PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Potere di sospensione del procedimento – Effetti immotivati o sine die – Divieto – Cause di interruzione o sospensione del termine – Tipicità – Artt. 7, c. 2 e 21 quater l. n. 241/1990.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Liguria
Città: Genova
Data di pubblicazione: 8 Febbraio 2017
Numero: 91
Data di udienza: 1 Febbraio 2017
Presidente: Daniele
Estensore: Ponte
Premassima
PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Potere di sospensione del procedimento – Effetti immotivati o sine die – Divieto – Cause di interruzione o sospensione del termine – Tipicità – Artt. 7, c. 2 e 21 quater l. n. 241/1990.
Massima
TAR LIGURIA, Sez. 1^ – 8 febbraio 2017, n. 91
PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO – Potere di sospensione del procedimento – Effetti immotivati o sine die – Divieto – Cause di interruzione o sospensione del termine – Tipicità – Artt. 7, c. 2 e 21 quater l. n. 241/1990.
Il potere di sospensione del procedimento che deve riconoscersi in capo all’Amministrazione, non consente la determinazione di effetti sospensivi immotivati o sine die. Dal tenore degli artt. 7, c. 2 e 21 quater della l. n. 241/1990, infatti, si rileva che, pur circondata dai necessari presupposti delle “gravi ragioni” necessarie per la sua emanazione e del “tempo strettamente necessario” entro il quale può essere disposta, la sospensione di precedenti provvedimenti riveste un carattere pur sempre eccezionale atteso che un potere generalizzato di sospensione dell’efficacia degli atti amministrativi compete – in presenza di diversi presupposti – unicamente al giudice amministrativo in sede di tutela cautelare. In definitiva, le cause di interruzione o sospensione del termine assegnato all’Amministrazione per provvedere sull’istanza del privato finalizzate all’adozione di un determinato provvedimento, sono tipiche e di stretta interpretazione e non lasciano spazio a sospensioni “sine die” motivate da qualsivoglia esigenza estranea al paradigma normativo che regola l’attività amministrativa.
Pres. Daniele, Est. Ponte – P. s.p.a. (avv.ti Pericu e Ceffalo) c. Comune di Lavagna (avv. Ghibellini)
Allegato
Titolo Completo
TAR LIGURIA, Sez. 1^ - 8 febbraio 2017, n. 91SENTENZA
TAR LIGURIA, Sez. 1^ – 8 febbraio 2017, n. 91
Pubblicato il 08/02/2017
N. 00091/2017 REG.PROV.COLL.
N. 00470/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 470 del 2016, proposto da:
Porto di Lavagna Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Pericu, Luigi Ceffalo, con domicilio eletto presso lo studio Andrea Pericu in Genova, Cs. A.Saffi 7/12;
contro
Comune di Lavagna, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Alessandro Ghibellini, con domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via R. Ceccardi 1/15;
nei confronti di
Città Metropolitana di Genova non costituito in giudizio;
per l’annullamento
del provvedimento n. 9594/2016 avente per oggetto conferenza dei servizi preliminare porto di lavagna 08/11/2013 (impossibilità alla prosecuzione del procedimento) nonché accertamento e dichiarazione all’obbligo di provvedere e la conseguente condanna ai sensi degli artt. 31 e 117 cpa.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Lavagna;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1 febbraio 2017 il dott. Davide Ponte e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in esame la società odierna ricorrente, in qualità di concessionaria dell’omonimo approdo turistico, impugnava la nota di cui in epigrafe recante la comunicazione dell’impossibilità di proseguire l’iter di conferenza di servizi preliminare concernente l’istanza di proroga della concessione, formulata dall’esponente stessa ex art. 10 dPR 509\1997 in data 22\4\2015, chiedendo altresì l’accertamento dell’obbligo di concludere il procedimento.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte ricorrente formulava le seguenti censure:
– violazione dell’art. 2 comma 7 l. 241\1990 e dei principi di economicità e buona andamento, eccesso di potere per interruzione o sospensione del procedimento e sviamento dalla causa tipica;
– eccesso di potere sotto diversi profili, per illogicità, arbitrarietà, erroneità dei presupposti, violazione del principio di proporzionalità e manifesta ingiustizia, difetto di istruttoria e di motivazione;
– violazione degli artt. 2 l. 241 cit. e 10 comma 3 dPR cit., 63 direttiva concessioni e diversi profili di eccesso di potere.
L’amministrazione comunale intimata si costituiva in giudizio chiedendo la sospensione del giudizio ovvero la declaratoria di inammissibilità ed il rigetto del gravame.
Con ordinanza n. 228\2016 veniva fissata l’udienza di discussione ai sensi dell’art. 32 cod proc amm.
