* RIFIUTI – Discarica – Piano di sorveglianza e controllo – Art. 5, all. 2 del d.lgs. n. 36/2003 – Obiettivi – Adattamento a situazioni di fatto sopravvenute – Progetto di discarica per rifiuti inerti – Art. 208 d.lgs. n. 152/2006 – Variante non sostanziale – Convocazione della conferenza di servizi – Facoltà.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Lombardia
Città: Brescia
Data di pubblicazione: 7 Aprile 2016
Numero: 507
Data di udienza: 23 Marzo 2016
Presidente: Calderoni
Estensore: Bertagnolli
Premassima
* RIFIUTI – Discarica – Piano di sorveglianza e controllo – Art. 5, all. 2 del d.lgs. n. 36/2003 – Obiettivi – Adattamento a situazioni di fatto sopravvenute – Progetto di discarica per rifiuti inerti – Art. 208 d.lgs. n. 152/2006 – Variante non sostanziale – Convocazione della conferenza di servizi – Facoltà.
Massima
TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. 1^ – 7 aprile 2016, n. 507
RIFIUTI – Discarica – Piano di sorveglianza e controllo – Art. 5, all. 2 del d.lgs. n. 36/2003 – Obiettivi – Adattamento a situazioni di fatto sopravvenute.
Il piano di sorveglianza e controllo è descritto dall’art. 5 dell’allegato 2 del d. lgs. 36/2003, come “un documento unitario comprendente le fasi di realizzazione, gestione e post-chiusura, relativo a tutti i fattori ambientali da controllare, i parametri ed i sistemi unificati di prelevamento, trasporto e misura dei campioni, le frequenze di misura ed i sistemi di restituzione dei dati”. Esso è, dunque, finalizzato a garantire che: a) tutte le sezioni impiantistiche assolvano alle funzioni per le quali sono progettate in tutte le condizioni operative previste; b) vengano adottati tutti gli accorgimenti per ridurre i rischi per l’ambiente ed i disagi per la popolazione; c) venga assicurato un tempestivo intervento in caso di imprevisti; d) venga garantito l’addestramento costante del personale impiegato nella gestione; e) venga garantito l’accesso ai principali dati di funzionamento nonché ai risultati delle campagne di monitoraggio. Data la natura e la prospettiva anche futura che caratterizza il Piano in questione, è buona norma e si pone, dunque, come razionalmente logico – considerata la sua lunga durata nel tempo – che lo stesso debba essere adattato ad eventuali modificazioni della situazione di fatto o emergenze di dati non precedentemente conosciuti e che possa, dunque, ritenersi sussistere una sorta di obbligo di revisione finalizzato a verificare l’adeguatezza e l’efficienza delle misure adottate e il grado di attuazione della politica e degli obiettivi.
Pres. Calderoni, Est. Bertagnolli – Comune di Cazzago San Martino (avv. Bini) e Comune di Travagliatoe altri (avv.ti Randazzo e Nordio) c. Regione Lombardia (avv. Cederle) e Provincia di Brescia (avv.ti Poli, Donati e Rizzardi)
RIFIUTI – Progetto di discarica per rifiuti inerti – Art. 208 d.lgs. n. 152/2006 – Variante non sostanziale – Convocazione della conferenza di servizi – Facoltà.
Ai sensi dell’art. 208 del d. lgs. 152/2006, quando la variante di un progetto per la realizzazione di una discarica per rifiuti inerti rientri tra quelle di contenuto non sostanziale (non essendo riconducibile ad alcuna delle modifiche indicate dalla DDG regione Lombardia 25 luglio 2011, n. 6907 come sostanziali), il ricorso alla Conferenza di servizi è escluso. È prevista dal terzo comma dell’art. 208 solo la facoltà della Provincia di convocare tale consesso per l’acquisizione di “pareri, osservazioni e informazioni”, senza la prescrizione di alcuna formalità.
Pres. Calderoni, Est. Bertagnolli – Comune di Cazzago San Martino (avv. Bini) e Comune di Travagliatoe altri (avv.ti Randazzo e Nordio) c. Regione Lombardia (avv. Cederle) e Provincia di Brescia (avv.ti Poli, Donati e Rizzardi)
Allegato
Titolo Completo
TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. 1^ – 7 aprile 2016, n. 507SENTENZA
TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. 1^ – 7 aprile 2016, n. 507
N. 00507/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00716/2012 REG.RIC.
N. 00985/2013 REG.RIC.
N. 01043/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 716 del 2012, proposto da:
Comune di Cazzago San Martino, rappresentato e difeso dall’avv. Maria Ughetta Bini, con domicilio eletto in Brescia presso lo studio della stessa, Via Ferramola, 14;
Comune di Travagliato, Comune di Berlingo e Comune di Rovato, rappresentati e difesi dagli avv.ti Federico Randazzo e Luisa Nordio, con domicilio eletto in Brescia presso lo studio di quest’ultima, Via Battaglie, 50;
contro
Regione Lombardia, rappresentata e difesa dall’avv. Marco Cederle, con domicilio eletto in Brescia presso lo studio dell’avv. Donatella Mento, Via Cipro, 30;
Provincia di Brescia, rappresentata e difesa per legge dagli avv.ti Magda Poli, Gisella Donati e Raffaella Rizzardi, domiciliata in Brescia, p.za Paolo VI, 29;
nei confronti di
D.R.R. Srl – Divisione Rifiuti e Riciclati, rappresentata e difesa dall’avv. Ezio Bernardo Cividini, con domicilio eletto in Brescia presso lo studio dello stesso, Via Saffi, 5;
sul ricorso numero di registro generale 985 del 2013, proposto da:
Comune di Berlingo, Comune di Travagliato, Comune di Rovato, rappresentati e difesi dagli avv.ti Federico Randazzo e Luisa Nordio, con domicilio eletto in Brescia presso lo studio di quest’ultima, Via Battaglie, 50;
contro
Provincia di Brescia, rappresentata e difesa dagli avv.ti Magda Poli, Raffaella Rizzardi e Gisella Donati, con domicilio eletto in Brescia, p.za Paolo Vi;
Regione Lombardia, non costituita in giudizio;
nei confronti di
D.R.R. S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti Pietro Ferraris, Enzo Robaldo e Gianluca Barbieri, con domicilio eletto in Brescia presso lo studio dell’avv. Francesco Noschese, Via Spalto San Marco, 1/A;
Comune di Cazzago San Martino, Asl 302 – A.S.L. della Provincia di Brescia, Consorzio di Bonifica Oglio-Mella – Distretto Sinistra Oglio, Azienda Regionale per la Protezione dell’Ambiente – Brescia, Cave San Polo Srl, in Liquidazione, tutti non costituiti in giudizio;
e con l’intervento di
ad adiuvandum:
Legambiente Onlus, rappresentata e difesa dall’avv. Pietro Garbarino, con domicilio eletto in Brescia presso lo studio dello stesso, Via Malta, 3;
sul ricorso numero di registro generale 1043 del 2013, proposto da:
Comune di Cazzago San Martino, rappresentato e difeso dall’avv. Maria Ughetta Bini, con domicilio eletto in Brescia presso lo studio della stessa, Via Ferramola, 14;
contro
Provincia di Brescia, rappresentata e difesa dagli avv.ti Gisella Donati, Raffaella Rizzardi, con domicilio eletto in Brescia presso Magda Poli, p.za Paolo VI;
nei confronti di
D.R.R. S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti Pietro Ferraris, Enzo Robaldo e Gianluca Barbieri, con domicilio eletto in Brescia presso lo studio dell’avv. Francesco Noschese, Via Spalto San Marco, 1/A;
Cave San Polo Srl, Comune di Rovato, Comune di Travagliato, Comune di Berlingo, Consorzio di Bonifica Oglio Mella, Comprensorio 6, Regione Lombardia, Regione Lombardia, Asl 302 – A.S.L. della Provincia di Brescia, Arpa – Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente Dipartimento di Brescia, Legambiente Onlus, tutti non costituiti in giudizio;
quanto al ricorso R.G. n. 716/2012:
– del provvedimento 3 aprile 2012, n. 2915, pubblicato in data 12 aprile 2012 sul Bollettino ufficiale della Regione Lombardia – BUR, con il quale il Dirigente della Unità operativa sviluppo sostenibile e valutazioni ambientali della Regione Lombardia ha espresso giudizio positivo con prescrizioni in ordine alla compatibilità ambientale del progetto per la realizzazione di una discarica per rifiuti inerti da realizzarsi nel Comune di Cazzago San Martino, presentato da D.R.R. S.r.l. – Divisione Rifiuti e Riciclati;
– di ogni altro atto ad esso preordinato, conseguente ovvero connesso, e in particolare:
— del parere Gruppo di lavoro interassessorile – GLIA della Provincia di Brescia 14 ottobre 2011, n. 3507;
quanto al ricorso R.G. n. 985/2013:
nel ricorso introduttivo:
– del provvedimento 10 luglio 2013 n. 2837, pubblicato all’albo pretorio dal 15 luglio 2013 e comunicato ai Comuni di Berlingo, Travagliato e Rovato in data 28 ottobre 2013 e al Comune di Cazzago San Martino in data 23 ottobre 2013, con il quale il Direttore del Settore ambiente della Provincia di Brescia ha approvato, con autorizzazione contestuale alla realizzazione e gestione, il progetto di cui sopra, precisato come concernente una discarica di rifiuti inerti (operazione di smaltimento D1) e di deposito preliminare (operazione di smaltimento D2) di rifiuti inerti e di rifiuti speciali non pericolosi nell’insediamento ubicato nel Comune di Cazzago San Martino, località Macogna, presentato da D.R.R. S.r.l. – Divisione Rifiuti e Riciclati;
– di ogni altro atto ad esso preordinato, conseguente ovvero connesso, e in particolare:
della conferenza di servizi 5 aprile 2013;
– del decreto regionale 2 aprile 2012, n. 2915;
– del parere GLIA del 14 ottobre 2011;
nel primo ricorso per motivi aggiunti:
– degli stessi provvedimenti, per diverse motivazioni dovute all’emergere di nuovi dati di riferimento rispetto al sito;
nel secondo ricorso per motivi aggiunti:
– del provvedimento 10 ottobre 2014, n. 6143, comunicato al Comune di Cazzago in data 10 ottobre 2014 e conosciuto dai Comuni di Berlingo, Travagliato e Rovato in data imprecisata, con il quale il Direttore del Settore ambiente della Provincia di Brescia ha modificato l’autorizzazione all’esercizio della discarica già rilasciata alla D.R.R. S.r.l. nel senso di demandare alla autorizzata il rifacimento del manto stradale nel tratto di via dei Caduti compreso fra la strada di accesso alla discarica e la rotatoria di intersezione con la SP18 e di consentire, ciò fatto, un parziale avvio dell’attività di conferimento rifiuti;
– di ogni atto preordinato, conseguente ovvero connesso, e in particolare, del verbale 22 settembre 2014 della Conferenza di servizi;
quanto al ricorso R.G. n. 1043/2013:
nel ricorso introduttivo:
– del provvedimento del Dirigente del Settore Ambiente della Provincia di Brescia del 10 luglio 2013 n. 2837, pubblicato all’albo pretorio dal 15 luglio 2013 e comunicato al Comune di Cazzago San Martino in data 23 ottobre 2013, relativo all’approvazione del progetto di realizzazione e gestione della discarica in questione;
– di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale e, in particolare, del verbale della conferenza di servizi conclusiva del 5 aprile 2013;
nel ricorso per motivi aggiunti:
– del provvedimento 10 ottobre 2014, n. 6143, comunicato al Comune di Cazzago in data 10 ottobre 2014, con il quale il Direttore del Settore ambiente della Provincia di Brescia ha modificato l’autorizzazione all’esercizio della discarica già rilasciata alla D.R.R. S.r.l.
– dei verbali delle Conferenze di servizi del 24 luglio 2014 e del 22 settembre 2014;
– della conforme proposta di provvedimento;
– del parere di regolarità tecnica.
