Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Appalti Numero: 1339 | Data di udienza: 7 Aprile 2016

* APPALTI – Art. 68 d.lgs. n. 163/2006 – Appalto di fornitura – Introduzione di specifiche tecniche che indichino prodotti di una determinata fabbricazione o provenienza – Menzione dell’equivalenza – Offerta di prodotti equivalenti – Dimostrazione dell’equivalenza sin dal momento della presentazione dell’offerta.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 4^
Regione: Lombardia
Città: Milano
Data di pubblicazione: 7 Luglio 2016
Numero: 1339
Data di udienza: 7 Aprile 2016
Presidente: Zucchini
Estensore: Fornataro


Premassima

* APPALTI – Art. 68 d.lgs. n. 163/2006 – Appalto di fornitura – Introduzione di specifiche tecniche che indichino prodotti di una determinata fabbricazione o provenienza – Menzione dell’equivalenza – Offerta di prodotti equivalenti – Dimostrazione dell’equivalenza sin dal momento della presentazione dell’offerta.



Massima

 

TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. 4^ – 7 luglio 2016, n. 1339


APPALTI – Art. 68 d.lgs. n. 163/2006 – Appalto di fornitura – Introduzione di specifiche tecniche che indichino prodotti di una determinata fabbricazione o provenienza – Menzione dell’equivalenza.

L’art. 68 del d.lgs. n. 163/2006 è diretta a tutelare il principio della libera concorrenza, che trova applicazione in primo luogo nella fase della determinazione del contenuto del contratto oggetto di gara, con particolare riferimento all’individuazione delle prestazioni richieste; quindi, in caso di gara per l’affidamento di un appalto di fornitura, sussiste il divieto di introdurre nelle clausole contrattuali specifiche tecniche che indichino prodotti di una determinata fabbricazione o provenienza (art. 68, comma 3, lett. a), del d.lgs. n. 163/2006) e tale divieto può essere derogato inserendo nel bando la menzione “o equivalente”, che è, però, autorizzata solo quando le stazioni appaltanti non possano fornire una descrizione dell’oggetto dell’appalto mediante specifiche tecniche sufficientemente precise, o formulando la “lex specialis” in termini funzionali (art. 68, comma 3, lett. b e lett. c, del d.lgs. n. 163/2006).

APPALTI – Art. 68 d.lgs. n. 163/2006 – Appalto di fornitura – Offerta di prodotti equivalenti – Dimostrazione dell’equivalenza sin dal momento della presentazione dell’offerta.

L’art. 68 del d.lgs. n. 163/2006 dispone che le stazioni appaltanti non possono respingere un’offerta per il motivo che i prodotti e i servizi offerti non sono conformi alle specifiche alle quali hanno fatto riferimento, “se nella propria offerta l’offerente prova in modo ritenuto soddisfacente dalle stazioni appaltanti, con qualsiasi mezzo appropriato, che le soluzioni da lui proposte ottemperano in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche”. La norma è chiara nello stabilire, da un lato, che nell’offerta stessa deve essere data prova, con qualsiasi mezzo appropriato, che le soluzioni proposte corrispondano in maniera equivalente ai requisiti richiesti dalle specifiche tecniche (cfr. T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 20 febbraio 2012, n. 137; T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 19 maggio 2009, n. 3758), dall’altro, che spetta alla stazione appaltante definire, in esercizio di poteri di discrezionalità tecnica, i mezzi appropriati per la dimostrazione dell’equivalenza. Ne deriva che, sin dal momento della presentazione dell’offerta, il concorrente che offre prodotti equivalenti deve fornire una prova idonea a dimostrare l’equivalenza allegata. Dal canto suo, la stazione appaltante, in presenza di offerta di prodotti equivalenti, deve verificare la sussistenza dei requisiti tecnici prescritti proprio al fine di effettuare la valutazione dell’offerta e, quindi, nel corso delle operazioni di gara, perché l’equivalenza è il presupposto per la valutazione dell’offerta. La questione non è meramente formale, in quanto si tratta di garantire proprio la parità di trattamento tra gli operatori, sicché il seggio di gara in presenza di un’offerta incompleta o generica, perché non accompagnata dalla dimostrazione dell’equivalenza del prodotto offerto, deve disporne l’esclusione dalla procedura. Né tale lacuna può essere colmata mediante la richiesta di chiarimenti all’offerente, in quanto si tratta di carenze relative a profili essenziali dell’offerta, cui non è riferibile il dovere di soccorso ex artt. 38 e 46 del d.l.vo 2006, n. 163.

Pres. f.f. Zucchini, Est. Fornataro – I. s.p.a. (avv.ti Brunetti e Scanzano) c. Azienda Trasporti Milanesi S.p.A. (avv.ti Zoppolato e Rho)
 


Allegato


Titolo Completo

TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. 4^ - 7 luglio 2016, n. 1339

SENTENZA

 

TAR LOMBARDIA, Milano, Sez. 4^ – 7 luglio 2016, n. 1339


N. 01339/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01697/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1697 del 2015, proposto da:
Iveco Orecchia S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. Filippo Brunetti, Francesco Scanzano, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Milano, Via Verdi n .2;

contro

Azienda Trasporti Milanesi S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. Maurizio Zoppolato, Alberto Rho, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Milano, Via Dante, 16;

nei confronti di

Var S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Antonella Mameli, Maurizio Goria, con domicilio eletto presso lo studio della prima in Milano, largo Richini, 2;

per l’annullamento

– del provvedimento di ATM datato 24 giugno 2015 recante la comunicazione di aggiudicazione definitiva a VAR srl della “fornitura di ricambi originali e/o di prima impianto e/o equivalenti per vetture autofilotranviarie di produzione IVECO- gara 708”;

– del provvedimenti adottati dalla Commissione di gara, di cui ai relativi verbali;

– del provvedimento di aggiudicazione provvisoria della gara di cui trattasi adottato il 16 maggio 2015 dalla Commissione di gara a favore di VAR srl;

– del provvedimento di aggiudicazione definitiva;

– del provvedimento di ammissione alla gara adottato a favore di VAR srl;

– della delibera a contrarre, del bando, del disciplinare di gara e della “specifica tecnica” nella parte in cui stabiliscono le modalità e le tempistiche attraverso le quali i concorrenti saranno ammessi a rendere la prova che i ricambi “equivalenti” offerti hanno caratteristiche tecniche e qualitative almeno pari a quelle dei ricambi originali o di primo impianto;

– di ogni altro atto connesso;

nonché per la declaratoria d’inefficacia del contratto, ove medio tempore stipulato, e per la reintegrazione in forma specifica mediante subentro nel contratto e, solo in subordine per il risarcimento del danno mediante equivalente economico.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Azienda Trasporti Milanesi S.p.A. e di Var S.r.l.;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di ed il ricorso incidentale proposto dal ricorrente incidentale Var S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Maurizio Goria, Antonella Mameli, con domicilio eletto presso Antonella Mameli in Milano, largo Richini, 2;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 aprile 2016 il dott. Fabrizio Fornataro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Iveco Orecchia S.p.A. impugna i provvedimenti indicati in epigrafe, deducendone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili e ne chiede l’annullamento.

