Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Inquinamento del suolo, Rifiuti Numero: 1161 | Data di udienza: 13 Luglio 2016

* INQUINAMENTO DEL SUOLO – Bonifica – Imposizione – Responsabilità del proprietario dell’area – Artt. 240, 244, 245 e 253 d.lgs. n. 152/2006 – RIFIUTI – Materiali di riporto – Sottrazione alla disciplina dei rifiuti – Presupposti – Bonifica – Ricorso al barrieramento fisico – Eccezionalità – Art- 243 d.lgs. n. 152/2006.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Lombardia
Città: Brescia
Data di pubblicazione: 29 Agosto 2016
Numero: 1161
Data di udienza: 13 Luglio 2016
Presidente: Calderoni
Estensore: Bertagnolli


Premassima

* INQUINAMENTO DEL SUOLO – Bonifica – Imposizione – Responsabilità del proprietario dell’area – Artt. 240, 244, 245 e 253 d.lgs. n. 152/2006 – RIFIUTI – Materiali di riporto – Sottrazione alla disciplina dei rifiuti – Presupposti – Bonifica – Ricorso al barrieramento fisico – Eccezionalità – Art- 243 d.lgs. n. 152/2006.



Massima

 

TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. 1^ – 29 agosto 2016, n. 1161


INQUINAMENTO DEL SUOLO – Bonifica – Imposizione – Responsabilità del proprietario dell’area – Artt. 240, 244, 245 e 253 d.lgs. n. 152/2006.

 In forza di quanto previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006, la bonifica può essere imposta solo a chi abbia inquinato, avendo il sistema normativo optato per la responsabilità solo patrimoniale del proprietario non responsabile, salvi gli oneri relativi agli interventi di urgenza e salva la facoltà di eseguire spontaneamente gli interventi di bonifica ambientale (articolo 253 del codice dell’ambiente). Conseguentemente, il proprietario, ai sensi dell’articolo 245, comma 2, dello stesso decreto legislativo, è tenuto soltanto ad adottare le misure di prevenzione di cui all’articolo 240, comma 1, lettera 1), mentre gli interventi di riparazione, messa in sicurezza, bonifica e ripristino gravano esclusivamente sul responsabile della contaminazione e cioè sul soggetto al quale sia imputabile, almeno sotto il profilo oggettivo, l’inquinamento (articolo 244, comma 2). Se il responsabile non sia individuabile o non provveda (e non provveda spontaneamente il proprietario del sito o altro soggetto interessato), gli interventi che risultassero necessari debbono essere adottati dalla P.A. competente (articolo 244, comma 4), che potrà recuperare quanto speso nei confronti anche del proprietario, nei limiti del valore di mercato del sito (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria 25 settembre 2013, n. 12; Corte di Giustizia sentenza 4 marzo 2015 in causa C-534/13)

INQUINAMENTO DEL SUOLO – RIFIUTI – Materiali di riporto – Sottrazione alla disciplina dei rifiuti – Presupposti.

I materiali di riporto restano sottratti alla disciplina dei rifiuti se conformi ai limiti dei test di cessione, mentre, in caso contrario, tali matrici vanno qualificate come “fonti di contaminazione”, con la conseguenza che le caratteristiche qualitative del materiale utilizzato per i riempimenti debbono, in tal caso, essere verificate in relazione alla destinazione impressa all’area in questione dallo strumento urbanistico vigente. Pertanto, solo “Le matrici materiali di riporto che non siano risultate conformi ai limiti del test di cessione sono fonti di contaminazione e come tali devono essere rimosse o devono essere rese conformi ai limiti del test di cessione tramite operazioni di trattamento che rimuovano i contaminanti o devono essere sottoposte a messa in sicurezza permanente utilizzando le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili che consentano di utilizzare l’area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute” (così il comma 3 dell’articolo 3 del d.l. n. 2/2012, come modificato dall’art. 41, comma 3, del D.L. 69/2013).

INQUINAMENTO DEL SUOLO – Bonifica – Ricorso al barrieramento fisico – Eccezionalità – Art- 243 d.lgs. n. 152/2006.

Il comma 2 dell’art. 243 del codice dell’ambiente afferma, positivamente, il principio della eccezionalità del ricorso al barrieramento fisico, che “è consentito solo nel caso in cui non sia possibile conseguire altrimenti gli obiettivi” di impedire e arrestare l’inquinamento delle acque sotterranee nei siti contaminati.

Pres. Calderoni, Est. Bertagnolli – V. s.p.a. (avv.ti Onofri e Stefano Grassi) c. Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – Direzione Generale per la Tutela del Territorio e delle Risorse Idriche (Avv. Stato) e Regione Lombardia e altri (n.c.)


Allegato


Titolo Completo

TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. 1^ - 29 agosto 2016, n. 1161

SENTENZA

 

TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. 1^ – 29 agosto 2016, n. 1161

Pubblicato il 29/08/2016

N. 01161/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01492/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1492 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Versalis S.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti Giuseppe Onofri e Stefano Grassi, con domicilio eletto in Brescia presso lo studio del primo, Via Ferramola, 14;

contro

Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – Direzione Generale per la Tutela del Territorio e delle Risorse Idriche, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato e domiciliato in Brescia, Via S. Caterina, 6;
Regione Lombardia, Provincia di Mantova, Comune di Mantova, Asl 307 – A.S.L. della Provincia di Mantova, Parco del Mincio, Agenzia Regionale Protezione Ambiente (Arpa) – Lombardia – Dipartimento di Mantova, tutti non costituiti in giudizio;

nei confronti di

Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero della Salute, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – Direzione Via, Ministero Per i Beni e Le Attivita’ Culturali e del Turismo, tutti rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale Stato e domiciliati in Brescia, Via S. Caterina, 6;
Soprintendenza Per i Beni Archeologici per la Lombardia, Regione Lombardia – Direzione Ambiente, Energia e Sviluppo Sostenibile, Regione Lombardia – U.O. Attivita’ Estrattive, Bonifiche e Pianificazione Rifiuti, Provincia di Mantova – Servizio Inquinamento, Piano Rifiuti ed Energia, Comune di Borgo Virgilio, Comune di San Giorgio di Mantova, Autorità di Bacino del Fiume Po, Agenzia Interregionale Per il Fiume Po, Ente Parco del Mincio, Consorzio di Bonifica Territori del Mincio, Ispra – Istituto Superiore della Protezione e La Ricerca Ambientale, Enea – Ente Per Le Nuove Tecnologie, L’Energia e L’Ambiente, Istituto Superiore di Sanità, Industria Colori Freddi S. Giorgio Srl, Ies Spa, Belleli Energy Srl, Sogesid Spa, Syndial Spa, Itas Spa, Belleli Energy Critical Process Equipment Srl, tutti non costituiti in giudizio;
Inail – Istituto Nazionale per Assicurazione Contro Infortuni Sul Lavoro, rappresentato e difeso dall’avv. Anna Maria Corcione e domiciliato in Brescia, Via Cefalonia, 50;
Edison S.p.a., rappresentata e difesa dagli avv.ti Riccardo Villata, Andreina Degli Esposti, Wladimiro Troise Mangoni e Mauro Ballerini, con domicilio eletto in Brescia presso lo studio di quest’ultimo, v.le Stazione, 37;

per l’annullamento

quanto al ricorso introduttivo:

– del decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare prot. n. 5256/TRI/DI/B del 23 settembre 2014, di approvazione del Progetto di Bonifica denominato “Interventi su terreni in area B+I – Dicembre 2011”, limitatamente alla fase di rimozione dei rifiuti e dei riporti misti a scarti, trasmesso da Polimeri Europa s.p.a. con nota del 20 gennaio 2012, prot. n. 49/2012;

– di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale a quello impugnato;

quanto al primo ricorso per motivi aggiunti:

– della nota del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare prot. n. 732/STA del 27 gennaio 2015;

quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti:

– della nota del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare prot. n. 8897/STA del 17 giugno 2015;

– di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale a quello impugnato, compreso il verbale del 28 aprile 2015 in esso richiamato.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, dei Ministeri dello Sviluppo Economico, della Salute, dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – Direzione Via, di quello per i Beni e le Attivita’ Culturali e del Turismo e dell’Inail – Istituto Nazionale Per Assicurazione Contro Infortuni Sul Lavoro, nonché della società Edison Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 luglio 2016 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

I provvedimenti oggetto del ricorso introduttivo e dei successivi motivi aggiunti si inseriscono nel procedimento di messa in sicurezza di emergenza e bonifica delle aree inquinate facenti parte del sito di interesse nazionale “laghi di Mantova e Polo Chimico”, che ha avuto inizio grazie alla disponibilità in tal senso manifestata dalla società Enichem s.p.a., in qualità di soggetto interessato, non responsabile, ai sensi dell’art. 9 d.m. n. 471/1999. Enichem prima e poi, a seguire, Polimeri Europa e Versalis, che si sono succedute nella proprietà delle aree hanno, dunque, manifestato la volontà di porre in essere attività di collaborazione per la tutela dell’ambiente e della salute nell’area di interesse, che, però, non avrebbero dovuto eccedere la misura di una coerente proporzione e compatibilità con gli impegni relativi alla conduzione degli impianti produttivi attualmente gestiti nel sito. Conseguentemente, la Società Versalis, pur avendo confermato la propria volontà di procedere all’attuazione degli interventi approvati ed in parte ritenuti approvabili dalla Conferenza di servizi del 25 luglio 2013, tuttavia, ha rilevato l’eccessiva gravosità e illegittimità di alcune delle prescrizioni ad essa imposte, che sono state, dunque, censurate.

In particolare, con il ricorso introduttivo è stato impugnato il decreto ministeriale prot. 5256/TRI/DUB del 23 settembre 2014, nella parte in cui l’Amministrazione ha subordinato l’approvazione del progetto di bonifica denominato “Intervento su terreni in area B +I — dicembre 2011”, limitatamente alla fase di rimozione dei rifiuti e dei riporti misti a scarti al rispetto delle seguenti prescrizioni:

a) “in analogia a quanto richiesto per l’analisi di rischio generale, gli obiettivi di bonifica per il mercurio nei terreni devono essere i valori di CSC per la specifica destinazione d’uso” (v. art. 1, prescrizione n. 2, pag. 3 del decreto);

b) “nel caso venisse accertata, attraverso la caratterizzazione in situ, che lo strato limo-torboso alla base dei rifiuti non ha protetto, in modo adeguato, l’acquifero principale sottostante e che alcune sostanze inquinanti hanno percolato verso il basso, in analogia a quanto previsto per l’area Collina, di realizzare un confinamento fisico mediante infissione di palancole fino alla base dell’acquifero principale, dimensionate e progettate al fine di garantire una perfetta tenuta idraulica” (v. art. 1, prescrizione n. 11, pag. 4 del decreto).

c) la rimozione dei riporti, a prescindere dalla nuova previsione di legge che consentirebbe, a determinate condizioni, di lasciare in loco i materiali, anziché rimuoverli. L’impugnato decreto si limiterebbe a richiamare l’art. 1 del decreto ministeriale prot. n. 5256/TRI/DI/B del 23 settembre 2014, il quale prevede l’approvazione del progetto di bonifica limitatamente alla fase di rimozione dei rifiuti e dei riporti misti a scarti, ma avrebbe omesso di richiamare l’applicabilità, per tali materiali, della nozione di “materiale di riporto” introdotta dall’art. 41, comma 3, del d.l. n. 69/2013 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98/2013).

L’approvazione del progetto di bonifica, dunque, risulterebbe affetta dai seguenti vizi:

1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 239 e segg. del d.lgs. n. 152 del 3 aprile 2006, in particolare degli artt. 240, 242, 245 e 252 del d.lgs. cit., e degli allegati alla parte Quarta, Titolo V del medesimo decreto, con riferimento agli obiettivi di bonifica per il mercurio e alla richiesta di perseguimento dei limiti di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) anziché dei limiti di concentrazione soglia di rischio (CSR). La prescrizione sarebbe illegittima per difetto di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà tra atti e violazione della normativa che fissa gli obiettivi di bonifica pari alle CSR calcolate in sede di analisi di rischio sito specifica, nonché per illegittimità derivata dalla illegittimità delle determinazioni assunte dalla Conferenza di servizi del 25 luglio 2013. Nel motivo di ricorso sono riportate, dunque, le stesse ragioni che erano già state sollevate con riferimento all’imposizione della prescrizione per la prima volta con la decisione della conferenza di servizi del 25 luglio 2013 (impugnata con ricorso sub RG 1164/2013, pure chiamato in decisione all’odierna udienza pubblica) e cioè per difetto di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà tra atti e violazione della normativa che fissa gli obiettivi di bonifica pari alle CSR calcolate in sede di analisi di rischio sito specifica;

2. Violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 152 del 3 aprile 2006 e s.m.i. e, in particolare, degli artt. 239, 240, 242, 245, 250, 252, 253 e ss.. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 243 del d.lgs. n. 152/2006 laddove il decreto direttoriale di approvazione del progetto di bonifica sui terreni dell’area B+I ha imposto alla ricorrente l’obbligo di realizzare un sistema di confinamento fisico della falda nel caso venisse accertato, attraverso la caratterizzazione in situ, che lo strato limo-torboso alla base dei rifiuti allocato nell’area non ha protetto, in modo adeguato, l’acquifero principale sottostante. Ciò in quanto:

– l’imposizione della soluzione del barrieramento fisico della falda sarebbe priva di adeguata istruttoria e di motivazione in ordine alle ragioni della inidoneità del diverso sistema idraulico a garantire gli obiettivi di tutela ambientale;

– l’imposizione di ulteriori interventi di messa in sicurezza e bonifica sarebbe illegittima, in assenza di istruttoria in ordine all’individuazione del soggetto responsabile per la contaminazione;

– il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo nella parte in cui omette di richiamare l’applicabilità ai “riporti misti a scarti” della nozione di “materiale di riporto” introdotta dall’art. 41, comma 3, del dl. n. 69/2013 (che consente, a determinate condizioni, di lasciare in loco tali materiali anziché rimuoverli).

