* FAUNA E FLORA – Attività agricola – Danni cagionati dalla fauna selvatica – Indennizzi – Aiuto illegale di Stato – Regione Marche – Richiesta di restituzione – Illegittimità – Ragioni.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Marche
Città: Ancona
Data di pubblicazione: 5 Maggio 2016
Numero: 277
Data di udienza: 18 Marzo 2016
Presidente: Filippi
Estensore: De Mattia
Premassima
* FAUNA E FLORA – Attività agricola – Danni cagionati dalla fauna selvatica – Indennizzi – Aiuto illegale di Stato – Regione Marche – Richiesta di restituzione – Illegittimità – Ragioni.
Massima
TAR MARCHE, Sez. 1^ – 5 maggio 2016, n. 277
FAUNA E FLORA – Attività agricola – Danni cagionati dalla fauna selvatica – Indennizzi – Aiuto illegale di Stato – Regione Marche – Richiesta di restituzione – Illegittimità – Ragioni.
La normativa comunitaria prevede che la valutazione circa l’esistenza di un aiuto di Stato illegale non è condizione sufficiente per procedere al suo recupero, occorrendo una ulteriore valutazione di incompatibilità del medesimo rispetto al mercato interno, nonché una valutazione della compatibilità di una decisione di recupero con i principi fondamentali del diritto dell’Unione. Dette valutazioni sono demandate alla Commissione Europea, unico organo legittimato ad imporre una decisione di recupero che lo Stato membro è poi obbligato a rispettare, intimando la restituzione dell’aiuto illegale ritenuto incompatibile a tutti i soggetti che lo hanno percepito. Le decisioni di recupero adottate dalla Commissione sono indirizzate esclusivamente agli Stati membri, le cui amministrazioni interne sono poi competenti ad adottare gli atti concretamente incidenti sulle situazioni giuridiche soggettive delle imprese beneficiarie (nella specie – relativa alla richiesta di restituzione degli indennizzi concessi alle attività agricole per i danni cagionati dalla fauna selvatica ai sensi della l.r. Marche n. n. 17/1995 – il Tar ha altresì evidenziato che la norma regionale è stata adottata in base alle leggi 14/8/1991, n. 281 e 11/2/1992, n. 157: avrebbe pertanto dovuto essere lo Stato, e non le Regioni, a qualificare gli indennizzi in parola come aiuti di Stato e a decretarne la restituzione)
Pres. Filippi, Est. De Mattia – V.L. e altri (avv. Gianmarino) c. Regione Marche (avv. Di Ianni) e Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (Avv. Stato)
Allegato
Titolo Completo
TAR MARCHE, Sez. 1^ - 5 maggio 2016, n. 277SENTENZA
TAR MARCHE, Sez. 1^ – 5 maggio 2016, n. 277
N. 00277/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00608/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 608 del 2015, proposto da:
Vagnoni Liliana in proprio e quale coniuge erede di Ricciotti Giuseppe, nonché Ricciotti Giovanna, Ricciotti Vito e Ricciotti Eleonora, quali eredi di Ricciotti Giuseppe, rappresentati e difesi dall’avv. Raffaele Giammarino, con domicilio eletto presso Luigi Orlandi in Ancona, Via Villa Franca, 4;
contro
Regione Marche, rappresentata e difesa dall’avv. Lucilla Di Ianni, con domicilio eletto presso il Servizio Legale della Regione Marche in Ancona, piazza Cavour, 23;
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Ancona, piazza Cavour, 29;
per l’annullamento
1). del Decreto del Dirigente della P.F. tutela delle risorse ambientali della Regione Marche n. 110 del 29.7.2015 notificato a mezzo p.e.c. in pari data alla Sig.ra Vagnoni Liliana, quale titolare dell’omonima ditta, avente ad oggetto: <<Reg. Ce 1860/2004 e 1535/2007, Reg, UE 1408/2013, L.R. 17/1995, DGR n. 160 del 09.03.2015: Vagnoni Liliana (cf. VGNLLN61M50Z110B) sanatoria indennizzi, recupero indennizzi non sanabili, interessi>> e relativa comunicazione di avvio del procedimento amministrativo per la eventuale sanatoria e recupero degli indennizzi ex. L. R. 17/1995 di cui alla nota prot. 285210 del 23/4/2015;
2). del Decreto del Dirigente della P.F. tutela delle risorse ambientali della Regione Marche n. 171 dell’8.9.2015 notificato a mezzo p.e.c. in pari data alla Sig.ra Vagnoni Liliana e ai figli Ricciotti Vito, Ricciotti Giovanna e Ricciotti Eleonora, tutti in qualità di eredi di Ricciotti Giuseppe, avente ad oggetto: <<Reg. Ce 1860/2004 e 1535/2007, Reg, UE 1408/2013, L.R. 17/1995, DGR n. 160 del 09.03.2015: Ricciotti Giuseppe (RCCGPP52C26L597W) sanatoria indennizzi, recupero indennizzi non sanabili, interessi>> e relativa comunicazione di avvio del procedimento amministrativo per la eventuale sanatoria e recupero degli indennizzi ex. L. R. 17/1995 di cui alle note prot. 202103 del 23/3/2015 e prot. 206494 del 24.03.2015;
2). della D.G.R. della Regione Marche n. 160 del 9.03.2015 (all. 3) avente ad oggetto: <<Reg. Ce 1860/2004 e 1535/2007, Reg. UE 1408/2013, L.R. 17/1995. Indennizzi per danni al patrimonio zootecnico causati da lupi e cani randagi: approvazione criteri e procedure per il trascorso decenni>>;
