Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Rifiuti Numero: 1303 | Data di udienza: 21 Novembre 2017

* RIFIUTI – Nozione di rifiuto – Modalità oggettive di deposito dei materiali – Art. 183 d.lgs. n. 152/2006 – Inclusione nell’elenco di cui all’allegato A) o D) alla parte IV del codice dell’ambiente – Non attiene alla fase di qualifica del rifiuto, ma alla successiva fase dello smaltimento.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Piemonte
Città: Torino
Data di pubblicazione: 4 Dicembre 2017
Numero: 1303
Data di udienza: 21 Novembre 2017
Presidente: Testori
Estensore: Limongelli


Premassima

* RIFIUTI – Nozione di rifiuto – Modalità oggettive di deposito dei materiali – Art. 183 d.lgs. n. 152/2006 – Inclusione nell’elenco di cui all’allegato A) o D) alla parte IV del codice dell’ambiente – Non attiene alla fase di qualifica del rifiuto, ma alla successiva fase dello smaltimento.



Massima

 

TAR PIEMONTE, Sez. 2^ – 4 dicembre 2017, n. 1303


RIFIUTI – Nozione di rifiuto – Modalità oggettive di deposito dei materiali – Art. 183 d.lgs. n. 152/2006.

La nozione di rifiuto va desunta dalle modalità oggettive di deposito dei materiali, a prescindere dalla prova dell’effettiva intenzione del detentore di disfarsi del materiale e persino dalla reale possibilità di reimpiego dei materiali nel ciclo produttivo. La definizione di rifiuto di cui all’art. 183, c. 1, lett. a) del d.lgs. n. 152/2006 non si caratterizza infatti per la individuazione di elementi intrinseci di determinati oggetti o sostanze che, se presenti, ne determinano la qualificazione come rifiuto, quanto, piuttosto, di una definizione di tipo funzionale, essendo rifiuto tutto ciò di cui il detentore si sia disfatto ovvero intenda disfarsi o sia obbligato a farlo. Pertanto, in assenza di previsioni normative che prevedano, in determinati casi e con riferimento a determinate sostanze, uno specifico obbligo in capo al detentore in ordine al loro smaltimento, prevedendone eventualmente anche le modalità di effettuazione, sarà compito dell’interprete, in relazione alla generalità delle altre sostanze od oggetti, evidenziare se nella condotta del detentore di esse sia riscontrabile, in atto o in potenza, il concetto di disfarsene in ragione del quale e legittimo attribuire a tali beni la nozione di rifiuto, essendo indice rivelatore di tale intenzione, a tale riguardo, oltre all’abbandono della cosa da parte del detentore, anche la modalità di deposito di questa (Cass. Pen, sez. III, 20 gennaio 2015 n. 29069)
 

RIFIUTI – Nozione di rifiuto – Inclusione nell’elenco di cui all’allegato A) o D) alla parte IV del codice dell’ambiente – Non attiene alla fase di qualifica del rifiuto, ma alla successiva fase dello smaltimento.

La nozione di rifiuto non si desume dall’inclusione nell’elenco di cui all’allegato A) o in quello di cui all’allegato D) della Parte Quarta del Codice dell’Ambiente, bensì dalla circostanza che il materiale o la sostanza rientrino o meno nella definizione di cui all’art. 3 punto 1 della direttiva 2008/98/CE, riprodotta testualmente nell’art. 183 del Codice dell’Ambiente, secondo cui è “rifiuto” qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione di disfarsi”. La classificazione dei rifiuti con l’attribuzione del codice CER da parte del produttore ha finalità di semplificazione procedimentale ai fini dell’adozione delle corrette modalità di trattamento e smaltimento dei rifiuti. Essa non rileva, pertanto, ai fini della legittimità del provvedimento che attiene unicamente alla fase della mera rimozione del rifiuto dal terreno in cui è stato abbandonato, per poi essere avviato a smaltimento: fase in cui importa solo stabilire se l’oggetto o la sostanza abbandonata sul terreno possa, o meno, qualificarsi “rifiuto”, a prescindere dalla sua specifica classificazione (che attiene alla fase successiva dello smaltimento).

Pres. Testori, Est. Limongelli – C. s.r.l. (avv.ti Belcredi e Andreis) c. Comune di Oleggio e altro (n.c.)