Per quanto attiene alla qualificazione del materiale presente in sito, dunque, parte ricorrente ha invocato quella di “materiale di riporto”, che ne escluderebbe l’obbligo di rimozione prima di averne accertata la capacità inquinante.

Nessun dubbio, quindi, potrebbe, secondo parte ricorrente, sussistere in ordine all’assoluta impossibilità di accollare l’esecuzione di interventi e attività di bonifica di un sito inquinato al proprietario incolpevole che ha già posto in essere le necessarie misure di prevenzione (rimozione degli hot spot e attivazione della barriera idraulica) e che per non rallentare il risanamento del sito e in ottica Responsible Care, si è reso disponibile a mettere in atto la fase di caratterizzazione (circa 90 sondaggi e circa 450 campioni da analizzare), sostenendo ulteriori costi che si prevedono quantomeno pari a circa 350.000/400.000 Euro.

Il 10 ottobre 2014, la Provincia di Mantova ha avviato il procedimento per l’accertamento del responsabile del superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione nel sito in questione.

Versalis ha adempiuto all’obbligo di redazione del piano di caratterizzazione, che è stato trasmesso con nota del 19 dicembre 2014, precisando che è stata utilizzata la maglia 15×15.

Con il primo ricorso per motivi aggiunti è stata, dunque, impugnata la nota con cui il dirigente generale, dato atto dell’avvenuta presentazione delle rimostranze di Versalis, che non si ritiene responsabile della contaminazione e si dichiara in disaccordo su alcune prescrizioni, ha ribadito l’obbligo della stessa di eseguire la caratterizzazione nel rispetto delle prescrizioni della conferenza di Servizi decisoria del 25 luglio 2014 e ottemperando le prescrizioni di cui al Decreto Direttoriale prot. 5256/TRI/DI/B del 23 settembre 2014.

Successivamente, il 9 marzo 2015, ARPA ha espresso il proprio parere sul Piano di caratterizzazione dell’area B + I prodotto da Versalis il 19 dicembre 2014, in esecuzione dell’obbligo scaturito dall’approvazione con il decreto impugnato del progetto operativo di bonifica trasmesso da Polimeri Europa (ora Versalis). Come da progetto operativo, il piano ha realizzato una caratterizzazione in situ secondo una maglia 15×15, applicando la normativa relativa ai materiali di riporto. Tale modus operandi non è stato ritenuto corretto da ARPA, in quanto:

a) il Comune di Mantova ha ritenuto inapplicabile la normativa relativa ai materiali di riporto e, sulla scorta di conforme conclusione del Ministero, ARPA ha concordato che non possa essere condivisa la proposta di Versalis di caratterizzare l’area B + I applicando la normativa relativa ai materiali di riporto, in quanto i materiali in questione sono da considerarsi rifiuti interrati in una discarica non autorizzata, realizzata posteriormente al 1982 e che costituiscono una sorgente di contaminazione per la falda;

b) le modalità tecnico-operative che prevedono un solo sondaggio per ciascun lotto di maglia 15×15 m di lato prelevando campioni ogni 1,5 m di profondità non sarebbero esaustive per la caratterizzazione di un rifiuto e, inoltre, per i composti non volatili, dovrebbe essere formato un campione composito costituito dalla miscelazione di un numero di incrementi tali da essere rappresentativo della natura potenzialmente eterogena del rifiuto.

In conseguenza di ciò, sono state imposte modalità tecniche-operative analoghe a quelle del “piano per la caratterizzazione dei rifiuti/terreni contaminati in Area collina” del giugno 2012, trasmesso da Syndial.

Anche tale parere è stato censurato con il primo ricorso per motivi aggiunti, nel quale sono stati dedotti i seguenti vizi:

1. Il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo, perché l’Amministrazione non avrebbe adeguatamente valutato, sul piano istruttorio, i contributi tecnici trasmessi dalla Società ricorrente. Inoltre, la nota che si contesta, ribadirebbe senza motivazione le prescrizioni di cui al decreto direttoriale che ha approvato il Progetto di bonifica dell’area B+I;

2. la nota ministeriale sarebbe affetta da invalidità derivata da quella del decreto direttoriale 5256/TRI/DI/B, sia con riferimento all’individuazione degli obiettivi di bonifica dal mercurio, sia per quanto attiene all’imposizione dell’obbligo di realizzare un confinamento fisico della falda.

Con note del 17 marzo 2015, n. 80 e 81, Versalis ha, dapprima, invitato la Provincia di Mantova a concludere il procedimento per l’individuazione del soggetto responsabile dell’inquinamento e, poi, rappresentato: a) l’impossibilità di individuare le “celle non contaminate” senza effettuare un primo screening con maglia 15×15; b) la necessità di ottenere una mappatura di dettaglio anche al fine di identificare le celle con rifiuti e riporti misti a scarti, per poi infittire le indagini di caratterizzazione degli stessi “in situ”; c) la disponibilità ad attivare, nell’immediato, una prima fase di indagine con maglia 15×15 (consistente in 90 sondaggi) al fine di individuare le caratteristiche lito-stratigrafiche, visive ed organolettiche delle celle, d) di contestare la richiesta di ARPA di effettuare il test di cessione sui terreni, perché non previsto dalla normativa vigente che, al contrario, sancisce che un terreno conforme a CSC è riutilizzabile senza necessità di ulteriori indagini.

ARPA, con nota del 22 maggio 2015, ha trasmesso il verbale dell’incontro tecnico, intervenuto il 28 aprile 2015, nel corso del quale l’area B+I è stata qualificata come discarica, con conseguente modifica delle prescrizioni tecniche per la redazione del progetto di bonifica e obbligo generalizzato di effettuare il test di cessione.

A tale proposito, si rende necessario precisare che Versalis ha rappresentato il fatto che la natura di discarica dell’area in questione sarebbe stata esclusa dallo stesso risanamento dettato dal MATTM ai sensi dell’art. 242 del d. lgs. 152/2006.

Peraltro, il piano presentato sarebbe propedeutico ad una caratterizzazione in situ e l’ordinanza della Provincia prot. n. PD/1390 dell’8 giugno 2015 ha individuato come responsabile del superamento delle CSC nel sito in questione Edison s.p.a..

Nonostante tutto ciò, con nota 8897/STA del 17 giugno 2015, il Ministero dell’Ambiente ha ribadito che la Società Versalis “è tenuta a realizzare gli interventi di cui al progetto presentato ottemperando le prescrizioni” di cui al decreto approvato con decreto 5256/TRI/DI/B del 23 settembre 2014. Tale provvedimento, impugnato con il secondo ricorso per motivi aggiunti, sarebbe autonomamente viziato per vizi propri per le seguenti ragioni di diritto:

1. violazione degli artt. 239 e ss. del d lgs. 152/2006, laddove impone al proprietario non responsabile dell’inquinamento la realizzazione di interventi di caratterizzazione e successiva bonifica dell’area;

2. eccesso di potere, particolarmente sotto il profilo del difetto di istruttoria e di motivazione, dell’illogicità e del travisamento dei fatti, nella parte in cui recepisce quanto asserito nel verbale Arpa del 28 aprile 2015 — in cui l’organo tecnico si è limitato a confermare quanto già rilevato nella precedente nota del 9 marzo 2015 — ritendendo così possibile qualificare l’area B+I come discarica di rifiuti, con la conseguente affermazione che i materiali presenti nell’area devono esser gestiti e caratterizzati secondo la normativa vigente in materia di rifiuti;

3. illegittimità derivata da quella degli atti precedenti.

