* INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Impianti termici civili – Camini – Obbligo di sbocco sopra il tetto dell’edificio – Art. 5 d.P.R. n. 412/93 – Deroga – Condizioni.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Lombardia
Città: Brescia
Data di pubblicazione: 10 Dicembre 2012
Numero: 1934
Data di udienza: 7 Novembre 2012
Presidente: Calderoni
Estensore: Bertagnolli
Premassima
* INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Impianti termici civili – Camini – Obbligo di sbocco sopra il tetto dell’edificio – Art. 5 d.P.R. n. 412/93 – Deroga – Condizioni.
Massima
TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. 2^ – 10 dicembre 2012, n. 1934
INQUINAMENTO ATMOSFERICO – Impianti termici civili – Camini – Obbligo di sbocco sopra il tetto dell’edificio – Art. 5 d.P.R. n. 412/93 – Deroga – Condizioni.
La disciplina di cui all’art. 5 del D.P.R. n. 412/93 (cfr. T.A.R. Brescia, 26-11-2008, n. 1694), nel prevedere l’obbligo di collegare gli impianti termici ad appositi camini, canne fumarie o sistemi di evacuazione dei prodotti di combustione, con sbocco sopra il tetto dell’edificio alla quota prescritta dalla regolamentazione tecnica vigente, consente una deroga nel solo caso di sostituzione di precedenti impianti autonomi con nuovi impianti, purché si adottino generatori di calore che (in sostanza, se l’impianto da sostituire ha già uno scarico esterno, che non raggiunge il tetto dell’edificio, è possibile conservare tale configurazione senza realizzare lo scarico a tetto, purchè si adotti un generatore di calore che, per i valori di emissioni nei prodotti della combustione, appartengano alla classe meno inquinante prevista dalla norma tecnica UNI EN 297).
Pres. Calderoni, Est. Bertagnolli – A.M. e altro (avv. Marengoni) c. Comune di Ossimo (n.c.)
Allegato
Titolo Completo
TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. 2^ – 10 dicembre 2012, n. 1934SENTENZA
TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. 2^ – 10 dicembre 2012, n. 1934
N. 01934/2012 REG.PROV.COLL.
N. 01112/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1112 del 2011, proposto da:
Aldo Marengoni, Virginia Sina, rappresentati e difesi dall’avv. Andrea Marengoni, con domicilio eletto presso Andrea Marengoni in Brescia, via Foppa, 3;
contro
Comune di Ossimo, non costituito in giudizio;
nei confronti di
Michele Bianchi, Francesca Saviori, Asl 315 – A.S.L. di Vallecamonica-Sebino, non costituiti in giudizio;
per l’annullamento
– dell’ordinanza del Sindaco prot. n. 1191, n. 5/2011, del 13.5.2011, con la quale sono stati ordinati gli interventi necessari, volti al corretto adeguamento alla normativa vigente dell’impianto termico ed atti connessi.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 novembre 2012 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in esame i ricorrenti contestano la legittimità dell’ordinanza contingibile ed urgente con cui il Sindaco del Comune di Ossimo ha ordinato agli stessi, proprietari di un appartamento all’interno dell’edificio sito all’angolo tra via Belvedere e via Fontanelle, “l’effettuazione degli interventi necessari volti al corretto adeguamento alla normativa vigente dell’impianto termico posto all’interno dell’unità immobiliare sita in via Fontanelle n. 2 intersezione con via Belvedere n. 7, collegandolo ad apposite canne fumarie o sistemi di evacuazione sfocianti oltre il tetto”, nel termine di 30 giorni dalla notificazione dell’ordinanza medesima. Ciò nonostante l’impianto termico in questione sia stato realizzato nel 1994 e ritenuto conforme alle regole dell’arte (documento n. 3 di parte ricorrente).
