* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Inizio dei lavori – Individuazione delle opere minime – Disciplina di dettaglio – Comune – Potere – Sussistenza.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Marche
Città: Ancona
Data di pubblicazione: 22 Marzo 2017
Numero: 225
Data di udienza: 10 Febbraio 2017
Presidente: Filippi
Estensore: Capitanio
Premassima
* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Inizio dei lavori – Individuazione delle opere minime – Disciplina di dettaglio – Comune – Potere – Sussistenza.
Massima
TAR MARCHE, Sez. 1^ – 22 marzo 2017, n. 225
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Inizio dei lavori – Individuazione delle opere minime – Disciplina di dettaglio – Comune – Potere – Sussistenza.
La possibilità di disciplinare nel dettaglio il profilo relativo alle opere minime in presenza delle quali i lavori si possono considerare iniziati rientra nei poteri del Comune, non contenendo la legge statale alcuna prescrizione ostativa al riguardo (nella specie, il regolamento edilizio comunale conteneva disposizioni ragionevoli e non eccedenti il principio di proporzionalità, escludendo dal novero delle opere denotanti un serio indizio della volontà edificatoria il mero impianto del cantiere, l’esecuzione di scavi, le opere di sistemazione del terreno e le singole opere di fondazione, comprendendo invece l’esecuzione in tutto o in parte delle fondazioni e l’inizio delle opere in elevazione).
Pres. Filippi, Est. Capitanio – E.C. e altro (avv.ti Arlini e Cefalo) c. Comune di fermo (avv.ti Gentili e Argentieri)
Allegato
Titolo Completo
TAR MARCHE, Sez. 1^ - 22 marzo 2017, n. 225SENTENZA
TAR MARCHE, Sez. 1^ – 22 marzo 2017, n. 225
Pubblicato il 22/03/2017
N. 00225/2017 REG.PROV.COLL.
N. 00731/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 731 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Emmamaria Caruso, Antonio Marabini, rappresentati e difesi dagli avvocati Domenico Maria Arlini, Laura Cefalo, con domicilio eletto presso avv. Katia Marini in Ancona, corso Garibaldi, 136;
contro
Comune di Fermo, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Andrea Gentili, Cristina Argentieri, con domicilio eletto presso avv. Maurizio Miranda in Ancona, viale della Vittoria 7;
Regione Marche, non costituita in giudizio
per l’annullamento
– del provvedimento di cui alla nota prot. n. 9410 Rif.Urb.n.1708 del 5/3/2010 del Dirigente del Servizio Edilizia Privata, di diniego di proroga del permesso di costruire n. 12430 del 29/12/2005 P.E. 129/2005;
– del regolamento edilizio comunale vigente e, in particolare, l’art. 38;
– nonché di ogni ulteriore atto precedente, susseguente o comunque connesso, ivi compreso l’atto di cui alla nota prot. n. 3367 del 27/1/2010 di rigetto dell’istanza di proroga;
– della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di riesame;
– del rigetto provvedimento di rigetto dell’istanza di riesame,
e per la condanna
del Comune di Fermo al risarcimento dei danni.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Fermo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 ottobre 2016 la dott.ssa Francesca Aprile e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. I ricorrenti, nella spiegata qualità di comproprietari di un lotto di terreno edificabile ricadente in contrada Reputolo del Comune di Fermo e di titolari del permesso di costruire n. 129/2005 (rilasciato dal Comune alla sig.ra Licia Marabini per la costruzione di un edificio destinato a civile abitazione e in seguito volturato in favore degli odierni ricorrenti in qualità di eredi della predetta sig.ra Marabini), avevano chiesto la proroga del citato titolo edilizio, non avendo ultimato i lavori nel termine previsto inizialmente.
Il Comune, con provvedimento n. 9410 del 2010, ha denegato la proroga.
Tale provvedimento, in una con gli atti presupposti, è stato impugnato con il ricorso introduttivo.
In seguito i ricorrenti hanno chiesto all’amministrazione di riesaminare la pratica, ma anche questa istanza è stata rigettata con provvedimento n. 7981/2016.
