* SICUREZZA SUL LAVORO – Infortuni sul lavoro – Risarcimento del danno – Lavoratore – Prova – Inadempimento – Nesso di causalità tra l’inadempimento e il danno – Datore di lavoro – Esclusione di responsabilità – Prova della non imputabilità del danno – Obbligo di rispettare le norme antinfortunistiche – Personale militare – Applicabilità – Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza – Nomina – Obbligo datoriale – Fondamento – Infortunio – Equo indennizzo da causa di servizio – Risarcimento del danno – Diversità – Cumulo – Possibilità.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Lombardia
Città: Brescia
Data di pubblicazione: 28 Dicembre 2012
Numero: 2020
Data di udienza: 28 Novembre 2012
Presidente: Petruzzelli
Estensore: Gambato Spisani
Premassima
* SICUREZZA SUL LAVORO – Infortuni sul lavoro – Risarcimento del danno – Lavoratore – Prova – Inadempimento – Nesso di causalità tra l’inadempimento e il danno – Datore di lavoro – Esclusione di responsabilità – Prova della non imputabilità del danno – Obbligo di rispettare le norme antinfortunistiche – Personale militare – Applicabilità – Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza – Nomina – Obbligo datoriale – Fondamento – Infortunio – Equo indennizzo da causa di servizio – Risarcimento del danno – Diversità – Cumulo – Possibilità.
Massima
TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. 1^ – 28 dicembre 2012, n. 2020
SICUREZZA SUL LAVORO – Infortuni sul lavoro – Risarcimento del danno – Lavoratore – Prova – Inadempimento – Nesso di causalità tra l’inadempimento e il danno – Datore di lavoro – Esclusione di responsabilità – Prova della non imputabilità del danno.
In tema di infortuni sul lavoro, il lavoratore ha il solo onere di provare il fatto costituente l’inadempimento e il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento e il danno; non deve invece provare la colpa del datore di lavoro, nei cui confronti opera la presunzione posta dall’art. 1218 c.c. (Cass civ. sez. lavoro 19 giugno 2007 n°16003). A fronte della suddetta prova da parte del lavoratore, il datore può andare esente da responsabilità solo se a sua volta provi che il danno è avvenuto per causa a lui non imputabile, ovvero in concreto se dimostri di avere adottato tutte le cautele necessarie, che per inciso possono anche non esaurirsi nel mero rispetto di misure antinfortunistiche tipiche indicate dalla legge (Cass. sez. lav. 14 ottobre 2010 n°21203 e 6 luglio 2002 n°9856 e Cass. sez. lav. 16003/2007)
Pres. Petruzzelli, Est. Gambato Spisani – A.V. (avv.ti Onofri, Fasani, Bracchi) c. Ministero della Difesa (Avv. Stato)
SICUREZZA SUL LAVORO – Obbligo di rispettare le norme antinfortunistiche -Personale militare – Applicabilità.
L’obbligo di rispettare le norme antinfortunistiche sussiste anche nei riguardi del personale militare nell’ambito delle relative strutture (TAR Puglia Bari sez. III n°190/2011, Cass. pen. sez. IV 14 maggio 2002 n°34345)
Pres. Petruzzelli, Est. Gambato Spisani – A.V. (avv.ti Onofri, Fasani, Bracchi) c. Ministero della Difesa (Avv. Stato)
SICUREZZA SUL LAVORO – Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza – Nomina – Obbligo datoriale – Fondamento.
Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, previsto dagli artt. 18 e 19 del d. lgs. 626/1994, deve certamente essere un soggetto designato dai lavoratori stessi; le norme però non consentono al datore di lavoro di attendere passivamente tale designazione, nei termini di cui appresso. La normativa attualmente vigente, quella di cui agli artt. 47 e ss. del d. lgs. 81/2008, incentiva infatti la nomina di tale figura, prevedendo in sintesi estrema che, ove essa non avvenga nell’unità produttiva, le relative funzioni siano esercitate da un rappresentante territoriale, di livello superiore, e che al contempo l’impresa sia tenuta a versare un contributo economico, ad evidente titolo di disincentivo. Tale normativa, assente nell’originario impianto del d. lgs. 626/1994, appare però esplicazione di quanto imposto dal più generale principio di buona fede per cui se una data nomina alla quale si ha interesse è prevista dalla legge come necessaria occorre, ancorché non si sia obbligati in proprio a procedervi, creare le condizioni perché essa avvenga. Siffatto obbligo, proprio del datore di lavoro privato appare poi estensibile anche all’amministrazione militare, poiché anch’essa è tenuta a rispettare il principio di buona amministrazione, equivalente all’obbligo di buona fede.
Pres. Petruzzelli, Est. Gambato Spisani – A.V. (avv.ti Onofri, Fasani, Bracchi) c. Ministero della Difesa (Avv. Stato)
SICUREZZA SUL LAVORO – Infortunio – Equo indennizzo da causa di servizio – Risarcimento del danno – Diversità – Cumulo – Possibilità.
L’equo indennizzo da causa di servizio, per presupposti oggettivi, fatti costitutivi, regime probatorio e disciplina complessiva, è completamente distinto dal risarcimento del danno, atteso che, mentre quest’ultimo, quanto ad oggetto e finalità, tende a ristabilire l’equilibrio nella situazione del soggetto turbato dall’evento lesivo e a compensare per equivalente la perduta integrità fisio-psichica, là dove l’equo indennizzo per il concetto di equità e discrezionalità ad esso inerente, per la sua astrazione dalla responsabilità civile, colposa o dolosa, di parte datoriale, e per la sua non coincidenza con l’entità effettiva del pregiudizio subito dal dipendente, è assimilabile a una delle molteplici indennità che l’Amministrazione conferisce ai propri dipendenti in relazione alle vicende del servizio. Ne consegue che equo indennizzo e risarcimento del danno, sia esso patrimoniale o non patrimoniale, sono tra loro compatibili e cumulabili, senza che l’importo liquidato a titolo di equo indennizzo possa essere detratto da quanto spettante a titolo di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale o extracontrattuale del datore di lavoro (C.d.S. sez. VI 19 gennaio 2011 n°365).