Allegato


Titolo Completo

TAR PIEMONTE, Sez. 2^ - 4 dicembre 2017, n. 1303

SENTENZA

 

TAR PIEMONTE, Sez. 2^ – 4 dicembre 2017, n. 1303

Pubblicato il 04/12/2017

N. 01303/2017 REG.PROV.COLL.
N. 01193/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente


SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1193 del 2011, proposto da:
CAVE TICINO S.R.L. e CAVE TICINO OLEGGIO S.R.L., in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentate e difese dagli avvocati Remigio Belcredi e Massimo Andreis, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Torino, via Pietro Palmieri, 40;

contro

COMUNE DI OLEGGIO, non costituito in giudizio;
ARPA PIEMONTE – DIPARTIMENTO DI NOVARA, non costituita in giudizio;

per l’annullamento

– della ordinanza del Dirigente dell’Area Tecnica – Servizio pianificazione urbanistica – Ufficio ambiente ed ecologia del Comune di Oleggio in data 27.6.2011 notificata l’1.7.2011;

– della nota dell’ARPA in data 18.2.2011 richiamata nella predetta ordinanza;

– di tutti gli atti preordinati, consequenziali e connessi del procedimento; e per ogni ulteriore statuizione;

– nonché per la condanna delle amministrazioni resistenti al risarcimento dei danni.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 novembre 2017 il dott. Ariberto Sabino Limongelli e udito il difensore della parte ricorrente, come specificato nel verbale, nessuno presente per le Amministrazioni intimate;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Le società Cave Ticino s.r.l. e Cave Ticino Oleggio s.r.l. sono rispettivamente la proprietaria e l’affittuaria degli impianti, delle attrezzature e dei terreni siti nel Comune di Oleggio, via Gallarate n. 138, un tempo adibiti a cava di inerti e successivamente – alla data di introduzione del presente giudizio – adibiti alla lavorazione di materiali edili provenienti da altri siti estrattivi.

2. Con ricorso notificato il 14 ottobre 2011 e ritualmente depositato, esse hanno impugnato il provvedimento indicato in epigrafe con cui il Comune di Oleggio ha ordinato loro di provvedere entro 60 giorni dalla notifica dell’atto alla “rimozione dei rifiuti depositati in modo incontrollato presso l’area dell’ex cava (…) e il loro avvio al corretto smaltimento secondo le procedure di cui al D. Lgs. 152/06, nonché il ripristino dello stato dei luoghi”.

3. Il provvedimento è stato adottato alla luce dei rilievi formulati da ARPA Piemonte con nota prot. 10130 del 18 febbraio 2011 in esito ad un sopralluogo eseguito il 20 gennaio 2011. Ha rilevato l’ARPA che:

– “I materiali depositati presso il margine del piazzale inferiore del sito di cava, nelle attuali condizioni di conservazione, non possono essere considerati macchinari funzionalmente riutilizzabili. L’ammaloramento per vetustà, l’esposizione agli agenti atmosferici e la mancanza evidente di qualsiasi cura manutentiva manifestano chiaramente l’impossibilità di un loro recupero funzionale e, di conseguenza, il loro status di rifiuto.

– Il luogo stesso dove sono stati depositati, in area marginale invasa da vegetazione infestante e priva di qualsiasi forma di protezione e/o riparo, avvalora ulteriormente il giudizio espresso.

– Soltanto due componenti presenti tra il materiale depositato possono essere considerati ancora funzionalmente riutilizzabili: i segmenti di rotaia ivi accatastati e i tralicci metallici costituenti parti di gru e/o bracci di draga.

– Tutto il rimanente materiale è da considerarsi rifiuto ed è ascrivibile ai seguenti codici CER: 17.04.05 e 17.04.07”.

4. Attraverso tre motivi di ricorso, le ricorrenti hanno dedotto vizi di violazione di legge e di eccesso di potere sotto plurimi profili. Hanno formulato domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato e, in subordine, di risarcimento del danno derivante dall’eventuale esecuzione, danno commisurato al costo di acquisto di macchinari nuovi della stessa natura.