Si è costituito in giudizio l’INAIL, eccependo la propria carenza di legittimazione passiva, dal momento che lo stesso (e prima l’ISPESL) non ha mai partecipato alle conferenze di Servizi decisorie, ma solo a quelle istruttorie e, a seguito della scadenza della convenzione stipulata tra SIAP (Sviluppo Italia Aree Produttive s.p.a. e ISPESL), dal 31 dicembre 2007 non ha più avuto alcun ruolo nella predisposizione degli atti impugnati.

Edison, invece, ha eccepito l’infondatezza del ricorso e dei successivi motivi aggiunti, nelle parti in cui tendono ad addossare la responsabilità dell’inquinamento in capo alla controinteressata, sulla scorta delle risultanze di ricerche, contestabili nell’aspetto tecnico, svolte nell’interesse di Versalis. Inoltre, non vi sarebbero ragioni per cui, in violazione di quanto previsto dalla legge e riconosciuto dalla giurisprudenza, Versalis interrompa l’intervento ambientale dalla stessa proposto e approvato con decreto ministeriale.

Il Ministero dell’Ambiente, congiuntamente con quello della Salute e dello Sviluppo economico, ha eccepito l’infondatezza del ricorso introduttivo con memoria di stile.

Solo successivamente alla notificazione del secondo ricorso per motivi aggiunti, il Ministero ha esplicato specifica difesa, eccependo, in primo luogo, l’inammissibilità dell’ultima impugnazione, in quanto rivolta avverso un atto privo di contenuto provvedimentale e di lesività, che si limiterebbe a richiamare e ribadire prescrizioni precedenti, nonché dell’impugnazione del verbale di ARPA del 28 aprile 2015, in quanto atto endoprocedimentale, privo di contenuto provvedimentale.

Nel merito, irrilevante sarebbe il fatto che la Provincia di Mantova, l’8 giugno 2015, abbia individuato come responsabile dell’inquinamento Edison s.p.a., in quanto ciò non poteva essere noto all’Amministrazione che ha ricevuto la comunicazione dell’atto così adottato lo stesso giorno in cui ha sollecitato Versalis al rispetto della conferenza decisoria del settembre 2014. In ogni caso, la ricorrente avrebbe comunque omesso di adempiere a quanto impostole in tale occasione. Obbligo legittimo, per quanto attiene al trattamento del materiale come rifiuti, sia perché, secondo la difesa erariale, l’esecuzione del test di cessione costituirebbe solo un pre-requisito, certamente necessario, ma non sufficiente a garantire l’esclusione di rischi di contaminazione delle acque sotterranee, tanto che la norma imporrebbe l’obbligo di trattamento come nel caso di bonifica, sia perché l’area in questione presenterebbe le caratteristiche di una discarica. Le indagini esperite, infatti, avrebbero evidenziato una situazione di abbandono reiterato e prolungato, all’interno dello stabilimento, di un’ingente quantità di rifiuti di tipologie differenziate, accatastati in una pluralità di cumuli con complessivo degrado dell’area. La contestazione di tali conclusioni avrebbe dovuto essere supportata dall’assolvimento dell’onere della prova della sussistenza dei requisiti per fruire del regime normativo proprio dei materiali da riporto.

Infine, secondo la difesa erariale, gli atti impugnati non avrebbero imposto alcun ordine di confinamento fisico della falda e, dunque, non sussisterebbe l’oggetto della doglianza.

In vista della pubblica udienza, la ricorrente ha ripercorso tutto l’iter della complessa vicenda avente ad oggetto l’area, a partire dalle prescrizioni di cui alla Conferenza di servizi decisoria del 25 luglio 2013.

Ha, quindi, sottolineato come la responsabilità di Versalis per l’inquinamento interessante il sito sia stata esclusa dalla provincia di Mantova con l’ordinanza prot. n. 1390/2015 dell’8 giugno 2015.

Ciò premesso, ha insistito per l’illegittimità, sia sotto il profilo della carenza del presupposto della responsabilità, che della correttezza sul piano tecnico e conformità alla norma, della prescrizione che ha imposto di precedere ad una nuova caratterizzazione del sito assumendo a riferimento le soglie di CSC

La controinteressata Edison ha, invece, ribadito quanto già dedotto nella memoria di costituzione e ulteriormente ripreso nella memoria di replica.

Alla pubblica udienza del 13 luglio 2016, la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.


DIRITTO

Deve essere preliminarmente accolta l’eccezione introdotta da INAIL e tesa ad escludere la legittimazione passiva di tale ente, atteso che dall’1 gennaio 2008 l’ISPESL, nelle cui funzioni è subentrato l’INAIL, non ha più avuto alcun ruolo, nemmeno consultivo, nell’adozione degli atti relativi alla messa in sicurezza e bonifica del Sito di interesse nazionale “Laghi di Mantova e Polo Chimico”.

Ciò premesso, con il ricorso in esame (e i successivi ricorsi per motivi aggiunti) si censura la legittimità degli atti relativi all’approvazione del progetto di bonifica presentato da Versalis e relativo all’area “B+I” del suddetto SIN, limitatamente alla fase di rimozione dei rifiuti e dei riporti misti a scarti, con cui sono state imposte, tra le undici elencate, talune prescrizioni ritenute inaccettabili dalla società proponente.

Invero, i provvedimenti impugnati con il ricorso introduttivo e con i successivi ricorsi per motivi aggiunti, si pongono in rapporto di consequenzialità e presupposizione, tant’è che le impugnazioni propongono, nella sostanza, identici motivi di illegittimità, non essendo stati rimossi, nel corso del procedimento e del suo evolversi, i vizi dedotti sin dalla proposizione del ricorso introduttivo, nemmeno alla luce dell’ulteriore documentazione prodotta nell’ambito della procedura amministrativa.

Inoltre, deve darsi conto di come esuli dalla questione dedotta nel presente giudizio l’accertamento della responsabilità dell’inquinamento. A prescindere da quanto si dirà nel prosieguo, allo stato deve ritenersi, fino alla pronuncia sui ricorsi promossi avverso le ordinanze con cui la Provincia di Mantova ha individuato in Edison la responsabile degli inquinamenti oggetto delle misure in discussione, accertata la responsabilità in capo a tale società, ma ai fini che qui rilevano, ciò risulta essere, di fatto, irrilevante, atteso che la dedotta illegittimità delle stesse non è fatta discendere da un non corretto accertamento della responsabilità stessa (e, dunque, non si basa sugli esiti delle indagini in tal senso condotte e preordinate al prosieguo dell’attività di bonifica), ma, a monte, dall’imposizione di determinate misure, preordinate alla bonifica, sulla sola scorta del titolo proprietario, a prescindere dall’individuazione del responsabile dell’inquinamento.