Pres. Petruzzelli, Est. Gambato Spisani – A.V. (avv.ti Onofri, Fasani, Bracchi) c. Ministero della Difesa (Avv. Stato)
Allegato
Titolo Completo
TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. 1^ - 28 dicembre 2012, n. 2020SENTENZA
TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. 1^ – 28 dicembre 2012, n. 2020
N. 02020/2012 REG.PROV.COLL.
N. 00395/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 395 del 2008, proposto da:
Antonio Vinci, rappresentato e difeso dagli avv. Giovanni Onofri, Francesco Fasani, Simona Paola Bracchi, con domicilio eletto presso Giovanni Onofri in Brescia, via Ferramola, 14;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura, domiciliata in Brescia, via S. Caterina, 6;
in punto:
risarcimento danni
ricorso trattenuto in decisione sulle seguenti
conclusioni:
per il ricorrente, come da ricorso introduttivo depositato il 22 aprile 2008,
nel merito, accertata e dichiarata la responsabilità dell’amministrazione resistente per inadempimento degli obblighi derivanti dal contratto e dal rapporto di lavoro in essere con Antonio Vinci ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli artt. 1218, 2103 e 2087 c.c. e di ogni altra norma applicabile, condannare parte resistente al risarcimento dei danni alla persona – e in particolare al risarcimento del danno biologico, morale, psichico, esistenziale, alla vita di relazione e alla dignità personale- subiti da Antonio Vinci a causa e in diretta conseguenza dei fatti descritti, nella misura di € 170.000 o diversa maggiore o minore di giustizia;
in via istruttoria, ammettersi prova per testimoni sulle circostanze di fatto di cui al ricorso, ritrascritte premessa la locuzione “vero che”, indicandosi a testimoni i commilitoni della Stazione C.C. di Cremona in servizio alla data del 28 aprile 1998 e i sigg. Giorgio Turotti, di Cremona, Valerio Vernalone, di Cremona, e Stefania Biella, coniuge del ricorrente, di Pescarolo e Uniti;
disporsi CTU medico legale sui fatti di causa, in particolare sulla idoneità psicofisica del ricorrente alle mansioni a lui assegnate e sulla descrizione e liquidazione dei danni subiti in esito all’evento dannoso del 28 aprile 1998;
per l’amministrazione intimata, come da memoria 27 febbraio 2010,
nel merito, respingersi il ricorso, spese rifuse;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 novembre 2012 il dott. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato il 25 marzo 2008, Antonio Vinci ha in sintesi premesso di essere militare in sevizio nell’Arma dei Carabinieri, di esser stato ricoverato d’urgenza il 13 settembre 1993 presso l’Ospedale di Cremona, di avere ricevuto in tale occasione la diagnosi di sclerosi multipla, di esser stato quindi, in dipendenza dalla malattia contratta, trasferito il 3 marzo 1995 presso la Stazione CC di Cremona quale addetto al servizio rilevamento dati, mansione che comportava anche la necessità di archiviare manualmente pesante materiale cartaceo, posto su scaffali a notevole altezza; di essere, asseritamente a causa delle sue precarie condizioni di salute, precipitato il 28 aprile 1998 da una scala utilizzata per tale mansione e di avere per tal fatto subito un danno alla persona, a suo dire dovuto a negligenza dell’amministrazione sua datrice di lavoro; ha pertanto concluso per la condanna della stessa al ristoro del danno patito, nei termini di cui in premesse.
Con memoria 22 febbraio 2010, il ricorrente ha ribadito le proprie asserite ragioni.
Ha resistito alla domanda l’amministrazione della Giustizia, con memoria formale 29 aprile 2008 e memoria 27 febbraio 2010, nella quale ha chiesto la reiezione del ricorso.
Con ordinanza 27 agosto 2010 n°154, il Collegio ha disposto CTU medico legale sui fatti di causa, intesa ad appurare quanto richiesto dal ricorrente nei termini di cui in epigrafe.
All’udienza 26 ottobre 2010, fissata avanti il Giudice delegato come da ordinanza dello stesso 12 ottobre 2010 n°9, veniva nominato CTU il dott. Ruggero Capra, il quale -previo contraddittorio con i CTP dott. Salvatore Maiorana per il ricorrente e cap. medico Gianluca D’Auria per l’amministrazione- depositava il 3 maggio 2011 il proprio elaborato.
All’udienza del giorno 25 maggio 2011, la Sezione ha disposto la comparizione personale del CTU per chiarimenti alla successiva udienza del 23 novembre 2011; espletato tale incombente, ha concesso termine a difesa all’amministrazione, la quale ha depositato in tal senso memoria 2 febbraio 2012, con replica depositata il successivo 15 febbraio da parte del ricorrente.
Con ordinanza 24 aprile 2012 n°684, in esito alla udienza del 7 marzo 2012, la Sezione ha ritenuto la causa non compiutamente istruita quanto agli aspetti medico legali, e più specificamente quanto all’influenza della patologia già in essere a carico del ricorrente sull’allegato infortunio, quanto alla eziologia dell’allegato danno e quanto alla misura di esso; ha quindi disposto la rinnovazione della CTU, affidandola a diverso consulente.
All’udienza 10 luglio 2012, fissata avanti il medesimo Giudice delegato, veniva quindi nominato CTU il prof. dott. Luca Sollennità, dell’Istituto di medicina legale dell’Università di Milano, il quale -ancora previo contraddittorio con i CTP dott. Salvatore Maiorana per il ricorrente e dott. Maria Teresa Sorrenti per l’amministrazione- depositava il 20 novembre 2012 il proprio elaborato.
Alla udienza del 28 novembre 2012, la Sezione ha da ultimo trattenuto la causa in decisione.
DIRITTO
1. In via preliminare, va dato atto che la causa, ad avviso del Collegio, è compiutamente istruita in base alla documentazione prodotta e alle risultanze delle CTU di cui in premesse; di conseguenza, vanno dichiarate superflue le ulteriori istanze istruttorie del ricorrente, relative alla richiesta di prova testimoniale.
2. Ciò premesso, la domanda del ricorrente nel merito è fondata e va accolta, ai sensi di quanto appresso.
3. Per chiarezza, occorre ricordare che Antonio Vinci ha agito nella presente sede per sentir condannare l’amministrazione di appartenenza al risarcimento del danno asseritamente arrecatogli a titolo di responsabilità contrattuale: in tal senso, egli è esplicito nelle conclusioni di cui all’atto introduttivo, riportate anche in epigrafe, là dove parla appunto di condanna “per inadempimento degli obblighi derivanti dal contratto e dal rapporto di lavoro” e invoca gli artt. 1218 e 2087 del codice civile (ricorso, p. 13 dalla quarta riga delle conclusioni).