Contestualmente, la ricorrente chiede sia che venga dichiarata l’inefficacia del contratto medio tempore stipulato, sia di subentrare nella gestione dell’appalto, sia, infine, la condanna della stazione appaltante al risarcimento del danno

Si costituiscono in giudizio l’Azienda Trasporti Milanesi S.p.A. e VAR s.r.l., eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del ricorso avversario, di cui chiedono il rigetto.

VAR s.r.l. propone anche ricorso incidentale.

Con ordinanza n. 1198/2015, depositata in data 18 settembre 2015, il Tribunale accoglie la domanda cautelare contenuta nel ricorso; con ordinanza depositata in data 17 novembre 2015, il Consiglio di Stato accoglie l’appello cautelare proposto da ATM s.p.a.

Le parti producono memorie e documenti.

All’udienza del 7 aprile 2016, la causa viene trattenuta in decisione.

DIRITTO

1) Dalla documentazione prodotta in giudizio e dalle allegazioni delle parti emerge che: a) con bando spedito per la pubblicazione in GUUE in data 20 febbraio 2015, ATM-Azienda Trasporti Milanese spa indiceva una gara, da aggiudicare secondo il criterio del prezzo più basso e con valore stimato a base d’asta pari a 3.350.000,00 euro, per l’assegnazione dell’appalto avente ad oggetto la “fornitura biennale di ricambi originali e/o di primo impianto e/o equivalenti per veicoli autofiloviari Iveco”; b) la fornitura ora indicata era oggettivamente correlata alla scadenza, in data 21 novembre 2015, di precedenti contratti di fornitura ricambi intercorrenti tra ATM spa ed Iveco Orecchia spa; c) alla gara partecipava, oltre Iveco Orecchia spa, anche Var srl, la quale, avendo presentato la migliore offerta economica, veniva individuata come aggiudicataria della fornitura.

2) Avverso gli atti di gara indicati in epigrafe Iveco Orecchia spa ha proposto l’impugnazione in esame, mentre la controinteressata ha proposto il ricorso incidentale.

Vale precisare che il ricorso incidentale non presenta natura escludente, perché non è diretto a contestare la legittimità dell’ammissione alla gara della ricorrente principale, ma a confutare le doglianze formulate da quest’ultima.

Ne deriva che le due impugnazioni devono essere esaminate contestualmente.

2.1) Iveco Orecchia spa articola più censure, da trattare congiuntamente perché strettamente connesse sul piano logico e giuridico, con le quali lamenta, in termini di violazione di legge e di eccesso di potere che: a) VAR srl doveva essere esclusa perché, in violazione della disciplina di gara, ha dichiarato di offrire ricambi equivalenti, senza indicare il produttore di ciascun ricambio equivalente offerto ed autoqualificandosi come produttore di tutti i ricambi, con conseguente incertezza sui concreti contenuti dell’offerta; b) VAR srl doveva essere esclusa perché non ha prodotto, in sede di presentazione dell’offerta, alcuna certificazione o documentazione a comprova dell’equivalenza tra ricambi offerti e ricambi originali Iveco, né una propria dichiarazione in ordine all’equivalenza, in violazione dell’art. 68 del d.l.vo n. 163/2006 e della disciplina di gara, che nelle specifiche tecniche (art. 2.2.) precisa che il produttore dei ricambi equivalenti deve certificare l’equivalenza del singolo ricambio all’originale Iveco posto in gara; c) l’aggiudicazione è illegittima perché la commissione di gara e la stazione appaltante non hanno valutato in concreto le censure fatte verbalizzare il 6 maggio 2015 dalla ricorrente in ordine all’inammissibilità dell’offerta di VAR per i profili dianzi indicati, con conseguente violazione, sotto diversi profili, della l. n. 241/1990, nonché dell’art. 12 del d.l.vo n. 163/2006; d) i provvedimenti impugnati sono illegittimi in quanto in violazione dell’art. 48 del d.l.vo n. 163/2006 la stazione appaltante non ha verificato il possesso in capo a VAR srl dei requisiti di partecipazione e, in particolare, del requisito di cui al punto 6.1 del disciplinare (possesso di adeguata organizzazione logistica tale da garantire un sistema di gestione dei materiale mediante bar code); e) il bando di gara richiedeva come requisito di partecipazione il possesso della certificazione di qualità e VAR srl ha dichiarato di essere produttore di ricambi, ma ha prodotto una certificazione di qualità riferita alla sola commercializzazione di ricambi, sicché doveva essere esclusa dalla gara.

In via subordinata la ricorrente principale deduce l’illegittimità della disciplina di gara se interpretata nel senso che, prevedendo la possibilità di offrire anche ricambi equivalenti rispetto a quelli originali Iveco, nondimeno differisce, in violazione dell’art. 68 del d.l.vo n. 163/2006, ad un momento successivo all’aggiudicazione provvisoria o all’aggiudicazione definitiva, la produzione della documentazione del concorrente a comprova dell’effettiva equivalenza tecnica e prestazionale ai ricambi originali dei ricambi “equivalenti” eventualmente offerti dal medesimo.

Sempre in via subordinata, la ricorrente lamenta che il giudizio di equivalenza tecnica tra i ricambi “equivalenti” offerti e i ricambi originali Iveco, essendo ampiamente discrezionale e riguardando caratteristiche ed aspetti essenziali dell’offerta, doveva essere svolto dalla Commissione di gara, che, invece, ha omesso di effettuarlo; inoltre tale giudizio doveva poter essere compiuto sulla base degli elementi indicati dal concorrente già nella propria offerta (ciò che non sarebbe possibile nella specie in quanto Var srl non avrebbe documentato l’equivalenza) e doveva essere svolto comunque prima dell’apertura delle offerte economiche, onde evitare che il giudizio tecnico discrezionale di equivalenza fosse influenzato dalla conoscenza degli elementi economici dell’offerta.

A sua volta, Var S.r.l. deduce, con il ricorso incidentale, che le doglianze della ricorrente principale muovono da una non condivisibile lettura della disciplina di gara.

In particolare, si considera che Var srl ha sicuramente offerto ricambi equivalenti, ma ciò non è in contraddizione con l’assunzione da parte sua della qualifica di produttore dei ricambi, dovendosi intendere come tale non chi “concretamente fabbrica un certo componente”, ma “il soggetto che realizza con un proprio marchio…il prodotto o parte di esso, anche attraverso attività di assemblaggio o esternalizzazione a terzi di parti componenti e sul quale ricade l’onere della garanzia in caso di non conformità del prodotto”.