In ragione di ciò, la difesa della controinteressata, incentrata proprio sulla non definitività dell’accertamento della responsabilità dell’inquinamento delle aree ora di proprietà di Versalis in capo a Edison e sulla corretta individuazione degli obblighi che ne deriverebbero (anche alla luce dell’accordo transattivo già stipulato da tale società con il Ministero), non risulta incidere sulle sorti dei ricorsi in esame.

Ciò precisato, ancora in linea generale si deve, peraltro, premettere che, secondo la ricorrente, tutte le prescrizioni contestate con i ricorsi stessi comporterebbero costi incompatibili con la volontà della medesima di partecipare alla prevenzione dei rischi provenienti dall’area, ma nei ragionevoli limiti delle attività che possono essere imposte al proprietario, in quanto soggetto diverso da quello responsabile dell’inquinamento.

Al proposito si deve ricordare il principio desumibile dalle sentenze del Consiglio di Stato, Adunanza plenaria 25 settembre 2013, n. 12, nonché, Sezione VI 15 luglio 2015, n. 3544 e n. 4225 del 10 settembre 2015.

In forza di quanto previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006, recante il c.d. ‘Codice dell’ambiente’, il giudice amministrativo d’appello ha ritenuto che sia stata confermata la scelta afferente l’allocazione del titolo di responsabilità e delle conseguenze dell’inquinamento sul piano degli oneri di riparazione del danno, nel senso che la bonifica può essere imposta solo a chi abbia inquinato, optando per la responsabilità solo patrimoniale del proprietario non responsabile, salvi gli oneri relativi agli interventi di urgenza e salva la facoltà di eseguire spontaneamente gli interventi di bonifica ambientale (articolo 253 del codice dell’ambiente). Conseguentemente, il proprietario, ai sensi dell’articolo 245, comma 2, dello stesso decreto legislativo, è tenuto soltanto ad adottare le misure di prevenzione di cui all’articolo 240, comma 1, lettera 1), che le definisce come “le iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia”, mentre gli interventi di riparazione, messa in sicurezza, bonifica e ripristino gravano esclusivamente sul responsabile della contaminazione e cioè sul soggetto al quale sia imputabile, almeno sotto il profilo oggettivo, l’inquinamento (articolo 244, comma 2). Se il responsabile non sia individuabile o non provveda (e non provveda spontaneamente il proprietario del sito o altro soggetto interessato), gli interventi che risultassero necessari debbono essere adottati dalla P.A. competente (articolo 244, comma 4), che potrà recuperare quanto speso nei confronti anche del proprietario, nei limiti del valore di mercato del sito.

Peraltro, la stessa Adunanza plenaria 12/2013 ha rimesso alla Corte di Giustizia il quesito della conformità di una siffatta normativa rispetto ai principi comunitari e quest’ultima, con la sentenza 4 marzo 2015 (resa nella causa C-534/13), ha chiarito che: “la direttiva 2004/35/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale (…) la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione, non consente all’autorità competente di imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l’esecuzione di tali interventi”. Secondo la sentenza del Consiglio di Stato n. 4225/2015, tale affermazione non vale solo con riferimento alle specifiche norme applicate nella fattispecie che ha condotto alla rimessione, ma “si riferisce evidentemente a tutte le disposizioni nazionali, antecedenti o susseguenti a quelle scrutinate, che siano ispirate al medesimo criterio di riparto della responsabilità e degli oneri consequenziali tra il proprietario del sito inquinato ed il responsabile dell’inquinamento”.

In linea con tale, consolidato, orientamento giurisprudenziale, il Collegio ritiene, dunque, che nessuna misura, nemmeno di prevenzione, poteva essere imposta a Versalis, se non nei limiti della disponibilità dalla stessa manifestata in un’ottica di “Responsible Care”, con la conseguenza che ciò potrebbe essere già di per sé sufficiente a determinare l’accoglimento integrale del ricorso che, però, appare opportuno analizzare puntualmente, al fine di accertare gli specifici profili di illegittimità delle singole prescrizioni, in ragione della necessità di salvaguardare gli obblighi già spontaneamente assunti da Versalis, ma anche di indicare in modo definitivo quelli che sono i limiti che l’Amministrazione deve imporsi nell’adottare le decisioni relative al SIN in questione e che, per il futuro, non potranno che tenere in debito conto il fatto che la Provincia di Mantova ha provveduto ad individuare il responsabile degli inquinamenti, sostanzialmente per tutti i profili di inquinamento rilevati.

Tutto ciò premesso, la prima censura merita positivo apprezzamento per le stesse ragioni per cui è stata caducata la prescrizione generale della revisione degli obiettivi di bonifica assumendo a riferimento i valori di CSC, anziché di CSR (e cioè quelli risultanti dall’analisi di rischio specifica) con la sentenza con cui è stato parzialmente accolto il ricorso sub R.G. 1164/2013 (avente ad oggetto la decisione della Conferenza decisoria del 25 luglio 2013), chiamato alla presente udienza pubblica del 13 luglio 2016 e definito con separata pronuncia.

Pertanto, prescindendo dall’accertamento del soggetto responsabile, la prescrizione appare priva di adeguato supporto motivazione, in primo luogo perché lo stesso ISS, in ben due occasioni, prima e dopo l’espressione del parere posto a base della decisione contestata, ha ritenuto maggiormente rispondente agli obiettivi perseguiti l’utilizzo delle CSR emergenti dall’Analisi di rischio, potendosi, in tal modo, differenziare le situazioni sulla scorta dei livelli di concentrazione presenti nel sito e considerando anche eventuali bersagli sensibili.

L’Amministrazione, peraltro, non ha eccepito alcunché al fine di contrastare la conclusione di parte ricorrente secondo cui (sulla base del documento 37, pag. 71), “la strategia sui siti contaminati da mercurio contenuta nel trattato di Minamata è sostanzialmente basata sull’analisi di rischio e su considerazioni costi/benefici e non pare affatto supportare le modalità gestionali suggerite nel parere ISS”.

Ne consegue che l’atto di approvazione del progetto di bonifica impugnato con il ricorso introduttivo deve essere annullato nella parte in cui (punto 2 dell’art. 1), dopo aver ricordato che il superamento delle CSC evidenziato dalla caratterizzazione impone un’analisi di rischio sito specifica, ha previsto “in analogia a quanto richiesto per l’analisi di rischio generale, gli obiettivi di bonifica per il mercurio nei terreni devono essere i valori di CSC per la specifica destinazione d’uso”.

Per ogni ulteriore approfondimento si rimanda a quanto afferma questo Tribunale nella sopra richiamata sentenza, pena la violazione del principio del ne bis in idem.

Per ciò che attiene alla imposizione di prescrizioni che, erroneamente, presupporrebbero la qualificazione del materiale presente nell’area come rifiuti, anziché come materiale di riporto, appare necessario premettere che l’area B+I è svincolata dall’Analisi di rischio presentata per l’intero stabilimento e che, come desumibile dalle premesse al parere espresso da ARPA del maggio 2013 (allegato n. 1 alla Valutazione dei riporti nell’Area B + I, redatta da AECOM per conto di Versalis nel novembre 2014) il Piano oggetto di approvazione con il provvedimento impugnato ha come obiettivo la caratterizzazione in situ dei materiali presenti, preordinata alla successiva attività di rimozione rifiuti e, dunque, alla sua bonifica.