Alla pubblica udienza dell’1\2\2017 la causa passava in decisione.
DIRITTO
1. In linea di fatto, dall’analisi della documentazione in atti emerge come la società ricorrente, nella qualità di titolare della concessione del porto turistico omonimo in scadenza nel 2024, abbia formulato una documentata istanza di proroga (pari ad ulteriori 25 o 27 anni) ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 10 dPR 509 cit., in specie a cagione della realizzazione (in parte già compiuta ed in parte da realizzare) di una serie di interventi di adeguamento delle strutture portuali e del mantenimento della relativa funzionalità.
Dopo l’avvio del relativo procedimento da parte della competente amministrazione comunale, con la nota impugnata in principalità la stessa p.a. comunicava che l’iter di conferenza preliminare di servizi “non può essere proseguito in difetto di definitive determinazioni in ordine” al parallelo avvio del progetto di nuovo impianto di depurazione che potrebbe comportare significative modifiche anche per le opere portuali.
2.1 In linea di diritto, preliminarmente la difesa di parte resistente ha formulato istanza di sospensione del giudizio, in relazione alla pendenza di un diverso processo (rg n. 1110\2015) avviato dal Comune di Chiavari contro gli atti di localizzazione di un nuovo impianto di depurazione comprensoriale.
L’istanza appare prima facie infondata. Infatti, costituisce orientamento condiviso dal Collegio quello per cui la sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c., applicabile nel processo amministrativo in virtù dello specifico richiamo di cui all’art. 79, co. 1, cod proc amm, può esser applicata, anche su istanza delle parti, ma solo quando il giudice adito “…o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa…”. Deve, dunque, trattarsi di un’effettiva e necessaria pregiudizialità, che va intesa in senso non meramente logico, ma tecnico giuridico; essa si realizza, quindi, quando nel giudizio, che abbia per parti le medesime della causa pregiudicata, debba esser emanata una pronuncia di portata vincolante, o che sia destinata a spiegare efficacia di giudicato, nella causa pregiudicata; solo in tal caso si può dire che la risoluzione del processo pregiudiziale è idonea a definire, in tutto o in parte, la res controversa nel processo del quale si chiede la sospensione (cfr. ad es. Cass civ 6 novembre 2015 n. 22784 e 2 marzo 2016 n. 4183, Tar Piemonte 1543\2016).
Va parimenti condiviso l’orientamento della giurisprudenza civile (cfr. ad es. Cass.civ 15 marzo 2006 n. 5767 e 25 novembre 2010 n. 23906, nonché CdS 640\2016) che interpreta non estensivamente la possibile sospensione del giudizio ope iudicis al di fuori delle fattispecie previste, perché essa comporta l’arresto del processo dipendente per un tempo indeterminato, così dilatando i tempi della decisione finale del giudizio e le aspettative ad una sua rapida definizione che le parti, le quali si oppongano a siffatta sospensione, legittimamente possono vantare.
Nel caso di specie, è evidente l’assenza dei necessari presupposti sia soggettivi, trattandosi di giudizio con parti diverse, sia oggettivi, atteso che nessun impatto diretto sulla causa petendi del presente processo (concernente l’obbligo di provvedere del Comun adito con una specifica ed autonoma istanza) potrebbe avere l’eventuale esito di un giudizio su di un progetto di impianto di depurazione collocato in area diversa da quella in questione.
Né è ipotizzabile nel caso in esame un’eventuale sospensione facoltativa, mancando l’istanza di tutte le parti in causa, qui non avveratasi, necessaria ex art. 296 c.p.c. anche quale espressione del principio della ragionevole durata del processo (cfr. ad es. CdS 3573\2014 e Tar Piemonte 1543 cit.).
2.2 Parimenti destituita di fondamento è l’eccezione di inammissibilità per carenza di interesse. Infatti, se per un verso gli altri atti invocati – che secondo la difesa comunale avrebbero dovuto costituire oggetto di impugnativa – sono mere delibere di indirizzo di un’amministrazione diversa da quella competente in via principale in relazione alla localizzazione e realizzazione dell’impianto di depurazione in discussione, la cui localizzazione non a caso allo stato è prevista in sito diverso e distinto, per un altro verso la nota impugnata in principalità ha un immediato effetto interruttivo dell’iter avviato dal provato odierno ricorrente, da cui ne consegue la pacifica lesività.