Si sostiene, quindi, che Var srl si è legittimamente qualificata come produttore, perché in taluni casi “produce” direttamente i ricambi richiesti, in altri li realizza mediante “esternalizzazione” a terzi di una porzione dei componenti, assumendo la responsabilità del loro utilizzo, “attraverso sia la certificazione di equivalenza all’originale, sia prestando la garanzia per il loro corretto funzionamento e per l’assenza di vizi di costruzione”.

Sotto altro profilo, Var srl sostiene che, in base all’art. 68 del d.l.vo 2006 n. 163 e in base alla disciplina di gara, non era necessario fornire già in sede di offerta ed unitamente ad essa la prova dell’equivalenza dei ricambi proposti.

Si aggiunge, inoltre, che la lex specialis neppure chiarisce le modalità in base alle quali ciascun partecipante, che offra ricambi equivalenti, dovrebbe provare l’equivalenza dei prodotti proposti; in particolare, la disciplina di gara non precisa se la prova consista in un’autocertificazione di equivalenza resa dal concorrente, o in un’autocertificazione rilasciata dal produttore del singolo ricambio, ovvero debba essere fornita attraverso referti di laboratorio relativi a ciascun pezzo di ricambio.

Va sin d’ora evidenziato che la tesi della controinteressata, in relazione all’ultimo dei profili indicati, è del tutto diversa da quella sostenuta dalla stazione appaltante.

Invero, ATM spa deduce, in via di eccezione al ricorso principale, che le modalità di dimostrazione dell’equivalenza sarebbero stabilite proprio dalla legge di gara ed in particolare dagli artt. 6.6 del disciplinare e 2.2 delle specifiche tecniche, laddove si prevede che, in caso di offerta di prodotti equivalenti, il concorrente deve compilare un’apposita tabella, apponendo nella colonna A) la dicitura “EQ” (ossia codice equivalente), nella colonna B) il “nominativo del produttore e nella colonna C) “il codice del prodotto fornito”.

A detta della stazione appaltante l’equivalenza del prodotto offerto sarebbe adeguatamente dimostrata, in base alla lex specialis – e, quindi, secondo le valutazioni svolte dalla stazione appaltante in sede di elaborazione di essa – mediante, da un lato, l’apposizione delle diciture appena indicate nelle apposite colonne della tabella di riferimento, dall’altro, dalla produzione, in sede di esecuzione del contratto, della certificazione di equivalenza resa dal produttore, certificazione da esibire al momento della prima consegna di ricambi equivalenti, in difetto della quale la fornitura non verrebbe accettata.

2.2) Le censure proposte in via principale sono fondate, mentre le deduzioni formulate nel ricorso incidentale e le eccezioni della stazione appaltante non possono essere condivise.

Il bando di gara prevede, al punto II.1.1, che la fornitura ha ad oggetto ricambi originali o di primo impianto, oppure ricambi equivalenti per veicoli autofiloviari Iveco.

Il punto 6.6.2 del disciplinare di gara specifica che in caso di fornitura di “codici di primo impianto o equivalenti, non indicati nel listino, dovranno essere compilate le colonne A), B) e C) indicando nella colonna A) la dicitura “PI” se trattasi di codice di primo impianto o “EQ” se trattasi di codice equivalente, nella colonna B) il nominativo del produttore e nella colonna C) il codice del prodotto offerto”.

La norma in esame stabilisce che, in caso di offerta di “ricambi di primo impianto, non indicati nel listino prezzi ATM s.p.a., l’impresa concorrente dovrà presentare una dichiarazione di conformità costruttiva”, specificando che tale dichiarazione dovrà essere presentata “a valle dell’aggiudicazione provvisoria” e dovrà essere resa “da parte del costruttore del componente o del produttore del veicolo” e dovrà “fare esplicito e puntuale riferimento a tutti i codici materiale di primo impianto offerti”. Si precisa, inoltre, che “non saranno accettate certificazioni generiche che non individuino espressamente i codici prodotto oggetto della certificazione stessa”.

In ordine alla nozione di ricambi equivalenti, l’art. 2.2 della specifica tecnica li definisce come quelli “fabbricati da qualsiasi impresa che certifica la corrispondenza della qualità dei pezzi di ricambio a quella dei componenti usati per l’assemblaggio dell’autoveicolo e dei ricambi forniti dal costruttore del veicolo. Devono essere perfettamente intercambiabili con i componenti montati all’origine sul veicolo, senza dover ricorrere ad alcun adattamento del componente o del sistema in cui deve essere montato”.

La disposizione da ultimo richiamata precisa che i ricambi equivalenti devono presentare, rispetto ai ricambi originali, “caratteristiche pari o superiori in merito a: – durata temporale; – dimensioni e relative tolleranze, grado di finitura superficiale, ecc.; – resistenza alla fatica, all’usura, al taglio, durezza; – natura chimico/fisica dei materiali utilizzati; – grado di isolamento, classe di resistenza alla fiamma, classe di tossicità dei fumi, ecc. nel rispetto delle normative vigenti”.

L’art. 5 della specifica tecnica disciplina espressamente il collaudo dei ricambi e stabilisce che “in occasione della prima consegna di un ricambio equivalente il fornitore deve trasmettere certificazione di equivalenza all’originale, condizione necessaria per l’accettazione della merce. Solo in caso di collaudo positivo la merce verrà accettata da ATM”.

Dalla documentazione prodotta in giudizio emerge, senza alcuna contestazione in fatto ad opera delle parti, che VAR s.r.l. né in sede di presentazione dell’offerta, né durante lo svolgimento della gara, ha fornito elementi dimostrativi idonei a palesare in concreto l’equivalenza dei prodotti offerti, limitandosi a compilare il listino prezzi secondo le modalità stabilite dal punto 6.6.2 del disciplinare di gara.

In altre parole, l’aggiudicataria ha apposto la dicitura EQ nella colonna A del listino prezzi, si è qualificata come produttore nella colonna B), mentre nella colonna C) ha indicato il codice da essa utilizzato (c.d. codice Var) per individuare ciascun prodotto.

Si tratta, quindi, di stabilire se tale modus procedendi sia aderente alla disciplina posta dall’art. 68 del d.l.vo 2006, n. 163.