Secondo la ricostruzione dei fatti operata nel ricorso, l’intervento del Comune è stato determinato dall’esposto del sig. Michele Bianchi e dal conseguente sopralluogo effettuato dall’ASL Valle Camonica Sebino. Esso sarebbe frutto delle seguenti illegittimità, così come esposte nel ricorso medesimo:
1. violazione dell’art. 50 del d. lgs. 267/2000, nonché dell’art. 3 della legge 6 dicembre 1971, n. 1083, per carenza dei presupposti legittimanti il ricorso al potere contingibile ed urgente. Ciò considerato che l’impianto esiste dal 1994 ed è stato realizzato rispettando la norma allora vigente, la quale imponeva, quando lo scarico è sotto un balcone, un percorso fumi di due metri, “partendo dal punto di sbocco dello scarico entro il perimetro del balcone e considerando la lunghezza di quest’ultimo ma anche l’altezza della balaustra”. Nel caso di specie la lunghezza dell’atrio nel quale scarica la caldaia sarebbe di oltre due metri ed il balcone calpestabile si troverebbe di lato e più avanti. Sopra lo scarico si troverebbe una parete (e non un balcone) e la finestra sovrastante sarebbe posta a distanza di un metro e venti dal tetto dell’atrio (misura che sarebbe doppia rispetti ai sessanta centimetri dal centro dello scarico imposti dalla norma UNI dell’epoca. Ne deriverebbe che l’impianto sia stato realizzato nel rispetto delle regole specifiche della buona tecnica, imposto dall’art. 1 della legge 1083 del 1971 e tale fatto escluderebbe di per sé l’esistenza di una situazione di pericolo per la salute;
2. violazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 241/90 ed eccesso di potere per difetto di motivazione e travisamento dei fatti: nel provvedimento non risulterebbe esservi alcun riferimento né a problemi igienico-sanitari, né ad un’istruttoria condotta al riguardo e tantomeno alle norme che si riterrebbero violate o all’urgenza riscontrata;
3. nullità dell’art. 3.42.3 del regolamento locale di igiene e dell’art. 5 comma 9 del DPR 412 del 1993 per difetto assoluto di attribuzione ex art. 21 septies della legge n. 241/90. L’art. 3.42.3 del regolamento locale di igiene prevede che “tutti i focolari siano essi alimentati con combustibile solido, liquido o gassoso, devono essere collegati a canne fumarie sfocianti oltre il tetto con apposito fumaiolo”. Secondo parte ricorrente, il R.D. 1265/1934 consentirebbe l’utilizzo del regolamento di igiene e sanità allo scopo di adottare disposizioni “dirette a evitare e rimuovere ogni causa di insalubrità”, senza fare alcuno specifico riferimento alla possibilità di regolamentare, con tale strumento locale, vincoli e limiti alla realizzazione degli impianti termici. Ne deriverebbe che lo specifico aspetto in questione sarebbe stato normato in via regolamentare senza che il R.D. del 1934 o una legge speciale attribuisse un tale potere al Comune. Potere che, peraltro, sarebbe privo di ratio, considerato che non vi sarebbe alcuna ragione per regolamentare in modo diverso, a livello locale, una situazione di per sé comune a tutti i cittadini, quale quella in questione. L’ulteriore norma secondaria di riferimento, nel caso di specie, sarebbe l’art. 5, comma 9 del DPR n. 412 del 1993, il quale prevedeva (nel testo vigente al momento dell’installazione dell’impianto) che “gli edifici multipiano costituiti da più unità immobiliari devono essere dotati di appositi condotti di evacuazione dei prodotti di combustione, con sbocco sopra il tetto dell’edificio alla quota prescritta dalla norme tecniche UNI 7129, nei seguenti casi: – nuove installazioni di impianti terminaci, anche se al servizio delle singole unità immobiliari, ristrutturazioni di impianti termici centralizzati, – ristrutturazioni della totalità degli impianti terminaci individuali appartenenti ad uno stesso edificio, ecc”. Anche tale disposizione sarebbe priva di “copertura” legislativa, in quanto la legge ordinaria di riferimento, la legge 10 del 1991, demandava al potere regolamentare solo profili connessi al “contenimento dei consumi di energia” e deve, dunque, secondo parte ricorrente, ritenersi nulla;