4. Tale dato non muta anche osservando che il richiamo al “contratto di lavoro” è giuridicamente impreciso, trattandosi propriamente di militare legato all’amministrazione da un rapporto di servizio: anche da tale rapporto, così com’è pacifico, sorgono diritti ed obblighi delle parti, il cui inadempimento può generare responsabilità civile: in tal senso, per implicito ma inequivocabilmente, TAR Puglia Bari sez. III 27 gennaio 2011 n°190, che si cita per tutte, in quanto relativa al caso analogo di un militare della Guardia di Finanza.
5. Secondo i principi, pertanto, per vedere accolta siffatta domanda, il ricorrente deve in primo luogo provare i fatti costitutivi dell’obbligazione, ovvero il titolo di essa; in secondo luogo, può limitarsi ad allegare il fatto dell’inadempimento; infine deve provare il danno subito e il nesso causale fra l’inadempimento ed il danno: così in termini generali da ultimo Cass. civ. sez. III 23 maggio 2011 n°11290, ma la soluzione, nel senso che il danneggiato possa appunto limitarsi ad allegare l’inadempimento, è costante a partire dalla nota Cass. civ. S.U. 30 ottobre 2001 n°13533.
6. La giurisprudenza poi, nel caso particolare, che qui rileva, del rapporto concernente una prestazione lavorativa, in cui si faccia valere la responsabilità del datore per infortunio subito dal dipendente, traduce le regole appena esposte nell’equivalente massima secondo la quale il lavoratore ha il solo onere di provare il fatto costituente l’inadempimento e il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento e il danno; non deve invece provare la colpa del datore di lavoro, nei cui confronti opera la presunzione posta dall’art. 1218 c.c.: così per tutte Cass civ. sez. lavoro 19 giugno 2007 n°16003. In termini logici, è infatti chiaro che dover provare il fatto storico dell’inadempimento, ma non la colpa della controparte, significa avere l’onere di provare che l’obbligazione sussiste con certi connotati, ma potersi limitare all’allegazione dell’inadempimento.
7. A riprova, la stessa giurisprudenza in tema di infortuni sul lavoro è costante nell’affermare che, a fronte della prova suddetta da parte del lavoratore, il datore può andare esente da responsabilità solo se a sua volta provi che il danno è avvenuto per causa a lui non imputabile, ovvero in concreto se dimostri di avere adottato tutte le cautele necessarie, che per inciso possono anche non esaurirsi nel mero rispetto di misure antinfortunistiche tipiche indicate dalla legge: così per tutte Cass. sez. lav. 14 ottobre 2010 n°21203 e 6 luglio 2002 n°9856 e, sul secondo punto, la citata Cass. sez. lav. 160003/2007.
8. Le regole così delineate si applicano infine anche al caso di specie, di militari dipendenti dalla relativa amministrazione: così la già citata TAR Puglia Bari sez. III n°190/2011, nonché Cass. pen. sez. IV 14 maggio 2002 n°34345, per l’esplicita affermazione secondo la quale l’obbligo di rispettare le norme antinfortunistiche sussiste anche nei riguardi del personale militare nell’ambito delle relative strutture.
9. Nel caso di specie, applicando le regole esposte, ritiene allora il Collegio che sussistano tutti gli estremi per accogliere la domanda risarcitoria di Antonio Vinci.
10. In primo luogo, il ricorrente ha provato i fatti storici presupposto dell’obbligazione inadempiuta, ha cioè dato la prova di essere militare in servizio nell’Arma dei Carabinieri sin dal 17 ottobre 1989; di essersi ammalato il 13 settembre 1993 di quella che all’inizio venne qualificata come “malattia demielinizzante” e successivamente in modo più preciso come “sclerosi multipla”, e di essere stato successivamente assegnato -su propria domanda e non d’ufficio, come invece sostenuto nel ricorso, anche se il dato appare ai fini di causa non influente- alla Stazione C.C. di Cremona quale “addetto al rilevamento dati”. In tal senso, vi è anzitutto la prova positiva data dalla copia del foglio matricolare, ove le date riportate e la diagnosi iniziale (doc. 1 ricorrente, pp. 2, 4 e 8) e dalla relazione medica dott. Pelizza, ove la diagnosi più precisa (doc. 2 ricorrente, copia relazione citata).
11. Si deve poi tener conto, ai fini suddetti, ma anche più in generale per la prova di tutti gli ulteriori fatti di causa rilevanti, della condotta processuale della p.a. intimata, la quale si è costituita il 29 aprile 2008 con la memoria formale ben nota alla prassi, nella quale si è limitata a “fare riserva di svolgere successivamente le proprie difese”, a dichiarare una iniziale non compiuta conoscenza dei fatti di causa, con la formula “non disponendosi… attualmente di tutti gli elementi indispensabili”, e a chiedere quindi “cautelativamente” il rigetto del ricorso.
12. In proposito, il Collegio deve ripetere quanto già affermato nella propria sentenza 9 giugno 2011 n°860, peraltro conforme a consolidati principi dottrinali e giurisprudenziali. Da un lato, ai sensi dell’art. 39 comma 1 c.p.a., che peraltro riproduce una precedente norma applicata in via pacifica, al processo innanzi al giudice amministrativo “si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali”; dall’altro, così come affermato in giurisprudenza, è necessario, se non altro per il rispetto del principio di uguaglianza, riconoscere alle situazioni giuridiche dei pubblici dipendenti, pur se devolute come nel caso presente alla giurisdizione esclusiva del G.A., un trattamento processuale non deteriore rispetto a quello accordato agli altri lavoratori; su detta linea, in particolare, C. cost. 28 giugno 1985 n°190 ha dichiarato illegittimo l’art. 21 dell’allora vigente l. TAR nella parte cui non riconosceva agli stessi la medesima tutela cautelare disponibile presso il Giudice ordinario del lavoro.
13. In tale quadro concettuale, non si può non ritenere applicabile al giudizio su un rapporto di pubblico impiego non contrattualizzato in sede di giurisdizione esclusiva il principio di cui all’art. 416 comma 3 prima parte c.p.c., che è indubbiamente tale se non altro perché conforme al novellato art. 167 c.p.c.: il convenuto nel processo di lavoro nel primo suo atto difensivo “deve prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda”, e in mancanza, come affermato fra le molte da Cass. civ. sez. III 3 luglio 2008 n°18202, “gli stessi devono considerarsi come pacifici sicché l’attore è esonerato da qualsiasi prova al riguardo”.
14. Nel caso di specie, allora, il descritto atteggiamento processuale della p.a. intimata, di fronte alle dettagliate allegazioni del ricorrente e alle prove documentali dallo stesso prodotte, va qualificato appunto come contestazione generica; in tal senso, quindi, i fatti specifici dedotti dal ricorrente, ove non smentiti in positivo dagli atti di causa, dovrebbero ritenersi per ciò solo provati.