L’art. 68 cit. disciplina le specifiche tecniche dei prodotti oggetto di offerta e prevede, per la parte che qui interessa, che le stazioni appaltanti – fatte salve le regole tecniche nazionali obbligatorie, nei limiti in cui sono compatibili con la normativa comunitaria – possono definirle anche “mediante riferimento a specifiche tecniche definite nell’allegato VIII, e, in ordine di preferenza, alle norme nazionali che recepiscono norme europee, alle omologazioni tecniche europee, alle specifiche tecniche comuni, alle norme internazionali, ad altri sistemi tecnici di riferimento adottati dagli organismi europei di normalizzazione o, se questi mancano, alle norme nazionali, alle omologazioni tecniche nazionali o alle specifiche tecniche nazionali in materia di progettazione, di calcolo e di realizzazione delle opere e di messa in opera dei prodotti. Ciascun riferimento contiene la menzione «o equivalente»”

La norma precisa che, quando si avvalgono della possibilità di fare riferimento alle specifiche secondo le modalità ora indicate, “le stazioni appaltanti non possono respingere un’offerta per il motivo che i prodotti e i servizi offerti non sono conformi alle specifiche alle quali hanno fatto riferimento, se nella propria offerta l’offerente prova in modo ritenuto soddisfacente dalle stazioni appaltanti, con qualsiasi mezzo appropriato, che le soluzioni da lui proposte ottemperano in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche”.

In siffatta ipotesi, l’art. 68 impone all’operatore economico, che offre prodotti equivalenti, di segnalarlo “con separata dichiarazione che allega all’offerta” (comma 6), con la precisazione che “nella propria offerta l’offerente è tenuto a provare in modo ritenuto soddisfacente dalle stazioni appaltanti e con qualunque mezzo appropriato, che il lavoro, il prodotto o il servizio conforme alla norma ottempera alle prestazioni o ai requisiti funzionali prescritti” (comma 8).

Il comma 5 della disposizione evidenzia, infine, che “può costituire un mezzo appropriato una documentazione tecnica del fabbricante o una relazione sulle prove eseguite da un organismo riconosciuto”.

L’art. 68 del d.l.vo 2006 n. 163 recepisce l’art. 23 della Direttiva 31 marzo 2004, n. 18/2004/CE, che contiene la disciplina delle specifiche tecniche ed attua il 29° considerando della suddetta Direttiva, secondo il quale: “Le specifiche tecniche fissate dai committenti pubblici dovrebbero permettere l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza. A questo scopo deve essere possibile la presentazione di offerte che riflettano la pluralità di soluzioni tecniche. Pertanto le specifiche tecniche devono poter essere fissate in termini di prestazioni e di requisiti funzionali e, in caso di riferimento alla norma europea, o, in mancanza di quest’ultima, alla norma nazionale, le amministrazioni aggiudicatrici devono prendere in considerazione offerte basate su altre soluzioni equivalenti. Per dimostrare l’equivalenza, gli offerenti dovrebbero poter utilizzare qualsiasi mezzo di prova. Le amministrazioni aggiudicatrici, laddove decidano che in un determinato caso l’equivalenza non sussiste, devono poter motivare tale decisione…”.

In ordine alla ratio dell’art. 68, la giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 7 luglio 2011 n. 4052) ha chiarito, in modo del tutto condivisibile, che la norma è diretta a tutelare il principio della libera concorrenza, che trova applicazione in primo luogo nella fase della determinazione del contenuto del contratto oggetto di gara, con particolare riferimento all’individuazione delle prestazioni richieste; quindi, in caso di gara per l’affidamento di un appalto di fornitura, sussiste il divieto di introdurre nelle clausole contrattuali specifiche tecniche che indichino prodotti di una determinata fabbricazione o provenienza (art. 68, comma 3, lett. a), del d.lgs. n. 163/2006) e tale divieto può essere derogato inserendo nel bando la menzione “o equivalente”, che è, però, autorizzata solo quando le stazioni appaltanti non possano fornire una descrizione dell’oggetto dell’appalto mediante specifiche tecniche sufficientemente precise, o formulando la “lex specialis” in termini funzionali (art. 68, comma 3, lett. b e lett. c, del d.lgs. n. 163/2006).

In tal senso, è stato ritenuto che, qualora le specifiche tecniche siano plasmate su quelle del prodotto coperto da brevetto e sia, altresì, carente la indicazione della menzionata espressione, ha luogo una evidente violazione dei principi in materia di par condicio e di non discriminazione nelle gare (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 4 marzo 2011, n. 1380; Consiglio di Stato, sez. V, 6 dicembre 2010, n. 8543).

Insomma, l’art. 68 intende tutelare la concorrenza e la par condicio tra i partecipanti alle gare fin dalla determinazione del contenuto del contratto, ed è proprio a tal fine che (comma 2) “le specifiche tecniche devono consentire pari accesso agli offerenti e non devono comportare la creazione di ostacoli ingiustificati all’apertura dei contratti pubblici alla concorrenza”.

In questo senso, il divieto di “menzione” o comunque di “riferimento” (o utilizzazione comparativa) a “un marchio, a un brevetto o a un tipo, a un’origine o a una produzione specifica che avrebbero come effetto di favorire o eliminare talune imprese o taluni prodotti”, si pone come attuativo del principio generale di cui al comma 2 dell’art. 68.

In altre parole, il legislatore ritiene che la menzione o il riferimento ad un tipo o a una produzione specifica costituiscono ex se un “ostacolo ingiustificato” alla concorrenza, ed in particolare alla par condicio dei concorrenti, posto che uno di essi (anche solo potenzialmente) beneficia nella partecipazione alla gara di una posizione di vantaggio.

Affinché sia legittima la menzione o il riferimento ad un prodotto, occorre che non sia altrimenti possibile “una descrizione sufficientemente precisa e intelligibile dell’oggetto dell’appalto”, il che rende necessario sia motivare sul punto (rendendosi comunque illegittime previsioni che oggettivamente non siano sorrette dalla richiamata impossibilità), sia esternare in modo trasparente gli elementi di identificazione del tipo o prodotto, e se questo sia in uso o in possesso di un soggetto determinato, ovvero se esso sia stato già oggetto di una fornitura da parte di un soggetto altrettanto determinato.

Oltre a ciò, deve espressamente prevedersi – e concretamente attuarsi – che sia possibile produrre tipi od oggetti che, per caratteristiche e funzionalità, posano essere considerati “equivalenti”, se non – a secondo dell’appalto e delle previsioni che lo regolano – “migliorativi” del tipo o prodotti citati (su tali considerazioni, si veda Consiglio di Stato, sez. IV, 30 maggio 2013, n. 2976).

Nel caso in esame, la lex specialis prevede espressamente la possibilità di offrire ricambi equivalenti, sicché in parte qua risulta rispettata la previsione dell’art. 68 cit.

Nondimeno, si tratta di verificare se la lex specialis individui in modo coerente con la previsione normativa il momento e le modalità mediante le quali deve essere dimostrata l’equivalenza.

Si è già evidenziato che l’art. 68 dispone che le stazioni appaltanti non possono respingere un’offerta per il motivo che i prodotti e i servizi offerti non sono conformi alle specifiche alle quali hanno fatto riferimento, “se nella propria offerta l’offerente prova in modo ritenuto soddisfacente dalle stazioni appaltanti, con qualsiasi mezzo appropriato, che le soluzioni da lui proposte ottemperano in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche”.