3). del decreto del Dirigente della P.F. tutela delle risorse ambientali n. 9/TRA del 18.03.2015 (all. 4) avente ad oggetto:<< D.G. R. 160 del 09.03.2015: dichiarazione degli aiuti in de minimis ottenuti dal 2005 (o dal 2003), per sanatoria degli indennizzi ex L.R. 17/1995 concessi dal 2005 al 2013>> e di ogni altro atto conseguente e presupposto.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Marche e del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 marzo 2016 la dott.ssa Simona De Mattia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
1. I ricorrenti impugnano i provvedimenti con cui la Regione Marche ha stabilito di procedere al parziale recupero degli indennizzi concessi al sig. Giuseppe Ricciotti e alla sig.ra Vagnoni Liliana, a decorrere dall’anno 2005, a titolo di indennizzo ex L.R. 20/2/1995, n. 17 (recante interventi e indennizzi per danni causati al patrimonio zootecnico da specie animali di notevole interesse scientifico e da cani randagi).
2. In punto di fatto, essi espongono quanto segue:
– il de cuius sig. Ricciotti era titolare, unitamente alla moglie sig.ra Vagnoni, odierna ricorrente, di un’impresa agricola. Avendo subito, nel corso degli anni, danni al patrimonio zootecnico cagionati da specie protette e da cani randagi, essi hanno ricevuto dalla Regione Marche gli indennizzi previsti dalla L.R. n. 17/1995;
– con le comunicazioni prot. 285210 del 23 aprile 2015, prot. 202103 del 23 marzo 2015 e prot. 206494 del 24 marzo 2015 la Regione ha avviato, a carico dei ricorrenti, il procedimento per la eventuale sanatoria e/o recupero degli indennizzi ex L.R. n. 17/1995 percepiti a decorrere dall’anno 2005. Nelle medesime comunicazioni gli stessi venivano avvisati che, nel caso di mancata adesione alla procedura di sanatoria ivi descritta, allo scadere del termine di 90 giorni dalla ricezione degli atti suddetti, la Regione Marche avrebbe avviato la procedura di recupero forzoso di tutte le somme in parola;
– a sostegno di tale richiesta la Regione Marche adduce la circostanza che i predetti indennizzi concessi agli allevatori colpiti da eventi di predazione ai sensi della L.R. n. 17/1995 sono da considerarsi aiuti di Stato (e non risarcimenti) e che in nessuno degli atti amministrativi attuativi della legge in parola (deliberazioni della Giunta Regionale e decreti dirigenziali) in cui si sono stabiliti i tempi, le procedure e l’entità degli indennizzi era stato affrontato il problema della possibile qualificazione degli indennizzi in questione come aiuti di Stato. Ciò ha implicato che detti aiuti non sono stati mai preliminarmente notificati alla Commissione Europea, né sono stati erogati nella (consentita) forma degli aiuti de minimis. Pertanto gli indennizzi finora concessi sono aiuti di Stato illegali ai sensi dell’art. 1 paragrafo 1 lett. F) del Reg. CE n. 659/1999;
– la Regione Marche, avendo deciso che si tratta di aiuti illegali e avendo valutato l’inopportunità di notificare ora per allora alla Commissione UE i regimi di aiuto in parola in forza delle considerazioni espresse nell’atto di indirizzo adottato dalla Giunta Regionale, ha ritenuto di dover provvedere autonomamente al recupero degli indennizzi erogati a partire dall’anno 2005 a carico di tutte le aziende che li hanno percepiti, previa applicazione della procedura di sanatoria descritta nell’impugnata deliberazione di G.R. n. 160/2015. La Regione ha infatti previsto l’applicazione, ora per allora, dei regolamenti de minimis succedutisi nel tempo, ossia del Reg. CE n. 1860/2004 (applicabile a decorrere dal 1° gennaio 2005 e che per il triennio 2005/2007 stabiliva un tetto di aiuti nel settore dell’agricoltura di € 3.000,00), del Reg. CE n. 1535/2007 (che prevedeva il limite di € 7.500,00 per triennio) e del Reg. UE n. 1408/2013 (che prevede un limite di aiuti per i tre esercizi di € 15.000,00);
– i ricorrenti, previa dichiarazione di non acquiescenza all’azione di recupero degli indennizzi, hanno dunque aderito alla predetta sanatoria secondo i termini prescritti ed hanno ricevuto il decreto dirigenziale n. 110 del 29 luglio 2015, con il quale si richiede e si intima alla sig.ra Vagnoni Liliana, in proprio, di restituire l’importo complessivo di € 14.002,91 (quali indennizzi e interessi non sanabili), e il decreto n. 171 dell’8 settembre 2015, con il quale si richiede e si intima alla sig.ra Vagnoni Liliana e ai fgli, quali eredi del sig. Ricciotti Giuseppe, di restituire l’importo complessivo di € 46.791,40 (quali indennizzi e interessi non sanabili), concedendo all’uopo un termine perentorio di 120 giorni dal ricevimento dei medesimi provvedimenti, con l’avvertimento che in mancanza la Regione Marche avrebbe proceduto al recupero forzoso delle somme dovute.
