Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Sicurezza sul lavoro Numero: 1101 | Data di udienza: 4 Maggio 2016

SICUREZZA SUL LAVORO – Obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c. – Norma di chiusura del sistema antinfortunistico – Interpretazione estensiva.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Lombardia
Città: Milano
Data di pubblicazione: 30 Maggio 2016
Numero: 1101
Data di udienza: 4 Maggio 2016
Presidente: De Zotti
Estensore: Quadri


Premassima

SICUREZZA SUL LAVORO – Obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c. – Norma di chiusura del sistema antinfortunistico – Interpretazione estensiva.



Massima

 

TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. 1^ – 30 maggio 2016, n. 1101


SICUREZZA SUL LAVORO – Obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c. – Norma di chiusura del sistema antinfortunistico – Interpretazione estensiva.

In tema di rapporto di lavoro, l’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure che secondo l’esperienza e la tecnica siano in grado di tutelare e garantire l’integrità psico-fisica del lavoratore, restando esclusi da detta tutela solo gli atti e i comportamenti abnormi ed imprevedibili del lavoratore, idonei ad elidere il nesso causale tra le misure di sicurezza adottate e l’eventuale danno realizzatosi (Cass. civ., Sez. lavoro, 12-04-2016, n. 7125). L’art. 2087 c.c. deve, infatti, ritenersi una norma di chiusura del sistema antinfortunistico e suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 19-02-2016, n. 3291).


Pres. De Zotti, Est. Quadri – A.C. (avv. Cefalì) c. Ministero dell’Interno (Avv. Stato)


Allegato


Titolo Completo

TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. 1^ - 30 maggio 2016, n. 1101

SENTENZA

 

TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. 1^ – 30 maggio 2016, n. 1101


N. 01101/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01683/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1683 del 2013, proposto da:
Antonio Cupo, rappresentato e difeso dall’avv. Giovambattista Cefali’, con domicilio eletto presso l’Associaz. Aspes in Milano, via Lucca, 44;

contro

Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura dello Stato, domiciliato in Milano, via Freguglia, 1;

per l’accertamento

del diritto del ricorrente e per la condanna dell’Amministrazione intimata al risarcimento del danno subito dall’istante in occasione dell’infortunio sul lavoro del 21 settembre 2010.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 maggio 2016 la dott.ssa Elena Quadri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con il presente ricorso l’istante ha chiesto la condanna dell’amministrazione intimata al risarcimento del danno subito in occasione dell’infortunio sul lavoro del 21 settembre 2010 e quantificato in complessivi euro 6.134,18.

In fatto il ricorrente, Sovrintendente della Polizia di stato in servizio presso la Questura di Milano, ha premesso di avere informato – con relazione di servizio del 22 settembre 2010 – il Dirigente della Divisione Anticrimine di essere scivolato il giorno precedente verso le ore 12.15, mentre saliva le scale insieme al Coadiutore Amministrativo Trabace Pietro dopo avere archiviato alcune pratiche nell’Ufficio Personale e Servizi ubicato al piano ammezzato tra il secondo e il terzo piano, battendo il ginocchio sinistro e procurandosi una lesione che, diagnosticata inizialmente come trauma contusivo con prognosi di cinque giorni, si rivelava, invece, ben più grave per un versamento sinoviale a carico della borsa prerotulea compatibile con quadro di borsite post-traumatica, costringendolo al riposo fino al 24 novembre 2010.

In ragione di tali accadimenti, l’istante richiedeva all’amministrazione intimata il risarcimento del danno, domanda riscontrata con una nota di diniego del 13 marzo 2013.

Tale determinazione, a parere del ricorrente, sarebbe illegittima per la violazione dell’art. 2087 c.c. e dell’art. 7 del d.P.R. n. 303 del 1956, oltre che per eccesso di potere per falso presupposto ed erronea valutazione dei fatti, risultando dalla documentazione versata in atti acclarato lo stato di pericolo delle scale sulle quali il ricorrente è caduto, perché prive di dispositivo antiscivolo e di corrimano, nonostante le segnalazioni effettuate dal Dirigente della Divisione anticrimine all’ufficio tecnico-logistico e al responsabile per la prevenzione e la sicurezza ben prima del verificarsi del sinistro.

Sulla base di tali deduzioni, il ricorrente ha chiesto la condanna del Ministero dell’Interno al risarcimento del danno, da quantificarsi in euro 6.134,18 sulla base dei seguenti parametri risultanti da una perizia di parte e da documentazione medica versate in atti:

Cupo Antonio (età 52 anni):

Percentuale di invalidità permanente: 3-4%; danno biologico permanente: euro 2.537,20.

Giorni di invalidità temporanea parziale al 75%: 33; invalidità temporanea parziale al 75%: euro 1.131,08.