15. Con riguardo alle circostanze specifiche di cui si è detto, del rapporto di servizio, dell’iniziale malattia del ricorrente e della sua assegnazione a Cremona, va comunque detto, ad abbondanza, che si tratta di fatti non contestati anche in prosieguo di causa.
16. Il ricorrente ha poi provato la specifica obbligazione inadempiuta, ovvero il fatto storico dell’infortunio sul lavoro occorsogli: presso la Stazione di Cremona, egli venne adibito in particolare al Casellario, e in tale mansione, avente in buona sostanza contenuto archivistico, si trovò nella necessità di spostare a mano, per prelevarli dalle scaffalature e riporli, pesanti faldoni cartacei; nell’espletare tale attività, il 28 aprile 1998, salì su una scala in dotazione per sistemare alcuni fascicoli che reggeva in mano, perse l’equilibrio, precipitò dalla scala stessa da una altezza di circa tre metri e batté il capo sul pavimento, perdendo i sensi e venendo ricoverato all’ospedale.
17. In proposito, nei termini spiegati sopra, l’amministrazione non ha specificamente contestato la versione dei fatti dedotta in tal senso dal ricorrente alle pp. 3 e 4 del ricorso, ed anzi l’ha ammessa come fatto storico in modo esplicito (memoria 27 febbraio 2010 p. 2 dal quindicesimo rigo); ha poi prodotto, ancora una volta senza contestarla, la relazione 22 ottobre 1998 a firma dello stesso Vinci, in cui egli descrive il fatto (doc. 5 p.a. prodotto il 30 dicembre 2008, copia di essa), e l’annotazione 28 ottobre 1998 della Stazione C.C. Cremona, nella quale si legge: “il militare in oggetto”, ossia Vinci, “veniva soccorso da pari grado, poiché rinvenuto a terra privo di sensi e riverso in una pozza di sangue… trasportato presso il locale Ospedale civile, veniva ricoverato presso quel reparto di Neurologia per ‘trauma cranico commotivo con ferita lacero contusa zona fronto temporale dx’ … da una immediata ricostruzione veniva accertato che… regolarmente comandato di servizio quel giorno… mentre si apprestava a riporre dei faldoni sopra una scaffalatura, mediante l’utilizzo di una scala, perdeva l’equilibrio e cadeva a terra, procurandosi le lesioni in disamina” (doc. 4 p.a. prodotto il 30 dicembre 2008, copia annotazione citata).
18. Il ricorrente ha infine dato la prova del danno subito e del nesso causale fra l’inadempimento ed il danno. In proposito, sulla situazione clinica di Antonio Vinci, descritta dall’anamnesi e dalla cospicua documentazione medica prodotta, è stato ammesso, nei termini di cui in narrativa, di cui si dirà meglio, il mezzo di prova della CTU richiesto dalle parti, CTU affidata in prima battuta al dott. Ruggero Capra, e poi al prof. dott. Luca Sollennità. In proposito vanno per chiarezza premesse alcune considerazioni.
19. In primo luogo, come si è detto in narrativa, il Collegio ha ritenuto nel corso dell’istruttoria di disporre una rinnovazione della CTU, affidandola a diverso esperto, e sulle ragioni di tale scelta deve soffermarsi. Come risulta dagli atti, la prima CTU, affidata al dott. Capra, è stata destinataria di diverse critiche da parte della difesa dell’amministrazione; in proposito, però, il Collegio ritiene di confermarne la validità, salvo quanto specificamente appresso.
20. In proposito, occorre intanto affermare che l’oggetto della CTU, un accertamento medico diagnostico relativo ad una malattia neurologica, è per definizione alla portata solo di chi sia dotato di conoscenze di livello elevato e non comune, superiori per comune esperienza anche a quelle del medico generico. Sotto tale profilo, il dott. Capra ha documentato la propria preparazione scientifica con il curriculum prodotto il 7 ottobre 2010 e non contestato da alcuna parte, e in tal modo ha attestato titoli indiscutibili: oltre ad un’ampia e specifica formazione in Italia e all’estero, vale per tutti la sua qualità di responsabile della Unità di neurologia presso il Centro di riferimento regionale per la sclerosi multipla.
21. In secondo luogo, la CTU Capra si è svolta nel pieno rispetto del contraddittorio, dato che ciascuna delle parti ha nominato un CTP di propria fiducia, così come precisato in narrativa, CTP il quale ha avuto la possibilità di partecipare a tutte le operazioni: si veda in particolare per il CTP della p.a. la nota 10 febbraio 2011, con la quale l’ufficiale medico nominato in prima istanza viene sostituito da altro, perché impegnato in missione all’estero, e il fax depositato il 22 febbraio 2011, con l’avviso delle operazioni del CTU al CTP nominato. E’ poi pleonastico ricordare che anche dell’udienza 23 novembre 2011, alla quale il CTU è stato sentito a chiarimenti, l’amministrazione intimata ha avuto regolare avviso. A fronte di ciò, l’amministrazione non ha ritenuto di svolgere rilievo alcuno né per mezzo del CTP, che nulla ha chiesto di verbalizzare all’esito del contraddittorio col CTU né è comparso alla udienza alla quale il CTU è stato sentito a chiarimenti; l’amministrazione stessa ha invece ritenuto di svolgere le proprie tesi a posteriori, con la memoria 2 febbraio 2012, di cui subito.
22. Al di là di tali rilievi di ordine procedurale, che pure deponevano fin da subito nel senso della sostanziale affidabilità dell’operato del CTU, il Collegio ha ritenuto comunque di considerare nel modo più attento i rilievi svolti dall’amministrazione convenuta nella memoria di cui si è detto, nella quale essa, asseritamente sentita la “Direzione di sanità del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri”, in persona di uno o più funzionari non nominati, denuncia presunte “numerose criticità e lacune” nell’operato del CTU.
23. Tali criticità e lacune sarebbero consistite, a quanto è dato comprendere, anzitutto nel non avere considerato “elementi riconducibili al quadro post traumatico”, nell’avere valorizzato una TAC, esame radiologico che non sarebbe quello dedicato ed elettivo per la patologia in esame e nell’avere determinato il danno “in assenza di bareme [francesismo per “prontuario”] di riferimento” (p. 1 memoria cit. sesto rigo dal basso).