5. Il Comune di Oleggio e ARPA Piemonte, ritualmente intimati, non si sono costituiti.

6. Con ordinanza n. 744 del24 novembre 2011 la Sezione ha respinto la domanda cautelare.

7. In prossimità dell’udienza di merito, la difesa di parte ricorrente ha depositato una memoria conclusiva, nella quale ha precisato, tra l’altro:

– che a seguito del rigetto della sospensiva, le ricorrenti hanno provveduto alla rimozione e allo smaltimento dei rifiuti e dei macchinari (che rifiuti non erano, a loro dire);

– che i macchinari sono stati venduti come rottame ferroso con un ricavo di € 40.596,00;

– che il danno subito dalle ricorrenti sarebbe quindi pari ad € 109.404,00, pari alla differenza tra il valore stimato dei macchinari (€ 150.000,00) e il ricavato della loro vendita.

Hanno quindi insistito per l’accoglimento delle domande di annullamento del provvedimento impugnato e di condanna delle amministrazioni intimate al risarcimento del danno, formulando anche istanze istruttorie di verificazione/CTU e di prova per testi.

8. All’udienza pubblica del 21 novembre 2017, la causa è stata trattenuta per la decisione.

9. Il ricorso è infondato sotto tutti i profili dedotti e va respinto

9.1. Con il primo motivo, le ricorrenti hanno lamentato l’indeterminatezza del provvedimento impugnato per non aver precisato quali fossero, in concreto, gli asseriti rifiuti da rimuovere.

La censura non può essere condivisa dal momento che la relazione dell’ARPA del 18 febbraio 2011, richiamata per relationem nella motivazione del provvedimento impugnato, precisa che erano da considerare rifiuti tutti “i materiali depositati presso il margine del piazzale inferiore del sito di cava” , ad eccezione di quelli espressamente indicati dalla stessa ARPA, ritenuti gli unici ancora “funzionalmente riutilizzabili”, vale a dire “i segmenti di rotaia ivi accatastati e i tralicci metallici costituenti parti di gru e/o bracci di draga”.

L’individuazione dei rifiuti da rimuovere è stata fatta quindi “per sottrazione”, ma in modo sufficientemente chiaro ad individuarli; tant’è vero che dopo il rigetto della sospensiva, il provvedimento è stato correttamente eseguito dalle ricorrenti, senza incertezze di sorta su quali fossero i materiali da rimuovere e condurre a smaltimento.

9.2. Con il secondo motivo, le ricorrenti hanno contestato la natura di “rifiuti” dei macchinari rilevati dall’ARPA; ciò in quanto la nozione di rifiuto di cui all’art. 183 del D. Lgs. n. 152/2006 presuppone la dimostrazione che il detentore dell’oggetto o della sostanza abbia deciso di disfarsi della stessa o abbia l’obbligo di disfarsene; presupposto che secondo le ricorrenti sarebbe insussistente nel caso di specie, anche perché si tratterebbe di macchinari di considerevole valore economico (come attestato da perizia di parte prodotta in atti) la cui riparazione costerebbe molto meno che l’acquisto di macchinari nuovi (€ 51.580,00 contro € 247.000,00), di modo che sarebbe irragionevole ritenere che le ricorrenti avessero deciso di disfarsene; hanno quindi dedotto, sotto tali profili, vizi di carenza di istruttoria e di motivazione.

9.2.1. Anche tale censura non può essere condivisa.

9.2.2. Intanto, va osservato che la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la nozione di rifiuto vada desunta dalle modalità oggettive di deposito dei materiali, a prescindere dalla prova dell’effettiva intenzione del detentore di disfarsi del materiale e persino dalla reale possibilità di reimpiego dei materiali nel ciclo produttivo.

