco del periodo temporale dei nove anni); inoltre nel capitolato Consip i costi di manutenzione straordinaria sono previsti nella misura massima del 10% dell’intero appalto, che comporta investimenti previsti per soli 150.532,43 €. Infine il Comune rappresenta che i prezzi per gli interventi straordinari previsti nel disciplinare della Consip sono più alti rispetto al prezzario regionale così come i costi manutentivi per punto luce della convenzione sono in media superiori del 25% a quelli del bando proposto dal Comune. In conclusione difende il proprio operato affermando di aver rispettato i parametri della Convenzione che “non impongono un prezzo identico, ma un prezzo proporzionale a quanto ottenuto dall’Ente in relazione ai benefici ottenuti”.
In ogni caso, anche a ritenere minore il prezzo previsto dalla Consip per un servizio “standardizzato” non può essere assunto a confronto con quello previsto per un servizio “personalizzato”, più complesso, progettato proprio per rispondere meglio alle esigenze dell’ente locale in parola, per cui vi è comunque una convenienza economica per il Comune a bandire una procedura specifica sulla base della relazione tecnica presentata (Cons. Stato, sez. V, 28 marzo 2018, n. 1937).
Il Collegio osserva che le questioni di opportunità e valutazioni di convenienza economica dell’operazione in questione non possono essere utilmente prospettate dalla ricorrente in questa sede di giudizio di legittimità (semmai, avrebbero potuto essere prospettate dalla ricorrente all’ANAC, sollecitandone il parere precontenzioso), eventualmente rientrando – laddove comportanti fattispecie di danno erariale – nell’ambito della giurisdizione di responsabilità del giudice contabile.
Quanto alla durata della concessione, peraltro, va ricordato che l’art. 168 prevede che essa debba essere proporzionata al periodo di tempo necessario al recupero degli investimenti e sufficientemente ampio da non scoraggiare gli operatori ad intervenire in un settore di mercato che non rende prevedibili prospettive di reddittività in tempi brevi. Come evidenziato dalla stessa CONSIP anche nel corso delle consultazioni con gli operatori di settore, il servizio pubblico locale di illuminazione comporta interventi con caratteristiche tecniche complesse, su impianti vetusti, in mancanza di risorse economiche, con ampi margini di incertezza sulla redditività, che espone l’operatore ad elevati rischi, e necessità di predisporre di piani di intervento per adeguarli a nuove esigenze, etc. Per tale ragione la maggior parte delle amministrazioni locali si è orientata su periodo analogo a quello della gara oggetto di contestazione. In tale quadro di elementi, le considerazioni della ricorrente non sono sufficienti per considerare l’arco temporale indicato dal Comune resistente “irragionevole”, non essendo stato dimostrato che la durata ventennale risulta ingiustificata, tenuto conto anche delle particolari caratteristiche del servizio locale in questione e della specifiche condizioni tecnologiche degli impianti e dell’impegno finanziario necessario al loro adeguamento.
Con l’ultimo motivo di censura, infine, la ricorrente lamenta l’eccessiva brevità del termine per proporre l’offerta stabilita dalla lex specialis. Successivamente alla proposizione del ricorso, tuttavia, la resistente ha disposto una proroga del termine di scadenza al 18.6.2018, sicchè è venuto meno l’interesse all’esame delle doglianze in parola.
In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Le spese di giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti, vista le novità della questione.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Leonardo Pasanisi, Presidente
Floriana Rizzetto, Consigliere, Estensore
Cecilia Altavista, Consigliere
L’ESTENSORE
Floriana Rizzetto
IL PRESIDENTE
Leonardo Pasanisi
IL SEGRETARIO