3. I provvedimenti regionali indicati in epigrafe sono censurati per i seguenti motivi:
a) violazione e falsa applicazione degli artt. 107, 108 TFUE e ss., degli arti. 13 e 14 Reg. CE n. 659/1999 e dell’art. 3 Cost.
Premettendo una sintetica ricostruzione della normativa sugli aiuti di Stato richiamata nei medesimi provvedimenti impugnati, i ricorrenti evidenziano che, ai sensi dell’art. 107 TFUE, le misure di sostegno finanziario concesso attraverso risorse pubbliche che siano idonee ad attribuire un vantaggio economico a talune imprese e ad incidere sulla concorrenza sono in via di principio incompatibili con il diritto dell’Unione. La norma medesima contempla però alcune deroghe, in base alle quali, in sostanza, una misura che integri le caratteristiche di un aiuto può essere compatibile con il diritto dell’Unione allorché persegua obiettivi di interesse generale chiaramente definiti (art. 107, paragrafi 2 e 3, TFUE).
Ai sensi dell’art. 1 lett. F del Regolamento CE n. 659/1999, si definisce “aiuto illegale” ogni nuovo aiuto concesso in violazione dell’art. 108, terzo paragrafo, TFUE. La nozione di aiuto illegale ricomprende quindi ogni nuovo aiuto concesso in violazione sia dell’obbligo di notifica, sia dell’obbligo di sospensione.
Va peraltro osservato come all’illegalità della misura, ovvero al suo essere concessa in violazione di obblighi procedurali, non consegua automaticamente la sua incompatibilità con il mercato interno. Quest’ultima potrà eventualmente essere affermata dalla Commissione UE a conclusione di un procedimento di indagine formale, avviato e condotto ai sensi dell’art. 108 TFUE e del Reg. CE n. 659/1999. A tal fine, l’art. 13 del Reg. CE n. 659/1999 stabilisce che nel caso di aiuti illegali trovi applicazione la medesima disciplina concernente l’esame delle misure regolarmente notificate. All’esito di tale indagine, la Commissione potrebbe o ritenere la misura compatibile con il mercato interno, oppure dichiararla incompatibile, ma in questo secondo caso non è comunque possibile disporre il recupero dei finanziamenti erogati quando questo sia in contrasto con uno o più principi generali del diritto comunitario.
La normativa comunitaria richiamata nel presente motivo di ricorso prevede dunque che la valutazione circa l’esistenza di un aiuto di Stato illegale non è condizione sufficiente per procedere al suo recupero, occorrendo una ulteriore valutazione di incompatibilità del medesimo rispetto al mercato interno, nonché una valutazione della compatibilità di una decisione di recupero con i principi fondamentali del diritto dell’Unione. Dette valutazioni sono demandate alla Commissione Europea, unico organo legittimato ad imporre una decisione di recupero che lo Stato membro è poi obbligato a rispettare, intimando la restituzione dell’aiuto illegale ritenuto incompatibile a tutti i soggetti che lo hanno percepito.
Le decisioni di recupero adottate dalla Commissione sono indirizzate esclusivamente agli Stati membri, le cui amministrazioni interne sono poi competenti ad adottare gli atti concretamente incidenti sulle situazioni giuridiche soggettive delle imprese beneficiarie.
Con riguardo al caso di specie, dagli atti impugnati emerge l’inesistenza di qualsivoglia decisione della Commissione UE che abbia dichiarato illegittimi gli indennizzi in parola e/o che ne abbia imposto il recupero.