La norma è chiara nello stabilire, da un lato, che nell’offerta stessa deve essere data prova, con qualsiasi mezzo appropriato, che le soluzioni proposte corrispondano in maniera equivalente ai requisiti richiesti dalle specifiche tecniche (cfr. T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 20 febbraio 2012, n. 137; T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 19 maggio 2009, n. 3758), dall’altro, che spetta alla stazione appaltante definire, in esercizio di poteri di discrezionalità tecnica, i mezzi appropriati per la dimostrazione dell’equivalenza.

In relazione al primo profilo, va osservato che il principio di equivalenza, cui si conforma la disciplina di gara nel caso di specie, deve pur sempre contemperarsi con i principi che governano l’attività contrattuale delle amministrazioni pubbliche (art. 2 d.l.vo 12 aprile 2006 n. 163) tra cui la parità di trattamento e la non discriminazione.

L’art. 68, oltre a stabilire che l’operatore economico “che propone soluzioni equivalenti ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche equivalenti lo segnala con separata dichiarazione che allega all’offerta”, specifica che nell’offerta stessa deve data prova dell’equivalenza.

Si tratta di previsioni legislative finalizzate proprio alla tutela della par condicio tra i concorrenti e della trasparenza delle operazioni di gara, “non essendo configurabile una giustificazione postuma in merito all’equivalenza delle specifiche tecniche offerte, dovendo le offerte dei concorrenti soddisfare tali specifiche, a pena di inammissibilità, tanto che “l’amministrazione aggiudicatrice non può, di conseguenza, chiedere chiarimenti a un candidato, la cui offerta essa ritiene imprecisa o non conforme alle specifiche tecniche del capitolato d’oneri, senza in questo modo far sembrare, qualora tale offerta venisse accolta, che essa abbia negoziato in via riservata a danno degli altri candidati ed in violazione del principio di parità di trattamento” (cfr. in argomento Parere ANAC n.71 del 9 maggio 2013 – PREC 29/13/F, che si basa sui principi posti da Corte Giustizia CE, Sez. IV, 29 marzo 2012, n. 599).

Ne deriva che, sin dal momento della presentazione dell’offerta, il concorrente che offre prodotti equivalenti deve fornire una prova idonea a dimostrare l’equivalenza allegata.

Del resto, la giurisprudenza ha precisato, in applicazione dei principi ora espressi, che, in presenza di offerta di prodotti equivalenti, la stazione appaltante deve verificare la sussistenza dei requisiti tecnici prescritti proprio al fine di effettuare la valutazione dell’offerta e, quindi, nel corso delle operazioni di gara, perché l’equivalenza è il presupposto per la valutazione dell’offerta.

Anche quando, come nel caso in esame, il criterio di aggiudicazione è il prezzo più basso, resta fermo che “la valutazione dell’equivalenza di un prodotto costituisce espressione di discrezionalità tecnica dell’amministrazione”, tanto che può essere sindacata dal giudice amministrativo nella misura in cui si riveli manifestamente illogica, contraddittoria o irrazionale (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 29 aprile 2015, n. 2435; T.A.R. Lecce, Sezione II, 15 febbraio 2013, n. 337), essendo necessario verificare, attraverso qualsiasi mezzo appropriato, che le soluzioni proposte corrispondano in maniera equivalente ai requisiti richiesti dalle specifiche tecniche.

Insomma, l’equivalenza del prodotto offerto deve essere valutata durante lo svolgimento della gara e dal seggio di gara, fermo restando che, se l’offerente non può contestare “l’illegittimità del provvedimento di esclusione a suo carico nel caso in cui non abbia fornito la prova in questione, allo stesso modo la Commissione aggiudicatrice può riscontrare ex se le ragioni di equivalenza” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 08 aprile 2014, n. 1666).

La questione non è meramente formale, in quanto si tratta di garantire proprio la parità di trattamento tra gli operatori, sicché il seggio di gara in presenza di un’offerta incompleta o generica, perché non accompagnata dalla dimostrazione dell’equivalenza del prodotto offerto, deve disporne l’esclusione dalla procedura (in argomento si consideri anche Parere ANAC n.71 del 9 maggio 2013 – PREC 29/13/F, che rinvia a Corte di Giustizia CE, Sez. IV, 29 marzo 2012, n. 599).

Né tale lacuna può essere colmata mediante la richiesta di chiarimenti all’offerente, in quanto si tratta di carenze relative a profili essenziali dell’offerta, cui non è riferibile il dovere di soccorso ex artt. 38 e 46 del d.l.vo 2006, n. 163.

E’ noto al Tribunale l’orientamento secondo cui, qualora, come nel caso di cui si tratta, la lex specialis espliciti il principio di equivalenza, l’eventuale previsione di una scansione temporale differente da quella prevista dal legislatore per la dimostrazione dell’equivalenza dei prodotti, con differimento del riscontro all’inizio della fase esecutiva, non contrasterebbe con alcuna norma inderogabile di rango interno o comunitario (cfr. Tar Lombardia Brescia, sez. II, 1 marzo 2016, n. 306), ma si tratta di un orientamento non condivisibile.

La scansione temporale stabilita dall’art. 68, che impone la dimostrazione già in sede di offerta dell’equivalenza dei prodotti, riflette principi generali dell’ordinamento interno e comunitario, in quanto, in quanto proprio in applicazione dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione non consente la partecipazione alla gara di operatori che, in concreto, non offrano prodotti equivalenti, anche al fine di evitare che, solo a gara conclusa, l’amministrazione si avveda, eventualmente, della non equivalenza dei prodotti, con inutile dispendio di attività amministrativa ed evidente pregiudizio per le risorse pubbliche.

Sul punto, è interessante notare che la difesa della stazione appaltante, ben consapevole del dettato normativo che impone di dimostrare in sede di offerta l’equivalenza dei prodotti, sostiene che tale dimostrazione sarebbe stata concretamente fornita, in quando la stessa lex specialis introdurrebbe un procedimento complesso a formazione successiva idoneo a palesare l’equivalenza.

Procedimento articolato in una prima fase, in cui il concorrente deve compilare un’apposita tabella, apponendo nella colonna A) la dicitura “EQ” (ossia codice equivalente), nella colonna B) il “nominativo del produttore e nella colonna C) “il codice del prodotto fornito”.

Il completamento del procedimento si verificherebbe solo nei confronti dell’aggiudicatario e in sede di esecuzione del contratto, mediante la produzione della certificazione di equivalenza formata dal produttore, da esibire al momento della prima consegna di ricambi equivalenti, fermo restando che in difetto di essa la fornitura non potrebbe essere accettata.

La tesi della stazione appaltante non può essere condivisa.