4. violazione e falsa ed errata applicazione del DPR 551/1999, nonché violazione dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale. Tale disposizione sarebbe inapplicabile, in quanto sopravvenuta rispetto all’installazione dell’impianto;
5. violazione degli artt. 42 e 3 Cost. in caso di non corretta interpretazione dell’art. 5 del DPR 412/93, laddove si trascurasse la possibilità prevista da tale norma di introdurre eccezioni alla regola del sistema di evacuazione dei prodotti mediante sistemi che superino il tetto, mediante apposita previsione nel regolamento edilizio comunale e si riconoscesse prevalenza alla norma del regolamento d’igiene (che dovrebbe, invece, essere disapplicata), che senza alcun titolo prevede una normativa più restrittiva;
6. in caso di prevalenza dell’art. 5, comma 9 del DPR 412/93, l’ordinanza sarebbe viziata da violazione dell’art. 344 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1254 e possibile incostituzionalità dello stesso art. 344, il quale non prevede, tra i possibili contenuti del regolamento d’igiene, la materia dei sistemi di evacuazione dei prodotti della combustione. Il giudice amministrativo dovrebbe, dunque, disapplicare il regolamento d’igiene non conforme alla norma;
7. in caso di prevalenza dell’art. 5, comma 9 del DPR 412/93, l’ordinanza sarebbe viziata da violazione dell’art. 4, comma 4 della legge n. 10/1991 per mancata disapplicazione del DPR 412/1993 e comunque il regolamento comunale sarebbe affetto da violazione della riserva di legge.
A sostegno della legittimità dell’impianto realizzato dai ricorrenti, questi sostengono l’impossibilità di utilizzo della canna fumaria principale del condominio, in quanto utilizzata per lo scarico di fumi provenienti da caldaia utilizzante altro combustibile;
8. violazione dell’art. 5 del DPR 412/1993, nonché dell’art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale, dato il rapporto da genere a specie tra i due diversi regolamenti (comunale di igiene e statale 412/1993);
9. violazione dell’art. 3 comma 2 della legge 6 dicembre 1971, n. 1083 e dell’art. 2 comma 1 del D.M. 13 agosto 2009 per violazione del principio di irretroattività delle norme;
10. violazione dell’art. 5 comma 9, come modificato dal DPR 551/1999, in quanto la nuova disposizione non consentirebbe di mantenere, come invece previsto dal DPR 412/93 uno scarico a parete, in caso di mera sostituzione di un generatore di calore individuale.
A seguito della notificazione del ricorso, il Comune ha sospeso l’efficacia del provvedimento in questione e, conseguentemente, parte ricorrente ha rinunciato all’istanza cautelare.
Una specifica domanda di prelievo del fascicolo ha, quindi, condotto alla fissazione dell’udienza pubblica del 7 novembre 2012, nel corso della quale la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il ricorso, non certo ispirato al principio di sinteticità degli atti processuali, espressamente affermato dal nuovo codice del processo amministrativo, introduce una pluralità di doglianze sostanzialmente riconducibili a due principali questioni di diritto.
La prima, senza peraltro impugnare espressamente il regolamento di igiene comunale, attiene alla pretesa illegittimità dell’ordinanza censurata per effetto della mancata disapplicazione, nella sua adozione, del suddetto regolamento comunale e del regolamento attuativo DPR 412/93, in quanto contenenti una disciplina in contrasto con la fonte del diritto primaria applicabile alla fattispecie e rappresentata dalla legge n. 10 del 1991.
La seconda ha riguardo alla dedotta non corretta qualificazione della fattispecie concreta rientrante, secondo parte ricorrente, tra le eccezioni al principio dell’obbligo di evacuazione dei fumi mediante sistema collocato oltre il tetto, in quanto consistente nella sostituzione di un impianto singolo già esistente.
Debbono essere, dunque, per ragioni di ordine logico, preliminarmente esaminati i motivi aventi ad oggetto la legittimità della norma applicata nel caso di specie, prendendo le mosse da quella richiamata ai fini di legittimare il potere urgente di intervento del Sindaco.