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lombardia, della Provincia di Brescia e della D.R.R. Srl – Divisione Rifiuti e Riciclati s.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 marzo 2016 la dott.ssa Mara Bertagnolli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
A) Con i ricorsi in esame, i Comuni di Cazzago San Martino, Travagliato, Berlingo e Rovato insorgono, in sintesi estrema, contro la realizzazione, da parte della D.R.R. – Divisione Rifiuti e Riciclati S.r.l., odierna controinteressata, di una discarica per rifiuti inerti, sita in Comune di Cazzago San Martino (di seguito anche solo Cazzago S.M.), ma asseritamente interessante anche il territorio degli altri tre Comuni predetti.
L’intervento prevede il riempimento con i rifiuti di che trattasi – per circa un milione e trecentocinquanta mila metri cubi – di un’area pari a circa centomila metri quadri, in parte già scavata per estrarne ghiaia con una precedente attività di cava.
L’area interessata è rappresentata da un approssimativo quadrilatero, delimitato a nord dal tracciato dell’autostrada BreBeMi, a est dalla Strada provinciale 19 fino all’incrocio con la Strada provinciale 18, a sud da quest’ultima sino alla rotatoria di unione con la Strada provinciale 51 e ad ovest da quest’ultima, fino al suo intersecarsi con la BreBeMi; per la precisione, i terreni interessati si situano in fregio alla SP 51, denominata per un tratto “via Caduti”, sono distinti al catasto del Comune di Cazzago al foglio 38 mappali 41, 49, 50, 51 e 61 e si collocano a un chilometro circa a nord della frazione di Berlinghetto di Berlingo e 1,5 chilometri a sud est dalla frazione Duomo di Rovato.
Data tale situazione di fatto, la legittimazione processuale dei Comuni ricorrenti risulterebbe giustificata da varie circostanze: in primo luogo, l’intervento si situerebbe all’interno di un Parco locale di interesse sovracomunale – PLIS, la cui istituzione è stata programmata e voluta dalle amministrazioni ricorrenti. Esso, inoltre, genererebbe un traffico veicolare aggiuntivo sulla rete viaria dei Comuni di Berlingo, Rovato e Travagliato, si situerebbe a poche centinaia di metri dall’unico pozzo che alimenta l’acquedotto di Berlingo, e asseritamente sull’area di ricarica di esso, nonché sul territorio di Cazzago.
B) Ciò posto, i Comuni sopra citati hanno, con ricorso rubricato sub R.G. 716/2012 impugnato anzitutto il decreto regionale di positiva valutazione impatto ambientale – VIA. Tale ricorso risulta articolato in sei censure, sostanzialmente riassumibili nei seguenti quattro motivi di illegittimità:
B1. con il primo motivo, corrispondente alla prima parte della seconda censura, a p. 17 dell’atto, si deduce la violazione degli artt. 11, 13, 14 e 15 della l. r. Lombardia 8 agosto 1998 n. 14, che, come è noto, disciplina l’attività di cava nella Regione. In base a tale legge e in base al Piano provinciale delle attività di cava, che ricomprende l’area in questione, nell’Ambito territoriale estrattivo ghiaia – ATEg14, il ritombamento dell’area con rifiuti all’esaurirsi dell’attività estrattiva non sarebbe stato previsto, e quindi, risulterebbe asseritamente vietato. A torto poi la Regione, nel provvedimento impugnato, avrebbe ritenuto la non vigenza del Piano cave citato: lo stesso, annullato con sentenza di primo grado TAR Lombardia Brescia sez. II 14 gennaio 2010 n. 17, sarebbe, invece, efficace per effetto della sentenza di appello C.d.S. sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6697, che ha respinto l’originario ricorso, riformando la decisione di primo grado citata;
B2. con il secondo motivo, corrispondente alla seconda parte della seconda censura, alle pp. 18-22 dell’atto, si deduce la violazione dell’art. 16, o, meglio, 20, del Piano delle regole del Comune di Cazzago, che subordinerebbe gli interventi in area soggetta alla disciplina del PLIS (e, sino alla sua istituzione) ad un Piano attuativo di interesse sovracomunale;
B3. con il terzo motivo, corrispondente alle censure terza e quarta, alle pp. 22 e 23 dell’atto, si deduce eccesso di potere per presunta contraddittorietà con pregresse scelte dell’amministrazione, allegando che la Provincia (con decreto 30 dicembre 2009 n. 4685, asseritamente non impugnato) e la Regione (con decreto 24 novembre 2010 n. 11946, pure asseritamente non impugnato) avevano negato alla DRR i titoli autorizzativi necessari a realizzare una identica discarica nel sito;
B4. con il quarto motivo, corrispondente alle censure prima, quinta e sesta dell’atto, si deduce, infine, ulteriore eccesso di potere per contraddittorietà intrinseca dell’atto impugnato, anche nella parte in cui recepisce il parere del GLIA, pure citato in epigrafe. In particolare, i ricorrenti allegano che il positivo giudizio di VIA non sarebbe adeguatamente motivato, non avendo tenuto conto di una serie di “criticità”, pure asseritamente da loro sollevate in corso di istruttoria, e concernenti la situazione della viabilità, il rapporto con la prossima realizzazione della BreBeMi e della ferrovia ad alta velocità, con le attività estrattive già in corso, con la “provenienza e reperibilità dei rifiuti”. Secondo i ricorrenti, il citato parere GLIA avrebbe erroneamente ritenuto l’inefficacia del piano cave, nei termini sopra spiegati, e la validità del pregresso consenso del Comune di Cazzago al riempimento con rifiuti dell’area.
Nel procedimento 716/2012, hanno resistito la Regione, la Provincia e la DRR., dispiegando le seguenti difese:
a) in via preliminare, la Provincia (memoria 29 aprile 2014 p. 6) ha chiesto che il ricorso fosse dichiarato inammissibile, in quanto proposto collettivamente da una pluralità di soggetti, mentre uno solo di essi dovrebbe ritenersi legittimato e cioè il Comune di Cazzago S.M., nel cui territorio l’intervento è destinato ad essere realizzato;
b) nel merito, Provincia e Regione ne hanno chiesto la reiezione, sottolineando, in ordine al primo motivo, che la normativa sulle cave non prevede, ma non proibisce, il riempimento con rifiuti delle cave esaurite (cfr. memoria della Provincia 29 aprile 2014, in particolare punto 13 dal paragrafo secondo e memoria della Regione 30 aprile 2014 p. 5);
c) inoltre, non essendo ancora stato adottato, nel 2012, il PLIS, lo stesso non avrebbe potuto essere assunto a riferimento, mentre i pregressi provvedimenti di diniego riguarderebbero progetti sostanzialmente diversi, presentati in una sede impropria e cioè quella di autorizzazione all’attività di cava, nell’ambito della quale non sarebbe, effettivamente, stato possibile autorizzare il successivo recupero (cfr. le difese della Provincia e della Regione);
d) infine, le parti resistenti sostengono che la validità dello studio approvato col decreto di VIA sarebbe contestata in modo solo generico.
Con memorie 3 maggio e repliche 14 maggio 2014, i ricorrenti hanno, per parte loro, ribadito le proprie ragioni.
Parallelamente, la DRR ha proseguito nella propria attività, volta a realizzare la discarica, e ha ottenuto il provvedimento provinciale di approvazione del progetto e autorizzazione alla realizzazione e gestione.
Rispetto a tale atto i Comuni sopra menzionati hanno compiuto distinte scelte processuali.
C) I Comuni di Berlingo, Travagliato e Rovato, con ricorso rubricato al n. R.G. 985/2013, hanno impugnato il provvedimento provinciale 10 luglio 2013, n. 2837 (con il quale è stata autorizzata la gestione della discarica di inerti di cui al progetto approvato con lo stesso atto e la deliberazione della conferenza di servizi che l’ha preceduto) alla stregua di quanto già dedotto avverso il decreto VIA e il parere GLIA impugnati col ricorso 716/2012, anch’essi nuovamente impugnati con il nuovo ricorso.
Il Comune di Cazzago S.M., con ricorso rubricato al n. R.G.1043/2013, ha, a sua volta, autonomamente, impugnato il provvedimento provinciale di approvazione del progetto e di autorizzazione alla realizzazione e gestione di una discarica di inerti presso la ex cava Macogna, nonché la deliberazione della conferenza di servizi tenutasi il 5 aprile 2013, ma non anche gli atti presupposti già oggetto del primo ricorso.
D) In entrambi i ricorsi, però, oltre alla riproduzione dei vizi già rilevati in relazione agli atti presupposti, i Comuni ricorrenti hanno dedotto anche vizi propri della nuova autorizzazione.
In particolare, nel ricorso R.G. 985/2013 – dopo aver ripreso la censura correlata alla ravvisata contraddittorietà intrinseca dell’atto impugnato, di cui al quarto motivo di ricorso nel procedimento 716/2012, ancorchè con maggior attenzione al profilo del rischio di inquinamento della falda sotterranea -, con il quinto motivo, corrispondente alla già proposta settima censura, i Comuni di Berlingo, Travagliato e Rovato hanno dedotto la violazione dell’art. 14 della l. 7 agosto 1990 n. 241, nell’assunto che il provvedimento della Provincia sarebbe, dunque, viziato da violazioni procedurali commesse nell’ambito della conferenza di servizi.
In particolare, a verbale della seduta 5 aprile 2013 (doc. 5 ricorrenti in procedimento 985/2013, copia di esso) consterebberro:
– un parere favorevole del Comune di Rovato, in realtà mai espresso, per essersi l’assessore competente già allontanato dalla seduta;
– e un parere favorevole del Comune di Cazzago, in realtà da riferirsi solo alla sistemazione viaria e non alla discarica come tale, e non vi sarebbe una determinazione conclusiva.
D1. Con l’ottava censura, corrispondente al sesto motivo, essi deducono ancora eccesso di potere per contraddittorietà, ritenendo illogica la scelta di porre la sistemazione delle vie di accesso alla discarica a carico della DRR e non dei cavatori attivi sul sito.
D.2. Il settimo ed ultimo motivo, corrispondente alla nona censura, deduce, infine, un ulteriore eccesso di potere, ritenendo la prescrizione della Provincia – che dispone l’adeguamento in due tempi delle strade di accesso – contraddittoria con il parere favorevole condizionato del Consorzio di bonifica Oglio Mella in merito alla necessaria copertura di un limitrofo corso d’acqua, detto “vaso Palino”.
Quest’ultima doglianza corrisponde anche alla seconda del ricorso sub R.G. 1043/2013, nel quale, peraltro, il Comune di Cazzago S.M. ha, in primo luogo, sostenuto l’illegittimità dell’autorizzazione alla discarica nella parte in cui è stata concessa senza tenere conto che il Consorzio avrebbe autorizzato il tombamento del vaso Palino solo ai fini di realizzarvi sopra la pista ciclabile.
Con atto depositato il 13 dicembre 2013, è intervenuta ad adiuvandum l’associazione Legambiente, riprendendo, in sostanza, le argomentazioni di cui al ricorso e chiedendone l’accoglimento.
Hanno resistito, altresì, la Provincia e la DRR.
La prima ha eccepito, in via preliminare (memoria Provincia 13 dicembre 2013 pp. 9-11), l’inammissibilità del ricorso in quanto, da un lato riprodurrebbe i contenuti del ricorso 716/2012 contro il decreto VIA, dall’altro introdurrebbe tardivamente nuovi motivi di censura contro di esso.
Nel merito entrambe le resistenti hanno chiesto il rigetto del ricorso, riproponendo, in sostanza, quanto già rappresentato nel procedimento 716/2012.
E) Con ordinanza 19 dicembre 2013 n. 1151, la Sezione disponeva istruttoria richiedendo alla Provincia una relazione specifica sugli aspetti idrogeologici del progetto (depositata poi in data 8 febbraio 2014) e rinviava, per la trattazione della domanda cautelare, alla camera di consiglio del 19 febbraio 2014, in vista della quale i ricorrenti (con memoria 15 febbraio 2014), la DRR (con memoria 15 febbraio 2014) e Legambiente (con memoria in pari data) insistevano sugli aspetti idrogeologici del progetto, i ricorrenti e l’interveniente contestando e la controparte difendendo i contenuti della citata relazione.