24. Le critiche in questione, peraltro, sono state svolte in modo non contestualizzato, in mancanza di quel riferimento agli specifici dati clinici del paziente che il CTP avrebbe potuto operare nel corso dell’indagine, e per tale motivo il Collegio non ha potuto fare altro che disporre una nuova CTU, affidandola a professionista dotato di specifica preparazione medico legale, appartenente ad Istituto universitario di riconosciuto rilievo nazionale ed europeo e proveniente da sede non ricompresa nella circoscrizione di questo TAR, allo scopo di assicurare la massima garanzia di imparzialità.
25. Le conclusioni di tale ulteriore CTU, va allora subito detto, sono risultate sostanzialmente in linea con quelle della CTU Capra per quanto riguarda l’accertamento della patologia in atto e delle relative cause, e quindi ne costituiscono una sostanziale conferma di validità sul punto; se ne discostano, come si vedrà, in punto liquidazione del danno, sulla quale verranno svolte specifiche considerazioni.
26. In secondo luogo, vanno ricordati, per mera completezza, i noti principi giurisprudenziali sul valore della CTU nel processo. In termini generali, come ha chiarito anche la Cassazione, la consulenza tecnica d’ufficio non costituisce “in linea di massima mezzo di prova, bensì strumento di valutazione della prova acquisita”; d’altra parte, è però vero che essa adempie allo scopo fondamentale di offrire al giudice una conoscenza di cui egli è privo; pertanto, essa può “assurgere al rango di fonte oggettiva di prova quando si risolve nell’accertamento di fatti rilevabili unicamente con l’ausilio di specifiche cognizioni o strumentazioni tecniche”: così per tutte Cass. sez. lav. 19 gennaio 2011 n°1149, con ampi richiami, dalla quale le citazioni. Ne consegue che il giudice, il quale intenda aderire alla conclusione della CTU stessa non è tenuto a motivare tale adesione in modo discorsivo: così sempre la sentenza citata, con risultato che si ritiene di condividere, dato che a pensarla diversamente si pretenderebbe, a ben vedere, che il giudice possa padroneggiare proprio quella specifica scienza di cui, in quanto ha disposto la consulenza, difetta per ipotesi.
27. D’altro canto, la parte la quale non condivida l’esito della consulenza stessa ha l’onere di formulare in merito – così come afferma sempre Cass. 1149/2011- “specifiche censure” sul contenuto di essa, e nel caso particolare di consulenza medico legale, deve evidenziare nell’operato dell’esperto “vizi logici” ovvero “contraddizioni” ovvero anche “un errore diagnostico consistente nel contrasto… con lo stato delle conoscenze della scienza medica unanimemente condivise dalla comunità scientifica” ovvero ancora una “omissione degli accertamenti strumentali e diagnostici dai quali non si possa prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi”; non può invece limitarsi ad una critica consistente nella “pura e semplice contrapposizione di una difforme valutazione dell’entità e dell’incidenza del dato patologico”: così in motivazione Cass. sez. lav. 25 ottobre 2010 n°21805.
28. Applicando i principi appena esposti al caso concreto, ritiene allora il Collegio di condividere appieno le conclusioni delle CTU svolte, nei termini di cui appresso. Si deve in primo luogo ritenere accertato che Antonio Vinci, a causa del trauma subito, ebbe a soffrire una lesione, inquadrabile “nella compromissione delle funzioni cognitive” (cfr. elaborato CTU dott. Capra, ultima pagina, dalla decima riga dal basso), compromissione che è ulteriormente descritta nella CTU dott. Sollennità in termini di difficoltà a concentrarsi, a mantenere l’attenzione, ad apprendere e a ricordare (elaborato dott. Sollennità, pp. 3-6). Il CTU dott. Capra qualifica poi in termini sintetici tale patologia come “danno aggiuntivo rispetto alla patologia preesistente”, ovvero alla sclerosi multipla in essere, e il CTU dott. Sollennità (cfr. sempre suo elaborato, pp.17 e ss.) è concorde con tale conclusione, che però motiva in termini più analitici e discorsivi, dei quali si deve dare in sintesi conto.
29. Il dott. Sollennità svolge quindi una disamina delle caratteristiche salienti della sclerosi multipla, di cui il ricorrente già soffriva, e ricorda che si tratta di una patologia del sistema nervoso centrale caratterizzata da distruzione della mielina, ovvero della sostanza che avvolge le fibre nervose, la quale si manifesta con “alterata funzionalità del midollo spinale, del tronco encefalico, del nervo ottico e del cervello” (elaborato dott. Sollennità, p. 18 prime righe). Tale patologia assume poi un andamento discontinuo, con “episodi di brusco aggravamento, separati da una remissione più o meno completa”, e nelle forme non benigne comporta un progressivo aumento della disabilità del soggetto colpito, il quale va incontro, fra l’altro, a paralisi progressiva e disturbi dei sensi e dell’equilibrio (elaborato citato, p. 18).
30. Ciò posto, il dott. Sollennità prende in esame (elaborato, p. 23 e ss.) i possibili esiti di un trauma cranico come quello subito dal ricorrente, che a sua volta può dare, come è noto anche a chi sia digiuno di scienza medica, i citati “deficit cognitivi e comportamentali” (ibidem, p.24), e pone poi, per successivamente risolverlo, l’interrogativo fondamentale prospettato dal caso in esame: premesso che i disturbi da cui è affetto Antonio Vinci possono in astratto essere stati cagionati sia dal trauma cranico subito, sia da un episodio di aggravamento della sclerosi multipla dalla quale egli è affetto, si chiede quale ne sia stata la concreta causa.
31. Il dott. Sollennità ha ritenuto di condividere il sintetico apprezzamento del dott. Capra, che come si è detto riconduce i disturbi in questione ad esiti del trauma cranico, con un ragionamento che appare condivisibile in quanto scevro da contraddizioni e basato su dati di fatto non contestati. Egli infatti evidenzia da un lato, che l’area interessata dal trauma è proprio quella che, qualora danneggiata, produce gli esiti patologici lamentati da Antonio Vinci, e dall’altro lato che egli, sino a quel momento, non aveva subito deficit cognitivi, avendo la sclerosi da cui è affetto prodotto lesioni di tipo diverso (elaborato dott. Sollennità, pp. 26 e 27).