A tale proposito il Collegio ritiene che non sia determinante l’improprio richiamo all’art. 50 del d. lgs. 267/00 (di cui parte ricorrente si duole nella prima censura). Nel caso di specie, infatti, oggetto di contestazione non è un immediato divieto di utilizzo dell’impianto – utilizzo che potrebbe, per l’appunto essere inibito mediante provvedimento contingibile ed urgente – bensì l’ordine di provvedere, entro il termine di trenta giorni all’adeguamento dell’impianto ritenuto non conforme alla legge. Il potere in concreto esercitato rientra, dunque, a pieno titolo tra quelli di vigilanza posti in capo al Comune in ordine al rispetto della normativa che disciplina non solo l’esercizio dell’attività edilizia, ma nello specifico, l’esercizio di impianti di riscaldamento individuali, specificamente soggetti a puntuali vincoli di legge posti a garanzia della salute dei cittadini. Più precisamente, con l’atto impugnato il Sindaco ha puntualmente, come previsto dalla vigente disciplina in tutti i casi in cui si riscontri una non conformità alla normativa degli impianti di riscaldamento, fissato un termine per provvedere al necessario adeguamento dell’impianto. Si può, quindi, trattandosi di esercizio dello specifico potere di vigilanza sugli impianti termici, prescindere dall’entrare nel merito della sussistenza dei presupposti di legge per l’esercizio del generico potere d’urgenza a tutela della salute e igiene pubblica, anche perché parte ricorrente non ha evidenziato quale propria specifica aspettativa sarebbe risultata lesa dal ricorso a tale potere d’urgenza.
Per quanto attiene, invece, alla richiamata legge 1083 del 1971, si ritiene sufficiente sottolineare come detta norma, che impone, nella realizzazione degli impianti alimentati con gas combustibile, il rispetto delle norme specifiche UNI-CIG, debba essere necessariamente coordinata con la norma che regolamenta l’evacuazione dei residui della combustione, rappresentata dalla legge n. 10/91.
Nulla quaestio circa la rispondenza, nella fattispecie, dell’impianto in questione alla normativa tecnica UNI, ma ciò non può esimere dalla verifica dello stesso alla luce delle imposizioni relative agli scarichi che, nel caso di specie, ha avuto esito negativo, con conseguente adozione del provvedimento censurato.
Così respinta la prima censura e precisato che nemmeno la seconda merita positivo apprezzamento, dal momento che il provvedimento impugnato risulta puntualmente motivato dal richiamo alla normativa che si ritiene violata, si può entrare nel merito della richiesta verifica di legittimità dell’ordinanza alla luce della normativa in concreto applicabile al caso di specie.
Per quanto riguarda l’efficacia del regolamento locale d’igiene nel rapporto tra le fonti del diritto disciplinanti la specifica materia in questione, il Collegio ritiene non sussistano ragioni di discostarsi dal precedente di questo Tribunale, rappresentato dalla sentenza T.A.R. Brescia, 26 novembre 2008, n. 1694, nella quale si legge: “La possibilità per il RLI di integrare le ipotesi di deroga previste da norme di legge e di regolamento non deriva direttamente dall’art. 5 comma 9 del DPR 412/1993, il quale si limita a consentire ai comuni di non applicare le deroghe ivi previste, ma piuttosto dalla funzione affidata al RLI dalla legge (a livello regionale dagli art. 9 e 53 della LR 26 ottobre 1981 n. 64). Il RLI è infatti individuato come fonte riservata (e rafforzata, in conseguenza della particolare procedura di approvazione) per le questioni igienicosanitarie in ambito locale. Si tratta quindi della sede naturale in cui sono definite le soluzioni più adeguate alle fattispecie di dettaglio. Questo implica il potere di introdurre delle deroghe puntuali alle norme di rango superiore, purché sia rispettato il principio generale dell’invarianza dei risultati e non siano disapplicate le norme tecniche indicate nelle fonti superiori ovvero oggetto del consenso della comunità degli esperti”. Per stessa ammissione di parte ricorrente, nel caso di specie la previsione del regolamento d’igiene risulta essere perfettamente coincidente con quella del regolamento di esecuzione statale di cui al DPR 412/93, ne discende, dunque, la non configurabilità della pretesa nullità del regolamento stesso per la pretesa carenza di potere regolamentare in capo al Comune e, quindi, la piena legittimità dello stesso, con conseguente rigetto della censura n. 4.