Alla camera di consiglio del 19 febbraio 2014, i ricorrenti hanno rinunciato poi alla domanda cautelare in favore di una sollecita trattazione del merito, preannunciando il deposito, seguito in data 21 marzo 2014, di motivi aggiunti, nei quali sono state articolate quattro censure, riconducibili ad un unico motivo di ulteriore eccesso di potere, in quanto il decreto VIA non avrebbe valutato il rischio idrogeologico dell’intero intervento. Dalla documentazione depositata dalla Provincia, infatti, sarebbe possibile dedurre una discrepanza delle quote indicate nel progetto, rispetto a quelle reali. Ne discenderebbe un grave difetto di istruttoria da parte della Provincia, che avrebbe dovuto procedere all’accertamento delle oggettive quote e a un’approfondita verifica del rischio di inquinamento del pozzo Trento.
Con memoria 30 aprile 2014, l’interveniente ha chiesto l’accoglimento anche dei motivi aggiunti, mentre vi resistevano la Provincia, nonché la DRR.
Quest’ultima ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse quanto ai Comuni di Rovato, Berlingo e Travagliato, dal momento che la discarica non ricade nel loro territorio e quanto al Comune di Cazzago per avere esso espresso parere favorevole.
Sempre in via preliminare, la DRR ha eccepito l’inammissibilità, ovvero la irricevibilità, perché tardivi, dei motivi articolati contro il decreto VIA, ulteriori rispetto a quelli già dedotti con il ricorso 716/2012 e comunque infondati nel merito.
Con memoria 3 maggio e replica 14 maggio 2014, i ricorrenti ribadivano, per parte loro, le proprie ragioni.
Parallelamente, come accennato, il Comune di Cazzago, nel ricorso rubricato al n. 1043/2013 R.G., ha dedotto contro il solo provvedimento provinciale tre censure, riconducibili ad un unico motivo di contenuto identico al motivo settimo del ricorso 985/2013 (carenza di istruttoria e difetto di motivazione, stante il contenuto del nullaosta rilasciato dal Consorzio di Bonifica e date le ragioni di interesse pubblico sottese alla riqualificazione della strada, che sarebbero compromesse, specie in termini di sicurezza, dall’esecuzione delle opere in modo parziale).
Si sono costituite la Provincia, con memoria formale 2 dicembre 2013, e la DRR, con memoria formale 14 dicembre 2013, chiedendo la reiezione del ricorso.
Con successiva memoria del 29 aprile 2014, la Provincia ha rappresentato che la DRR ha impugnato il parere negativo del Consorzio e che la modifica progettuale si è resa necessaria proprio perché, oltre al Consorzio, anche il Comune di Cazzago si è opposto alla realizzazione della strada in questione, negando il permesso di costruire.
Anche le altre parti, con memorie del 2 maggio 2014 per la DRR e 3 maggio 2014, nonché replica del 14 maggio 2014, per i ricorrenti, hanno ribadito le rispettive ragioni.
In esito alla udienza pubblica del 4 giugno 2014, originariamente fissata per la separata decisione del merito di tutti e tre i ricorsi, nn. 716/2012, 985/2013 e 1043/2013, la Sezione, con ordinanza 11 giugno 2014 n. 633, ne disponeva la riunione in quanto all’evidenza connessi. Riteneva, poi, di fare ricorso a una CTU in ordine agli aspetti geologici e ambientali del progetto, e di affidarla ad un esperto poi individuato nella prof.ssa Laura Longoni, docente di Geologia applicata presso il Politecnico di Milano – Polo territoriale di Lecco, la quale riceveva l’incarico, come da verbale di udienza 15 luglio 2014 avanti il Giudice delegato. Contestualmente, la Sezione fissava, per la decisione del merito, la seconda udienza pubblica di febbraio 2015.
Nelle more, la D.R.R., con una prima istanza dello stesso 4 giugno 2014 e con una successiva istanza subordinata del 29 settembre successivo, chiedeva alla Provincia una modifica in senso a lei più favorevole dell’autorizzazione già rilasciata, ovvero, in sintesi, che l’adeguamento della viabilità di accesso di cui si è detto fosse considerato, anziché condizione sospensiva all’inizio dell’attività, come mera prescrizione autorizzativa, allo scopo ultimo di poter avviare subito, senza attese ulteriori, almeno un parziale conferimento di rifiuti; a fronte di ciò, otteneva l’atto di modifica 10 ottobre 2014, meglio indicato in epigrafe, con il quale le è stato demandato il rifacimento del manto stradale nel tratto di via dei Caduti compreso fra la strada di accesso alla discarica e la rotatoria di intersezione con la SP18 e le è stato così consentito, il parziale conferimento di suo interesse.
F) Avverso tale autorizzazione modificativa sono insorti, ciascuno con un proprio ricorso per motivi aggiunti da un lato i Comuni di Berlingo, Travagliato e Rovato, ricorrenti nel ricorso 985/2013; dall’altro il Comune di Cazzago San Martino, ricorrente nel ricorso 1043/2013.
In particolare, i Comuni di Berlingo, Travagliato e Rovato, da una parte, e il Comune di Cazzago dall’altra, hanno articolato, ulteriori quattro motivi di ricorso.
F1. Con il primo di essi (censura quattordicesima, nel procedimento 985/2013 e terza nel procedimento 1043/2013), hanno dedotto eccesso di potere per contraddittorietà, poiché in tutti gli atti autorizzativi in senso ampio, concernenti il sito, e in quelli ancora precedenti, concernenti il progetto di gestione delle cave ancora attive sul posto, una sistemazione complessiva, e non per stralci separati, della viabilità era sempre stata considerata essenziale ai fini della sicurezza di tutti gli utenti della strada;
F.2 Con il secondo motivo (ovvero: censura quindicesima nel procedimento 985/2013 e seconda nel procedimento 1043/2013), hanno dedotto violazione dell’art. 208 del d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152, poiché nel verbale conclusivo della conferenza di servizi del 22 settembre 2014, prodromica al provvedimento, non vi sarebbero né una compiuta determinazione conclusiva, né un motivato superamento dei pareri negativi espressi dalle amministrazioni intervenute, in particolare dai Comuni stessi e dall’ASL, quantomeno con specifico riferimento alla rappresentata possibilità che la domanda si dovesse intendere come variazione sostanziale dell’autorizzazione e alla domanda subordinata della D.R.R., che s’afferma, in sostanza non istruita.
F.3. Con il terzo motivo (ovvero: censura sedicesima, nel procedimento 985/2013 e quarta nel procedimento 1043/2013) hanno dedotto, infine, ulteriore eccesso di potere per illogicità, ritenendo che autorizzare l’inizio delle operazioni di conferimento impedisse il corretto espletamento della CTU in atto e non considerasse, quindi, il rischio idrogeologico che aveva motivato il ricorso alla CTU.
Le parti, convocate in udienza avanti il Presidente del TAR, giusto decreto di questi del 30 ottobre 2014 n. 245, in data 4 novembre 2014, prendevano atto dell’impegno volontario della D.R.R. di non iniziare i conferimenti prima della camera di consiglio del 26 novembre 2014, fissata con ulteriore decreto presidenziale 5 novembre 2014 n. 254.
Di conseguenza, nel procedimento 985/2013, la Provincia si è costituita in relazione al secondo ricorso per motivi aggiunti con atto del 5 novembre 2014, in cui ne ha chiesto la reiezione.
I Comuni ricorrenti hanno meglio illustrato le loro tesi con memoria 4 novembre 2014, cui aderiva Legambiente con memoria in pari data.
Ha resistito la D.R.R., con memoria 22 novembre 2014, in cui pure ha chiesto la reiezione dei motivi aggiunti. Parallelamente, nel procedimento 1043/2013, si è costituita, allo stesso modo, la Provincia e analogamente ha resistito la D.R.R..
All’esito della predetta camera di consiglio, fissata per il 26 novembre 2014, con ordinanza 27 novembre 2014 n. 980, nei procedimenti riuniti, la Sezione ha accolto la domanda cautelare, dato l’ormai prossimo esaurirsi delle operazioni di CTU e la necessità di evitare il prodursi, nel frattempo, di esiti irreversibili.
Contestualmente sono stati ridefiniti anche i termini per le operazioni stesse e fissata, per la decisione del merito, l’udienza pubblica del 22 aprile 2015.
G) In data 28 gennaio 2015, la CTU ha depositato la propria relazione.
Argomentando dalla sostanziale assenza di rischi idrogeologici, che secondo la stessa sarebbe emersa da tale relazione, la D.R.R. ha formulato, quindi, con istanze conformi nei procedimenti 985/2013 e 1043/2013, depositate in data 9 febbraio 2015, domanda di revoca della predetta ordinanza cautelare, rappresentando il rischio di fallimento derivante dalla protratta impossibilità di avviare l’attività aziendale; si opponevano i Comuni ricorrenti e Legambiente nel procedimento 985/2013 e, con memoria 16 febbraio 2015, il Comune di Cazzago S. Martino, nel procedimento 1043/2013.
In esito alla camera di consiglio del 18 febbraio 2015, in cui è stata ampiamente udita la CTU, a chiarimento e illustrazione dell’elaborato scritto, la Sezione, con ordinanza 19 febbraio 2015 n. 250, ha revocato la precedente ordinanza 980/2014, appunto ritenendo non sussistere un rischio ambientale, anche alla luce dei miglioramenti che la D.R.R. ha spontaneamente deciso di apportare al progetto, pur ritenuto conforme alla normativa, per creare ulteriori margini di sicurezza a fronte dei suggerimenti del CTU.
Da ultimo, le parti hanno riepilogato le rispettive ragioni, precisando, quanto alla Provincia, che nessuna deroga ex art. 10, del DM 27 settembre 2010, è mai stata autorizzata, avendo, essa autorizzato solo le operazioni peritali, peraltro interrotte dal sequestro penale (né tale deroga è stata concessa successivamente, come confermato nelle successive memorie di cui si dirà infra, in attesa delle conclusioni della CTU).
All’udienza del giorno 22 aprile 2015, la Sezione ha, con ordinanza n. 605/2015, ritenuto che sussistesse la necessità di disporre un supplemento istruttorio. Dalla relazione resa in data 28 gennaio 2015 e a seguito dei chiarimenti forniti in proposito il 18 febbraio 2015, infatti, è emerso che la valutazione della situazione dei pozzi idrici esistenti in prossimità dell’impianto è stata effettuata eseguendo un sondaggio a campione, senza pretese di esaustività, perché ciò esulava dallo specifico dei quesiti affidati.
H) Risultata, in effetti, incontestata la presenza di alcuni pozzi con un uso potabile, questi, però, a detta della Provincia avrebbero attinto alla falda più profonda, separata da quella più superficiale, come sarebbe stato rappresentato dalla documentazione geologica prodotta. Secondo la Provincia, per sostenere con certezza la sussistenza del rischio di inquinamento, sarebbe stato necessario ipotizzare la comunicazione certa tra le falde, non accertata dalla consulenza geologica ed apparentemente esclusa dalla documentazione esaminata.
Dati i dubbi così sollevati e considerata anche l’ulteriore documentazione in merito, successivamente depositata dai ricorrenti e dall’interveniente, si è, dunque, ritenuto necessario un riesame dei contenuti dell’analisi di rischio ed è stato demandato al Giudice relatore di formulare ulteriori quesiti alla C.T.U..
Alla prof.ssa Longoni è stato, dunque, in data 11 maggio 2015, posto il seguente quesito: “Dica se, in base alle accertate quote di progettazione, il progetto dell’impianto si possa effettivamente dire redatto secondo buona tecnica, in particolare tenuto conto delle emergenze istruttorie in tema di pozzi idrici. Dica quant’altro utile ai fini di Giustizia.”.
