Giurisprudenza: Giurisprudenza Sentenze per esteso massime | Categoria: Diritto urbanistico - edilizia Numero: 1228 | Data di udienza: 6 Ottobre 2016

* DIRITTO URBANISTICO  – EDILIZIA – Istanza di condono edilizio – Soggetti legittimati  – Conduttore – Comproprietà – Ripetibilità pro quota degli oneri.


Provvedimento: Sentenza
Sezione: 3^
Regione: Puglia
Città: Bari
Data di pubblicazione: 25 Ottobre 2016
Numero: 1228
Data di udienza: 6 Ottobre 2016
Presidente: Gaudieri
Estensore: Casalanguida


Premassima

* DIRITTO URBANISTICO  – EDILIZIA – Istanza di condono edilizio – Soggetti legittimati  – Conduttore – Comproprietà – Ripetibilità pro quota degli oneri.



Massima

 

TAR PUGLIA, Bari, Sez. 3^ – 25 ottobre 2016, n. 1228


DIRITTO URBANISTICO  – EDILIZIA – Istanza di condono edilizio – Soggetti legittimati  – Conduttore – Comproprietà – Ripetibilità pro quota degli oneri.

Sono legittimati a presentare istanza di condono edilizio non solo coloro che hanno titolo a richiedere la concessione edilizia o l’autorizzazione, ma anche, salvo rivalsa nei confronti del proprietario, ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima, essendo essa fungibile ratione personarum. Ne consegue che la domanda di sanatoria può essere avanzata da chi – come il conduttore- abbia interesse alla regolarità dell’immobile (ad esempio, per fruire dell’abitabilità), nonché da chiunque sia in un rapporto diretto con la proprietà.  Nel caso di comproprietà, il diritto di presentare la domanda spetta a ogni titolare di quote, con la conseguenza che gli oneri saranno a suo carico e, se corrispondenti a un reale miglioramento del bene, saranno ripetibili pro quota anche su altri comproprietari eventualmente dissenzienti.


Pres. Gaudieri, Est. Casalanguida – G.C. (avv. Daloiso) c. Comune di Monopoli (avv. Dibello)


Allegato


Titolo Completo

TAR PUGLIA, Bari, Sez. 3^ - 25 ottobre 2016, n. 1228

SENTENZA

 

TAR PUGLIA, Bari, Sez. 3^ – 25 ottobre 2016, n. 1228

Pubblicato il 25/10/2016

N. 01228/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01233/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1233 del 2010, proposto da:
Giuseppe Calabretto, rappresentato e difeso dall’avvocato Raffaele Daloiso C.F. DLSRFL70S21A662Y, con domicilio eletto presso il suo studio in Bari, via Abate Gimma, n. 231;


contro

Comune di Monopoli, in persona del Sindaco, legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Lorenzo Dibello C.F. DBLLNZ59E28F376Y, con domicilio eletto presso Francesco Semeraro in Bari, via Dante, n. 51;

per l’annullamento

del provvedimento del Dirigente dell’Area Organizzativa Tecnica 4 – edilizia Privata- Urbanistica- ambiente del Comune di Monopoli, prot. 024040/2010, del 26.05.2010. Diniego rilascio di condono edilizio legge 326/2003;

di ogni altro atto presupposto, conseguente e/o comunque connesso a quello impugnato.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Monopoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 ottobre 2016 la dott.ssa Cesira Casalanguida e uditi per le parti i difensori come da verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I. Riferisce il sig. Giuseppe Calabretto di essere comproprietario di un suolo sito in Monopoli, identificato al catasto al fg. 29, p.lle 315, 317, 46 e 20, attualmente concesso in comodato alla “Giuseppe Calabretto s.r.l.”.

Tale suolo è classificato tra le “Aree per verde pubblico attrezzato” che, ai sensi del vigente P.R.G., “sono destinate alle attrezzature sportive e balneari pubbliche o di interesse pubblico” (art. 24 N.T.A.).

Aggiunge che, sull’area in questione fin dal 1999, viene svolta attività relativa alla gestione di uno stabilimento balneare e somministrazione di alimenti e bevande e che in data 9.12.2004, ai sensi della L. n. 326/2003, ha presentato istanza di condono avente ad oggetto talune strutture realizzate sull’area nel corso dell’anno 2002, quali in particolare, un gazebo aperto su tutti e quattro i lati, un chiosco da adibire a bar e un vano prefabbricato per servizi igienici.

II. Con ricorso notificato il 23.07.2010 e depositato il successivo 31.07.2010, il sig. Calabretto ha impugnato il provvedimento prot. n. 024040/2010 del 26.05.2010, a firma del Dirigente dell’Area Organizzativa IV Tecnica – Edilizia privata, Urbanistica ed Ambiente, con cui il Comune di Monopoli ha negato il condono edilizio.

III. Costituiscono motivi di ricorso:

1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 27, lett. d), L. 326/2003, dell’art. 32, L. n. 47/1985 e dell’art. 146. D. Lgs. n. 42/2004. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto. Difetto di motivazione e di istruttoria.

Il deducente censura il provvedimento gravato con riferimento specifico ai presupposti sulla base dei quali il Comune non avrebbe ritenuto assentibile l’istanza di condono, quali l’assoggettamento dell’area al vincolo paesaggistico ed in considerazione del divieto contenuto nell’art. 146, comma 4 D.Lgs. 42/2004.

Ritiene che il vincolo paesaggistico di cui all’art.32, comma 27, lett. d) L. 326/2003 comporti una inedificabilità relativa che non precluderebbe affatto il condono, salvo che non ricorra l’ulteriore elemento della difformità urbanistica dell’intervento.

