* VIA, VAS E AIA – VAS – Contestazione della legittimità di un atto di pianificazione per mancanza o vizi della VAS – Mancanza di qualsiasi nesso con la destinazione urbanistica dell’area oggetto del giudizio – Inammissibilità della censura.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Liguria
Città: Genova
Data di pubblicazione: 8 Novembre 2016
Numero: 1104
Data di udienza: 6 Ottobre 2016
Presidente: Daniele
Estensore: Goso
Premassima
* VIA, VAS E AIA – VAS – Contestazione della legittimità di un atto di pianificazione per mancanza o vizi della VAS – Mancanza di qualsiasi nesso con la destinazione urbanistica dell’area oggetto del giudizio – Inammissibilità della censura.
Massima
TAR LIGURIA, Sez. 1^ – 8 novembre 2016, n. 1104
VIA, VAS E AIA – VAS – Contestazione della legittimità di un atto di pianificazione per mancanza o vizi della VAS – Mancanza di qualsiasi nesso con la destinazione urbanistica dell’area oggetto del giudizio – Inammissibilità della censura.
La censura con la quale si contesta la legittimità di un atto di pianificazione urbanistica per mancanza della V.A.S. o per vizi inficianti tale procedura è inammissibile, per difetto di interesse, se questa non abbia alcun nesso con la destinazione urbanistica dell’area oggetto del giudizio (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 27 gennaio 2012, n. 297; T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 19 luglio 2011, n. 1093).
Pres. Daniele, Est. Goso – V.B. e altro (avv. Bilanci) c. Comune di Genova (avv. Masuelli), Regione Liguria (avv.ti Sommariva e Castagnoli) e altri (n.c.)
Allegato
Titolo Completo
TAR LIGURIA, Sez. 1^ - 8 novembre 2016, n. 1104SENTENZA
TAR LIGURIA, Sez. 1^ – 8 novembre 2016, n. 1104
Pubblicato il 08/11/2016
N. 01104/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00150/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 150 del 2016, proposto da:
Valentina Berton e Corinna Berton, rappresentate e difese dall’avv. Carlo Bilanci, presso il quale sono elettivamente domiciliate nel suo studio in Genova, via Roma, 11/1;
contro
Comune di Genova, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Aurelio Domenico Masuelli, presso il quale è elettivamente domiciliato negli uffici della civica Avvocatura in Genova, via Garibaldi, 9;
Regione Liguria, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, rappresentata e difesa dagli avv. Michela Sommariva e Leonardo Castagnoli, presso i quali è elettivamente domiciliata negli uffici dell’Avvocatura regionale in Genova, via Fieschi, 15;
Città Metropolitana di Genova, non costituita in giudizio;
per l’annullamento
del P.U.C. di Genova il cui procedimento di formazione si è concluso con la determinazione dirigenziale n. 2015-118.0.0-18 del 27/11/2015, pubblicato a far tempo dal 3/12/2015, e di tutti gli atti del procedimento, in particolare:
– della deliberazione di adozione del progetto preliminare (C.C. n. 92/2011);
– della deliberazione del Consiglio comunale n. 6/2014 (ipotesi di recepimento delle prescrizioni regionali dettate con deliberazione G.R. 1280/2012 – V.A.S.);
– della deliberazione del Consiglio comunale n. 8/2015 (risposta alla deliberazione G.R. 689/2014 portante giudizio di non ottemperanza al parere V.A.S.);
– della deliberazione del Consiglio comunale n. 42/2015 (determinazioni sulle osservazioni al P.U.C. definitivo e approvazione del P.U.C.);
– della deliberazione della Giunta regionale n. 1201/2015, nella parte in cui condivide la valutazione del settore regionale V.I.A. contenuta nella “relazione di ottemperanza” (anch’essa impugnata) al parere motivato di V.A.S.;
– del verbale della conferenza di servizi decisoria del 4/11/2015;
– della deliberazione del Consiglio comunale n. 57/2015 (accettazione delle prescrizioni dettate dalla Regione e dalla Città Metropolitana);
– della determinazione dirigenziale n. 2015-118.0.0-18 del 27/11/2015,
nella parte in cui dettano la disciplina dei terreni di proprietà in via della Torrazza compresi nell’ambito AR-PA e con riferimento all’art. 8 delle Norme Generali.
Visto il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Genova e della Regione Liguria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti di causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 ottobre 2016 il dott. Richard Goso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Le ricorrenti sono proprietarie di un terreno, avente superficie di mq 14.000 circa, posto sulla collina retrostante il quartiere di Genova Prà, nella frazione Torrazza.
L’area è assoggettata a vincolo paesaggistico.