I) Il 20 gennaio 2016, dopo la revisione della tempistica di cui all’ordinanza collegiale n. 1517 del 13 novembre 2015, la C.T.U. ha depositato la propria relazione, che conclude nel senso che:
a) la questione relativa alle quote di progetto utilizzate è stata definitivamente superata dopo l’espletamento della prima parte dell’istruttoria e l’adeguamento delle stesse da parte della DRR;
b) in relazione al modello idrogeologico, “i risultati ottenuti, riportati nell’allegato D, appaiono caratteristici di falde confinate. Tale prova conforta il modello ipotizzato in precedenza dalla CTU e condiviso (come evidenziato dalle ultime relazioni) da DRR.” (cosi la relazione del CTU al primo capoverso di pag. 19). Conseguentemente, “il CTU dichiara che il modello idrogeologico proposto da DRR risulta coerente con tutti i dati attualmente a disposizione”… omissis….”Alcune limitate differenze…omissis….rientrano nella variabilità connessa all’eterogeneità dei sistemi geologici e delle modalità di caratterizzazione degli stessi e non sono tali da inficiare la sostanziale rappresentatività del sistema idrogeologico descritto da DRR”;
c) al contrario, la relazione relativa all’analisi di rischio “non è stata redatta secondo buona tecnica”, in quanto non garantisce la trasparenza e ripercorribilità dell’iter procedurale seguito, alcune informazioni non sono state aggiornate, nonostante la disponibilità dei dati 2014 e le indicazioni di ARPA, le cui linee guida chiariscono che l’analisi di rischio deve essere condotta tenendo come riferimento i dati aggiornati più critici a disposizione. Le criticità evidenziate parrebbero parzialmente superate dalle controosservazioni prodotte da DRR, ma, sul punto, la CTU ha chiarito che il consulente tecnico “è chiamato a giudicare il documento ufficiale e non può pertanto sostituirsi agli Enti nella valutazione ex novo dell’analisi di rischio considerando quanto dichiarato nelle osservazioni del CTP come parte integrante del documento”;
d) la CTU, infine, ha evidenziato come anche “il sistema di monitoraggio delle acque sotterranee, da predisporre ex art. 8 del d. lgs. 36/2003 nell’ambito del Piano di Sorveglianza e controllo, non sia adeguato rispetto alle caratteristiche del sistema idrogeologico ed alle modalità di circolazione idrica sotterranea nell’area in cui la discarica è insediata” (così le conclusioni della CTU, pagg. 21/22). La relazione conclusiva, infatti, sottolinea come il monitoraggio debba essere effettuato tenendo conto della vulnerabilità idrogeologica del sito, cui si debbono sommare i possibili effetti dovuti alla presenza della discarica. Le analisi svolte dall’ASL, infatti, hanno riportato tenori elevati o eccedenti i limiti di legge per alcuni metalli (arsenico, ferro, manganese, piombo) e, più in generale (e anche maggiormente rilevante) la presenza di nitrati, seppur con valori vicini o pari al limite di potabilità, con la sola eccezione di un pozzo e senza differenza tra campioni prelevati in pozzi superficiali e campioni prelevati nel livello acquifero sottostante. Tenuto conto di ciò e, dunque, di una situazione delle acque sotterranee che presenta già criticità indipendentemente dalla discarica, il sistema di monitoraggio proposto da DRR sarebbe, secondo la CTU, da rivedere. Il piziometro a monte, infatti, risulta ubicato ad una distanza insufficiente, mentre a valle sarebbe opportuna la realizzazione di piziometri attrezzabili a punto di recupero, laddove il monitoraggio ne evidenziasse la necessità.
L) A seguito di ciò, tutte le parti, con la sola esclusione della Regione, hanno depositato memorie e repliche.
La Provincia, nel ribadire le eccezioni in rito e l’adeguatezza della valutazione delle situazioni di criticità connesse alla realizzazione della discarica, desumibili dalla lettura del decreto VIA e dalla successiva autorizzazione provinciale, ha affermato, nel ricorso sub R.G. 716/2012, di condividere le conclusioni della CTU circa l’opportunità dell’implementazione del monitoraggio. Secondo la stessa, inoltre, il supplemento istruttorio, condotto tenendo conto della vulnerabilità del sito e delle preoccupazioni sanitarie sopravvenute a ridosso dell’udienza pubblica di aprile 2015, avrebbe “confermato e ampliato la valutazione sostanzialmente favorevole del progetto di discarica autorizzato dalla Provincia, dopo aver effettuato ulteriori indagini e prove tecniche per la verifica del modello idrogeologico e aver esaminato la situazione dei pozzi presenti sul sito” (memoria depositata il 19 febbraio 2016, ultimo periodo di pag. 4 e pag. 5).
Essa ha, quindi, concluso per il rigetto di questo ricorso e, per le stesse ragioni, di quelli connessi.
Il Comune di Cazzago San Martino ha insistito per l’accoglimento del ricorso 716/2012, in quanto l’acclarata esistenza di una pluralità di pozzi privati presenti nell’area, non risultanti negli elaborati della DRR, dimostrerebbe la non veridicità degli assunti su cui questi ultimi sono stati basati e l’illegittimità dei provvedimenti conseguenti. La presenza dei pozzi avrebbe imposto indagini di campo per avere informazioni necessarie ad una puntuale ricostruzione del modello idrogeologico, che solo in parte sarebbero state acquisite con la CTU, atteso che nella relazione si legge che la certezza circa la continuità dei livelli “potrebbe essere raggiunta solo disponendo di nuove perforazioni profonde”. Quindi, gli atti impugnati non avrebbero tenuto conto che “anche i pozzi che captano la falda freatica sono elementi esposti ad un potenziale inquinamento proveniente dalla discarica” (pagg. 1 e 2 osservazioni del CTP del Comune). La criticità del sito deriverebbe, inoltre, dalla “mancanza di prove oggettive della continuità del livello che separa l’acquifero freatico superficiale da perforazioni a carotaggio continuo a profondità idonee a verificare affidabilmente spessore e natura di materiali fini di base dell’acquifero freatico superficiale”.
Infine, il Comune ha esposto di concordare in pieno sulla non conformità alla buona tecnica dell’Analisi di rischio prodotta da DRR ravvisata dalla CTU.
La DDR ha depositato una memoria, comune a tutti e tre i giudizi, nella quale, premettendo che il sito individuato per la discarica avrebbe determinato un impatto pressoché nullo e la sua realizzazione sarebbe stata osteggiata dai Comuni ricorrenti per sole ragioni politiche, ha messo in evidenza, in primo luogo, come debba ritenersi superata la questione del “franco di falda”. A parere della stessa, inoltre, la CTU avrebbe concluso per una generale conformità alla buona tecnica del progetto e della realizzazione dell’impianto.
Invero, già gli esiti della prima consulenza tecnica avrebbero consentito, dato il tenore del successivo quesito (“Dica se, in base alle accertate quote di progettazione, il progetto dell’impianto si possa effettivamente dire redatto secondo buona tecnica, in particolare tenuto conto delle emergenze istruttorie in tema di pozzi idrici. Dica quant’altro utile ai fini di Giustizia.”) di ritenere superati tutti i profili di censura, con esclusione solo del quinto motivo di ricorso e del successivo ricorso per motivi aggiunti.
Il supplemento di istruttoria, che avrebbe accertato la bontà del modello idrogeologico utilizzato da DRR, avrebbe, dunque, consentito di superare anche tali ulteriori censure.
Né tali conclusioni potrebbero essere inficiate dal fatto che, successivamente all’inizio dell’attività di gestione, a DRR è stato contestato il conferimento di rifiuti non conformi.
Sarebbero, invece, ultronee, le attività svolte dal CTU con riferimento all’analisi di rischio e al sistema di monitoraggio (o meglio alla valutazione della sua idoneità).
I Comuni di Berlingo, Travagliato e Rovato hanno, invece, dedotto dall’avvenuta modificazione delle previsioni delle quote dei bacini e dei pozzi del percolato (disposte in accoglimento di quanto osservato nella prima CTU), la conferma dell’illegittimità dell’autorizzazione, rilasciata assumendo a riferimento dei presupposti non conformi alla legge.
Inoltre, la separazione degli acquiferi superficiali dalla falda profonda attraverso un acquitard arealmente abbastanza esteso, sarebbe stata acquisita deduttivamente e con un processo di elevata approssimazione. Tali conclusioni sarebbero smentite da indicativi contrari, quali la presenza in falda profonda d’inquinanti di origine antropica (nitrati e ammoniaca). Ne discenderebbe l’assoluta irrealizzabilità del progetto, che verrebbe ragionevolmente a incidere sulla sottostante falda superficiale. Per quanto riguarda l’inadeguatezza dell’analisi di rischio già affermata dalla CTU, i ricorrenti sottolineano come l’ARPA abbia nuovamente valutato negativamente la richiesta di autorizzazione in deroga del 13 luglio 2015. Ugualmente condivise sono le conclusioni della CTU circa l’inadeguatezza del sistema di monitoraggio.
Inoltre, per quanto attiene alla possibilità del riutilizzo della cava come discarica, censurato con i motivi II, III, IV e VI, parte ricorrente richiama il precedente rappresentato dalla sentenza Cons. Stato, 263/2015 e deduce la violazione del principio secondo cui la realizzazione di una nuova discarica dovrebbe essere supportata da adeguati aspetti di pubblica utilità, mentre nelle discariche di inerti provinciali debbono essere generalmente importati rifiuti extraregione per poter rispettare il cronoprogramma di esercizio.
Infine, ribadita la violazione dei principi che regolano la conferenza di servizi (e in particolare quelli dell’art. 208 del d. lgs. 152/2006), parte ricorrente ha rappresentato come alla DRR sia stato contestato, nell’agosto del 2015, il conferimento di rifiuti non ammessi.
La DRR ha replicato alla memoria dei ricorrenti, chiarendo che la CTU ha accertato il rispetto del franco di falda minimo e che le quote sono state innalzate dalla DRR in via del tutto precauzionale rispetto alla precauzione già insita nell’adozione della distanza di 1,50 metri e non per sanare situazioni di non conformità alla legge.
Essa ha evidenziato come, nel caso di specie, gli stessi ricorrenti hanno dovuto ammettere che la CTU ha dato conto dell’esistenza di un acquitard e cioè di una barriera naturale che, nella stragrande maggioranza dei casi, non esiste nemmeno ed è sopperita da sole barriere artificiali. Sarebbe irrilevante, dunque, la mancata dimostrazione della continuità della barriera, anche in considerazione del fatto che tutti i consulenti di parte hanno concordato sull’inutilità di procedere, ai fini della causa, ad ulteriori approfondimenti mediante sondaggi (pag. 9 della relazione peritale).
I pozzi rilevati, peraltro, non sarebbero affatto limitrofi alla discarica, tant’è che non sono stati considerati, nemmeno dalla CTU, tra i possibili bersagli della valutazione di rischio, con la sola esclusione del pozzo della cascina Trecamini, considerato come bersaglio nella valutazione di rischio Montana.
La DRR ha ribadito l’estraneità alla controversia dell’analisi di rischio, peraltro preordinata ad ottenere l’autorizzazione alla deroga per il fenolo fino a due volte il limite e non anche tre.
Inoltre, il piano di monitoraggio sarebbe stato giudicato inadeguato prendendo a parametro le linee guida approvate con DGR 2461/2014 e, dunque, dopo l’adozione del provvedimento impugnato, che non può ritenersi illegittimo, perché non conforme a linee guida approvate solo successivamente. Peraltro, le necessità di adeguamento del piano sarebbero state fatte discendere dal rilevamento di una situazione di inquinamento da nitrati, evidentemente non ascrivibile a DRR, trattando, essa, di soli rifiuti inerti.
Alla pubblica udienza del 23 marzo 2016, i ricorsi, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, sono stati trattenuti in decisione.
DIRITTO
1. I tre ricorsi in esame, già riuniti con ordinanza dell’11 giugno 2014, n. 673 ed aventi ad oggetto la valutazione di impatto ambientale positiva e la conseguente approvazione, con successiva variante, del progetto relativo alla realizzazione e gestione della discarica di inerti chiamata “Cava Macogna” debbono essere rigettati per le ragioni che si andranno di seguito ad esplicitare.
In rito, deve essere preliminarmente respinta l’eccezione di carenza di interesse alla proposizione dei ricorsi in capo ai Comuni diversi da quello di Cazzago San Martino, nel cui territorio è prevista la realizzazione della discarica in questione.