In particolare, è stato affermato che “Del concetto di rifiuto il legislatore ha dettato, all’articolo 183, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, una precisa definizione, qualificando come tale qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi. Si tratta di una definizione che non si caratterizza per la individuazione di elementi intrinseci di determinati oggetti o sostanze che, se presenti, ne determinano la qualificazione come rifiuto, quanto, piuttosto, di una definizione di tipo funzionale, essendo rifiuto tutto ciò di cui il detentore si sia disfatto ovvero intenda disfarsi o sia obbligato a farlo. Pertanto, in assenza di previsioni normative che prevedano, in determinati casi e con riferimento a determinate sostanze, uno specifico obbligo in capo al detentore in ordine al loro smaltimento, prevedendone eventualmente anche le modalità di effettuazione, sarà compito dell’interprete, in relazione alla generalità delle altre sostanze od oggetti, evidenziare se nella condotta del detentore di esse sia riscontrabile, in atto o in potenza, il concetto di disfarsene in ragione del quale e legittimo attribuire a tali beni la nozione di rifiuto, essendo indice rivelatore di tale intenzione, a tale riguardo, oltre all’abbandono della cosa da parte del detentore, anche la modalità di deposito di questa” (Cass. Pen, sez. III, 20 gennaio 2015 n. 29069): nella fattispecie decisa dalla citata sentenza, è stata ritenuta correttamente motivata la decisione che aveva attribuito la qualità di rifiuto a materiale vario – cabine telefoniche in disuso, pali telefonici rimossi, ferraglia, pneumatici in disuso – abbandonati alla rinfusa e in stato di degrado su un terreno nella disponibilità dell’imputato del reato di cui all’articolo 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006, non risultando del resto le condizioni per un successivo ricondizionamento a fini di riutilizzo.

Analogamente, è stato affermato che “Rientrano nella nozione di "rifiuto", ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. a) del d.lg. n. 22 del 1997 (come risultante dalla interpretazione autentica effettuata dall’art. 14 della legge n. 187 del 2002) tutti i materiali e i beni di cui il soggetto produttore "si disfi", con ciò intendendo qualsiasi comportamento attraverso il quale, in modo diretto o indiretto, una sostanza un materiale o un bene siano avviati e sottoposti ad attività di smaltimento o anche di "recupero", e che sia da altri recuperato e messo in riserva, con esclusione del solo deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui i materiali o beni sono prodotti, non rilevando ad escludere la natura di rifiuto del bene l’intenzione di chi effettua il recupero, o anche la reale possibilità di reimpiego dei materiali nel ciclo produttivo (Cassazione civile sez. II  13 settembre 2006 n. 1964): nella fattispecie decisa dalla sentenza citata, la Corte Suprema ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto costituissero rifiuti i materiali ferrosi stoccati presso una ditta di recupero e destinati parzialmente a recupero previa separazione.

9.2.3. In ogni caso, nella fattispecie in esame, la relazione ARPA è stata chiara nell’evidenziare le circostanze che l’hanno indotta a ritenere l’avvenuto abbandono di taluni macchinari e materiali da parte dei loro detentori, circostanze legate:

– alle condizioni di conservazione dei manufatti, incompatibili con la possibilità di una loro riutilizzazione funzionale, stante l’ammaloramento per vetustà dipendente dalla prolungata esposizione agli agenti atmosferici e l’assenza evidente di cure manutentive;

– al luogo stesso in cui sono stato depositati i predetti materiali, in area marginale rispetto a quella produttiva, invasa da vegetazione infestante e priva di qualsiasi forma di protezione o di riparo.

Si tratta – rileva il collegio – di valutazioni connotate da discrezionalità tecnica e in quanto tali sindacabili da questo giudice solo in presenza di vizi macroscopici di illogicità, irragionevolezza o travisamento del fatto; vizi che nel caso di specie il collegio non rileva, tenuto conto che le censure dedotte in ricorso – attinte sostanzialmente dai contenuti della perizia di parte prodotta in atti – si esauriscono in affermazioni generiche e totalmente indimostrate circa l’assenza di una volontà delle ricorrenti di disfarsi dei materiali e circa il loro asserito “ingente valore”; affermazioni basate su considerazioni apodittiche, prive di riscontri oggettivi e di ragionevoli profili di verosimiglianza, anche alla luce dei rilievi fotografici allegati dall’ARPA alla propria relazione di sopralluogo.

La censura va quindi disattesa.

9.3. Infine, con il terzo e ultimo motivo le ricorrenti hanno dedotto l’erroneità delle valutazioni svolte dall’ARPA nella nota del 18 febbraio 2011, con particolare riferimento alla classificazione dei macchinari come rifiuti di cui ai codice CER 17.04.05 e 17.04.07; tale erroneità di manifesterebbe sotto plurimi profili:

a) innanzitutto la nozione di rifiuto, secondo quanto previsto dall’art. 183 del D. lgs. n. 152/2006, andrebbe desunta dalla tabella a) allegata alla parte IV del predetto decreto legislativo, e non dalla tabella d) – quella in cui sono contenuti i codici CER – come fatto dall’ARPA;