I ricorrenti ritengono peraltro che non sia possibile ipotizzare un potere di immediata rilevabilità dell’illegittimità dell’aiuto da parte dell’amministrazione (e del giudice eventualmente investito della relativa questione), a prescindere da un’apposita decisione della Commissione Europea. Questo sia per l’assenza di qualsivoglia previsione normativa in tal senso, sia alla luce della disciplina introdotta dal Reg. CE n. 659/1999 circa le modalità di applicazione dell’art. 108 TFUE (in tema di competenza esclusiva della Commissione UE a stabilire la compatibilità con il mercato interno degli aiuti di Stato viene richiamata la sentenza n. 2401/2015 del Consiglio di Stato).
Questa vera e propria “riserva di amministrazione” prevista in favore della Commissione Europea obbedisce peraltro ad esigenze di certezza del diritto, di tutela dell’affidamento dei singoli e di parità di trattamento dei soggetti che dovessero essere destinatari di una decisione di recupero e va affermata anche alla luce dell’ampio potere discrezionale di valutazione che le pertinenti norme del Trattato e del Reg. n. 659/1999 attribuiscono alla stessa Commissione.
Con i provvedimenti impugnati la Regione Marche ha dunque palesemente violato le disposizioni degli artt. 107 e 108 TFUE e ss, degli artt.. 13 e 14 Reg. CE n. 659/1999, nonché l’art. 3 Cost.;
b) incompetenza assoluta per difetto di attribuzione dell’organo che ha adottato la decisione di recupero degli indennizzi.
Da quanto detto nel precedente motivo di ricorso, discende anche il vizio di incompetenza assoluta della Regione Marche a giudicare la compatibilità degli indennizzi in parola con i principi fondamentali del Trattato UE in materia di aiuti di Stato;
c) eccesso di potere per sviamento, difetto di istruttoria, contraddittorietà e perplessità dell’azione amministrativa, illogicità e carenza di motivazione in ordine ai presupposti e ai requisiti di legittimità del provvedimenti adottati.
Nel merito, comunque, gli atti impugnati risultano viziati per eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, del difetto di istruttoria, e dell’illogicità, contraddittorietà e carenza di motivazione.
In primo luogo, l’amministrazione regionale è incorsa in uno sviamento di potere avendo adottato gli atti impugnati al solo fine di eludere la procedura prevista dal diritto comunitario per i casi di omessa notifica preventiva degli aiuti alle imprese.
La deliberazione n. 160/2015 è poi illegittima per contraddittorietà della motivazione, in quanto, dopo aver richiamato tutte le norme del TFUE e del Reg. CE n. 659/1999 che disciplinano il recupero degli aiuti di Stato, affidando le relative decisioni alla competenza esclusiva della Commissione UE, la Giunta Regionale finisce del tutto ingiustificatamente ed erroneamente per affermare la sua legittimazione ad agire autonomamente per il recupero.
Prive di pregio sono invece le restanti considerazioni svolte nella deliberazione n. 160/2015 al fine di spiegare perché il recupero da parte della Regione deve ritenersi preferibile rispetto alla possibilità della notifica alla Commissione Europea del regime di aiuti per chiederne la sanatoria ex post. In sintesi, la Regione rileva che:
– se la Commissione approvasse in sanatoria tali regimi, gli indennizzi concessi sarebbero tutti sanati e i beneficiari dovrebbero restituire solo gli interessi;
– se la Commissione “…approvasse i Regimi del passato, per uniformità, come sembra probabile secondo lo stesso criterio che ha adottato per la Sassonia nel 2010, per il Brandeburgo nel 2011 e per la Baviera nel 2012…”, ammettendo quindi un indennizzo non superiore all’80% dei costi ammissibili, sarebbero oggetto di recupero a carico delle imprese beneficiarie solo il 20% degli indennizzi (eccetto che per quelli dell’anno 2012, perché in quell’anno la Regione Marche ha coperto solo il 50% dei costi ammissibili);
– se la Commissione dichiarasse invece interamente incompatibili gli indennizzi in parola, occorrerebbe recuperare da tutti i beneficiari l’intero importo degli indennizzi oltre gli interessi, senza possibilità per le imprese di opporsi al recupero. In particolare, non sarebbero quasi certamente approvati gli indennizzi per le predazioni causate da cani randagi e ferali, che nell’anno 2014 hanno rappresentato circa il 40% degli indennizzi erogati dalla Regione Marche.