Questo secondo atto è stato impugnato con i motivi aggiunti, unitamente al c.d. preavviso di rigetto.
I ricorrenti chiedono altresì la condanna del Comune al risarcimento dei danni.
2. Per resistere al ricorso e ai motivi aggiunti, si è costituito in giudizio il Comune di Fermo, che, eccepitane l’irricevibilità ed inammissibilità, ne ha domandato il rigetto nel merito.
3. Alla pubblica udienza del 21 ottobre 2016, sentiti i difensori, il ricorso è stato trattenuto per essere deciso.
Il ricorso e i motivi aggiunti vanno nel loro complesso respinti.
4. Le censure formulate dai ricorrenti si possono così sintetizzare:
a) l’amministrazione ha in primo luogo applicato erroneamente l’art. 15 del T.U. n. 380/2001 e l’art. 142 delle NTA del PRG (il quale ultimo consente la proroga delle concessioni edilizie rilasciate nel vigore del precedente PRG e che riguardino interventi edilizi incompatibili con la pianificazione sopravvenuta);
b) ugualmente violato è l’art. 38, comma 6, del REC (nella parte in cui indica le opere in presenza delle quali i lavori possono considerarsi iniziati ai sensi e per gli effetti dell’art. 15 del T.U. e dell’art. 142 delle NTA), in quanto il Comune non ha provveduto ad accertare quale fosse lo stato di avanzamento dei lavori al momento della presentazione dell’istanza di proroga. In ogni caso, l’elencazione dell’art. 38, comma 6, non ha carattere tassativo ed esaustivo, dovendosi verificare in concreto la serietà dell’intento edificatorio;
c) il ritardo nell’esecuzione dei lavori è addebitabile al comportamento dell’amministrazione (che ha avviato e mai concluso il procedimento di annullamento in autotutela del p.d.c. n. 129/2005, in tal modo ingenerando nel privato un’obiettiva incertezza circa la legittimità dell’intervento edificatorio e una comprensibile prudenza nella prosecuzione dello stesso);
d) in subordine, l’art. 38, comma 6, del REC è illegittimo, in quanto pretende di definire una volta per tutte le opere che denotano la serietà dell’intento edificatorio, andando oltre le stesse previsioni del T.U. n. 380/2001;
e) del tutto inconferente è il riferimento operato dal Comune alla pendenza di una causa civile per l’accertamento del diritto di proprietà sull’area, in quanto tale vicenda non incide in alcun modo sulla legittimazione del titolare del permesso di costruire di richiedere una proroga per l’ultimazione dei lavori;
f) il provvedimento con cui è stato confermato il diniego impugnato con il ricorso introduttivo, oltre a reiterare i medesimi vizi del precedente atto è illegittimo per violazione del contraddittorio procedimentale e dell’art. 10-bis della L. n. 241/1990.
5. Tali censure, come detto, sono infondate.
5.1. Quanto ai motivi indicati al precedente punto 4, sub a) e b), si osserva che:
– è certamente vero che l’art. 142 delle NTA consente la proroga di concessioni relative ad interventi edilizi contrastanti con il nuovo PRG, ma è altrettanto vero che tale possibilità è letteralmente limitata “…ai casi consentiti….”;
– per stabilire quali siano i “casi consentiti”, è necessario far riferimento all’art. 15, comma 4, del T.U. n. 380/2001, il quale pone il principio generale secondo cui in casi del genere la proroga è ammessa solo se i lavori sono già iniziati al momento dell’entrata in vigore delle nuove previsioni urbanistiche;
– nella specie, per verificare se i lavori erano iniziati al momento dell’entrata in vigore del nuovo PRG si deve far riferimento all’art. 38, comma 6, del REC.
Sotto questi profili, dunque, l’operato del Comune è del tutto legittimo.