32. A tali considerazioni di ordine prettamente medico legale sul nesso di causalità fra l’infortunio occorso e il danno subito, ne va ad abbondanza aggiunta un’altra che assume valore per lo meno indiziario. Vi è infatti anche l’apprezzamento dell’amministrazione, la quale, come da verbale 21 ottobre 1999 della Commissione medica di Brescia, richiesta dal Comando C.C. di appartenenza, ebbe a giudicare come dipendente da causa di servizio il trauma cranico occorso (doc. 6 amministrazione prodotto il 30 dicembre 2008, copia verbale citato). Se è vero che il giudizio della Commissione è limitato, dichiaratamente, al solo trauma cranico, non si deve infatti sottacere che nel verbale relativo si parla degli “esiti” del trauma in questione e si dà ampio conto della situazione neurologica del paziente.
33. L’amministrazione, infine, non ha dato prova alcuna della dipendenza dell’infortunio da causa ad essa non imputabile, nel senso di avere adottato tutte le misure antinfortunistiche idonee nel caso concreto; di contro, è stata raggiunta la prova positiva che carenze nelle misure antinfortunistiche vi furono.
34. In linea di fatto, come si è già ricordato, l’amministrazione non ha contestato la complessiva ricostruzione dell’infortunio svolta dal ricorrente, e in particolare non ha contestato che alla data di esso non fosse ancora stato nominato il rappresentante della sicurezza e che l’infortunio fosse avvenuto utilizzando una scala in dotazione (memoria 27 febbraio 2010 p. 3). Sul primo punto, peraltro, ha controdedotto che la mancata nomina del rappresentante per un verso sarebbe ad essa non imputabile, perché da compiere su designazione dell’organo rappresentativo dei militari, e per altro verso sarebbe irrilevante ai fini del caso concreto. Sul secondo punto, ha affermato che non vi sarebbe certezza sulla scala utilizzata, dato che all’epoca al Comando di assegnazione di Vinci erano assegnate “due scale a libro, una metallica a sette gradini… l’altra professionale a dieci gradini”, entrambe ad oggi rottamate e smaltite a discarica per “motivi igienici” (memoria 27 febbraio 2010, p. 4 dalla terza riga e ivi nota 1).
35. Entrambe le suddette difese, peraltro, risultano non condivisibili. I punti suddetti, per ragioni logiche le quali subito risulteranno chiare, vanno esaminati in ordine inverso.
36. Per quanto riguarda l’uso delle scale, esiste in proposito una disciplina specifica, che all’epoca dei fatti era quella di cui agli artt. 18 e ss. del D.P.R. 27 aprile 1955 n°547 e 8 del D.P.R. 7 gennaio 1956 n°164, sicuramente applicabili anche all’amministrazione militare ai sensi dell’art. 1 comma 2 del d. lgs. 19 settembre 1994 n°626: non risulta infatti che un uso potenzialmente pericoloso delle scale a mano faccia parte delle “particolari esigenze connesse al servizio espletato” che ai sensi della norma in questione limitano l’applicazione delle norme antinfortunistiche ai Corpi militari ed equiparati.
37. In questa sede, rileva in particolare l’art. 19 del D.P.R. 547/1995, secondo il quale “quando l’uso delle scale, per la loro altezza o per altre cause, comporti pericolo di sbandamento, esse devono essere trattenute al piede da altra persona”; rileva ancora l’art. 8 del D.P.R. 164/1956, per cui “durante l’uso le scale devono essere sistemate e vincolate. All’uopo, secondo i casi, devono essere adoperati chiodi, graffe in ferro, listelli, tasselli, legature, saettoni, in modo che siano evitati sbandamenti, slittamenti, rovesciamenti, oscillazioni od inflessioni accentuate (comma 4). Quando non sia attuabile l’adozione delle misure di cui al precedente comma, le scale devono essere trattenute al piede da altra persona (comma 5).” Si tratta di norme le quali ripetono, a ben vedere, insegnamenti della comune diligenza, e quindi non rileva che le ultime di esse siano contenute in un decreto che, a stretto rigore, disciplina la prevenzione degli infortuni nelle costruzioni: esse appaiono infatti applicabili a qualunque fattispecie in cui si debba usare una scala.
38. E’poi rilevante anche il disposto dell’art. 113 comma 7 del d. lgs. 9 aprile 2008 n°81, che, pur non in vigore all’epoca dei fatti, appare a sua volta recepire regole di buona prassi e comune diligenza da osservare in ogni caso: esso dispone che “Il datore di lavoro assicura che le scale a pioli siano utilizzate in modo da consentire ai lavoratori di disporre in qualsiasi momento di un appoggio e di una presa sicuri. In particolare il trasporto a mano di pesi su una scala a pioli non deve precludere una presa sicura.”
39. Per quanto poi riguarda la nomina del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, la deduzione della p.a. secondo la quale essa non corrisponderebbe ad un obbligo datoriale è imprecisa. In termini generali, tale figura, prevista dagli artt. 18 e 19 del citato d. lgs. 626/1994, deve certamente essere un soggetto designato dai lavoratori stessi; le norme però, ad attenta lettura, non consentono, ad avviso del Collegio al datore di lavoro di attendere passivamente tale designazione, nei termini di cui appresso.
40. La normativa attualmente vigente, quella di cui agli artt. 47 e ss. del d. lgs. 81/2008, incentiva in qualche modo la nomina di tale figura, prevedendo in sintesi estrema che, ove essa non avvenga nell’unità produttiva, le relative funzioni siano esercitate da un rappresentante territoriale, di livello superiore, e che al contempo l’impresa sia tenuta a versare un contributo economico, ad evidente titolo di disincentivo. Tale normativa, assente nell’originario impianto del d. lgs. 626/1994, appare però esplicazione di quanto imposto dal più generale principio di buona fede per cui se una data nomina alla quale si ha interesse è prevista dalla legge come necessaria occorre, ancorché non si sia obbligati in proprio a procedervi, creare le condizioni perché essa avvenga. Siffatto obbligo, proprio del datore di lavoro privato appare poi estensibile anche all’amministrazione militare, poiché da un lato anch’essa è tenuta a rispettare il principio di buona amministrazione, equivalente per quanto qui interessa all’obbligo di buona fede, dall’altro a ciò non risultano ostare le citate “particolari esigenze connesse al servizio espletato”.
41. Alla luce di quanto appena esposto, si deve concludere che nell’infortunio occorso ad Antonio Vinci la condotta dell’amministrazione va qualificata come negligente. Da un lato, risulta che le scale poste a sua disposizione fossero, come si è detto al § 34, del tipo “a libro”, quindi sprovviste secondo logica di dispositivi di trattenuta, e che Antonio Vinci al momento dell’infortunio le stava utilizzando da solo. Si veda sul punto quanto detto al § 17, nel senso ch’egli venne soccorso da un collega, il quale lo trovò esanime a terra: se ne deve dedurre ch’egli al momento della caduta era solo.