b) in secondo luogo, anche a voler fare riferimento alla tabella d), i codici CER 17.04.05 e 17.04.07 non sarebbero pertinenti al caso di specie perché si riferiscono ai “rifiuti delle operazioni di costruzione e demolizione”;

c) infine, sarebbe errata la valutazione dell’ARPA circa l’inutilizzabilità dei macchinari perché custoditi all’aperto; tale giudizio sarebbe immotivato e smentito dalla perizia di parte, dove si afferma il contrario: si tratta di macchinari di notevoli dimensioni che è impossibile custodire al chiuso; i macchinari di cava sono destinati ad essere utilizzati all’aperto e per tale motivo sono estremamente “rustici”, privi di componenti motoristiche e non deperibili a causa dell’esposizione agli agenti atmosferici; anche se non utilizzati direttamente, possono fungere da pezzi di ricambio dei macchinari in uso.

Il collegio ritiene che anche tali censure non possano essere condivise.

9.3.1. La nozione di rifiuto non si desume dall’inclusione nell’elenco di cui all’allegato A) o in quello di cui all’allegato D) della Parte Quarta del Codice dell’Ambiente, bensì dalla circostanza che il materiale o la sostanza rientrino o meno nella definizione di cui all’art. 3 punto 1 della direttiva 2008/98/CE, riprodotta testualmente nell’art. 183 del Codice dell’Ambiente, secondo cui è “rifiuto” qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione di disfarsi”. Infatti, secondo quanto prevede l’Allegato D) alla Parte Quarta del D. lgs. 152/2006, “L’inclusione di una sostanza o di un oggetto nell’elenco non significa che esso sia un rifiuto in tutti i casi. Una sostanza o un oggetto è considerato un rifiuto solo se rientra nella definizione di cui all’articolo 3, punto 1 della direttiva 2008/98/CE.”.

9.3.2. La classificazione dei rifiuti con l’attribuzione del codice CER da parte del produttore ha finalità di semplificazione procedimentale ai fini dell’adozione delle corrette modalità di trattamento e smaltimento dei rifiuti. Essa non rileva, pertanto, ai fini della legittimità del provvedimento impugnato, che attiene unicamente alla fase antecedente della mera rimozione del rifiuto dal terreno in cui è stato abbandonato, per poi essere avviato a smaltimento: fase in cui importa solo stabilire se l’oggetto o la sostanza abbandonata sul terreno possa, o meno, qualificarsi “rifiuto”, a prescindere dalla sua specifica classificazione (che attiene alla fase successiva dello smaltimento). Peraltro nella propria memoria conclusiva, le ricorrenti hanno affermato di aver già provveduto, dopo il rigetto della domanda cautelare, al corretto smaltimento dei rifiuti accertati dall’ARPA, sicchè la doglianza in ordine all’asserita erroneità dei codici CER attribuiti dall’ARPA a tali rifiuti appare, in definitiva, priva di ogni rilievo sostanziale.

9.3.3. Quanto, infine, all’asserita erroneità delle valutazioni dell’ARPA circa la ritenuta inutilizzabilità dei macchinari perché custoditi all’aperto, osserva il collegio che le doglianze di parte ricorrente, desunte dai contenuti della perizia di parte prodotta in atti, appaiono generiche, non documentate e affidate a mere petizioni di principio; e in ogni caso, la circostanza che i macchinari abbandonati avrebbero potuto eventualmente fungere da pezzi di ricambio dei macchinari in uso – anche a volerla ritenere verosimile, per mera ipotesi – non avrebbe impedito alla parte ricorrente di provvedere sin da subito al recupero dei pezzi di ricambio per custodirli altrove, anziché lasciarli abbandonati sul terreno.

10. In conclusione, alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso va respinto.

11. Non vi è luogo per provvedere sulle spese di lite, attesa la mancata costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla sulle spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2017 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Testori, Presidente
Savio Picone, Consigliere
Ariberto Sabino Limongelli, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE
Ariberto Sabino Limongelli
        
IL PRESIDENTE
Carlo Testori
        
        
IL SEGRETARIO

Iscriviti alla Newsletter GRATUITA

Ricevi gratuitamente la News Letter con le novità di Ambientediritto.it e QuotidianoLegale.

ISCRIVITI SUBITO


Iscirizione/cancellazione

Grazie, per esserti iscritto alla newsletter!