5.2. Con riguardo al motivo di cui al punto 4., sub d), e all’asserito difetto di istruttoria, si osserva quanto segue.
In primo luogo, sono inammissibili in quanto tardive le doglianze contenute nell’atto di motivi aggiunti in cui si descrivono le opere abusive presenti nell’area che avrebbero impedito il completamento dei lavori assentiti nel 2005. In effetti, poiché lo stato di fatto non è mutato rispetto alla situazione esistente al momento dell’adozione del diniego impugnato con il ricorso introduttivo, tali censure andavano proposte quantomeno nel 2010.
In ogni caso, va riconosciuto al Comune il merito di aver effettuato un ulteriore sopralluogo in situ (nonostante non fosse tenuto a farlo) al solo fine di verificare se vi fossero modificazioni rispetto a quanto riportato nella perizia di parte redatta dall’arch. Torresi il 26 giugno 2009. Ciò ha esposto l’amministrazione alle ulteriori censure formulate con l’atto di motivi aggiunti, le quali sono però in parte inammissibili per tardività (come detto) e in parte infondate. In effetti, nel caso di specie parte ricorrente non avrebbe potuto addurre alcun nuovo elemento in fatto, in quanto in assenza della proroga del titolo edilizio nessuna ulteriore opera era legittimamente realizzabile dopo il giugno 2009, mentre a livello giuridico il Comune non era certo tenuto a condividere le argomentazioni di parte ricorrente circa l’interpretazione dell’art. 38, comma 6, del REC.
5.3. Ad ogni buon conto, le circostanze ostative all’ultimazione dei lavori esposte nell’atto di motivi aggiunti non si possono qualificare come fatti sopravvenuti, e la prova di ciò sta nel fatto che la dante causa dei ricorrenti aveva avuto modo di denunciarle al Comune negli anni 2003-2006 (il che, del resto, è confermato proprio dai ricorrenti nell’atto di motivi aggiunti). E’ evidente, dunque, che tali circostanze erano note già al momento della presentazione della domanda di rilascio del titolo edilizio e di esse avrebbe dovuto al limite tenere conto il progettista.
5.4. Per quanto concerne, poi, la dedotta illegittimità del citato art. 38, comma 6, del regolamento edilizio, va osservato che nella specie esiste una norma la quale stabilisce i criteri in base ai quali un intervento edilizio può considerarsi iniziato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 15, comma 4, del T.U. n. 380/2001.
I ricorrenti, richiamando la giurisprudenza maggioritaria, sostengono al riguardo che l’elencazione contenuta nell’art. 38, comma 6, non può considerarsi esaustiva, dovendo la serietà dell’intento edificatorio essere valutata caso per caso. Il Tribunale non ritiene di poter condividere tali assunti, e ciò per il fatto che i frequenti interventi del giudice amministrativo in subiecta materia sono dovuti proprio alla circostanza che nella maggior parte dei regolamenti edilizi comunali manca una norma analoga a quella in commento (per cui le questioni controverse in tema di inizio dei lavori vanno risolte effettivamente caso per caso). Il Comune di Fermo, proprio per evitare dubbi ed incertezze applicative e adottare orientamenti uniformi, ha ritenuto invece di disciplinare nel dettaglio la materia, di modo che il titolare del permesso di costruire è messo preventivamente a conoscenza di quali sono le opere minime in presenza delle quali i lavori si possono considerare iniziati. La possibilità di disciplinare nel dettaglio questo profilo rientrava sicuramente nei poteri del Comune, non contenendo la legge statale alcuna prescrizione ostativa al riguardo.
Nel merito, poi, l’art. 38 contiene disposizioni che vanno ritenute in sé ragionevoli e non eccedenti il principio di proporzionalità, visto che la norma esclude dal novero delle opere denotanti un serio indizio della volontà edificatoria il mero impianto del cantiere, l’esecuzione di scavi, le opere di sistemazione del terreno e le singole opere di fondazione, mentre vi comprende l’esecuzione in tutto o in parte delle fondazioni e l’inizio delle opere in elevazione.