Il previgente P.U.C., approvato nel 2000, includeva l’area medesima nella zona agricola E, sottozona EE (“agricola storicamente strutturata”), nella quale era consentita l’edificazione residenziale, anche se non legata alla coltivazione del fondo.
Con istanza del 2 agosto 2011, le odierne ricorrenti avevano chiesto il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica per la realizzazione di un nuovo edificio residenziale bifamiliare, sviluppato su due piani fuori terra e con superficie complessiva di 120 mq.
L’autorizzazione è stata rilasciata dal Comune di Genova con provvedimento del 2 dicembre 2011.
Con deliberazione consiliare del 7 dicembre 2011, è stato adottato il progetto preliminare del nuovo P.U.C.: l’area di proprietà delle ricorrenti è stata inclusa nell’ambito AR-PA (“riqualificazione delle aree di produzione e di presidio agricolo”), ove erano ammesse nuove edificazioni solo in quanto collegate all’effettiva produzione agricola o, in alternativa, al “presidio agricolo” (vale a dire per “salvaguardare, presidiare e riqualificare il territorio extraurbano, caratterizzato da insediamenti sparsi, che presenta fenomeni di sottoutilizzo agro-silvo-pastorale”).
Le interessate presentavano osservazioni intese ad una riclassificazione che consentisse l’edificazione indipendentemente dall’attività agricola, allegando uno studio agronomico che rendeva conto del risalente stato di abbandono dell’area e della pretesa impossibilità di un proficuo utilizzo produttivo della stessa.
L’amministrazione ha respinto tale apporto partecipativo in quanto contrastante con le scelte di Piano volte ad incentivare l’attività agricola.
Infatti, con il progetto definitivo di P.U.C., adottato con deliberazione consiliare del 4 marzo 2015, è stata eliminata dall’ambito AR-PA la funzione di presidio agricolo, cosicché gli interventi di nuova edificazione risultano riservati agli imprenditori agricoli professionali.
Tale disciplina ha trovato conferma nel P.U.C. definitivamente approvato con provvedimento dirigenziale del 27 novembre 2015.
Tutto ciò premesso, le interessate hanno ritualmente impugnato il P.U.C. approvato (e gli altri atti del procedimento indicati in epigrafe), deducendo i seguenti vizi di legittimità:
I) Violazione degli artt. 4, 24, 25, 28, 35 e 36, l.r. 36/1997 e s.m.i. Violazione del P.T.C. approvato con deliberazione del Consiglio provinciale 22/1/2002, n. 1. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento. Contraddittorietà. Intrinseca illogicità.
L’amministrazione avrebbe travisato le reali caratteristiche dell’area in questione, nella quale la produzione agricola è stata abbandonata da tempo (vi insistono solamente reliquati di serre e altri manufatti agricoli abbandonati), anche per la forte acclività del terreno che non consente il proficuo svolgimento di tale attività.
II) Violazione dell’art. 38, l.r. 36/1997 e s.m.i. Violazione degli artt. 3, 4 e 10, l.r. 32/2012. Violazione degli artt. 5, 6, 11, 15 e 16, d.lgs. 152/2006. Eccesso di potere per immotivata contraddittorietà tra atti. Illogicità.
Le esponenti deducono vizi della procedura di V.A.S. che, a loro avviso, non avrebbe risolto tutte le criticità emerse e, al solo fine di consentire comunque l’approvazione del nuovo P.U.C., sarebbe stata conclusa con una formula contraddittoria.
III) Violazione dell’art. 79, l.r. 11/2015.
La delibera di accettazione delle prescrizioni regionali non sarebbe stata corredata dagli atti del P.U.C. già adeguati alle prescrizioni medesime e conterrebbe un’inammissibile “accettazione condizionata”.
Si sono costituiti in giudizio il Comune di Genova a la Regione Liguria, argomentando nel senso dell’infondatezza del ricorso.
In prossimità della pubblica udienza, la parte ricorrente ha depositato una memoria di replica.
Il ricorso, infine, è stato chiamato alla pubblica udienza del 6 ottobre 2016 e, previa trattazione orale, è stato ritenuto in decisione.
DIRITTO
1) Le ricorrenti, proprietarie di un terreno in area assoggettata a vincolo paesaggistico, contestano la legittimità della disciplina urbanistica dettata dal nuovo P.U.C. di Genova che non consente nuove costruzioni nell’area de qua, fatta eccezione per quelle realizzate da imprenditori agricoli professionali e collegate all’effettiva produzione agricola.
Nella vigenza del precedente strumento urbanistico generale, esse avevano conseguito il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica per la costruzione di un edificio bifamiliare, ma non avevano presentato la relativa istanza edificatoria.
2) Con il primo motivo di ricorso, le esponenti deducono che la classificazione urbanistica dell’area di proprietà (“ambito di riqualificazione delle aree di produzione e di presidio agricolo” – AR-PA) non sarebbe coerente con il reale stato dei luoghi.