Peraltro non risulta che il provvedimento sia dovuto ad una retroattiva applicazione del DPR 551/1999, in quanto è la stessa parte ricorrente a dare conto di come sin dal 1991 vigesse la disciplina in applicazione della quale è stato imposto l’adeguamento dell’impianto realizzato nel 1994.
Per quanto attiene alla pretesa (censura n. 5) illegittimità del regolamento d’igiene perché in contrasto con la possibilità, riconosciuta dalla legge al regolamento edilizio, di introdurre specifiche ipotesi di deroga, ciò che appare determinante è rilevare come, anche laddove potesse ammettersi un’eccezione al principio generale rappresentato dalla regola secondo cui l’evacuazione dei prodotti della combustione deve avvenire mediante sistemi che superino il tetto, introducibile mediante apposita previsione nel regolamento edilizio comunale, nel caso di specie non è stato fornito alcun principio di prova atto a dimostrare che il regolamento edilizio del Comune di Ossimo preveda una regola diversa da quella generale rinvenibile nel DPR n. 412/1993 e riportata nel regolamento comunale di igiene ovvero che tale mancata previsione sia da imputarsi alla presenza del regolamento di igiene e non anche ad una precisa volontà dell’amministrazione.
È peraltro evidente che il provvedimento impugnato non potrebbe essere ritenuto viziato (doglianza n. 7) per mancata disapplicazione del, preteso illegittimo, DPR 412/1993, in quanto è sottratta alla facoltà dell’autorità amministrativa la disapplicazione di norme regolamentari. Né può ritenersi che il regolamento applicato sia privo del necessario presupposto di legge attributivo del potere di normazione secondaria, come già precedentemente chiarito nel richiamare la sentenza di questo Tribunale n. 1694/2008.
Non si ravvisa, infine, alcuna violazione di disposizioni normative di rango costituzionale, dal momento che il potere regolamentare risulta, per quanto già chiarito, conforme alla normativa primaria e quanto dedotto con il ricorso non appare idoneo a far ritenere sussistere una non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale che deriverebbe dall’imposizione del rispetto delle regole previste per l’evacuazione degli scarichi degli impianti termici. Non appare ravvisabile, infatti, alcun profilo di violazione dell’art. 42 della Costituzione, non rinvenendosi, a parere del Collegio, alcun illogico, irragionevole o eccessivamente discrezionale potere dell’amministrazione di porre limiti alla proprietà privata, in particolare tenuto conto che, nel caso di specie, i limiti imposti debbono essere raffrontati con l’esigenza di tutelare la salute dei cittadini che potrebbero subire le emissioni degli impianti termici. Né appare convincente la tesi della possibilità di configurarsi di situazioni di disparità di trattamento, atteso che la normativa non impedisce la possibilità di realizzare impianti di trattamento, ma detta condizioni che appaiono giustificate dalla comparazione tra situazione preesistente, modificabilità della stessa e difficoltà connesse, nonché esigenze di salvaguardia della salute. La combinazione dei diversi fattori considerati legittima la disciplina di situazioni e la previsione di possibilità differenziate.
Tutto ciò precisato e premesso, da un lato che la lunga tolleranza della situazione esistente sin dal 1994 (in realtà non reale, dal momento che sono gli stessi ricorrenti a dare conto di un complesso contenzioso civilistico in essere sin dalla realizzazione dell’impianto in questione) non può sanare un’eventuale illegittimità della collocazione del sistema di evacuazione degli scarichi e, dall’altro, che si può anche prescindere dalla normativa sopravvenuta, la questione va, dunque, risolta alla luce del regolamento di igiene vigente nel Comune di Ossimo, attesa la sua conformità alla legge.