La necessità di procedere in tal senso risulta documentalmente (cfr. l’introduzione al suddetto parere) essere scaturita dal fatto che l’area corrisponde ad una vasca riempita con materiale contaminato e/o rifiuti il cui fondo non risulta mai essere stato impermeabilizzato (come desumibile dalla foto aerea del 1980 utilizzata anche dal tecnico di parte nell’elaborazione della sua nota tecnica). Nelle stesse premesse si legge, altresì, che “l’intervento proposto dalla Ditta prevede la rimozione completa dei rifiuti e la bonifica dei terreni sottostanti” e che “le attività relative alla bonifica di quest’area vengono effettuate da Syndial in accordo con Versalis”.

Ciononostante, nel ricorso si contesta il fatto che il Ministero dell’Ambiente, sulla base delle stesso parere di ARPA, abbia imposto delle prescrizioni che presuppongono proprio la qualifica dei terreni come rifiuti prima dell’effettuazione del test di cessione.

Parte ricorrente sostiene, infatti, che secondo la nozione fornita dall’art. 41, comma 3, del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 (convertito dalla legge n. 98/2013), che ha novellato le disposizioni in materia di matrici materiali di riporto introdotte dall’art. 3 del D.L. 2/2012, recante interpretazione autentica dell’art. 185 d.lgs. 152/06, è materiale di riporto la “miscela eterogenea di materiale di origine antropica, quali residui e scarti di produzione e di consumo, e di terreno, che compone un orizzonte stratigrafico specifico rispetto alle caratteristiche geologiche e stratigrafiche naturali del terreno in un determinato sito, e utilizzate per la realizzazione di riempimenti, di rilevati e di rinterri”. Originariamente la norma prevedeva che tali materiali fossero considerati come sottoprodotti, al ricorrere di determinate condizioni, mentre la novella del 2013 ha previsto, in via di interpretazione autentica dell’art. 185, comma 1, lettere b) e c), del d.lgs. n.152/2006, la sottoposizione delle matrici materiali di riporto a test di cessione effettuato sui materiali granulari ai sensi dell’art. 9 del D.M. ambiente 5 febbraio 1998, al fine di escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee. Secondo tale disposizione, sostiene Versalis, sarebbero, dunque, da escludere dalla nozione di rifiuti, ai sensi dell’art. 185, il terreno (in situ), inclusi il suolo contaminato non scavato e gli edifici collegati permanentemente al terreno, fermo restando quanto previsto dagli artt. 239 e ss. relativamente alla bonifica di siti contaminati (lettera “b”) e il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato (lettera “c”), intendendosi il riferimento al “terreno” come esteso alle matrici materiali di riporto.

In tal modo il legislatore avrebbe imposto l’effettuazione dei test di cessione per i materiali di riporto, al fine di verificare che la presenza di materiali di riporto non costituisca un rischio di contaminazione delle acque sotterranee.

La tesi di parte ricorrente appare, in linea di principio e generale, conforme alla norma, così come affermato nella sentenza del TAR Lombardia (Milano), Sez. III, n. 2638, del 14 dicembre 2015, che il Collegio ritiene di poter condividere nella parte in cui afferma che i materiali di riporto restano sottratti alla disciplina dei rifiuti se conformi ai limiti dei test di cessione, mentre, in caso contrario, tali matrici vanno qualificate come “fonti di contaminazione”, con la conseguenza che le caratteristiche qualitative del materiale utilizzato per i riempimenti debbono, in tal caso, essere verificate in relazione alla destinazione impressa all’area in questione dallo strumento urbanistico vigente. Pertanto, solo “Le matrici materiali di riporto che non siano risultate conformi ai limiti del test di cessione sono fonti di contaminazione e come tali devono essere rimosse o devono essere rese conformi ai limiti del test di cessione tramite operazioni di trattamento che rimuovano i contaminanti o devono essere sottoposte a messa in sicurezza permanente utilizzando le migliori tecniche disponibili e a costi sostenibili che consentano di utilizzare l’area secondo la destinazione urbanistica senza rischi per la salute” (così il comma 3 dell’articolo 3 del d.l. n. 2/2012, come modificato dall’art. 41, comma 3, del D.L. 69/2013).

Invero, la disposizione ha lasciato non pochi dubbi agli interpreti, dal momento che non fornisce indicazioni tecniche circa i criteri per l’identificazione dei materiali di origine antropica che costituiscono la miscela eterogenea, né i quantitativi massimi di tali materiali, né il riferimento temporale. Alcune indicazioni sono contenute nella Nota tecnica del MATTM prot. n. 13338 del 14 maggio 2015, che fissa nel 20 % il limite massimo (senza, però, specificare come calcolarlo) e stabilisce che il materiale deve essere “storico” e cioè allocato antecedentemente al DPR 915/82 ed indica i valori di riferimento con i quali confrontare le concentrazioni dell’eluato.

Nel caso di specie, però, con le censure in esame, parte ricorrente revoca in dubbio la fondatezza dei presupposti stessi del progetto di Bonifica, presentato senza dimostrare, in concreto, la sussistenza delle condizioni a tal fine necessarie.

Sul punto appare condivisibile la tesi della difesa erariale, secondo cui Versalis non ha dimostrato la natura di matrice del materiale presente, qualificato dall’Amministrazione come “rifiuti”, essendosi limitata a sostenere che “tali riporti sono stati messi in posto prima del 1989” (cfr. la memoria difensiva depositata il 10 giugno 2016, pag. 31): a prescindere dal rispetto del limite massimo, di cui parte ricorrente nulla dice, quantomeno sotto il profilo del momento “storico” l’applicabilità della disciplina invocata non appare, dunque, provata.

Peraltro, sebbene il ricorso tenda a far discendere l’illegittimità dei provvedimenti impugnati sostenendo che, comunque, le prescrizioni ivi contenute e riferite alla rimozione dei rifiuti presenti sull’area in questione non potrebbero essere imposte al mero proprietario non colpevole, in quanto qualificabili come interventi di bonifica, la doglianza risulta inconferente nella fattispecie in esame, dal momento che, al punto 4 del decreto, che contiene il riferimento ai rifiuti, non si impone alcun facere connesso alla rimozione, ma solo di dettagliare meglio il Piano di scavo dei rifiuti, con la quantificazione delle volumetrie, le modalità di stoccaggio dei rifiuti nonché dei terreni contaminati e di quelli non contaminati e le eventuali operazioni di trattamento degli stessi.

In altre parole, si tratta di specificazioni relative ad un’attività che Versalis ha accettato di svolgere presentando essa stessa il progetto di Bonifica in questione e che appaiono fondate su esigenze tecniche rispetto a cui parte ricorrente non ha provato l’illogicità e/o l’incoerenza. Ciò tanto più che essa non ha introdotto alcun principio di prova che si tratti di materiale di riporto e non anche di rifiuti abbandonati riempiendo la vasca esistente.

Le impugnative vanno, dunque, respinte, nella parte in cui tendono a far valere la qualificazione del terreno presente nell’area B+I come materiale da riporto.