L’interesse di questi ultimi discende da una pluralità di circostanze: in primo luogo, l’ambito estrattivo che comprendeva il sito di cui si controverte si estende anche al territorio del Comune di Travagliato e l’accesso alla discarica potrebbe comportare un incremento di traffico sulla viabilità comunale di competenza dei Comuni di Berlingo, Travagliato e Rovato.
Inoltre, ricadono sul territorio dei Comuni di Berlingo e Travagliato numerosi pozzi di acqua (e, in particolare, quello da cui si diparte l’acquedotto del primo dei due) che, come si vedrà nel prosieguo, in linea ipotetica potrebbero essere interessati da eventuali eventi inquinanti derivanti dalla gestione della discarica.
Anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso cumulativo va superata, atteso che vi è una presumibile e non smentita convergenza di interessi tra i suddetti Comuni che giustifica il ricorso allo stesso, il Collegio ritiene, innanzitutto, che non possa trovare accoglimento il ricorso sub RG 716/2012.
Anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso cumulativo va superata, atteso che vi è una presumibile e non smentita convergenza di interessi tra i suddetti Comuni che giustifica tale modalità di proposizione dell’azione giurisdizionale.
3. Ciò premesso, il ricorso sub RG 716/2012 non può trovare accoglimento.
3.1. Con il primo mezzo di impugnazione (corrispondente alla prima parte della seconda censura dedotta nel ricorso 716/2012 e alla identica censura di cui al ricorso 985/2013), i Comuni ricorrenti hanno sostenuto che, poichè il ritombamento dell’area con rifiuti, all’esaurirsi dell’attività estrattiva, non era previsto nel Piano cave e nei successivi atti attuativi, sarebbe oggi vietato. A torto, poi, la Regione, nel provvedimento impugnato, avrebbe ritenuto la non vigenza del Piano cave invocato dai Comuni contrari all’intervento proprio per sostenere tale tesi: lo stesso, annullato con sentenza di primo grado del TAR Lombardia Brescia, sez. II, 14 gennaio 2010, n. 17, sarebbe invece efficace per effetto della sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6697, che, accogliendo l’appello, ha respinto l’originario ricorso, riformando la decisione di primo grado citata.
Ciò corrisponde alla realtà, ma la vigenza del Piano cave (peraltro di fatto data per presupposta dalla Regione, che si è ampiamente occupata, nella deliberazione impugnata, di dare conto della compatibilità dell’obiettivo dalla stessa perseguito rispetto allo scopo finale previsto dal suddetto atto programmatorio con riferimento all’area in questione) non risulta precludere l’intervento in questione.
Invero, come si legge nella successiva approvazione del progetto di discarica del 10 luglio 2013, con riferimento al tema del recupero ambientale della cava e del PPC, è fatto richiamo a quanto già osservato dalla Provincia nel parere reso alla Regione del 14 ottobre 2011. In tale occasione, la Provincia aveva evidenziato che, sebbene il piano relativo all’ATEg14 prevedesse una destinazione finale ad uso naturalistico e/o ricreativo e a verde pubblico attrezzato, il decreto della Regione 7506/2009, avente ad oggetto la pronuncia di compatibilità ambientale sul progetto di gestione produttiva di tale ambito conteneva un giudizio favorevole in ordine alla opportunità di un riassettto complessivo a piano di campagna dell’ambito medesimo, quale soluzione per un miglior reinserimento paesaggistico dell’area intaccata dalle attività estrattive. Anche la convenzione sottoscritta dal Comune di Cazzago il 4 marzo 2003 (rep. 486), riguardante una cospicua parte dell’area dell’ambito estrattivo, si fondava su di un ampio parere positivo all’eventuale successivo riempimento dell’ambito estrattivo con materiali inerti, previa autorizzazione degli enti preposti. Lo stesso parere provinciale si esprimeva, dunque, in senso positivo rispetto alla compatibilità del progetto di discarica con la destinazione finale dell’ATEg14, prevedendo una destinazione post-gestione con fruizione da parte del pubblico, così come originariamente ipotizzata. Si è, dunque, ritenuto che il recupero a piano di campagna (anziché a fondo cava) di cui al progetto di gestione della discarica in parola non compromettesse la destinazione d’uso a carattere naturalistico e/o ricreativo e verde pubblico attrezzato individuata sia dal Piano provinciale cave, sia nel PLIS, che, dunque, è stata solo posticipata.
Escluso, dunque, che sotto il profilo del raggiungimento dello scopo finale possa esservi un contrasto con il Piano cave, va altresì considerato che l’area interessata era, all’epoca dell’adozione degli atti impugnati, destinata dal PGT del Comune di Cazzago a “D3 Aree per attività estrattive”. Contestualmente, il sito risultava idoneo alla localizzazione della discarica, in considerazione dell’allora vigente Piano provinciale di Gestione dei Rifiuti. Ciò comporta che debba ritenersi sussistere la necessaria compatibilità urbanistica, sebbene la legge 14/98 non prevedesse la possibilità di recupero delle aree cavate mediante tombatura. Tale possibilità risulta, invece, garantita dalla diversa disciplina dettata in materia di discariche (d. lgs. 36/2003), sulla scorta della quale è stata concessa la censurata autorizzazione (con conseguente irrilevanza della validità o meno del Piano cave, superato dalla pianificazione in materia di rifiuti).
In sintesi, la tombatura non risulta porsi in contrasto, né con l’obiettivo finale di recupero delle aree, né con la scheda relativa all’ATEg14, che, per sua stessa natura (riguardando la pianificazione dell’attività estrattiva), non poteva prevedere né il ritombamento, né la sua esclusione, ma imprimeva una destinazione finale che è la stessa che sarà attribuita al sito a seguito della conclusione della fase di gestione della discarica. Gli interessi pubblici ambientali e territoriali appaiono, dunque, comunque perseguiti e la valutazione di impatto ambientale, positivamente conclusa dalla Regione, presuppone l’avvenuto accertamento della compatibilità della tombatura con il loro raggiungimento. I ricorsi, del resto, non introducono alcun principio di prova che non possa essere così, con la conseguenza che deve ritenersi sussistere la compatibilità dell’opera rispetto agli strumenti urbanistici vigenti.
3.2. Con il secondo motivo, corrispondente alla seconda parte della seconda censura del ricorso 716/2012, i Comuni ricorrenti hanno dedotto la violazione dell’art. 16 (rectius 20), del Piano delle regole del Comune di Cazzago S.M., che subordinava gli interventi in area alla disciplina del PLIS, peraltro sottoscritto il 16 gennaio 2010 e presentato per il riconoscimento provinciale il 10 settembre 2010, ma che, ancora nel dicembre 2013, non aveva ottenuto il riconoscimento richiesto. Il PLIS, peraltro, si limiterebbe, laddove in vigore (circostanza che i Comuni ricorrenti non hanno dimostrato) a dare conto del fatto che la zona era interessata da plurime opere pubbliche (BREBEMI, TAV, ecc.) e dalla presenza di un ambito estrattivo, con la conseguenza che “Si tratta di un’area che necessita di una vera e propria ricostruzione ambientale” e per questo era previsto il recupero e il successivo uso pubblico: obiettivi, come già detto, comunque solo posticipati, ma non obliterati nel caso in esame. Ne discende che non può ravvisarsi un’illegittimità dei provvedimenti impugnati nel senso dedotto dai Comuni ricorrenti.
3.3. Con il terzo motivo, corrispondente alle censure terza e quarta, i ricorrenti hanno dedotto eccesso di potere per presunta contraddittorietà con pregresse scelte dell’amministrazione. La Provincia, infatti, con decreto 30 dicembre 2009 n. 4685 e la Regione, con decreto 24 novembre 2010 n. 11946, entrambi non impugnati, avrebbero negato, in sede di approvazione del piano di gestione produttiva della cava, i titoli autorizzativi necessari a realizzare analoga discarica nel sito.
Invero, la determinazione 30 dicembre 2009 prot. n. 155050, con la quale il Direttore dell’area ambiente presso il Settore ambiente, attività estrattive, rifiuti ed energia della Provincia di Brescia ha approvato il progetto dell’Ambito territoriale estrattivo ghiaia – ATE(g) n. 14 in località Macogna – Bornadina dei Comuni di Cazzago San Martino e Travagliato è stata impugnata nella parte in cui ha ammesso esclusivamente il riassetto ambientale mediante recupero a fondo cava e respinto, quindi, l’istanza della D.R.R. S.r.l. concernente il recupero a piano di campagna.
Con sentenza n. 603/2015, questo Tribunale ha dichiarato l’improcedibilità del ricorso così proposto dalla DRR, proprio in considerazione del fatto che, successivamente, sono stati adottati gli atti impugnati con il ricorso in esame e mediante i quali è stato autorizzato il progetto di discarica, in base alle norme sulla gestione dei rifiuti, con distinti provvedimenti della Regione e della Provincia.
Così correttamente ricostruito l’andamento delle vicende relative al sito in questione, non si può, altresì, trascurare che, come ben evidenziato dalla difesa provinciale e omesso dai ricorrenti, il richiamato diniego si riferisse alla realizzazione di una discarica di rifiuti speciali e fosse fondato su ragioni tecniche connesse all’ammissibilità di alcuni CER e alle specifiche modalità di realizzazione della stessa. Il nuovo progetto, avversato con i ricorsi in esame, invece, riguarda materiali inerti, ha previsto una riduzione della volumetria utile di conferimento, l’abbassamento della colma discarica a recupero ambientale ultimato, l’aggiornamento dei dati di rilievo dei livelli statici della falda, lo studio degli effetti degli impatti ambientali cumulativi derivanti dalla concomitanza delle attività di escavazione, smaltimento e delle cantierizzazioni di TAV e BREBEMI, nonché la verifica di stabilità del fronte rifiuti, delle sponde e del sistema di impermeabilizzazione, nel rispetto del DM 14.1.2008.Si tratta, dunque, di progetti completamente diversi da quelli rispetto ai quali gli enti preposti al controllo avevano adottato determinazioni di segno opposto, pienamente giustificate proprio dalle differenze più sopra evidenziate.
3.4. Con il quarto motivo, corrispondente alle censure prima, quinta e sesta alle pp. 15, 25 e 28 dell’atto introduttivo del giudizio, si deducono, infine, ulteriore eccesso di potere per contraddittorietà intrinseca dell’atto impugnato, anche nella parte in cui recepisce il parere del GLIA, pure citato in epigrafe (doc. 5 ter ricorrenti nel procedimento 716/2012). In particolare, i ricorrenti hanno allegato che il giudizio di VIA positiva non sarebbe adeguatamente motivato, perchè non avrebbe tenuto conto di una serie di “criticità” (p. 15 dell’atto, dodicesimo rigo dal basso), pure asseritamente da loro sollevate in corso di istruttoria, e concernenti la situazione della viabilità, il rapporto con la prossima realizzazione della BreBeMi e della ferrovia ad alta velocità (p. 15 dell’atto, ottavo rigo dal basso). Secondo i ricorrenti il citato parere GLIA avrebbe erroneamente ritenuto l’inefficacia del Piano cave, nei termini sopra spiegati e dato peso al pregresso consenso espresso dal Comune di Cazzago S.M. rispetto al riempimento con rifiuti dell’area.
3.4.1. Deve essere preliminarmente dato atto della sopravvenuta carenza di interesse alla decisione sulla censura, nella parte in cui ha ad oggetto la pretesa, mancata, valutazione degli effetti della presenza dei cantieri relativi alle suddette grandi opere, ormai chiusi. Dell’assenza di contrasto con il Piano cave (i cui scopi finali sono comunque perseguiti, come si dà compiutamente conto nella VIA) e dell’irrilevanza sugli atti impugnati dello stesso e del pregresso parere positivo del Comune di Cazzago S.M. (risalente al 2003 e richiamato, in buona sostanza, come fatto storico al fine di dare conto dell’assenza di un effettivo contrasto tra tombatura e messa a disposizione del pubblico previo recupero ambientale), nonché dell’assenza di contraddittorietà rispetto ad atti pregressi si è già ampiamente detto.