Ritenuto, dunque, che non sia ravvisabile alcuno dei vizi dedotti con i primi sette motivi di ricorso, trovando il provvedimento, il proprio antecedente logico e giuridico nel regolamento comunale di igiene, a sua volta conforme al regolamento di cui al DPR 412/93, il quale si ritiene rappresenti la legittima attuazione delle disposizioni contenute nella legge n. 10/1991, si può passare ad esaminare le doglianze successive, aventi ad oggetto la mancata corretta qualificazione della fattispecie che avrebbe dovuto, nel caso di specie, rendere applicabile una deroga di legge.
Nello specifico l’art. 5, comma 9 del D.P.R. n. 412/93 stabilisce che gli impianti termici siti negli edifici costituiti da più unità immobiliari devono essere collegati ad appositi camini, canne fumarie o sistemi di evacuazione dei prodotti di combustione, con sbocco sopra il tetto dell’edificio alla quota prescritta dalla regolamentazione tecnica vigente, nei seguenti casi: – nuove installazioni di impianti termici, anche se al servizio delle singole unità immobiliari; – ristrutturazioni di impianti termici centralizzati; – ristrutturazioni della totalità degli impianti termici individuali appartenenti ad uno stesso edificio; – trasformazioni da impianto termico centralizzato a impianti individuali; – impianti termici individuali realizzati dai singoli previo distacco dall’impianto centralizzato.
In deroga a tale previsione di carattere generale, la stessa norma dispone che, fatte salve diverse disposizioni normative, ivi comprese quelle contenute nei regolamenti edilizi locali, la regola dello sbocco dei sistemi di evacuazione dei fumi sopra il tetto dell’edificio possa non venire applicata (purché si adottino generatori di calore che, per i valori di emissioni nei prodotti della combustione, appartengano alla classe meno inquinante prevista dalla norma tecnica UNI EN 297) nell’ipotesi di singole ristrutturazioni di impianti termici individuali già esistenti, siti in stabili plurifamiliari, qualora nella versione iniziale non dispongano già di camini, canne fumarie o sistemi di evacuazione dei prodotti della combustione con sbocco sopra il tetto dell’edificio, funzionali ed idonei o comunque adeguabili alla applicazione di apparecchi con combustione asservita da ventilatore, ovvero di nuove installazioni di impianti termici individuali in edificio assoggettato dalla legislazione nazionale o regionale vigente a categorie di intervento di tipo conservativo, precedentemente mai dotato di alcun tipo di impianto termico, a condizione che non esista camino, canna fumaria o sistema di evacuazione fumi funzionale ed idoneo, o comunque adeguabile allo scopo.
Precisato, dunque, che come già affermato nella sentenza T.A.R. Brescia, 26-11-2008, n. 1694, nessuna deroga è ammissibile nel caso in cui si tratti della sostituzione di un impianto termico condominiale con uno unifamiliare, deve ritenersi che la disciplina vigente, oltre a far salve diverse disposizioni, anche contenute nei regolamenti edilizi locali, consenta, quindi, una deroga all’obbligo di carattere generale esistente nel solo caso di sostituzione di precedenti impianti autonomi con nuovi impianti (in sostanza, se l’impianto da sostituire ha già uno scarico esterno, che non raggiunge il tetto dell’edificio, è possibile conservare tale configurazione senza realizzare lo scarico a tetto, purchè si adotti un generatore di calore che soddisfi determinate caratteristiche).
Nel caso di specie la preesistenza di un impianto autonomo a gasolio, poi sostituito da quello a metano nel 1994, non appare affatto comprovata, essendo essa ancor oggi oggetto di una specifica controversia civile. Pertanto, considerato che la preesistenza prevista dalla legge deve presumersi essere una preesistenza legittima e preso atto che, nel caso di specie, tale condizione risulta essere controversa, il Collegio ritiene che la realizzazione dell’impianto in questione non possa che essere qualificata come nuovo impianto e non anche ristrutturazione dell’esistente.
Nulla deve essere disposto in ordine alle spese, attesa la mancata costituzione in giudizio del Comune.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Giorgio Calderoni, Presidente
Stefano Tenca, Consigliere
Mara Bertagnolli, Primo Referendario, Estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/12/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)