In proposito, va ribadito che, in generale, è da considerarsi immediatamente lesivo e, quindi, subito impugnabile l’atto soprassessorio, allorché, rinviando il soddisfacimento dell’interesse pretensivo ad un accadimento futuro, sfornito di data certa, e determinando un’interruzione del procedimento, assuma un contenuto sostanzialmente reiettivo dell’istanza del privato (cfr. ex multis Tar Umbria n. 511\2014 e CdS 4071\2013). Ed è proprio ciò che è avvenuto nel caso in esame laddove, a fronte di una specifica istanza di proroga di una concessione demaniale in essere, la p.a. ha interrotto l’iter rinviandolo sine die in relazione ad un accadimento del tutto incerto, sia nel quando che nell’an.
3. Nel merito, il ricorso appare fondato sotto i profili assorbenti dedotti in termini di violazione delle norme di cui alla legge generale sul procedimento, sussistendo l’obbligo dell’amministrazione di concludere l’iter avviato con la specifica istanza di proroga.
Se in linea generale i principi invocati obbligano la p.a. a concludere il procedimento nei termini ivi dettati, in linea particolare gli stessi trovano applicazione anche in relazione allo specifico iter avviato dalla titolare del relativo interesse, in quanto concessionaria in essere, ai sensi della norma invocata, a mente della quale: “gli atti di concessione in vigore alla data del 1° gennaio 1990 possono essere prorogati, ferma restando ogni altra condizione della concessione, su istanza del concessionario, qualora risulti che questi non abbia potuto realizzare, per fatti a lui non addebitabili, opere o parti sostanziali delle opere previste ovvero qualora si rendano necessari nuovi interventi finalizzati all’adeguamento delle strutture portuali o al mantenimento della loro funzionalità. Il periodo di proroga è determinato dall’autorità concedente tenuto conto dell’entità dell’investimento originario e di quello aggiunto”.
La disposizione normativa riportata si limita a riconoscere al titolare di concessione marittima la possibilità (definendone altresì i requisiti) di chiedere alla pubblica amministrazione concedente la proroga della concessione: essenzialmente, l’art. 10, comma 3, DPR 509/1996, introduce un procedimento amministrativo ad istanza di parte volto ad ottenere un provvedimento favorevole al privato richiedente. All’evidenza, nel procedimento speciale in parola trova applicazione la legge 241 del 1990, quale legge generale in materia, tesa a dettare regole fondamentali (anche) a tutela dei soggetti privati chiamati a partecipare, come appunto in tema di termine procedimentale e di obbligo di conclusione del procedimento.
Di conseguenza, dinanzi ad una istanza formulata ai sensi della norma predetta ed accompagnata dalla relativa documentazione, costituisce obbligo della p.a. competente di procedere all’istruttoria ed alla relativa motivata decisione conclusiva.
Resta all’evidenza il connotato di eccezionalità che caratterizza la richiesta proroga (come desumibile in via di principio anche dalla recenti affermazioni, ribadite dalla Cge con sentenza 14 luglio 2016) nonché la relativa specialità e peculiarità dei presupposti necessari al fine di ottenerla; da ciò consegue la piena discrezionalità della p.a. di valutare l’istanza sotto ogni profilo, quindi anche negativamente.
Ciò che, a monte ed in termini procedimentali, non è consentito dall’ordinamento è di bloccare uno specifico e particolare procedimento, avviato da un’impresa chiamata all’organizzazione anche prospettica delle proprie attività, senza la fissazione di un termine certo in attesa di determinazione concernenti un oggetto autonomo e distinto, la cui incidenza sulle strutture portuali allo stato è fra l’altro solo ipotizzata.
Circa l’esistenza di un potere di sospensione del procedimento da parte dell’Amministrazione, va ricordato l’art. 7, comma 2, della l. n. 241 cit. secondo cui “nelle ipotesi di cui al comma 1 resta salva la facoltà dell’amministrazione di adottare, anche prima della effettuazione delle comunicazioni di cui al medesimo comma 1, provvedimenti cautelari” ed il successivo art. 21 quater laddove prevede che “l’efficacia ovvero l’esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell’atto che la dispone e può essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze”.
Se in astratto, quindi, deve riconoscersi la titolarità, in capo all’Amministrazione, di un potere di sospensione del procedimento, deve, tuttavia, rilevarsi che detto potere non consente la determinazione di effetti sospensivi immotivati o sine die. Dal tenore delle norme predette si rileva che, pur circondato dai necessari presupposti delle “gravi ragioni” necessarie per la sua emanazione e del “tempo strettamente necessario” entro il quale può essere disposta , la sospensione di precedenti provvedimenti riveste un carattere pur sempre eccezionale atteso che un potere generalizzato di sospensione dell’efficacia degli atti amministrativi compete – ovviamente in presenza di altri presupposti – unicamente al giudice amministrativo in sede di tutela cautelare.