42. Pertanto, è stata violata la norma antinfortunistica specifica di cui si è detto, ovvero è stata usata una scala a rischio di scivolamento, perché sprovvista di ganci di trattenuta, senza che altra persona la trattenesse a mano, e ciò anche a prescindere dalla ragionevole possibilità che il ricorrente, al momento della caduta, stesse trasportando a mano i pesi costituiti dai faldoni. Tale conclusione appare avvalorata dalla condotta posteriore della stessa p.a., che come si è detto al § 34 successivamente al fatto eliminò le scale per “motivi igienici”, nei quali è del tutto plausibile leggere una non conformità alle norme antinfortunistiche.
43. In tale contesto, l’amministrazione stessa, come risulta dai doc. ti 22- 24 prodotti il 30 dicembre 2008, provvide a nominare i rappresentanti per la sicurezza solo nel maggio 1998, ovvero a più di tre anni di distanza dall’entrata in vigore del d. lgs. 626/1994 (pubblicato in G.U. il 12 novembre 1994 ed entrato in vigore, secondo la regola generale il quindicesimo giorno successivo): si tratta ad avviso del Collegio di una violazione del sopra ricostruito obbligo di diligente promozione, considerando sia il tempo passato sia il modesto onere economico connesso a tale adempimento. In proposito, non vi è poi dubbio che la nomina tempestiva del rappresentante, incaricato come per legge di segnalare le carenze nella prevenzione infortuni, avrebbe potuto evitare il fatto, ad esempio promuovendo una più tempestiva eliminazione delle scale in questione.
44. Tutto ciò posto, va per completezza considerato un altro profilo, sul quale le parti si sono particolarmente soffermate, ovvero se possa essere considerata di per sé negligente la condotta dell’amministrazione che nella specie adibì Antonio Vinci ai descritti compiti di archiviazione. In proposito entrambi i CTU si sono espressi in senso affermativo. Dice il dott. Capra nel citato suo elaborato: “ritengo che il paziente non fosse idoneo a svolgere senza rischi personali attività quali l’uso di scale: il danno del sistema cerebellare [i.e. conseguente alla sclerosi multipla già in atto] espone l’individuo alla instabilità sia nella stazione eretta che nella deambulazione – in tale contesto il livello di rischio per la mansione assegnata è da considerarsi molto elevato (90% di probabilità che l’evento possa verificarsi)” (elaborato CTU Capra, p. 3 ultimo periodo). Dal canto suo il dott. Sollennità è concorde: “stante la presenza di situazioni di pericolo incombenti anche su soggetti sani (vedi l’evenienza di movimentare carichi in altezza per archiviare faldoni), un malato di sclerosi multipla che aveva già presentato plurimi episodi… di disturbi dell’equilibrio, atassia e deambulazione, avrebbe dovuto essere dispensato dalle suddette mansioni, in osservanza di una attenta valutazione dei rischi e della tutela del lavoratore affetto da patologie” (elaborato CTU Sollennità, p.35 dal tredicesimo rigo).
45. L’amministrazione sul punto ha replicato che “tutti i militari vengono impiegati sulla base di un giudizio di idoneità al servizio militare incondizionato e d’istituto” (memoria 2 febbraio 2012, p. 2 settimo rigo), e quindi sostenendo, secondo logica, che Antonio Vinci, pur affetto dalla patologia di cui si è detto, si sarebbe potuto legittimamente adibire a qualsivoglia mansione, restando su di lui l’obbligo di attivarsi presso l’amministrazione “qualora l’insorgenza o l’aggravamento di una infermità possa incidere sulla possibilità di esercitare in sicurezza per sé stesso e per gli altri la propria attività di istituto” (ibidem, p. 2 dal tredicesimo rigo). L’argomento, peraltro, ad avviso del Collegio è contraddetto dalla pregressa condotta dell’amministrazione medesima.
46. Come risulta infatti dalla lettera 8 febbraio 1995 (doc. 1 p.a. prodotto il 30 dicembre 2008, copia di essa), l’amministrazione militare infatti prese atto della “sospetta malattia demielinizzante” che aveva colpito il ricorrente e del fatto che “lo stesso proprio a causa delle proprie condizioni di salute ha rappresentato… difficoltà fisiche nel prestare servizio presso l’attuale reparto”, e di conseguenza ne propose il trasferimento al Nucleo informativo di Cremona, nei termini spiegati.
47. L’amministrazione stessa, quindi, non disconobbe le condizioni particolari del ricorrente e si attivò per trovargli una sede di servizio che lo potesse agevolare, né risulta aver fatto ciò a titolo grazioso, ovvero per gentile e non vincolante concessione: essendosi assunta tale obbligo, doveva secondo logica adempierlo in modo compiuto, verificando che le mansioni in concreto assegnate fossero effettivamente adatte alle condizioni di Antonio Vinci, il che come si è detto invece non si verificò.
48. Si deve a questo punto procedere a liquidare il danno domandato dal ricorrente, il quale (cfr. ricorso p. 13 in fine) lo qualifica “danno alla persona”, esplicato come “danno biologico, morale, psichico, esistenziale, alla vita di relazione, alla dignità personale”: in tali termini, si tratta allora all’evidenza di una domanda di risarcimento del danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c., per la quale valgono i principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione in particolare nelle sentenze sez. III 31 maggio 2003 n°8827 e 8828 e S.U. 11 novembre 2008 n°26972.
49. Secondo le prime due sentenze citate, come è del tutto noto, danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell’art. 2059, interpretato in modo conforme a Costituzione, è ogni ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona dal[la] quale conseguano pregiudizi non suscettibili di valutazione economica; interessi inerenti alla persona sono poi in primo luogo quelli previsti dalle norme costituzionali, alle quali va riferito il rinvio della norma codicistica, anche se la loro risarcibilità non sia prevista in modo espresso: in tal senso, è sicuramente danno non patrimoniale risarcibile il danno alla salute, tutelata dall’art. 32 Cost.
50. Secondo le S.U. poi, il danno alla salute -che come tale va provato e va inteso come “lesione temporanea o permanente all’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di reddito”- è categoria unitaria, che va risarcita in modo complessivo, senza distinguere fra diversi aspetti di essa, come le tradizionali categorie del “danno biologico” e del “danno morale”, che hanno semplice valore descrittivo.