In primo luogo, va osservato che nessuna disposizione della lex specialis consente di ritenere che la stazione appaltante abbia configurato l’apposizione della dicitura EQ e la produzione della certificazione di equivalenza in sede di esecuzione, ossia da parte dell’aggiudicatario, come idonei mezzi di prova dell’equivalenza dei prodotti offerti.

In particolare, l’art. 6.6 del disciplinare prescrive di fornire le informazioni suddette nel quadro della definizione delle modalità di presentazione dell’offerta economica, che deve essere corredata dal listino prezzi, completato con le indicazioni richiamate.

La norma non correla, né direttamente, né indirettamente, tali indicazioni alla dimostrazione dell’equivalenza dei prodotti offerti; né introduce un collegamento con la disciplina del collaudo dettata dall’art. 5 della specifica tecnica.

Non vi sono elementi, desumibili dalla lex specialis complessivamente intesa, per affermare che la dimostrazione dell’equivalenza avverrebbe secondo il procedimento complesso solo ipotizzato dalla stazione appaltante e solo negli atti difensivi.

Ciò è confermato dal fatto che l’art. 6.6 del disciplinare richiede, in caso di offerta di ricambi di primo impianto, la produzione, dopo l’aggiudicazione provvisoria, di una specifica “dichiarazione di conformità costruttiva” resa dal costruttore del componente o dal produttore del veicolo, con previsione di non accettazione di dichiarazioni generiche.

In base all’art. 2.1 della specifica tecnica, sono ricambi di primo impianto quelli che vengono utilizzati per l’assemblaggio originario del veicolo, prodotti da fornitori del costruttore del veicoli, nella stessa linea di produzione dei materiali usati per l’assemblaggio del veicolo e per i quali il produttore certifica che sono stati prodotti conformemente alle specifiche e alle norme produttive definite dal costruttore del veicolo.

Ora, se per i ricambi di primo impianto, che sono gli stessi utilizzati per l’assemblaggio originario del veicolo (come riconosciuto dalla stazione appaltante con la memoria depositata in data 22 marzo 2016), la stazione appaltante richiede la produzione durante la gara, anche se solo da parte dell’aggiudicatario provvisorio, della dichiarazione di conformità costruttiva, a garanzia della conformità tecnica del pezzo di ricambio, è del tutto irragionevole ipotizzare che, per ricambi solo dichiarati come equivalenti, la verifica di equivalenza sia differita al momento dell’esecuzione del contratto, con frustrazione dell’interesse a svolgere la gara solo tra soggetti davvero in grado di fornire ricambi conformi alle specifiche tecniche.

Non solo, come già ricordato, lo stesso art. 2.2 della specifica tecnica definisce ricambio equivalente quello fabbricato da “qualsiasi impresa” che “certifica la corrispondenza della qualità dei pezzi di ricambio a quella dei componenti usati per l’assemblaggio dell’autoveicolo e dei ricambi forniti dal costruttore del veicolo” (c.d. ricambi originali).

Ne deriva che, in base alla lex specialis, nell’appalto in esame la certificazione di corrispondenza è elemento essenziale per definire equivalente il ricambio offerto; in difetto della certificazione il ricambio equivalente non può essere definito tale e l’offerta, quindi, si discosta per un profilo essenziale dalle previsioni lex specialis medesima.

A ben vedere, la disciplina di gara, intesa nel suo complesso e interpretata secondo il quadro sistematico che da essa emerge, risulta del tutto ragionevole.

Difatti, la compilazione del listino prezzi con l’apposizione della dicitura “EQ”, oltre al nome del produttore e al relativo codice, riflette l’esigenza posta dall’art. 68, comma 6, del d.l.vo 2006 n. 163 di dichiarare che l’offerta ha ad oggetto prodotti equivalenti.

Parimenti, la specifica tecnica stabilisce, ex art. 2.2, come deve essere dimostrata l’equivalenza del prodotto, imponendo la produzione della certificazione corrispondenza della qualità dei pezzi di ricambio a quella dei componenti usati per l’assemblaggio dell’autoveicolo e dei ricambi forniti dal costruttore del veicolo.

In mancanza di diverse e specifiche indicazioni contenute nella lex specialis, tale produzione deve essere effettuata sin dal momento della presentazione dell’offerta, in coerenza con la previsione dell’art. 68 cit. e del dominante orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, trattandosi di un elemento essenziale dell’offerta, il cui accertamento è rimesso al seggio di gara sulla base della certificazione prodotta.

Ciò è confermato dal regime previsto per i ricambi di primo impianto, in relazione ai quali, in ragione della maggiore garanzia di conformità che essi offrono, la verifica è effettuata solo in capo all’aggiudicatario provvisorio – e quindi sempre prima della stipulazione e dell’esecuzione del contratto – mediante la produzione della dichiarazione di conformità costruttiva.

Il richiamo fatto dalla stazione appaltante – nei soli atti difensivi – alla disciplina del collaudo è, da un lato, incoerente con il quadro sistematico della lex specialis, dall’altro, del tutto irragionevole, perché confonde e sovrappone due istituti diversi, quali la verifica di equivalenza e il collaudo dei prodotti forniti.

In relazione al primo aspetto, si è già evidenziato che il bando, il disciplinare di gara e la specifica tecnica, non ancorano la dimostrazione dell’equivalenza al collaudo della fornitura. E che un simile collegamento sarebbe comunque illogico è dimostrato dal fatto che per i ricambi di primo impianto, equiparati sul piano costruttivo a quelli originali, ex art. 2.1 della specifica tecnica, la verifica di conformità tecnica è pur sempre effettuata durante la gara, seppure nei confronti del solo aggiudicatario provvisorio.

Rispetto al secondo profilo, è sufficiente evidenziare che la verifica di equivalenza, che si sostanzia nell’accertamento della conformità della qualità dei pezzi di ricambio offerti a quella dei componenti usati per l’assemblaggio dell’autoveicolo, attiene ad un profilo essenziale dell’offerta, mentre il collaudo riguarda solo la fase esecutiva del contratto, in cui si tratta di accertare che il prodotto materialmente fornito rispecchi esattamente le qualità del prodotto offerto.

Il fatto che l’art. 5 della specifica tecnica richieda che in sede di collaudo sia trasmessa la certificazione di equivalenza all’originale non circoscrive, né differisce, la dimostrazione dell’equivalenza del prodotto offerto.

In sede di gara si tratta di accertare che i prodotti, cui si riferisce il listini prezzi allegato all’offerta economica, siano davvero prodotti equivalenti sul piano qualitativo, con la conseguenza che l’offerta ab origine carente sul piano della dimostrazione di equivalenza risulta difforme, per un aspetto essenziale, dalle previsioni della lex specialis e, pertanto, deve essere esclusa.