Quindi, secondo la Regione, la soluzione migliore è applicare, ora per allora, i regolamenti de minimis succedutisi nel tempo, la qual cosa è del tutto legittima, come conferma la vicenda di cui alla decisione della Commissione 2009/944/CE (in materia di recupero delle accise sul gasolio usato per il riscaldamento delle serre). Questa soluzione, fra l’altro, sarebbe preferibile anche in ragione del fatto che in questo modo la vicenda rimarrebbe confinata in ambito regionale e non presenterebbe alcun margine di incertezza per gli interessati (essendo note a ciascuno di essi le somme percepite e quelle da restituire).
Secondo i ricorrenti, tutte queste considerazioni sono mere supposizioni e ipotesi teoriche, le quali confermano lo sviamento di potere in cui è incorsa la Regione Marche per riparare alle sue omissioni;
d) eccesso di potere per disparità di trattamento e carenza di motivazione per non avere indicato gli interessi pubblici e/o privati la cui tutela possa in qualche misura giustificare un trattamento disuguale.
La Regione Marche ha intimato il recupero totale degli indennizzi erogati alle imprese agricole marchigiane, salva la possibilità di ottenere una riduzione dell’importo da restituire mediate adesione alla procedura di sanatoria deliberata dalla giunta, consistente nell’applicazione ora per allora dei regolamenti de minimis succedutisi nel tempo. Poiché non esiste allo stato alcuna decisione di analogo tenore valida per tutto il territorio nazionale, ne consegue anche il denunciato vizio di disparità di trattamento, a fronte di situazioni del tutto identiche.
Del resto, la necessità di affidare le decisioni di recupero di aiuti di Stato alla Commissione Europea, risponde anche all’esigenza di garantire l’uguaglianza e la parità di trattamento tra gli operatori del mercato, specie quando agli stessi viene imposto un sacrificio economico.
Gli atti impugnati non contengono alcuna motivazione sul punto, né vengono indicati quali sono gli interessi pubblici e/o privati la cui tutela possa in qualche misura giustificare il sacrificio imposto agli imprenditori interessati, ovvero che possa legittimare un trattamento diverso della loro posizione rispetto a quella degli altri operatori economici che hanno avuto analoghi indennizzi (definiti aiuti illegali) di cui però non si prevede la restituzione;
e) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 21-nonies della L. 241/1990 e 6, comma 1 lett. d), della L. n. 124/2015.
Gli impugnati decreti n. 110 e n. 171 sono illegittimi in via autonoma anche per violazione del limite temporale di 18 mesi previsto per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio dall’attuale disposto dell’art. 21-nonies L. n. 241/1990, come modificato dall’art. 6 della L. n. 124/2015;
f) violazione dell’art. 97 Cost e del principio del legittimo affidamento.
L’inosservanza della norma di cui all’art. 21-nonies L. n. 241/1990 rileva anche sotto il profilo della violazione del generale principio del legittimo affidamento, che sottende proprio la ratio della suddetta riforma legislativa introdotta dall’art. 6, comma 1, della L. n. 124/2015, con cui si è voluto porre un limite definito all’esercizio del potere di autotutela da parte dell’amministrazione a vantaggio di quelle situazioni nelle quali una condizione giuridica favorevole al soggetto viene a creare un determinato grado di stabilità nella sfera giuridica del destinatario. L’affidamento legittimo costituisce un limite alla retroattività della legge e un ulteriore corollario e conseguenza del principio del buon andamento della pubblica amministrazione. Di tale principio la giurisprudenza fa sistematica applicazione, anche sulla spinta del diritto comunitario, di cui è parte integrante. In particolare, nella specifica materia degli aiuti comunitari, l’art. 14 comma 1 del Reg. CE n. 659/1999 prevede che la Commissione, anche laddove li ritenga incompatibili, non dispone il loro recupero qualora ravvisi che sia in contrasto con i principi fondamentali del diritto comunitario (nel cui ambito va ricompreso anche il principio del legittimo affidamento);
g) eccesso di potere per carenza di motivazione, difetto di istruttoria, omessa comparazione degli interessi pubblici e privati, per non avere la Regione Marche indicato e motivato circa la ricorrenza di tutti i presupposti indicati dall’art. 21-nonies L. n. 241/1990.
Ai sensi dell’art. 21-nonies L. n. 241/1990, il provvedimento di autotutela deve essere adeguatamente motivato con riferimento alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento (interesse che non può consistere nella mera esigenza di ripristinare la legalità violata) nonché alla valutazione comparativa dell’interesse dei destinatari al mantenimento delle posizioni e dell’affidamento insorto in capo a questi ultimi.
Negli impugnati decreti si fa generico riferimento all’esigenza “…di ripristinare la legalità violata, a tutela della concorrenza…”, senza peraltro indicare in che misura e in che termini gli aiuti di cui si richiede la restituzione abbiano inciso negativamente sulla concorrenza nazionale e/o comunitaria e senza operare inoltre una specifica comparazione degli interessi pubblici e privati che giustifichi, considerato il lungo lasso temporale trascorso, il sacrificio economico imposto al privato;
h) eccesso di potere per irragionevolezza della motivazione e violazione del principio di proporzionalità nella determinazione dei criteri di individuazione degli indennizzi di cui si chiede la restituzione.