Essa, infatti, non avrebbe le caratteristiche di un’area di produzione agricola, stante la forte acclività del terreno che impedisce ogni proficua produzione agricola professionale.
Costituirebbero prova di tale assunto (e della contraddittorietà dell’azione amministrativa) i due permessi di costruire rilasciati, durante il procedimento di approvazione del P.U.C., per la realizzazione di analoghi edifici residenziali in terreni limitrofi.
Inoltre, la disciplina in questione sarebbe illegittima laddove, in contrasto con l’art. 35 della legge regionale Liguria n. 36/1997 e con le indicazioni del P.T.C. provinciale, non consente la funzione di “presidio agricolo”, necessaria per la tutela del territorio.
Infine, le ricorrenti:
– censurano le previsioni che consentono l’edificazione nell’ambito AR-PA ai soli imprenditori agricoli professionali e definiscono tale status sulla base di requisiti ulteriori a quelli fissati dalla vigente normativa;
– denunciano l’illogicità di una disciplina che, impedendo di fatto la realizzazione di qualsivoglia iniziativa edificatoria, si tradurrebbe a danno del fondamentale obiettivo di conservazione del paesaggio.
Nessuno dei profili di censura così dedotti è idoneo a rivelare la sussistenza dei denunciati vizi di legittimità.
In primo luogo, la documentazione in atti non rende conto del travisamento fattuale che avrebbe viziato le valutazioni comunali inerenti al reale stato dei luoghi.
La carta dell’acclività (Tav. 24) depositata in giudizio dal Comune di Genova dimostra che il terreno di proprietà delle ricorrenti è caratterizzato da pendenze comprese tra i 25° e i 35°, quindi ben inferiori ai valori riferiti dalle medesime (“fino a 45°”) e non così marcate da impedire lo svolgimento dell’attività agricola.
Fermo restando che, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa, la destinazione agricola di un suolo non deve rispondere necessariamente all’esigenza di promuovere specifiche attività di coltivazione, quindi essere funzionale ad un uso strettamente agricolo del terreno, potendo essere concretamente volta a sottrarre parti del territorio comunale a nuove edificazioni onde garantirne adeguate condizioni di vivibilità (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 5 aprile 2013, n. 1882).
Quanto alle analoghe iniziative edificatorie che sarebbero state realizzate in terreni limitrofi a quello delle ricorrenti, si tratta di costruzioni assentite sulla base di una disciplina urbanistica che l’amministrazione, nell’esercizio delle propria discrezionalità, ha ritenuto di dover modificare in senso più restrittivo.
E’ evidente, pertanto, come tale circostanza non possa costituire indice rivelatore del denunciato vizio di contraddittorietà estrinseca, tanto più che la mancata richiesta del titolo edificatorio risale ad una scelta liberamente compiuta dalle odierne ricorrenti.
Anche il mancato riconoscimento della funzione di “presidio agricolo” costituisce legittima espressione delle amplissime valutazioni discrezionali riservate all’amministrazione nella materia urbanistica (nella specie, coerenti alle indicazioni formulate dal Comitato tecnico regionale per il territorio e conseguenti ad una più accurata rilevazione dello stato di fatto rispetto al progetto preliminare), né la parte ricorrente ha addotto elementi idonei a dimostrare l’illogicità di tale scelta.
Il citato art. 35 della l.r. n. 36/1997, d’altronde, impone particolari prestazioni finalizzate al presidio e alla tutela del territorio a carico del soggetto che costruisce nei terreni di produzione agricola, ma non può essere interpretato nel senso di rendere comunque ammissibili, nelle zone di questo tipo, la realizzazione di interventi in funzione di “presidio agricolo”.
La previsione che consente l’edificazione nell’ambito AR-PA ai soli imprenditori agricoli professionali si pone in perfetta coerenza con la disciplina urbanistica dell’ambito medesimo e le ricorrenti, che non svolgono alcuna attività di produzione agricola professionale, non hanno interesse a contestare i requisiti previsti per il riconoscimento di tale status.
Non è dato comprendere, infine, come la preclusione opposta alla realizzazione di nuove edificazioni residenziali in zona agricola possa tradursi a discapito degli obiettivi di tutela dell’identità e di conservazione del paesaggio.
Sono prive di pregio, per tali motivi, le variegate censure di legittimità sollevate con il primo motivo di ricorso.
3) Sono invece inammissibili per difetto di interesse le censure, dedotte con il secondo motivo di gravame, inerenti ai pretesi vizi del procedimento di V.A.S. che la Regione Liguria avrebbe contraddittoriamente concluso sebbene non fossero state adempiute le prescrizioni impartite né risolte le criticità emerse nel corso del procedimento medesimo.