Viceversa, in fase di collaudo si tratta di verificare se i ricambi consegnati in esecuzione del contratto sono proprio i prodotti equivalenti cui si riferiva l’offerta aggiudicataria, con la conseguenza che, laddove non sia prodotta la certificazione di equivalenza della merce consegnata, si verifica un inadempimento contrattuale, che legittima la stazione appaltante a non accettare la merce, ex art. 5 della specifica tecnica, con le relative conseguenze sul piano della permanenza del vincolo contrattuale.

In definitiva, la legge di gara non individua specifiche e peculiari modalità procedimentali di accertamento dell’equivalenza dei ricambi, ma collega l’equivalenza alla produzione della certificazione di corrispondenza della qualità dei pezzi di ricambio a quella dei componenti usati per l’assemblaggio dell’autoveicolo e dei ricambi forniti dal costruttore del veicolo.

Pertanto, in applicazione della ricordata disciplina dell’art. 68 del d.l.vo 2006 n. 163, il concorrente deve provare, secondo tali modalità e in sede di gara, l’equivalenza dei prodotti offerti e la stazione appaltante, sempre in diretta applicazione della previsione dell’art. 68, deva accertare in sede di gara l’effettiva sussistenza dell’equivalenza dichiarata dal concorrente.

Nulla di tutto ciò è avvenuto nel caso concreto.

Invero, non è contestato che Var srl abbia omesso di produrre nel corso della gara, non solo la certificazione di corrispondenza suindicata, ma anche ogni altro elemento appropriato capace di dimostrare in modo soddisfacente l’equivalenza dei prodotti offerti.

Parimenti, la stazione appaltante ha omesso di accertare in sede di gara l’effettiva sussistenza di elementi oggettivi dimostrativi dell’equivalenza solo dichiarata da Var srl.

Ne deriva che l’aggiudicazione è stata disposta in favore di un concorrente che, in violazione dell’art. 68, non ha documentato con mezzi appropriati l’equivalenza dei prodotti offerti e senza alcun concreto accertamento, da parte del seggio di gara, dell’effettiva equivalenza dei ricambi da lui proposti.

Le conclusioni raggiunte non sono superate dal richiamo che le parti resistenti fanno ad un precedente del Tribunale (T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 09 gennaio 2014, n. 62), in quanto, nel caso di specie, la lex specialis, come già evidenziato, non contiene alcuna disposizione che differisca al momento del collaudo la verifica di equivalenza, fermo restando che anche la decisione appena richiamata ribadisce che le caratteristiche tecniche minime prescritte dalla disciplina di gara e da verificare in sede di accertamento dell’equivalenza integrano elementi essenziali dell’offerta.

Va, pertanto, ribadita la fondatezza della censura in esame.

2.3) Sotto altro profilo, parte ricorrente lamenta che VAR srl doveva essere esclusa perché ha dichiarato di offrire ricambi equivalenti, ma, in violazione della disciplina di gara, non ha indicato l’effettivo produttore di ciascun ricambio offerto ed anzi si è autoqualificata come produttore di tutti i ricambi, con conseguente incertezza sui concreti contenuti dell’offerta.

La doglianza è fondata.

Nel compilare il listino prezzi previsto dal punto 6.6.2 del disciplinare di gara, Var srl, dopo avere apposto nella colonna A) la dicitura “EQ”, in ragione della natura equivalente dei ricambi offerti, ha indicato sé stessa come produttore nella colonna B) e nella colonna C) ha individuato il ricambio mediante l’apposizione del proprio codice identificativo.

Nondimeno, Var srl, ha riconosciuto di non essere il produttore in senso proprio dei ricambi offerti, che sono realizzati da altre imprese e poi commercializzati da Var srl, che appone anche il proprio marchio sul ricambio.

La controinteressata sostiene – nelle difese espresse mediante il ricorso incidentale – che le indicazioni fornite non sarebbero fuorvianti e non determinerebbero alcuna incertezza sulla provenienza e sulla consistenza dei ricambi offerti, in quanto il termine “produttore” utilizzato dalla lex specialis non identificherebbe solo colui che realizza, ossia fabbrica, il ricambio, ma, in senso più ampio, anche colui che marchia un prodotto realizzato da altri, facendolo proprio e garantendone il funzionamento.

Sul punto, la stazione appaltante prospetta un’ulteriore e diversa interpretazione della disciplina di gara, ritenendo che il termine “produttore” sia utilizzato nel significato che assume ai sensi del d.l.vo 2005 n. 206 (codice del consumo), ossia secondo un’accezione ampia, che comprende non solo il fabbricante del prodotto, ma anche chi lo commercializza con un proprio marchio, come nel caso di specie.

Si tratta di impostazioni che non possono essere condivise.

In primo luogo, il d.l.vo 2005, n. 206 ha un ambito di applicazione delimitato, applicandosi ai rapporti tra operatori economici e consumatori o utenti, definiti come le persone fisiche che agiscono “per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”.

Ne deriva che non è neppure ipotizzabile una diretta applicazione del codice all’appalto in esame, in quanto il rapporto tra la stazione appaltante e l’operatore economico controinteressato non rientra tra quelli cui si riferisce il codice.

Certo, la lex specialis potrebbe rinviare al codice del consumo per la definizione dei concetti giuridici che utilizza, ma tale scelta non emerge dalla disciplina di gara.

Invero, il bando, il disciplinare e la specifica tecnica non contengono alcun rinvio alle definizioni e alla disciplina contenute nel “codice del consumo”, sicché la tesi della stazione appaltante è del tutto apodittica e si traduce nel tentativo di realizzare, a posteriori e mediante gli atti processuali, un’inammissibile integrazione della lex specialis.

A ben vedere, è proprio quest’ultima, complessivamente intesa, a chiarire il significato del termine produttore, assumendolo in un’accezione non compatibile né con l’interpretazione ampia proposta dall’aggiudicataria, né con quella prospettata dalla stazione appaltante.

Già la nozione di ricambio equivalente, espressa dall’art. 2.2 delle specifiche tecniche, qualifica tale quello “fabbricato” da qualsiasi impresa, precisando che è proprio il fabbricante che deve certificare “la corrispondenza della qualità dei pezzi di ricambio a quella dei componenti usati per l’assemblaggio dell’autoveicolo e dei ricambi forniti dal costruttore del veicolo”.

Pertanto, è destituita di fondamento la tesi, pure sostenuta dalla controinteressata, secondo la quale la certificazione potrebbe essere rilasciata anche dall’imprenditore che, senza fabbricare il prodotto, vi appone il proprio marchio e lo commercializza.

Del resto, la compilazione del listino prezzi, con l’indicazione del produttore e del codice del prodotto non sottende una finalità genericamente informativa, ma mira ad identificare compiutamente il ricambio offerto e proprio a questo fine la lex specialis richiede l’indicazione della provenienza del prodotto, attraverso la specificazione del soggetto che lo ha realizzato e che lo ha individuato assegnandogli un apposito codice.