3.4.2. Passando, dunque, ad esaminare gli aspetti più concretamente connessi all’incidenza sull’ambiente della discarica autorizzata, anche con specifico riferimento alle attività estrattive già in corso, e al profilo della “provenienza e reperibilità dei rifiuti”, si deve dare conto di come l’impugnata deliberazione regionale risulti essere frutto (cfr. pag. 5 della stessa) di un’ampia istruttoria che ha indotto a concludere, proprio per la già ricordata compatibilità della destinazione finale con quella prevista dal Piano cave e, medio tempore, con il suo completamento, per la compatibilità ambientale dell’intervento.
Infatti, in essa si legge che, sia “per l’impatto limitato dovuto alla tipologia di rifiuti inerti, sia per la durata della gestione (max 10 anni), sia per l’uso finale dei luoghi, non pare pregiudicare la realizzazione degli interessi pubblici ambientali e territoriali calati nel piano cave” … omissis… “e anzi consente di coniugare in termini equilibrati e ragionevoli interessi pubblici e privati in gioco, quali quello al corretto smaltimento dei rifiuti, quello all’effettivo riuso delle aree degradate dall’attività estrattiva”… omissis… “quello ad un assetto morfologico del territorio che possa risultare funzionale al recupero dei valori di percezione visiva paesaggistica auspicata nel decreto di compatibilità ambientale del programma di gestione produttiva ATEg14”.
Più nello specifico, la stessa valutazione di impatto ambientale precisa, con riferimento proprio alle osservazioni formulate dai Comuni (che corrispondono alle stesse deduzioni riproposte in ricorso), che, all’esito del complesso iter istruttorio “il quadro progettuale è adeguatamente delineato relativamente alle tipologie di rifiuti in ingresso, agli impianti, alle diverse aree funzionali, alle modalità gestionali ed ai presidi ambientali”. L’impatto atmosferico sarà determinato principalmente dal traffico veicolare e dalla movimentazione di materiale inerte nella fase di apprestamento della discarica e nel conferimento, ma tendente a ridursi notevolmente nella fase di gestione, anche grazie alle numerose cautele adottate a tal fine, così che non sono state ravvisate particolari criticità.
La Regione ha, quindi, specificamente analizzato la componente suolo, sottosuolo ed acque sotterranee (l’attendibilità delle conclusioni raggiunte a tale proposito è confermata da quanto si dirà – per motivi di organicità nella trattazione – in relazione all’analisi del primo ricorso per motivi aggiunti presentato nel successivo ricorso sub R.G. 985/2013), il rumore, il traffico indotto (stimato dai 30 ai 40 mezzi/giorno, pari ad un incremento del traffico pesante del 4,2 % e dello 0,9 % del traffico totale), la componente paesaggio e gli impatti sulla salute pubblica (esclusi dalle precauzioni imposte).
Tutto ciò ha condotto a ritenere il progetto “ambientalmente compatibile, nella configurazione progettuale che emerge dagli elaborati depositati, con le prescrizioni ed alle condizioni elencate nella parte dispositiva”: giudizio, questo, la cui logicità, ragionevolezza e razionalità non risulta essere smentita alla luce di quanto dedotto negli atti impugnatori.
4. Così respinto il ricorso avente ad oggetto la positiva Valutazione di Impatto Ambientale, rilasciata dalla Regione, per tutto quanto sin qui ricordato, debbono essere respinti anche i successivi ricorsi, aventi ad oggetto il provvedimento con cui la Provincia ha autorizzato la realizzazione e gestione della discarica avversata, nella parte in cui i predetti gravami hanno riproposto le medesime doglianze già dedotte con riferimento agli atti presupposti (e cioè le censure da 1 a 6 nel ricorso R.G. 985/2013) ovvero fatto discendere l’illegittimità degli atti con questi impugnati da quella degli atti prodromici (prima censura del ricorso R.G. 1043/2013), prescindendo dall’eccezione di inammissibilità di tale parte degli stessi.
Questi ultimi, peraltro, non appaiono fondati nemmeno alla luce dei vizi propri degli atti con essi impugnati.
4.1. In particolare, nel ricorso R.G. 985/13, alla settima censura, si deduce l’illegittimità del procedimento seguito per l’approvazione del progetto della discarica.
4.1.1. In primo luogo va chiarito che, secondo i Comuni ricorrenti, l’autorizzazione impugnata si fonderebbe sull’erroneo presupposto dell’esistenza di un parere positivo espresso dal Comune di Cazzago S.M..
Invero, il Comune di Cazzago S.M. risulta aver effettivamente espresso, il 23 marzo 2013, parere favorevole al progetto di sistemazione stradale (documento 18 depositato dalla Provincia nel ricorso sub R.G. 1043/2013), per cui, a prescindere dal fatto che esso non equivalga a parere positivo sulla discarica nel suo complesso considerata, il ricorso appare, su questo punto, inammissibile, prima ancora che infondato.
4.1.2. Né può attribuirsi efficacia inficiante della legittimità dell’atto autorizzatorio al fatto che il verbale della Conferenza di servizi che ne sta alla base abbia dato erroneamente atto del parere favorevole espresso dal Comune di Berlingo. A tale proposito la Provincia ha chiarito come il verbale, regolarmente trasmesso a tutti i soggetti rappresentati nella Conferenza di servizi non è stato contestato, né, a suo tempo, impugnato, con la conseguenza che deve presumersi che lo stesso attesti la veridicità dei fatti in esso riportati.
4.1.3. Più in generale non appaiono ravvisabili nemmeno le violazioni procedurali che avrebbero inficiato la regolarità della conferenza di servizi. Premesso, a tale proposito, che i Comuni ricorrenti non hanno dimostrato concrete lesioni della normativa che ne disciplina l’attività e che, al contrario, il verbale dà puntualmente atto di tutti i passaggi compiuti e della partecipazione garantita ai Comuni stessi, il provvedimento finale risulta essere ampiamente motivato con riferimento a tutti i profili ambientali di rilievo nel caso di specie, con la conseguenza che non può ritenersi integrata la lamentata violazione della garanzia partecipativa lamentata dai Comuni.
In particolare, della correttezza delle quote di progetto si dirà a breve, esaminando gli esiti della C.T.U. che ha avuto ad oggetto anche l’accertamento delle stesse.
4.1.4. Per quanto attiene, inoltre, alla compatibilità urbanistica, appare determinante il fatto che il PGT del Comune di Berlingo (di cui si asserisce nel ricorso il mancato rispetto) non fosse stato ancora approvato nel momento dell’adozione degli atti impugnati.
In ogni caso il fatto che la via Caduti, già unico accesso all’ambito estrattivo, non sia più destinata ad un uso di cava, fa sì che lo strumento urbanistico di riferimento non sia più il Piano cave (che, peraltro, già la prevedeva come soggetta ad allargamento), da ritenersi derogato, così come previsto dalla particolare disciplina in materia di discariche, dall’approvazione del progetto di quella denominata “cava Macogna”.
4.2. Anche la seconda censura (corrispondente al motivo di ricorso 7, nonché al primo motivo di ricorso nell’R.G. 1043/2013) deve ritenersi infondata, in quanto il progetto approvato (che vede la realizzazione della viabilità articolata in due diverse fasi, la prima di messa in sicurezza, a carico dei cavatori che dovevano realizzarla già in base al piano cave e la seconda, relativa alla realizzazione di una pista ciclabile da parte della DRR) risulta aver tenuto in debito conto le osservazioni presentate dal Consorzio di Bonifica, creando l’opportuno collegamento tra le necessità della viabilità connesse alla gestione della discarica e quelle correlate a nuove autorizzazioni di cava, prevedendo successivi allargamenti e la realizzazione di piste ciclabili, nonché imponendo prescrizioni idonee a garantire le necessarie ispezioni al vaso tombato, come richiesto dal Consorzio di Bonifica nel suo parere, complessivamente favorevole, il cui rispetto dovrà essere accertato in fase di rilascio degli specifici titoli edilizi.
5. Così respinti i due ricorsi introduttivi, l’infondatezza del primo ricorso per motivi aggiunti presentato nell’ambito del ricorso 985/2013 – che prende le mosse dall’asserita illegittimità dell’approvazione del progetto della discarica discendente da una carente istruttoria, che avrebbe comportato un esercizio dell’attività in violazione dell’obbligo di motivazione, prescindendo da una più approfondita analisi dei dati relativi alle quote della falda e al conseguente rischio di inquinamento di quest’ultima – è dimostrata dagli esiti della prima consulenza tecnica, che ha evidenziato il rispetto delle quote imposte dalla legge. Consulenza disposta proprio a seguito del primo ricorso per motivi aggiunti che ha introdotto più puntuali contestazioni sulle quote di progetto e il rispetto della falda acquifera.
5.1. Tale prima consulenza tecnica d’ufficio, ha accertato, contrariamente a quanto asserito nei ricorsi, che le ultime misure effettuate dai tecnici di DRR nell’agosto 2014 sono in pieno accordo con quanto emerso dal rilievo topografico commissionato dalla CTU. Ad oggi, dunque, debbono ritenersi correttamente definite le quote di progetto e ad esse debbono riferirsi tutte le relazioni tecniche relative alla discarica in questione.
In particolare, è stato appurato il rispetto del franco falda (1,50 metri il parametro, 1,51 metri il dato più negativo rilevato nel caso di specie) anche se, la CTU ha precisato che, pur “considerato valido da entrambe le parti, risulta pertanto poco cautelativo basarsi su un franco che superi di 1 solo cm il valore definito per legge, essendo tale valore dello stesso ordine di grandezza degli errori strumentali”.
Ciò giustifica e legittima l’apprezzabile aumento del franco falda garantito dal prudenziale innalzamento delle quote da ultimo previsto da DRR, senza che esso possa significare, come vorrebbero i Comuni ricorrenti, una dimostrazione della non correttezza del progetto autorizzato.
Quest’ultimo era fin dall’inizio conforme al limite minimo previsto, il cui rispetto è ora senz’altro maggiormente garantito – così superando i timori espressi in via prudenziale dalla CTU – dall’incremento delle quote tempestivamente inserito a modifica del proprio progetto da DRR.
Alla stregua delle suddette risultanze della CTU possono, dunque, essere disattese anche le prime due censure del primo ricorso per motivi aggiunti presentato nel ricorso R.G. 985/2013.
5.2. La seconda CTU consente di esaminare quest’ultime censure anche alla luce dei differenti aspetti della sensibilità idrogeologica del sito, evidenziati in vista della precedente udienza pubblica.
Contrariamente a quanto affermato dal Comune di Cazzago San Martino, gli atti impugnati non possono essere ritenuti illegittimi in ragione del fatto che gli elaborati che hanno formato oggetto del parere positivo della Provincia sono stati predisposti senza tenere in considerazione una situazione idrogeologica caratterizzata dalla presenza di numerosi pozzi privati, di cui non si conosceva l’esistenza e da una situazione delle acque sotterranee che presenta già criticità, indipendentemente dalla discarica.Come chiarito dalla CTU nella sua relazione conclusiva, ciò non inficia la validità del modello idrogeologico predisposto da DRR, il quale “risulta coerente con tutti i dati attualmente a disposizione” (così le conclusioni della CTU a pag. 21, terzo capoverso). Appare incontestato, peraltro, che le informazioni acquisite non possono dimostrare la continuità dei livelli poco permeabili che dovrebbero garantire la protezione dell’acquifero, in assenza di nuove e più profonde perforazioni. Per tale ragione la C.T.U., chiarito che le prove di pompaggio hanno consentito di evidenziare che l’acquifero posto sotto i primi livelli poco permeabili presenta un buon grado di protezione in corrispondenza del sito della discarica (primo capoverso, pag. 3 dell’allegato H, risposte alle osservazioni), ha anche precisato che “tuttavia, per via della distanza tra i punti di cui si conosce la stratigrafia, non esiste la certezza della continuità di questi livelli” (secondo capoverso, pag. 3 dell’allegato H, risposte alle osservazioni). Proprio per questo, nella relazione finale, si è segnalata la necessità di posizionare pozzi di monitoraggio rivolti anche all’intercettazione di plumes inquinanti che possono raggiungere gli acquiferi profondi.