Il terzo punto controverso riguarda la legittimità dell’imposizione della realizzazione di un barrieramento fisico, di cui al secondo motivo del ricorso introduttivo, che non rappresenterebbe una misura di prevenzione, ma un intervento di bonifica, in quanto tale suscettibile di essere imposto solo al responsabile dell’inquinamento e non anche al proprietario.

Sul punto va rilevato che il comma 2 dell’art. 243 del codice dell’ambiente afferma, positivamente, il principio della eccezionalità del ricorso al barrieramento fisico, che “è consentito solo nel caso in cui non sia possibile conseguire altrimenti gli obiettivi” di impedire e arrestare l’inquinamento delle acque sotterranee nei siti contaminati.

Nel caso di specie, la realizzazione di un sistema di contenimento fisico della falda sarebbe già esclusa, secondo parte ricorrente, dal fatto che precedenti provvedimenti, aventi gli stessi contenuti e gli stessi vizi, sono stati già annullati da questo Tribunale con le sentenze n. 1277 del 2007 e n. 4880 del 2010. Ciò in linea con l’orientamento che ha delineato il contenuto della formula “chi inquina paga”, nel senso sopra ricordato e l’applicazione del quale (cfr. anche la già ricordata sentenza 4 marzo 2015, resa nella causa C-534/13 dalla Corte di Giustizia Europea), non può che condurre all’accoglimento del ricorso anche sotto questo profilo e, dunque, all’annullamento della prescrizione n. 11 del punto 2 del decreto impugnato, che impone, nel caso in cui la caratterizzazione dovesse dimostrare che lo strato limo-torboso non ha adeguatamente protetto l’acquifero principale sottostante, consentendo ad alcune sostanze inquinanti di percolare verso il basso, l’infissione di palancole per il confinamento fisico.

Con il primo ricorso per motivi aggiunti, invece, si censura la legittimità della nota del Dirigente generale con cui questi si è limitato a ricordare alla Versalis che è tenuta a realizzare gli interventi di cui al progetto presentato approvato dalla Conferenza di servizi decisoria del 25 luglio 2014, ottemperando le prescrizioni di cui al Decreto Direttoriale prot. 5256/TRI/DI/B del 23 settembre 2014.

Tale nota appare priva di autonoma lesività, in quanto non introduce alcun elemento di novità e non presuppone alcun nuovo accertamento. Semplicemente si limita a sollecitare l’adempimento di quanto previsto dal decreto direttoriale 5256/TRI/DI/B del 23 settembre 2014, invitando Versalis a prendere contatti con ARPA e con la Provincia di Mantova per le necessarie indicazioni tecniche.

Il ricorso è, dunque, inammissibile nella parte in cui ha ad oggetto tale comunicazione, qualificabile come atto di natura meramente confermativa, che non ha accolto, come è facoltà dell’Amministrazione, che non è tenuta a valutare quelle che sono, sostanzialmente, delle richieste di riesame in autotutela, le rimostranze di Versalis e si è limitata a richiamare la stessa al rispetto delle prescrizioni impostele.

Altrettanto inammissibile è il ricorso per motivi aggiunti avverso la nota ARPA del 9 marzo 2015, in quanto trattasi di un parere e, dunque, di un atto endoprocedimentale, divenuto lesivo per la ricorrente solo nel momento in cui il suo contenuto è stato fatto proprio dal Ministero che, anche al successivo incontro tecnico del 28 aprile 2015, preso atto che tutti gli enti locali concordavano sulla qualificazione dell’area come “discarica di rifiuti”, ha ritenuto non condivisibili le modalità di campionamento proposte dagli stessi (ritenendo il test di cessione insufficiente a garantire l’esclusione di rischi di contaminazione) e ribadito la necessità del rispetto degli oneri già imposti in sede di approvazione del progetto con Decreto Direttoriale prot. n. 5256/TRI/DI/B del 23 settembre 2014.

Invero, per quanto attiene ancora a detto parere, nella relazione accompagnatoria al piano di caratterizzazione presentato da Versalis si legge che la caratterizzazione è stata effettuata con indagini di approfondimento preliminari con maglia 15×15 m, nel rispetto dei disposti normativi introdotti dalla legge n. 98/2013, al fine di definire in dettaglio le aree di intervento e i materiali da rimuovere e specificando che i materiali effettivamente da rimuovere e gestire come rifiuti sarebbero stati caratterizzati in situ ai fini della corretta attribuzione dei codici CER, delle classi di rischio e della definizione di un piano di gestione degli stessi (smaltimento/recupero/trattamento).

Nell’ambito della riunione tecnica del 2 dicembre 2014, le Amministrazioni presenti hanno preso atto della volontà di procedere alla caratterizzazione con maglia 15×15 m, per acquisire quante più informazioni possibili sullo stato ambientale dei luoghi e Versalis ha, quindi, provveduto a redigere il piano secondo tali indicazioni, subordinando l’avvio dei lavori per la caratterizzazione all’individuazione delle modalità di esecuzione, che non è stato possibile definire nella suddetta riunione.

Di qui la nota del 27 gennaio 2015 con cui si è chiesto ad ARPA e alla Provincia di Mantova di fornire tutte le indicazioni tecniche necessarie per la corretta esecuzione dell’attività (e cioè l’atto non lesivo rispetto a cui si è ravvisata l’inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti) e, quindi, il parere 9 marzo 2015.

Quest’ultimo è stato formulato tenendo conto che il Comune di Mantova, con nota prot. n. 4662 del 2 febbraio 2015, ha comunicato che “sembra pertanto non potersi accogliere l’applicazione della normativa relativa ai materiali di riporto” e che il Ministero dell’Ambiente, su richiesta di ISPRA, ha chiarito che gli artt. 4 e 3 della legge 98/2013 devono ritenersi applicabili unicamente ai riporti storici, ovvero formatisi a seguito di conferimenti avvenuti antecedentemente all’entrata in vigore del DPR 10 settembre 1982, n. 915. Condividendo tali conclusioni, tenuto conto che, nel caso di specie, i materiali in questione sono da considerarsi rifiuti interrati in una discarica non autorizzata, realizzata posteriormente al 1982 e che costituiscono una sorgente di contaminazione per la falda, ARPA ha ritenuto di imporre modalità tecnico- operative simili a quelle utilizzate per la caratterizzazione in situ dell’Area collina e descritte nel piano presentato da Syntial e ha previsto la possibilità di utilizzare le celle non contaminate per la ricopertura degli scavi solo previo prelievo di campioni anche come “terreno” per verificare il rispetto delle CSC per la specifica destinazione d’uso dei suoli imponendo, a scopo cautelativo, anche il test di cessione per verificare che non sussistano pericoli di contaminazione della falda acquifera sotterranea.