La circostanza che la lex specialis intenda per produttore colui che ha fabbricato il ricambio equivalente è poi confermata dal fatto che la certificazione di equivalenza deve essere rilasciata, ex art. 2.2 della specifica tecnica, proprio dal fabbricante. Invero, sarebbe irragionevole ipotizzare che la lex specialis, proprio nella parte in cui stabilisce le modalità di identificazione del prodotto equivalente oggetto di offerta, assuma una nozione del tutto vaga e generica di produttore e, pertanto, priva di valore identificativo del prodotto offerto.

La necessità di ritenere che la lex specialis, quando definisce gli elementi identificativi del ricambio equivalente, utilizzi il termine “produttore” come sinonimo di fabbricante, discende anche dalla disciplina comunitaria ed in particolare dal Reg. (CE) 31 luglio 2002, n. 1400/2002 (Regolamento della Commissione relativo all’applicazione dell’articolo 81, paragrafo 3, del trattato a categorie di accordi verticali e pratiche concordate nel settore automobilistico).

Tale regolamento – diretto a definire categorie di accordi verticali, che si può ritenere soddisfino di regola le condizioni di cui all’articolo 81, paragrafo 3 del trattato, nel settore automobilistico in materia di distribuzione di autoveicoli nuovi, pezzi di ricambio e servizi di assistenza ai clienti – definisce, ex art. 1, comma 1 lett. u), “pezzi di ricambio di qualità corrispondente” solo i “pezzi di ricambio fabbricati da qualsiasi impresa che possa certificare in qualunque momento che la qualità di detti pezzi di ricambio corrisponde a quella dei componenti che sono stati usati per l’assemblaggio degli autoveicoli”.

Ne consegue che, anche a livello comunitario, l’equivalenza del ricambio deve essere certificata dal fabbricante, sicché è proprio il riferimento al fabbricante che consente l’esatta identificazione del prodotto e, mediante la certificazione, delle sue caratteristiche tecniche.

E’, pertanto, fondata la doglianza in esame, atteso che Var srl nel definirsi produttore di ricambi equivalenti che, in realtà, non fabbrica, ma acquista da terzi, ha interpretato erroneamente l’art. 6.6.2 del disciplinare di gara, creando un’oggettiva incertezza in ordine all’esatta identificazione dei prodotti equivalenti offerti, con conseguente oggettiva incertezza in ordine a profili essenziali dell’offerta presentata.

2.4) Le censure sinora esaminate hanno carattere sostanziale, pertanto la sussistenza dei profili di illegittimità che esse evidenziano consente di annullare i provvedimenti impugnati con assorbimento delle ulteriori doglianze formulate dalla ricorrente.

3) La società ricorrente ha chiesto sia la dichiarazione di inefficacia del contratto stipulato da Atm spa con Var S.r.l., in data 17 dicembre 2015, sia di subentrare nella gestione dell’appalto.

Le domande sono fondate.

In relazione alla dichiarazione di inefficacia del contratto, va osservato che si versa nell’ipotesi delineata dall’art. 122 c.p.a., fermo restando che le illegittimità riscontrate non inficiano l’intera gara, ma solo l’aggiudicazione in favore della controinteressata.

Inoltre, la ricorrente principale si è collocata al secondo posto della graduatoria, sicché, in considerazione dell’incidenza dei vizi riscontrato sul solo provvedimento di aggiudicazione in favore di Var s.r.l., risulta concreta la possibilità per Iveco Orecchia spa di conseguire l’aggiudicazione dell’appalto.

Sotto altro profilo, va evidenziato che l’appalto in questione ha una durata biennale e il contratto tra la stazione appaltante e la controinteressata è stato stipulato in data 17 dicembre 2015, sicché l’esecuzione terminerà in data 17 dicembre 2017; la durata residua del contratto evidenzia che lo stato della sua esecuzione non è ancora avanzato e ciò consente di dichiarare l’inefficacia del contratto, in applicazione dei parametri posti dal citato art. 122 c.p.a., fermo restando che la ricorrente ha pure presentato la domanda di subentro.

L’esigenza di salvaguardare gli interessi della parte ricorrente conduce a far decorrere l’inefficacia del contratto dal momento della pubblicazione del dispositivo della presente sentenza.

Contestualmente, deve essere disposto il subentro di Iveco Orecchia spa, che ha proposto la relativa domanda, nella gestione dell’appalto, ai sensi degli artt. 122 e 124 c.p.a. e sempre con decorrenza dalla data di pubblicazione del dispositivo della presente sentenza.

4) La ricorrente principale ha chiesto anche la condanna della stazione appaltante al risarcimento del danno per equivalente pecuniario, ma, nel corso del giudizio, ha rinunciato alla domanda, di cui, pertanto, deve essere dichiarata l’estinzione, ai sensi degli artt. 35, 84 e 85 c.p.a.

5) In definitiva, il ricorso principale è fondato e deve essere accolto in relazione alle domande di annullamento, di dichiarazione di inefficacia del contratto e di subentro nel contratto, mentre deve essere dichiarata l’estinzione della domanda risarcitoria.

Viceversa, il ricorso incidentale – che, contiene difese dirette solo a confutare le doglianze formulate dalla ricorrente, difese vagliate nel contesto dell’esame delle censure formulate da Iveco Orecchia spa – deve essere respinto.

La complessità delle questioni trattate consente di ravvisare giusti motivi per compensare tra le parti le spese della lite, salva la restituzione del contributo unificato in favore della ricorrente principale.


P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta)

Definitivamente pronunciando:

1) accoglie la domanda di annullamento contenuta nel ricorso principale, nei limiti di quanto esposto in motivazione e, per l’effetto, annulla il provvedimento di aggiudicazione definitiva impugnato;

2) respinge il ricorso incidentale;

3) dichiara l’inefficacia del contratto stipulato tra Azienda Trasporti Milanesi S.p.A. e Var S.r.l. a seguito dell’aggiudicazione a quest’ultima della gara cui si riferiscono gli atti impugnati, con decorrenza dalla data di pubblicazione del dispositivo di sentenza;

4) dispone il subentro di Iveco Orecchia S.p.A. nel contratto con Azienda Trasporti Milanesi S.p.A. per l’esecuzione della fornitura cui si riferiscono gli atti impugnati, con decorrenza dalla data di pubblicazione del dispositivo di sentenza;

5) dichiara estinta per rinuncia la domanda di condanna al risarcimento del danno per equivalente pecuniario formulata dalla ricorrente principale;

6) compensa tra le parti le spese del giudizio, salva la restituzione del contributo unificato in favore della ricorrente principale.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 7 aprile 2016 con l’intervento dei magistrati:

Giovanni Zucchini, Presidente FF
Mauro Gatti, Consigliere
Fabrizio Fornataro, Consigliere, Estensore
   
L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE
 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/07/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

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