Giorni di invalidità temporanea parziale al 50%: 15; invalidità temporanea parziale al 50%: euro 342,75.

Giorni di invalidità temporanea parziale al 25%: 15; invalidità temporanea parziale al 25%: euro 171,38.

Danno morale (33,33%) euro 1.668,17.

Spese mediche euro 283,60.

In proposito, il ricorrente ha chiesto l’ammissione di CTU medico legale sulla sua persona diretta ad accertare l’inabilità temporanea ed i postumi permanenti residuati allo stesso in conseguenza del sinistro per cui è causa, nonchè prova testimoniale sull’inadeguatezza delle condizioni di sicurezza delle scale, formulando diversi capitoli di prova.

Si è costituita l’amministrazione intimata, controdeducendo alle specifiche censure formulate dall’istante.

In ogni caso, a parere del Ministero, sarebbe apodittica e comunque incongrua la quantificazione del pregiudizio operata da parte ricorrente.

Successivamente le parti hanno prodotto memorie a sostegno delle rispettive conclusioni.

All’udienza pubblica del 4 maggio 2016, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Il ricorso è fondato.

Deve premettersi che la pretesa del ricorrente si incentra sulla richiesta di condanna del Ministero dell’Interno al risarcimento del danno arrecato al medesimo a causa di un sinistro i cui postumi sono stati riconosciuti con decreto del 25 febbraio 2016 dall’amministrazione intimata come dipendenti da causa di servizio, sebbene senza equo indennizzo in quanto l’infermità non è stata ritenuta ascrivibile a categoria.

Dalla documentazione versata in atti, inoltre, risulta chiaramente che il sinistro occorso mentre l’istante era in servizio è stato causato dallo stato di pericolo delle scale che collegano il piano ammezzato tra il secondo e il terzo piano della Questura di Milano. Tale circostanza di fatto si evince, invero, dalla richiesta avanzata in data 5 giugno 2009 – dunque più di un anno prima dal verificarsi dell’incidente – dal Dirigente della Divisione anticrimine all’ufficio tecnico-logistico e al responsabile per la prevenzione e la sicurezza della Questura di Milano, in cui si segnalava la mancanza di corrimano e se ne chiedeva l’installazione, richiesta rimasta, peraltro, inevasa e riproposta il 23 settembre 2010, dopo l’incidente di cui è causa, in seguito alla quale l’amministrazione ha proceduto ad installare il corrimano e il dispositivo antiscivolo, dimostrando, dunque, inequivocabilmente che tali accorgimenti erano ritenuti dalla stessa necessari per garantire l’incolumità dei dipendenti.

Risulta, quindi, pienamente integrata da parte dell’amministrazione la violazione delle prescrizioni di cui all’art. 2087 c.c., che tutela le condizioni di lavoro e secondo il cui disposto letterale: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, atteso che sono state omesse da parte dell’amministrazione intimata, datore di lavoro dell’istante, le misure necessarie per scongiurare il verificarsi di incidenti come quello accaduto all’istante.

Come risulta, invero, dalla costante giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione: “In tema di rapporto di lavoro, l’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c. impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure che secondo l’esperienza e la tecnica siano in grado di tutelare e garantire l’integrità psico-fisica del lavoratore, restando esclusi da detta tutela solo gli atti e i comportamenti abnormi ed imprevedibili del lavoratore, idonei ad elidere il nesso causale tra le misure di sicurezza adottate e l’eventuale danno realizzatosi” (Cass. civ., Sez. lavoro, 12-04-2016, n. 7125).

L’art. 2087 c.c. deve, infatti, ritenersi una norma di chiusura del sistema antinfortunistico e suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 19-02-2016, n. 3291).

Alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso va accolto e, per l’effetto, deve essere dichiarato il diritto del ricorrente, nonchè la condanna dell’Amministrazione intimata, al risarcimento del danno subito dall’istante in occasione dell’infortunio sul lavoro del 21 settembre 2010.

Il collegio ritiene equo, in considerazione della documentazione prodotta dall’istante, liquidare in via equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., il danno succitato in una somma pari ad euro 3.000.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, dichiara il diritto del ricorrente e condanna l’Amministrazione intimata al risarcimento del danno subito dall’istante in occasione dell’infortunio sul lavoro del 21 settembre 2010, che si liquida in via equitativa in una somma pari ad euro 3.000, come in motivazione.

Condanna l’Amministrazione intimata alla rifusione delle spese di giudizio nei confronti del ricorrente, da distrarsi in favore del procuratore antistatario, che si liquidano in una somma pari ad euro 1000, oltre ad oneri di legge e alla restituzione del contributo unificato dallo stesso versato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 4 maggio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Angelo De Zotti, Presidente
Elena Quadri, Consigliere, Estensore
Roberto Lombardi, Primo Referendario

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/05/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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