5.3. Di ciò dovrà tenere conto la Provincia, che ha già dichiarato di concordare con le conclusioni della CTU e che, dunque, proprio in ragione di ciò, dovrà pretendere, ex art. 8 del d. lgs. 36/2003, la predisposizione, nell’ambito del Piano di Sorveglianza e controllo, di un sistema di monitoraggio delle acque sotterranee adeguato rispetto alle caratteristiche del sistema idrogeologico ed alle modalità di circolazione idrica sotterranea nell’area in cui la discarica è insediata.
Se, infatti, il modello idrogeologico adottato a riferimento può, nel caso di specie, ritenersi conforme ai dati disponibili ed immune dai vizi dedotti, l’assenza di certezze di cui sopra giustifica l’adozione di misure che garantiscano l’immediata conoscenza di eventuali situazioni di pericolosità che dovessero presentarsi.
In ragione di tutto ciò, se è pur vero che la richiesta di autorizzazione presentata alla Provincia è stata corredata da un Piano di Sorveglianza e Controllo fondato sulla rappresentazione di una situazione idrogeologica, come già detto prima, che non teneva conto dei numerosi pozzi esistenti, l’accertamento dell’adeguatezza del modello idrogeologico anche a seguito della disponibilità dei dati successivamente acquisiti e verificati esclude una declaratoria di illegittimità dell’autorizzazione così concessa.
Ciononostante, ragioni di opportunità e di buona amministrazione impongono di richiedere, pro futuro, un’integrazione del Piano in parola, modificando il sistema di monitoraggio in modo da garantire un’adeguata rilevazione dei dati, che consenta un tempestivo intervento laddove dovessero verificarsi situazioni di criticità allo stato non prevedibili, secondo i dati disponibili, e ipoteticamente nemmeno imputabili all’attività di deposito in discarica (con conseguente necessità, laddove dovesse presentarsi l’ipotesi, di accertare le responsabilità dell’inquinamento, anche al fine di imporre le relative misure di prevenzione e rimozione del rischio).
Invero, il piano di sorveglianza e controllo è descritto dall’art. 5 dell’allegato 2 del d. lgs. 36/2003, come “un documento unitario comprendente le fasi di realizzazione, gestione e post-chiusura, relativo a tutti i fattori ambientali da controllare, i parametri ed i sistemi unificati di prelevamento, trasporto e misura dei campioni, le frequenze di misura ed i sistemi di restituzione dei dati”.
Esso è, dunque, finalizzato a garantire che:
a) tutte le sezioni impiantistiche assolvano alle funzioni per le quali sono progettate in tutte le condizioni operative previste;
b) vengano adottati tutti gli accorgimenti per ridurre i rischi per l’ambiente ed i disagi per la popolazione;
c) venga assicurato un tempestivo intervento in caso di imprevisti;
d) venga garantito l’addestramento costante del personale impiegato nella gestione;
e) venga garantito l’accesso ai principali dati di funzionamento nonché ai risultati delle campagne di monitoraggio.
Data la natura e la prospettiva anche futura che caratterizza il Piano in questione, è buona norma e si pone, dunque, come razionalmente logico – considerata la sua lunga durata nel tempo – che lo stesso debba essere adattato ad eventuali modificazioni della situazione di fatto o emergenze di dati non precedentemente conosciuti e che possa, dunque, ritenersi sussistere una sorta di obbligo di revisione finalizzato a verificare l’adeguatezza e l’efficienza delle misure adottate e il grado di attuazione della politica e degli obiettivi.
In tale ottica si può inserire la revisione del Piano di monitoraggio, che potrà essere, dunque, alla luce di quanto emerso dalla consulenza tecnica, tempestivamente richiesta dalla Provincia alla DRR, per addivenire all’aggiornamento del, pur legittimamente approvato, Piano di sorveglianza e controllo.
A nulla rileva, dunque, quanto eccepito dalla DRR in ordine all’inesistenza di una qualsiasi doglianza avente specificamente ad oggetto la carenza del piano di monitoraggio. Trattandosi di uno degli elaborati che debbono necessariamente costituire il progetto soggetto ad autorizzazione, l’indagine avente ad oggetto la conformità alla legge dell’autorizzazione concessa deve ritenersi automaticamente estesa anche a tale “parte” del progetto, la cui adeguatezza doveva ed è stata, in effetti, verificata al fine di stabilire se il progetto fosse stato redatto a regola d’arte: circostanza, per l’appunto revocata in dubbio con i ricorsi in esame.
L’esito delle verifiche effettuate, dunque, conduce ad affermare la legittimità – oltre che della VIA – dell’autorizzazione provinciale alla realizzazione e gestione della discarica, fatta salva l’opportunità, per fronteggiare ogni possibile sopravvenienza, di procedere al suddetto adeguamento dell’elaborato, che consentirà:
– di predisporre mezzi adeguati a rilevare eventuali situazioni rischiose che dovessero manifestarsi durante la “vita” della discarica e anche successivamente;
– e di rendere il Piano conforme alle linee guida approvate con la DGR 2461/2014, la cui sopravvenuta adozione sarebbe già di per sé sufficiente ad imporre l’aggiornamento delle misure di sicurezza contenute nel Piano medesimo.
5.4. Continuando a trattare della potenziale pericolosità della presenza della discarica in questione, che può ritenersi essere la vera motivazione sottesa alla resistenza dei soggetti ricorrenti rispetto agli atti autorizzatori, si ritiene necessario precisare che la stessa CTU mette in evidenza come l’area in questione presenti dei profili di criticità connessi ad una consistente presenza di metalli e, soprattutto, di nitrati, che preesistono alla realizzazione della discarica.
Sul punto, però, né le parti ricorrenti, né la CTU hanno fornito alcun principio di prova che la realizzazione della discarica potrebbe aggravare o compromettere definitivamente la situazione esistente.
Al contrario, la controintereessata ha ricordato come la discarica in questione sia destinata ad accogliere materiali inerti. Questi ultimi sono definiti come “rifiuti solidi che non subiscono alcuna trasformazione fisica, chimica o biologica significativa; i rifiuti inerti non si dissolvono, non bruciano né sono soggetti ad altre reazioni fisiche o chimiche, non sono biodegradabili” (d. lgs. 36/2003).
Ne discende che non può ritenersi sussistente un rischio di incremento dei nitrati come connesso all’attività di discarica di inerti, con la conseguenza che, anche sotto questo profilo, il ricorso non può trovare positivo apprezzamento nella parte in cui tende a collegare un tale effetto alla presenza dell’attività di gestione dei rifiuti avversata.
5.5. Per quanto attiene, invece, all’analisi di rischio, che la CTU afferma non essere stata redatta nel rispetto della buona tecnica, il Collegio ritiene di poter condividere la tesi di parte controinteressata, secondo cui ciò non può rilevare nell’ambito delle controversie in esame e con specifico riferimento alla legittimità degli atti impugnati.
L’analisi di rischio, infatti, è strumentale e necessaria a corredo della richiesta avanzata da DRR per ottenere la concessione di un’autorizzazione al conferimento in deroga ai parametri previsti dalla tabella allegata al DM 27 settembre 2010.
Gli atti censurati, invece, si pongono a monte di detta richiesta di deroga, l’iter relativo alla quale, peraltro, non risulta essere stato ancora completato.
In tale sede, dunque, la Provincia dovrà tenere conto delle criticità evidenziate e degli aspetti superati alla luce dei chiarimenti forniti dalla richiedente, ma le carenze rilevate non possono ritenersi oggi idonee ad incidere sulla legittimità degli atti di cui si controverte in questa sede.
5.6. Per tutto quanto sin qui rappresentato, non può, dunque, trovare accoglimento nemmeno il primo ricorso per motivi aggiunti di cui all’R.G. 985/2013.
6. Miglior sorte non può, però, essere riservata neanche al secondo ricorso per motivi aggiunti nell’R.G. 985/2013 e al ricorso per motivi aggiunti presentato nel ricorso RG 1043/2013.
6.1. Con essi i Comuni di Travagliato, Berlingo e Rovato da un lato (ricorso sub RG 985/2013) e quello di Cazzago S.M. dall’altro (ricorso sub R.G. 1043/2013), hanno censurato il provvedimento (prot. n. 6143 del 10 ottobre 2014), con cui il Dirigente del Settore Ambiente della Provincia di Brescia ha modificato le prescrizioni relative alla viabilità di accesso al sito di cui all’autorizzazione n. 2837/2013, su specifica richiesta in tal senso formulata dalla DRR a seguito delle difficoltà incontrate soprattutto a causa dell’atteggiamento dilatorio tenuto dai Comuni stessi, cui pure erano state richieste le necessarie autorizzazioni e l’attivazione della procedura di esproprio preordinata all’allargamento stradale.
L’autorizzazione originaria, infatti, subordinava l’avvio della gestione della discarica (o meglio del primo sottolotto) e, dunque, del conferimento dei rifiuti, all’allargamento della via Caduti in modo tale da consentire il passaggio in doppio senso di marcia dei mezzi pesanti.
Come già accennato precedentemente, l’adeguamento della viabilità avrebbe dovuto avvenire in due fasi:
– la prima di allargamento della sede stradale, a carico dei cavatori che già avrebbero dovuto realizzarlo in ragione dell’autorizzazione a cavare;
– e la seconda, relativa al percorso ciclo-pedonale, a carico della DRR.
La ditta Gatti risulta, in effetti, aver presentato ai Comuni, il progetto relativo all’allargamento stradale in parola, ma lo stesso è stato ritenuto non adeguato e respinto. Successivamente, la Provincia ha previsto, in capo ai cavatori autorizzati all’ulteriore sfruttamento dell’Ambito, tra cui la ditta Gatti, oneri alternativi alla realizzazione dell’allargamento stradale in parola, anche in ragione dell’imposizione dell’accesso alla cava da una viabilità alternativa alla via Caduti, così da rendere meno impattante il transito di mezzi pesanti sulla stessa. Per converso, la realizzazione dell’adeguamento del tracciato della via in questione è stato integralmente demandato alla DRR.
Dimostrata l’attivazione per il rispetto di tale condizione da parte della DRR e l’impossibilità di eseguire quanto richiesto a causa del parere negativo del Consorzio di Bonifica Oglio-Mella al transito dei mezzi sul tratto di canale di cui è stata prevista l’intubazione (esso potrebbe essere destinato esclusivamente al transito della prevista pista ciclabile) e dell’indisponibilità dei Comuni interessati all’attivazione della procedura espropriativa necessaria all’acquisizione dei terreni su cui realizzare l’allargamento stradale, la Provincia ha, dunque, acconsentito a subordinare l’inizio del conferimento dei rifiuti alla sola asfaltatura della strada, ancorchè con limitazioni. In sostanza, la Provincia, che già aveva ammesso il transito di venti autocarri al giorno per la realizzazione della discarica, ha esteso tale possibilità anche a tutta la fase della coltivazione del primo lotto e della successiva realizzazione del secondo. La condizione dell’allargamento stradale è stata, invece, mantenuta per l’avvio della gestione del secondo lotto della discarica.
6.2. Ciò chiarito in punto di fatto, si può superare l’eccezione di inammissibilità dei ricorsi per motivi aggiunti per carenza di interesse dei Comuni alla caducazione della variante oggetto di censura, fondata sul fatto che essi risultano essersi sempre disinteressati della sistemazione della strada in questione, il cui allargamento era già stato imposto alla ditta Gruppo Gatti s.p.a. all’atto dell’autorizzazione, a favore della stessa, della coltivazione dell’ATEg14. Il fatto che essi non si siano attivati per ottenere il tempestivo rispetto della condizione apposta alla convenzione per la coltivazione dell’ambito non può automaticamente significare che gli stessi non abbiano un interesse alla realizzazione di quello che la stessa Provincia, nell’autorizzazione della discarica, individua come un obiettivo di primaria importanza e cioè la messa in sicurezza di via Caduti, sia per il transito veicolare, che di pedoni e biciclette.
Peraltro, preliminarmente si rende necessario chiarire che non è dato comprendere come l’imposizione della condizione dell’adeguamento stradale in capo alla DRR, anziché ai cavatori che avrebbero dovuto realizzarlo in esecuzione degli obblighi conseguenti alla sottoscrizione delle convenzioni per lo sfruttamento degli ambiti, potrebbe incidere negativamente sugli interessi tutelati dai Comuni, con la conseguenza che la relativa doglianza è da ritenersi inammissibile in tale parte.