Gli atti impugnati sono infine illegittimi anche per quanto riguarda i criteri di applicazione della sanatoria in base ai quali si ottiene il calcolo dell’importo da restituire. In presenza delle diverse opzioni prospettate dalla stessa amministrazione nella determinazione dei siffatti criteri, sono state adottate le scelte maggiormente pregiudizievoli in danno dei piccoli imprenditori a cui viene imposta la restituzione delle somme. Viene al riguardo richiamata la Comunicazione della Commissione (2009/C 16/01) denominata “Quadro di riferimento temporaneo per gli aiuti di stato destinati a favorire l’accesso al finanziamento nel contesto della crisi economica e finanziaria attuale”, che ha consentito agli Stati membri di adottare misure di aiuti temporanei anticrisi. La Commissione UE ha infatti previsto alcune deroghe temporanee alla normativa sugli aiuti di Stato, applicabili dal dicembre 2008 e fino al 31 dicembre 2010, anche a favore delle imprese che dimostrino uno stato di difficoltà conseguente alla crisi. Successivamente con la Comunicazione 2009/C 261/02 la Commissione ha modificato il predetto quadro di riferimento temporaneo, autorizzando un importo compatibile di aiuti in base al regime de minimis limitato a €. 15.000,00 per il settore agricolo. Per cui, applicando il suddetto quadro temporaneo, andrebbe considerato un tetto massimo di aiuti concedibili di €. 15.000,00 (per le domande relative al periodo 2008-2011), invece del tetto di €. 7.500,00 di cui al Regolamento de minimis n. 1535/2007.
La Regione ha deciso invece di non applicare il suddetto limite ed ha giustificato tale decisione con il fatto che il c.d. quadro temporaneo richiedeva il rispetto di alcuni obblighi di comunicazione preventiva a carico delle amministrazioni interessate (trasmissione di una relazione sulle misure adottate al Dipartimento per le Politiche Comunitarie della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha poi provveduto a trasmettere alla Commissione UE una relazione complessiva delle misure adottate). Quindi anche in questo caso la Regione intende porre rimedio a proprie colpevoli omissioni a scapito dei beneficiari degli indennizzi per cui è causa.
4. Si sono costituiti il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (reclamando la propria estraneità al giudizio, per essere la competenza in materia attribuita a livello statale al Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali) e la Regione Marche (la quale ha invece chiesto il rigetto del ricorso).
Con ordinanza n. 367/2015 è stata accolta la domanda cautelare ed è stata fissata per il 18 marzo 2016 l’udienza pubblica di trattazione.
DIRITTO
5. Il ricorso è fondato e va dunque accolto.
6. Il Collegio ritiene fondati nel loro complesso tutti i motivi di gravame, per le considerazioni che si vanno ad esporre.
6.1. Preliminarmente va osservato che la presente vicenda non può essere ricondotta al solo ambito nazionale, e ciò proprio per il fatto che all’origine di tutto vi è la ferma convinzione della Regione Marche circa l’illegittimità comunitaria dell’erogazione degli indennizzi in parola. Peraltro, se la controversia potesse essere decisa sulla base della sola normativa nazionale, il ricorso andrebbe a fortiori accolto, visto che:
– è decorso un tempo lunghissimo dal momento della prima erogazione concessa ai sig.ri Ricciotti e Vagnoni;
– in disparte qualsiasi altra considerazione, ciò ha indubbiamente creato in capo ai beneficiari un affidamento circa la legittimità del contributo e questo anche in ragione del fatto che analoghi indennizzi sono previsti in tutte le legislazioni regionali e che nelle Marche gli stessi sono stati erogati a numerosi altri imprenditori agricoli;
– tenuto conto delle finalità della L.R. n. 17/1995, non potrebbe nemmeno essere decisivo il richiamo alla consolidata giurisprudenza secondo cui la necessità di recuperare risorse finanziarie indebitamente erogate costituisce di per sé valida ragione per l’esercizio dell’autotutela. In questo caso, infatti, per un verso non vi è a monte un’accertata illegittimità degli atti amministrativi oggetto di auto-annullamento, per altro verso anche le finalità di pubblico interesse che permeano la L.R. n. 17/1995 andavano tenute in debita considerazione. In ogni caso, la Regione non ha speso molte parole per spiegare perché l’interesse al ripristino della legalità violata farebbe premio su tutti gli altri interessi coinvolti.