A tale riguardo, le esponenti denunciano anche il fatto che la V.A.S. non sarebbe stata effettuata, come doveroso, “il più a monte possibile”, bensì immediatamente prima dell’approvazione del P.U.C.
Ha precisato la giurisprudenza amministrativa, infatti, che la censura con la quale si contesta la legittimità di un atto di pianificazione urbanistica per mancanza della V.A.S. o per vizi inficianti tale procedura è inammissibile, per difetto di interesse, se questa non abbia alcun nesso con la destinazione urbanistica dell’area oggetto del giudizio (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 27 gennaio 2012, n. 297; T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 19 luglio 2011, n. 1093).
Il Collegio condivide tale impostazione giurisprudenziale, incline a limitare la configurabilità dell’interesse strumentale all’impugnazione dello strumento urbanistico, sicché non possono ritenersi ammissibili le doglianze sollevate in merito a pretesi vizi del procedimento di V.A.S., al solo fine di travolgere il procedimento di approvazione del nuovo P.U.C., senza che sia stata allegata l’esistenza di uno specifico nesso tra i vizi in questione e la destinazione urbanistica dell’area oggetto del giudizio.
4) Infine, con il terzo motivo di ricorso, le ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 79, comma 3, della legge regionale Liguria n. 11/2015.
In forza di tale previsione, laddove non sia stata ancora conseguita la verifica di ottemperanza alle prescrizioni contenute nella pronuncia di V.A.S., il Comune, a seguito dell’adozione del progetto definitivo del P.U.C., deve convocare una conferenza di servizi per il conseguimento delle determinazioni regionali di natura ambientale e territoriale-paesistica; qualora tali determinazioni siano subordinate all’osservanza di prescrizioni comportanti l’adeguamento del P.U.C., il Comune è tenuto, prima di formalizzare la determinazione conclusiva della conferenza, ad accettare tali prescrizioni con deliberazione del Consiglio comunale alla quale sono da allegare gli atti del P.U.C. “previamente adeguati”.
Nel caso in esame, si sarebbe verificato un evidente errore procedimentale, poiché la stessa formulazione letterale della delibera di accettazione delle prescrizioni regionali rivela che gli atti del P.U.C. non erano stati previamente adeguati alle prescrizioni impartite.
Il dispositivo della deliberazione in parola contiene, in effetti, indicazioni apparentemente contraddittorie.
Al punto 2), viene stabilito “di adeguare, conseguentemente, gli atti del P.U.C. con gli effetti sui documenti di Piano esplicitati nel documento <Recepimento prescrizioni Enti – Relazione di Sintesi>, anch’esso allegato al presente atto quale parte integrante e sostanziale”.
Al successivo punto 5), invece, si dà atto che “i documenti e gli elaborati del P.U.C., come modificati per effetto delle prescrizioni di cui al punto 1) del presente provvedimento e degli adeguamenti di cui al punto 4) del presente provvedimento e come puntualmente individuati nell’apposito elenco allegato al presente provvedimento, costituiscono parte integrante e sostanziale del presente atto, sono conservati nell’archivio documentale del Comune, resi disponibili e pubblicati nelle forme previste dalla legge”.
La seconda statuizione è certamente più completa della prima e rivela con una certa chiarezza che gli atti del P.U.C. erano già stati adeguati, al momento dell’adozione del provvedimento deliberativo, alle prescrizioni impartite dalla Regione.
Peraltro, questa soluzione interpretativa si impone in un’ottica di conservazione degli effetti degli atti amministrativi, da privilegiare anche in ragione della natura prettamente formalistica della censura dedotta.
Sotto un diverso profilo, le esponenti sostengono che il Comune, con la deliberazione in esame, avrebbe espresso un’inammissibile “accettazione condizionata” delle prescrizioni imposte dalla Regione.
La censura fa riferimento al punto 6) del dispositivo ove, in relazione a talune prescrizioni ritenute non condivisibili, sono fatte “salve e impregiudicate le iniziative meglio viste a tutela dei diritti e prerogative del Comune, informando il Consiglio Comunale”.
E’ evidente, peraltro, come tale formula di stile non sia idonea a condizionare la portata del provvedimento con il quale si è espressamente deliberato di accettare (cfr. punto 1) del dispositivo), senza l’apposizione di condizioni in senso tecnico, le prescrizioni della Regione Liguria.
5) Per tali ragioni, il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
6) Avendo riguardo alla peculiarità della controversia e alla complessità delle questioni dedotte, le spese del grado di giudizio vanno integralmente compensate fra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 6 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Daniele, Presidente
Paolo Peruggia, Consigliere
Richard Goso, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
Richard Goso
IL PRESIDENTE
Giuseppe Daniele
IL SEGRETARIO