In definitiva, va ribadito con la preminente giurisprudenza che nel sistema di principio di cui alla legge n. 241 le cause di interruzione o sospensione del termine, assegnato all’Amministrazione per provvedere sull’istanza del privato finalizzate all’adozione di un determinato provvedimento, sono tipiche e di stretta interpretazione e non lasciano spazio a sospensioni “sine die” motivate da qualsivoglia esigenza estranea al paradigma normativo che regola l’attività amministrativa (cfr. ad es. CdS 6105\2013).
Nel caso de quo, oltre alla palese carenza di un termine finale della sospensione (e ciò è di per sé dirimente), manca anche l’indicazione della specifica esigenza procedimentale, avendo la p.a. invocato un elemento estraneo ed eventuale, allo stato del tutto privo di concretezza e rilevanza rispetto al procedimento in itinere (atteso che la collocazione del depuratore, oltre ad essere allo stato priva di definitività, è prevista per ora in altro sito).
Né è ipotizzabile l’ancor più peculiare ipotesi di interruzione del procedimento. Tale figura, che non trova esplicita definizione nella legge generale sul procedimento, è utilizzata nella stessa nell’ambito della fase predicisoria, come reso evidente dall’art. 10 bis che, nell’introdurre, nei procedimenti ad istanza di parte, il “preavviso di rigetto”, ha previsto che siffatta comunicazione del responsabile del procedimento «interrompe i termini per concludere il procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo». L’interruzione, invero, era già (ma è tuttora) menzionata, senza alcuna precisazione sugli effetti, dall’art. 16 nella versione successiva alle modifiche del 1997 in ordine al termine per il rilascio del parere: infine, l’istituto dell’interruzione sembra aver goduto di grande considerazione nelle riforme inaugurate con la legge c.d. “Madia”, tanto da trovare applicazione sia nel nuovo articolo 17 bis sia nel novellato art. 19, comma 3.
Indipendentemente dai concreti impieghi procedimentali, per principio generale la nozione di interruzione si distingue dalla sospensione poiché, mentre la seconda lascia in vita il termine che rinizia a decorrere dal momento in cui era stato sospeso, la prima comporta che il termine decorra “ex novo”, ossia dall’inizio e per l’intero.
Più in generale, come detto, la differenza non si esaurisce al solo decorso del termine, riguardando anche la collocazione delle due forme di intervallo in diverse fasi procedimentali: la sospensione, lo si desume dallo stesso art. 2 comma 7 cit., attiene alla fase istruttoria e sopperisce alla mancanza di tutti gli elementi indispensabili per pervenire ad una decisione. All’opposto, l’interruzione sembra più correttamente collocabile in un momento successivo ed essenzialmente nell’ambito della stessa fase decisoria: ciò è chiaro nell’art. 10 bis, laddove l’interruzione emerge nel momento in cui l’amministrazione procedente ha già assunto una “bozza” di decisone negativa, ma anche nell’art. 16, stante il fatto che l’attività consultiva estricantesi nel parere – a differenza della valutazione tecnica – si pone nella fase decisoria.
Nel caso de quo, atteso che l’istanza non risulta essere stata oggetto di alcun approfondimenti istruttorio, va escluso che l’iter abbia raggiunto tale fase pre decisoria, cosicchè anche in tali termini va esclusa in radice l’applicabilità della invocata interruzione.
In definitiva, va concluso nei termini già evidenziati dalla prevalente giurisprudenza: nel sistema dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990 (applicabile anche ai procedimenti di specie quale principio fondamentale nella disciplina dell’attività amministrativa), in cui la fissazione di un termine procedimentale di durata massima del procedimento amministrativo, ancorché non perentorio, ha evidenti finalità acceleratorie, le cause di interruzione o sospensione del termine per provvedere sono tipiche e di stretta interpretazione, e non lasciano spazio a sospensioni sine die motivate da qualsivoglia esigenza estranea al paradigma normativo che regola l’attività amministrativa. Nel caso de quo, oltre a mancare un termine finale della sospensione, è evidente il carattere estraneo del presupposto invocato.
4. Alla luce delle considerazioni che precedono dall’accoglimento del gravame deriva l’annullamento dell’atto impugnato, cui consegue l’obbligo del Comune di concludere il procedimento avviato con l’istanza di proroga.
Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla l’atto impugnato.
Condanna parte resistente al pagamento delle spese di lite in favore di parte ricorrente, liquidate in complessivi euro 2.000,00 (duemila\00), oltre accessori dovuti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 1 febbraio 2017 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Daniele, Presidente
Davide Ponte, Consigliere, Estensore
Richard Goso, Consigliere
L’ESTENSORE
Davide Ponte
IL PRESIDENTE
Giuseppe Daniele
IL SEGRETARIO