6.2. Ciò detto, va anzitutto condivisa la doglianza principale attorno alla quale ruota tutto il ricorso, ossia l’assunto per cui la competenza esclusiva a dichiarare illegittimo un aiuto di Stato appartiene alla Commissione Europea.
Sul punto non vi è molto altro da aggiungere rispetto a quanto esposto in ricorso, se non richiamare il chiaro disposto dell’art. 108 TFUE (e del Reg. n. 659/1999, attuativo dell’art. 108 e applicabile ratione temporis alla presente controversia) e sottolineare due specifici profili.
In primo luogo, va considerato che la competenza esclusiva della Commissione UE a valutare la compatibilità degli aiuti di Stato sussiste anche in ragione del fatto che l’Istituzione comunitaria è un osservatorio privilegiato, che ha la possibilità di giudicare avendo presente il complessivo assetto di uno o più mercati e di valutare dunque in concreto l’effetto più o meno distorsivo che un contributo pubblico è in grado di produrre nella competizione fra le imprese. Analoghe possibilità di indagine e di valutazione non può certo avere un ente di rango sub-statale, se non altro perché non dispone di tutti i dati all’uopo occorrenti.
Va inoltre valorizzato l’argomento che i ricorrenti hanno illustrato nella memoria conclusionale depositata il 15 febbraio 2016.
In effetti, è del tutto corretto il rilievo che nella specie vi era un ulteriore livello di competenza da considerare, ossia quella dello Stato. La L.R. n. 17/1995, come tutte le altre leggi regionali aventi analoghe finalità, è stata adottata in base alla L. 14/8/1991, n. 281, recante “Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo”, e in base alla L. 11/2/1992, n. 157, recante “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”.
L’art. 3, comma 5, della L. n. 281/1991 prevede al riguardo un vero e proprio obbligo a carico delle Regioni (la disposizione stabilisce infatti che le Regioni “indennizzano gli imprenditori agricoli” e non che “possono prevedere indennizzi” o altre locuzioni simili). Fra l’altro, come si evince dall’art. 8 della L. n. 281, il finanziamento degli interventi in parola è assicurato dallo Stato.
La L. n. 281 introduce poi una serie di misure di prevenzione finalizzate ad evitare in radice o quantomeno ridurre il fenomeno del randagismo.
Analoghe disposizioni contiene l’art. 26 della L. n. 157/1992 (la quale, peraltro, è stata adottata e poi nel tempo modificata proprio in recepimento di direttive comunitarie).
Ma se così è, ne consegue che, semmai, avrebbe dovuto essere lo Stato a porsi il problema della qualificazione degli indennizzi in parola come aiuti di Stato, mentre le Regioni possono pur sempre invocare a propria scusante la conformità della propria legislazione alla normativa di cornice dettata dallo Stato, la quale normativa è evidentemente informata al principio solidaristico di cui agli artt. 2 e 3 Cost. (il quale rappresenta uno dei principi inderogabili su cui poggia la Carta fondamentale, e in quanto tale prevalente anche su norme sovranazionali incompatibili). Si deve infatti ritenere che lo Stato, valutando l’impossibilità materiale delle amministrazioni periferiche di prevenire in maniera capillare il fenomeno della predazione dei capi di bestiame da parte di animali selvatici o inselvatichiti e procedendo ad un bilanciamento degli interessi, abbia a suo tempo ritenuto di far gravare sulla collettività l’onere di tenere indenni gli agricoltori dai danni subiti per effetto della predazione. E’ vero che si sarebbe potuta anche prevedere una sorta di compartecipazione degli interessati (sotto forma, ad esempio, di obbligo di stipulare polizze assicurative o di adottare specifiche misure di prevenzione), ma questo rientra nella discrezionalità politica del legislatore.
Va considerato che al riguardo hanno inciso presumibilmente anche valutazioni inerenti la complessa orografia del territorio nazionale (che non ha pressoché paragoni in ambito europeo) e le caratteristiche dimensionali ed organizzative della maggior parte delle aziende agricole italiane di media e piccola dimensione.
E’ infatti difficoltoso prevenire in maniera adeguata i fenomeni predatori in aree geografiche particolarmente disagiate (si pensi alla difficoltà materiale di realizzare recinzioni e altre opere di contenimento) o quando le mandrie e le greggi si trovano al pascolo; inoltre i relativi costi sono molto più onerosi da sostenere per le aziende individuali o comunque gestite a livello familiare (che in Italia rappresentano la gran parte della categoria), rispetto a quanto accade per le aziende agricole di dimensioni industriali.
Ne consegue la fondatezza anche del motivo di ricorso con cui si deduce l’incompetenza della Regione a qualificare come aiuti di Stati gli indennizzi in parola ed a decretarne la restituzione.