5.5. Quanto all’eccepito difetto di istruttoria, lo stesso non sussiste, visto che:
– l’istanza di proroga era supportata da una perizia di parte a firma dell’arch. Fabrizio Torresi, e dunque il Comune, per istruire la pratica, non poteva che rifarsi al contenuto della perizia stessa;
– dall’elaborato peritale (doc. allegato n. 5 alla memoria di costituzione del Comune) emerge che le opere realizzate consistevano unicamente nella recinzione e protezione dell’area, in opere di movimento terra, nella realizzazione di una palificata a nord-ovest (a protezione della scarpata) e nella realizzazione di una trave di collegamento della testa dei pali in cemento armato. Ciò per un verso non richiedeva l’effettuazione di alcun sopralluogo in situ (anche se poi il Comune, a seguito dell’istanza di riesame, ha ritenuto ugualmente di svolgere il sopralluogo), non esistendo motivi per dubitare della veridicità della relazione tecnica, per altro verso non integrava i presupposti minimi di cui all’art. 38, comma 6, del REC. In effetti, è lo stesso progettista ad affermare che le opere di movimento terra eseguite erano finalizzate a raggiungere il livello di posa delle fondazioni, il che vuol dire che le fondazioni non sono state posate nemmeno in parte. Peraltro nella specie non si è in presenza di un progetto di particolare complessità tecnica, e dunque non è possibile invocare eventuali rilevanti difficoltà di esecuzione delle opere.
Va infine osservato che la serietà dell’intento edificatorio è smentita anche dalla documentazione fotografica allegata all’esposto pervenuto al Comune in data 24 settembre 2009 (doc. allegato n. 7 alla memoria di costituzione dell’ente).
5.6. Con riguardo alla censura di cui al punto 4., sub c), la stessa è infondata, atteso che:
– seppure è vero che in data 31 gennaio 2006 l’amministrazione aveva avviato il procedimento di autotutela per l’annullamento del titolo edilizio, è altrettanto vero che in data 27 febbraio 2006 è stato rilasciato materialmente alla dante causa degli odierni ricorrenti il p.d.c. n. 129/2005;
– l’interessata era dunque perfettamente in grado di attribuire a tale condotta il significato di comportamento concludente, non essendo ipotizzabile che l’amministrazione abbia rilasciato un titolo della cui legittimità poteva ancora dubitarsi. E, del resto, per il destinatario era abbastanza agevole chiedere al competente ufficio comunale se la pratica di annullamento d’ufficio fosse stata (anche per silentium) archiviata e regolarsi di conseguenza. Tra l’altro, poiché al momento del ritiro del titolo i lavori non erano iniziati, se davvero l’interessata avesse nutrito dubbi sulla legittimità del permesso non avrebbe dovuto nemmeno avviare l’intervento.
6. Per quanto concerne il riferimento operato dall’amministrazione alla pendenza di una causa civile, effettivamente si tratta di profilo irrilevante ai fini che qui interessano, ma tale irrilevanza va affermata anche in relazione alla valutazione della legittimità dell’impugnato diniego (il quale si fonda su altre ragioni ben più rilevanti e che il Tribunale ritiene correttamente motivate). Oltre tutto parte ricorrente si contraddice in maniera evidente, laddove (pag. 4 del ricorso introduttivo) afferma che uno dei fattori di incertezza che hanno impedito di completare per tempo l’intervento è da rinvenire proprio nella pendenza della suddetta causa civile.
7. I motivi aggiunti, come detto, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
8. In conseguenza del rigetto della domanda impugnatoria va respinta anche la domanda risarcitoria.
Le spese processuali possono essere compensate, stante la particolarità della vicenda.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso introduttivo e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Ancona nelle camere di consiglio dei giorni 21 ottobre 2016 e 10 febbraio 2017, con l’intervento dei magistrati:
Maddalena Filippi, Presidente
Tommaso Capitanio, Consigliere, Estensore
Francesca Aprile, Primo Referendario
L’ESTENSORE
Tommaso Capitanio
IL PRESIDENTE
Maddalena Filippi
IL SEGRETARIO