51. Nel caso di specie, va poi ricordato che per costante giurisprudenza l’equo indennizzo da causa di servizio… per presupposti oggettivi, fatti costitutivi, regime probatorio e disciplina complessiva, è completamente distinto dal risarcimento del danno, atteso che, mentre quest’ultimo, quanto ad oggetto e finalità, tende a ristabilire l’equilibrio nella situazione del soggetto turbato dall’evento lesivo e a compensare per equivalente la perduta integrità fisio-psichica”, là dove “l’equo indennizzo per il concetto di equità e discrezionalità ad esso inerente, per la sua astrazione dalla responsabilità civile, colposa o dolosa, di parte datoriale, e per la sua non coincidenza con l’entità effettiva del pregiudizio subito dal dipendente, è assimilabile a una delle molteplici indennità che l’Amministrazione conferisce ai propri dipendenti in relazione alle vicende del servizio”. Ne consegue che “equo indennizzo e risarcimento del danno, sia esso patrimoniale o non patrimoniale, sono tra loro compatibili e cumulabili, senza che l’importo liquidato a titolo di equo indennizzo possa essere detratto da quanto spettante a titolo di risarcimento del danno da responsabilità contrattuale o extracontrattuale del datore di lavoro”: così per tutte C.d.S. sez. VI 19 gennaio 2011 n°365, da cui le citazioni.
52. Tanto premesso, la liquidazione del danno alla salute si compie con il noto sistema della tabella dei punti percentuali di invalidità, ad ognuno dei quali, in relazione con l’età del soggetto, corrisponde una data somma di danaro; si fa in particolare riferimento alla cd. tabella di Milano, elaborata per iniziativa di quel Tribunale, che, secondo quanto affermato dalla argomentata decisione Cass. sez. III 7 giugno 2011 n°12408, costituisce comunque criterio valido su scala nazionale, in quanto esplicazione dell’equità di cui all’art. 2056 c.c.
53. Applicando i suddetti criteri al caso concreto, bisogna ora farsi carico della divergente conclusione, come si è detto l’unica di rilievo, raggiunta sul punto dagli esperti nominati. Il dott. Capra, facendo riferimento alla citata tabella di Milano, ha infatti determinato l’invalidità dipendente dal disturbo cognitivo di cui si è detto nel 40%, come danno derivante dalla sola caduta (v. verbale udienza 23 novembre 2011, ove le risposte di tale CTU ai chiarimenti). Il dott. Sollennità invece determina la stessa invalidità in un valore inferiore, del 30%, a titolo di invalidità permanente (elaborato, p. 30 nono rigo), cui aggiunge l’invalidità temporanea di cui appresso, non contestata come tale. Il Collegio ritiene di far propria tale ultima valutazione, per i motivi di cui subito.
54. In primo luogo, il dott. Sollennità, che come si è detto è in possesso di specifica preparazione medico legale, non riscontrabile nel primo perito, si è riferito a prontuari di riferimento ben precisi, puntualmente citati (v. le note a p.30 dell’elaborato), riguardo ai quali stavolta l’amministrazione intimata non ha ritenuto di avanzare critica alcuna.
55. In secondo luogo, lo stesso CTU si è fatto specifico carico di individuare il metodo migliore per calcolare il danno, escludendo che si possa nella specie applicare il criterio del cd. danno differenziale, che avrebbe determinato una liquidazione maggiore. In proposito, è sufficiente ricordare che tale criterio, tuttora di per sé controverso e non universalmente accettato in letteratura, si applica sul presupposto di più lesioni succedutesi nel tempo a carico del “medesimo distretto organo funzionale”, mentre nel caso presente sono interessate “due funzioni neurologiche distinte”, ovvero “l’area motoria”, colpita dalla sclerosi, e quella “cognitiva”, interessata dal trauma (elaborato dott. Sollennità, pp. 31 e 32).
56. Infine, il dott. Sollennità ha operato una delimitazione più precisa del danno subito, escludendo che ne possa far parte la sindrome depressiva riscontrata nel ricorrente dopo il trauma, sindrome che da un lato è spiegabile come reazione alla grave malattia già in atto, dall’altro non è stata oggetto di specifici approfondimenti (ibidem, p. 29 in fine).
57. Tutto ciò posto, la citata tabella di Milano, per una invalidità del 30% in un soggetto il quale alla data dell’infortunio aveva 27 anni (come non è contestato, Antonio Vinci è nato il 22 gennaio 1971 e l’infortunio, come detto, è del 28 aprile 1998), conducono a liquidare un danno pari ad € 150.590 (centocinquantamilacinquecentonovanta/00), che il Collegio ritiene di riconoscere senza incrementi per le cd. personalizzazioni, ovvero per specifici e ulteriori pregiudizi sofferti dall’interessato, che per essere valutati vanno per lo meno allegati in modo preciso, così come ritenuto dalla citata TAR Puglia Bari n°190/2011. A tale importo va aggiunto quello relativo alla invalidità temporanea, per 20 giorni di invalidità totale e 120 giorni di invalidità al 75%, sempre così come accertato dal CTU dott. Sollennità (elaborato, p. 34 penultimo §), che risulta pari a ulteriori € 12.430 (dodicimilaquattrocentotrenta/00), raggiungendosi il totale complessivo di cui in dispositivo.
58. Alla somma liquidata andranno infine aggiunti gli interessi legali, dalla data della presente sentenza al pagamento, così come per legge (per tutte, Cass. civ. sez. II 18 febbraio 2010 n°3931).
59. Le spese processuali, comprensive delle CTU, seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, tenuto conto, quanto alle CTU, delle note spese presentate dai periti dott. Capra e dott. Sollennità e ritenendo congrua, per evidenti ragioni equitative, quella di minore importo presentata dal dott. Sollennità, munito come si è detto di specifica qualificazione professionale in medicina legale.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto:
a) condanna l’intimato Ministero della Difesa a corrispondere ad Antonio Vinci a titolo di risarcimento per il danno a questi occorso per l’infortunio del 28 aprile 1998 la somma di € 163.020 (centosessantatremilaventi/00), oltre interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo;
b) condanna altresì l’intimato Ministero della Difesa a rifondere ad Antonio Vinci le spese del giudizio, che liquida in € 7.000 (settemila/00) oltre accessori di legge, se dovuti, e di CTU, che liquida in € 984 (novecentoottantaquattro/00) per ciascuno dei due consulenti, e così per complessivi € 1968 (millenovecentosessantotto/00), sempre oltre accessori di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 28 novembre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Petruzzelli, Presidente
Mario Mosconi, Consigliere
Francesco Gambato Spisani, Primo Referendario, Estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/12/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)