6.3. Ugualmente fondati sono i rilievi afferenti la motivazione della deliberazione di G.R. n. 160/2015, nella parte in cui la Giunta ha esaminato le varie opzioni possibili, pervenendo, a detta della ricorrente, ad individuare la meno convincente.
Premesso che, a questo riguardo, ciascuna posizione individuale è diversa dalle altre (ben potendo alcuni beneficiari essere soddisfatti anche dall’applicazione retroattiva degli aiuti de minimis, ciò dipendendo dalle somme in concreto percepite nel decennio in questione), non appare ragionevole la preventiva rinuncia a quella che era pur sempre la strada maestra, ossia la notifica della misura alla Commissione UE, per le successive valutazioni.
Si potrebbe dire, prendendo in prestito un’espressione un po’ abusata, che nella specie la Regione Marche è stata più realista del re, e questo anche alla luce di alcune considerazioni riportate nel documento istruttorio allegato alla deliberazione n. 160/2015. In disparte l’impostazione autopunitiva che connota in generale il citato documento – ad esempio a pagina 20, ove si richiamano i casi analoghi del Brandeburgo e della Baviera (casi nei quali contributi analoghi a quelli previsti dalla L.R. n. 17/1995 erano stati notificati alla Commissione UE, che li ha ritenuti compatibili con i principi generali del Trattato in materia di concorrenza) – il dirigente da un lato evidenzia che gli atti regionali che hanno dato periodica attuazione alla L.R. n. 17/1995 hanno imposto agli agricoltori adeguate misure di prevenzione del fenomeno in argomento – questo essendo uno dei presupposti richiesti dalla Commissione UE al fine di giudicare gli aiuti de quibus compatibili con il Trattato – ma dall’altro lato, ed in maniera ingiustificata, assume che ciò non sarebbe molto probabilmente sufficiente a superare l’esame comunitario.
6.4. Sussiste anche la dedotta disparità di trattamento, essendosi fatte ricadere solo sulle imprese agricole marchigiane le conseguenze di una (teorica e indimostrata) illegittimità delle erogazioni dei contributi in parola, con la paradossale conseguenza che queste imprese vengono a subire un doppio danno: da un lato, quello derivante dall’obbligo di restituire le somme percepite maggiorate di interessi legali, dall’altro, quello di perdere ulteriore terreno rispetto agli altri operatori del settore residenti in altre Regioni (i quali possono impiegare le risorse finanziarie disponibili per mantenere o accrescere la propria competitività).
6.5. Delle censure afferenti la violazione dell’art. 21-nonies della L. n. 241/1990, come modificato dall’art. 6 della L. n. 124/2015 si è già detto al precedente punto, per cui resta da esaminare solo la doglianza rubricata alla lett. h) del precedente punto 3.
La censura è infondata siccome proposta ai fini impugnatori, perché in questo caso l’omissione della Regione non potrebbe essere rimediata ex post, e ciò per le ragioni esposte a pagina 27 del documento istruttorio (tali ragioni fanno riferimento alla circostanza per cui la concreta operatività degli aiuti in questione era legata al rispetto delle disposizioni nazionali applicative – da ultimo il DPCM 23/12/2010 – le quali non avrebbero consentito la notifica ex post delle misure anticrisi adottate).
La doglianza – la quale non assume specifica rilevanza alla luce dell’accoglimento delle altre ben più pregnanti censure – potrebbe semmai assumere rilievo ai fini di un eventuale giudizio risarcitorio, sub specie di negligenza imputabile che ha cagionato un danno patrimoniale all’azienda dei sig.ri Ricciotti Giuseppe e Vignoni Liliana ed agli aventi causa del primo. Peraltro, allo stato attuale nessun danno si è verificato, essendo stata concessa la c.d. sospensiva e ritenendo il Tribunale di dover accogliere anche nel merito la domanda impugnatoria.
8. Per le ragioni esposte, il ricorso va accolto, con conseguente annullamento degli atti impugnati, nei limiti dell’interesse di parte ricorrente.
Le spese di giudizio vanno compensate, anche nei confronti del Ministero dell’Ambiente (il quale è stato evocato in giudizio a titolo, potrebbe dirsi, di litis denuntiatio, volendo i ricorrenti evidenziare più che altro le finalità della L. R. n. 17/1995, le quali intercettano in parte anche le competenze del Ministero resistente), stante il carattere assolutamente inedito della presente controversia.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
– lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla la deliberazione di G.R. n. 160/2015 e i decreti del Dirigente della P.F. tutela delle risorse ambientali della Regione Marche n. 110 del 29/7/2015 e n. 171 dell’8/9/2015;
– compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 18 marzo 2016 con l’intervento dei magistrati:
Maddalena Filippi, Presidente
Gianluca Morri, Consigliere
Simona De Mattia, Primo Referendario, Estensore
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/05/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)