6.3. Nel merito della questione, invece, appare determinante il fatto che i Comuni ricorrenti non abbiano prodotto alcun principio di prova del fatto che l’utilizzo di via Caduti per il conferimento dei rifiuti (tenuto conto del numero massimo di accessi giornalieri consentiti) possa incidere in modo più pesante ed impattante sui beni tutelati (inquinamento, traffico e quant’altro) rispetto al transito collegato con la coltivazione della cava da parte del Gruppo Gatti, cui i Comuni non risultano essersi mai opposti.
La limitazione della “sistemazione” di via Caduti imposta come misura mitigativa/compensativa nel decreto di VIA alla sua sola, temporanea, asfaltatura e manutenzione non pare porsi in contrasto con la generica formula usata dalla Regione, che rimetteva l’attuazione della misura al raggiungimento di un accordo con le amministrazioni comunali di Cazzago S.M., Travagliato, Rovato e Berlingo. Il decreto VIA, peraltro, rimandava alle indicazioni contenute nel progetto della DRR, che prevedevano il solo rifacimento della pavimentazione stradale.
L’ampliamento della prescrizione deve, dunque, imputarsi al successivo intervento della Provincia, che ha traslato sulla DRR un onere più pesante, già gravante sui cavatori, quale l’allargamento della strada e, ulteriormente, la realizzazione di una pista ciclabile. La revisione di tale onere non può, pertanto, implicare alcuna violazione, nè della VIA, né degli altri atti autorizzativi, rientrando nella discrezionalità della Provincia.
6.4. Ciò chiarito sul piano dei rapporti con gli atti pregressi, per la definizione di quest’ultima fase del contenzioso si impone una corretta ricostruzione del quadro fattuale di riferimento: dopo l’approvazione del progetto di discarica che imponeva, come condizione sospensiva, il potenziamento della viabilità di accesso, il Gruppo Gatti (individuato come soggetto capofila tra gli onerati della realizzazione della viabilità in questione), ha proposto un progetto di adeguamento stradale che è stato bocciato dai Comuni ricorrenti (ciascuno con un proprio provvedimento), dopo aver manifestato l’indisponibilità all’espropriazione dei terreni necessari all’allargamento.
Dopo l’impugnazione di tali atti negativi, al gruppo Gatti è stato imposto, come già anticipato, l’utilizzo di una viabilità di accesso agli ambiti della cava, ancora coltivati, alternativa alla via Caduti, la cui sistemazione è rimasta, invece, materialmente a carico della DRR.
Tale novità, congiuntamente alla presa d’atto dell’indisponibilità dei Comuni ad espropriare i terreni necessari per l’ampliamento stradale e alla considerazione del fatto che sono stati chiusi i cantieri di Brebemi e TAV, ha indotto DRR a chiedere la trasformazione della realizzazione dell’allargamento stradale (con annessa pista ciclabile) da condizione sospensiva, in mera prescrizione non ostativa all’inizio della gestione della discarica.
La concessione della censurata variante progettuale, che ha consentito, dunque, l’immediato inizio dell’attività di conferimento di inerti, trova, invero, legittimazione proprio nel ricorrere delle ricordate circostanze che ne supportano l’opportunità e la ragionevolezza.
La nuova sistemazione dei luoghi ora descritta rende razionale e logica l’autorizzazione dell’avvio della gestione consentendo il conferimento con un numero massimo di 20 mezzi pesanti al giorno, pari a quello dei transiti consentiti per l’apprestamento del primo bacino della discarica, che sarebbero ora sostituiti da quelli per il conferimento di rifiuti.
Le parti ricorrenti, del resto, non hanno contestato l’affermazione della controinteressata (memoria depositata il 22 novembre 2014, a pag. 10, punto 21) secondo cui la suddetta chiusura dei cantieri e la traslazione dell’accesso alla discarica del Gruppo Gatti comporterebbe una riduzione dei transiti giornalieri di 560 mezzi (per 1120 passaggi), che non può ragionevolmente non incidere sull’opportunità di un allargamento stradale e, soprattutto, sulla sua impellenza.
6.5. Né risulta provata la violazione, dedotta nel ricorso 985/2013, dell’art. 208 del d. lgs. 152/2006 con riferimento alle modalità di svolgimento della Conferenza di servizi. Ciò atteso che la variante richiesta da DRR rientrava tra quelle di contenuto non sostanziale (non essendo riconducibile ad alcuna delle modifiche indicate dalla DDG regionale 25 luglio 2011, n. 6907 come sostanziali) e il ricorso alla Conferenza di servizi è per esse escluso. È previsto (terzo comma dell’art. 208) solo la facoltà della Provincia di convocare tale consesso per l’acquisizione di “pareri, osservazioni e informazioni”, senza la prescrizione di alcuna formalità e, in particolare, senza che sia necessaria la riconvocazione della Conferenza stessa per l’esame della proposta di modifica formulata da DRR, (e cioè l’accettazione della trasposizione della condizione come subordinante l’attivazione del secondo lotto a fronte del consenso all’immediato inizio dell’attività di gestione).
6.6. Lo stesso atteggiamento dilatorio dei Comuni, che hanno manifestato la propria indisponibilità a procedere agli espropri preordinati alla seconda fase del potenziamento mediante allargamento della strada e realizzazione anche di una pista ciclabile, rende, a maggior ragione, conforme a canoni di opportunità la censurata variante all’autorizzazione, con conseguente rigetto dei ricorsi per motivi aggiunti in esame.
Questi, infatti, appaiono infondati proprio in ragione del contraddittorio comportamento dei Comuni, che da un lato si oppongono al rispetto della condizione sospensiva dell’autorizzazione (integrando un’ipotesi di eccesso di potere) e, dall’altro, lamentano la trasformazione della condizione, così resa irrealizzabile, in una mera prescrizione.
7. Rigettati tutti i ricorsi e relativi motivi aggiunti, le spese del giudizio possono essere compensate tra le parti, trattandosi di controversie intercorrenti, in via principale, tra enti pubblici.
Ciò refluisce anche sulla ripartizione delle spese relative al compenso della consulente tecnica d’ufficio e dei suoi collaboratori. A tale proposito appare opportuno ricordare che:
a) il compenso relativo alle attività peritali svolte per dare risposta al primo quesito, formulato nel verbale di conferimento dell’incarico del 15 luglio 2014, comprensive di sopralluoghi, analisi documentazione dei fascicoli di causa, incontri tecnici, rielaborazione piezometrica, elaborazioni tecniche, comparazione topografica, redazione della relazione finale, interviste telefoniche per la verifica dell’utilizzo dell’acqua dei pozzi, è stato forfettariamente quantificato in € 10.000, per la parte spettante alla CTU e in ulteriori 5.000 € quello dovuto alla collaboratrice, prof.ssa Monica Papini;
b) a seguito dell’assegnazione del secondo quesito, con verbale dell’11 maggio 2015, sono state stimate ulteriori spese tecniche per l’attività svolta da Tethys S.r.l.- e cioè “Analisi ed elaborazione dei dati volti a valutare e ricostruire il modello idrogeologico”, per Euro 2500 al netto di IVA e “Indagini idrogeologiche in campo” e “Verifica ed integrazione dell’analisi di rischio”, per un totale di Euro 6.000 al netto di IVA, nonché ulteriori compensi forfettari per le attività peritali, nella misura di 2.000 € spettanti al CTU Ing. Laura Longoni e 1.500 € spettanti alla Prof. Monica Papini;
c) alla camera di consiglio del 10 novembre 2015 (ordinanza collegiale n. 1517/2015), si è disposto, su comune accordo delle parti, che le spese tecniche fossero anticipate, con riferimento alle “Analisi ed elaborazione dei dati volti a valutare e ricostruire il modello idrogeologico”, per Euro 2500 al netto di IVA, dalla Provincia di Brescia, con riferimento alla “Verifica ed integrazione dell’analisi di rischio”, per un totale di Euro 6.000 al netto di IVA, dai tre Comuni ricorrenti, mentre, con riferimento ai compensi dovuti alla CTU e alla sua collaboratrice si è stabilito che essi fossero anticipati, nella somma di euro 6.000, per la prof.ssa Longoni, dalla Regione e 3.000, per la prof.ssa Papini, dalla DRR;
d) allo stato, rimane, dunque, da liquidare la sola parte restante del compenso dovuto alla CTU (6.000 euro) e alla sua collaboratrice (3.500 euro) e, più in generale, da stabilire il definitivo accollo sia delle spese tecniche, che dell’onorario.
Considerato, che l’importo totale dovuto per la consulenza tecnica ammonta a 27.000 euro e che nei giudizi esaminati si sono contrapposte le posizioni dei tre Comuni ricorrenti da un lato, della Regione e della Provincia dall’altro, quali amministrazioni che hanno adottato gli atti censurati e della DRR quale controinteressata, tale importo andrebbe, in ragione della disposta compensazione delle spese del giudizio, ripartito nella misura di un terzo ciascuna ai ricorrenti, alle Amministrazioni resistenti e alla controinteressata.
Tale ripartizione appare, in effetti equa, dal momento che i ricorrenti sono risultati soccombenti, ma le spese della consulenza tecnica si sono rese necessarie per colmare effettive lacune della progettazione presentata da DRR (che ha prodotto un modello idrogeologico in definitiva risultato adeguato, ma originariamente incompleto, avendo omesso di considerare la presenza di numerosi pozzi di acqua in uso per verificare la protezione dei quali si è resa necessaria la CTU) e, conseguentemente, una carenza di istruttoria che avrebbe ragionevolmente richiesto, da parte della Regione e della Provincia, gli approfondimenti disposti in sede di consulenza tecnica, ancorchè non avrebbero condotto, come stabilito in sentenza, a risultati sostanzialmente diversi circa le autorizzazioni richieste da DRR.
Ne discende, dunque, che nulla dovrà essere corrisposto dalla Regione, che si è già fatta carico della quota parte corrispondente ai 6.000 euro di anticipazione sul compenso dovuto alla CTU.
Il residuo compenso dovuto alla prof.ssa Papini sarà corrisposto nella misura di euro 500,00 da parte della Provincia e di 3.000,00 euro da parte dei Comuni ricorrenti, mediante l’individuazione di un Ente capofila e la suddivisione di detto importo in quote-parti tra tutti i Comuni.
Infine, i 6.000 euro del compenso ancora dovuto alla prof.ssa Longoni saranno ad essa versati da parte della DRR.
Le somme suddette dovranno essere liquidate entro il 15 giugno 2016.
8. Infine, resta inteso che la Provincia di Brescia dovrà uniformare la propria attività amministrativa, successiva alla presente sentenza, alle specifiche indicazioni contenute ai capi 5.3. e 5.5. che precedono, laddove si precisa espressamente ciò di cui detto Ente dovrà “tener conto”, rispettivamente:
– al fine di richiedere tempestivamente a DRR la revisione del Piano di monitoraggio, per addivenire all’aggiornamento del Piano di sorveglianza e controllo mediante la predisposizione, nel suo ambito, di un adeguato sistema di monitoraggio delle acque sotterranee;
– e in sede di esame, tuttora in corso, della richiesta, avanzata da DRR, per ottenere la concessione di un’autorizzazione al conferimento in deroga ai parametri previsti dalla tabella allegata al DM 27 settembre 2010.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti e già riuniti, li respinge, nei sensi e con le precisazioni contenute in motivazione.
Dispone la compensazione delle spese del giudizio tra le parti in causa e l’accollo delle spese correlate alla CTU nella misura di 9.000 euro a carico dei Comuni ricorrenti, 9.000,00 euro a carico di DRR, 6.000,00 euro a carico della Regione e 3.000,00 euro a carico della Provincia.
Ordina ai Comuni ricorrenti, alla controinteressata DRR e alla Provincia di Brescia di provvedere al pagamento dei compensi ancora dovuti alla Consulente tecnico e alla sua assistente, nella misura e nei termini in motivazione indicati.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2016 con l’intervento dei magistrati:
Giorgio Calderoni, Presidente
Mauro Pedron, Consigliere
Mara Bertagnolli, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/04/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)