Nel corso del successivo incontro tecnico del 28 aprile 2015 (presenti ARPA, Comune di Mantova e ASL di Mantova, assente Versalis), avvenuto in ottemperanza alla prescrizione del decreto direttoriale 5256/TRI/DI/B del 23 settembre 2014, secondo cui la caratterizzazione doveva essere concordata con gli enti locali, è stata valutata la proposta di Versalis come sopra riportata, ma si è ritenuto che essa fosse insufficiente, dal momento che l’area B+I è qualificata come discarica, a causa della natura estremamente eterogenea dei rifiuti depositati e del volume di ogni cella (circa 337 metri cubi). Pertanto, si è imposto:

1. l’esecuzione, per ognuno dei 90 lotti di 15×15 metri, di 5 sondaggi, uno centrale e quattro laterali, che, se eseguiti ai vertici di ogni lotto possono essere considerati rappresentativi anche per i lotti contigui;

2. per ogni singola cella, il prelievo:

a) di 1 campione, costituito dal contributo di 5 incrementi omogeneizzati, da esaminare come “terreno” ai sensi del titolo V, parte IV del d. lgs. 152/2006 per la ricerca dei composti non volatili;

b) di 5 campioni da esaminare come “terreno” ai sensi del titolo V, parte IV del d. lgs. 152/2006 per la ricerca dei composti volatili. Qualora anche uno solo dei campioni puntuali prelevati presentasse un superamento dei limiti di legge l’intera “cella” verrà identificata come costituita da “rifiuto” e come tale il materiale dovrà essere campionato;

c) nel caso di conformità alle CSC, si è ritenuto auspicabile che, in analogia a quanto richiesto in altre aree dello stabilimento venisse effettuato anche il test di cessione ai sensi del DM 5/2/98, sebbene non specifico per i terreni.

Il Ministero, però, è andato oltre la soluzione individuata dagli enti locali e, nella nota 17 giugno 2015, ha affermato di non condividere “le modalità di campionamento proposte dagli Enti locali in quanto essendo l’area B+I definita un’area di discarica i materiali devono essere gestiti e caratterizzati secondo la normativa vigente in materia di rifiuti”. Lo stesso ha anche precisato che, nel caso di presenza di riporti (caso non applicabile per l’area B+I definita area di discarica), l’esecuzione del test di cessione di cui all’art. 41 comma 3 della legge n. 98/2013 costituisce un pre-requisito necessario ma non sufficiente a garantire l’esclusione di rischi di contaminazione delle acque sotterranee. La norma stessa, infatti, prevede, secondo la lettura datane dal Ministero, che i materiali “ove conformi ai limiti del test di cessione devono rispettare quanto previsto dalla legislazione vigente in materia di bonifica dei siti contaminati”.

È chiaro che tale nota rappresenta un provvedimento, autonomamente lesivo, in quanto, ancorché richiami all’ottemperanza del decreto direttoriale prot. 5256 del 2014, in realtà ne reitera le prescrizioni dopo una pluralità di confronti intervenuti per la definizione delle modalità operative della loro applicazione, adottandone un’interpretazione ancora più restrittiva di quella proposta dagli Enti locali operando una mediazione con l’interpretazione proposta da Versalis.

Non merita, dunque, positivo apprezzamento l’eccezione della difesa erariale tesa alla declaratoria di inammissibilità anche della parte del secondo ricorso per motivi aggiunti avente ad oggetto la nota del Ministero del 17 giugno 2015.

Invero, lo stesso decreto direttoriale ora citato imponeva il risanamento dell’area ai sensi dell’art. 242 del d. lgs. 152/2006, in conformità alle conclusioni della Conferenza di servizi decisoria, la quale aveva previsto che i riporti misti a scarti, dove presenti e individuabili, fossero rimossi (in quanto sorgenti primarie di contaminazione).

La tesi di parte ricorrente non può, dunque, trovare positivo apprezzamento nella parte in cui tende a dimostrare che la qualificazione del sito come discarica sarebbe fatto del tutto nuovo e non avrebbe formato oggetto di alcuna conferenza di servizi decisoria.

A contraria conclusione deve giungersi, invece, con riferimento a quanto sostenuto da Versalis, in ordine al fatto che la decisione della conferenza di servizi del 2014 sarebbe stata violata dal Ministero. In tale occasione, infatti, si era imposto a Versalis di individuare le modalità tecniche della caratterizzazione mediante confronto e accordo con gli enti locali coinvolti e ciò è in concreto avvenuto. Con l’ultima nota impugnata, però, il Ministero ha superato il modus procedendi per step individuato da questi ultimi, imponendo modalità di caratterizzazione completamente diverse e molto più onerose, senza fornire alcuna specifica motivazione tecnica di tale scelta.

In tal modo il Ministero, senza considerare che Versalis è stata ritenuta non responsabile dell’inquinamento presente nel sito, ha ad essa imposto oneri di bonifica che vanno al di là dell’ordinaria predisposizione del progetto di bonifica cui Versalis si è assoggettata e non possono che essere fatti gravare su chi l’inquinamento lo ha causato.

Ne deriva l’accoglimento, in tale parte, del secondo ricorso per motivi aggiunti. Sebbene, infatti, Versalis abbia, di fatto, prestato acquiescenza rispetto alla classificazione come discarica sin dall’accettazione della predisposizione del progetto di bonifica e tale classificazione parrebbe confermata dall’ordinanza della Provincia del 5 giugno 2015 – nella quale si legge che, dopo la rinuncia, nel 1982, di Montepolimeri alla richiesta di un’autorizzazione alla discarica di rifiuti speciali, nel 1990 sono state individuate zone per le quali si ha notizia di smaltimenti abusivi (potenziali e/o supposti) di origine industriale non ben definiti, comunque qualificate come depositi di vecchia data con elevato potenziale di rischio, tanto che si è ritenuto opportuno non realizzare il nuovo impianto biologico nella zona “B” -, l’imposizione delle più stringenti misure avrebbe dovuto formare oggetto di una nuova conferenza di servizi finalizzata all’individuazione delle nuove e più severe prescrizioni volute dal Ministero, previo giudizio di inadeguatezza del procedimento per gradi proposto dagli enti locali e verifica dell’imputabilità degli ulteriori oneri ad un soggetto non responsabile dell’inquinamento.

Le spese del giudizio possono trovare compensazione tra le parti in causa, attesa la complessità e la natura prettamente interpretativa delle questioni dedotte.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

– estromette INAIL dal giudizio;

– accoglie in parte il ricorso introduttivo e per l’effetto annulla le prescrizioni n. 2 e n. 11 del punto 1 del decreto direttoriale prot. 5256/TRI/DI/B, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti che l’Amministrazione intenderà adottare;

– respinge il ricorso introduttivo nella parte in cui censura la prescrizione di cui al punto 4 del decreto stesso;

– dichiara inammissibile il primo ricorso per motivi aggiunti;

– dichiara inammissibile il secondo ricorso per motivi aggiunti, nella parte in cui ha ad oggetto il parere ARPA del 9 marzo 2015;

– accoglie lo stesso secondo ricorso per motivi aggiunti, nella parte restante, e per l’effetto annulla gli atti con esso impugnato, escluso il suddetto parere ARPA e fatti salvi gli ulteriori provvedimenti che l’Amministrazione intenderà adottare;

– compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Calderoni, Presidente
Roberto Valenti, Consigliere
Mara Bertagnolli, Consigliere, Estensore
        
L’ESTENSORE
Mara Bertagnolli
 

IL PRESIDENTE
Giorgio Calderoni

 

IL SEGRETARIO

 

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