La ricorrenza della difformità urbanistica, nel caso in esame, sarebbe esclusa dal parere di conformità tecnica del 25.06.2010, sul progetto relativo all’istallazione di strutture precarie funzionali all’attività svolta sull’area per cui è causa, autorizzato dal Comune (in data 1.7.2010), nel quale si afferma che l’area in esame risulta tipizzata come “Aree per verde pubblico attrezzato” per le quali si applica l’art. 24 delle N.T.A. del P.R.G. che vi prevede la realizzazione di strutture al servizio della balneazione”.

Aggiunge che il divieto previsto dall’art. 146, comma 12, D.Lgs. 42/2004 non troverebbe applicazione ai procedimenti di condono edilizio, richiamando a supporto un parere espresso dall’Ufficio legislativo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali del 22.06.2004.

2) Carenza di potere e/o incompetenza. Violazione e falsa applicazione degli artt. 146, comma 6, 148 e 159, comma 1, D.Lqs. 42/2004 e s.m.i, degli artt. 7 e ss.. L. 20/2009 e s.m.i., dell’art. 32, comma 1, I. n. 47/1985. Eccesso di potere per violazione e falsa applicazione delle deliberazioni di G.R.P. 10 febbraio 2010, n. 327 e 24 novembre 2009, n. 2273.

Il ricorrente contesta la parte del provvedimento nella quale si afferma che “le opere realizzate alterano significativamente lo stato dei luoghi interferendo, per la loro col-locazione immediatamente prospiciente il litorale, con la fruizione visiva del mare”, ritenendola espressione di un giudizio di compatibilità paesaggistica che esula dalle competenze del Dirigente comunale, titolare dell’esercizio delle distinte funzioni amministrative in materia urbanistico- edilizia.

3) Eccesso di potere per contraddittorietà. Difetto di istruttoria e motivazione. Illogicità manifesta. Omessa considerazione dei presupposti di fatto. Sviamento dalla causa tipica. Ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 32, L. n. 47/1985, dell’art. 32, comma 27, lett. d) L. n. 326/2003, dell’art. 146. D.Lqs. n. 42/2004.

L’istante evidenzia che il diniego, fondato sull’incompatibilità con il vincolo paesaggistico, contrasterebbe con l’autorizzazione paesaggistica rilasciata in data 17.05.2010 dal medesimo Comune con riferimento al procedimento relativo all’autorizzazione all’istallazione di struttura temporanea per attività connessa alla presenza del mare sull’area in questione, concluso con il rilascio del titolo abilitativo.

Nega che le ridotte dimensione dei manufatti presenti sull’area possano ostacolare la fruizione della vista mare.

Afferma, in via subordinata, che il Comune avrebbe anche potuto emettere un diniego relativo ad alcune opere presenti, essendo a tal fine una distinta valutazione dei materiali e delle caratteristiche dei singoli manufatti.

4) Ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 27, lett. d), L. 326/2003 e dell’art. 32, L. n. 47/1985. Eccesso di potere per violazione dell’art. 2, punto 2.2 della delib. C.C. 9/2004, come modificata dalla delib. di C.C. 20/2007. Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria e motivazione.

Il ricorrente contesta il diniego nella parte in cui esclude i caratteri di amovibilità e precarietà delle opere oggetto dell’istanza di condono, evidenziando che esse non presentano fondazioni permanenti.

5) Violazione e falsa applicazione dell’art. 10-bis, L. n. 241/1990. Eccesso di potere per violazione del principio del giusto Procedimento.

Il deducente lamenta, da ultimo, l’omessa comunicazione del preavviso di rigetto ai sensi dell’art. 10- bis L. 241/1990.

IV. Si è costituito in giudizio, in data 13.10.2010, il Comune di Monopoli per resistere al ricorso.

Con memoria depositata in data 5.09.2016 la difesa dell’amministrazione civica ha eccepito il difetto di legittimazione ad agire del ricorrente, in quanto comproprietario di 1/3 dell’area interessata dal diniego di condono per cui è causa.

Ha contestato, inoltre, nel merito i motivi di ricorso, ritenendo che l’area in questione sia soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta, in quanto rientrante nei 300 m dal mare e sottoposta ai vincoli di cui al Decreto Galasso dell’1.08.1985, confermati dal PUTT Puglia del 1995 e anche dalle previsioni successive, quali quelle di cui al D. Lgs, 42/2004.

Aggiunge che ai sensi dell’art. 146, comma 12 del D.Lgs. 42/2004, come modificato dal D.Lgs. 157/2006, non possono essere rilasciate le autorizzazioni paesaggistiche “in sanatoria”, salvo le ipotesi tassative di cui all’art. 167.

Con riferimento agli ulteriori motivi di ricorso replica contestando le singole censure ed evidenzia, in particolare, come la richiamata autorizzazione del 1.07.2010 sia riferita ad altre strutture, come si desume dalla richiesta modifica di progetto che sarebbe stata finalizzata proprio all’esclusione dell’uso delle opere oggetto di diniego di condono.

Sostiene che la precarietà delle opere sarebbe esclusa dalla loro destinazione al soddisfacimento di esigenze non meramente temporanee e dal fatto che esse sarebbero infisse al suolo, come risultato da un rilievo fotografico.

V. Alle eccezioni sollevate dal Comune ha replicato il ricorrente con memoria depositata in data 15.09.2016.

VI. All’udienza pubblica del 6.10.2016, sentita la difesa delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.

1.- Il Collegio esamina, preliminarmente, l’eccezione del difetto di legittimazione attiva del ricorrente sollevata dall’amministrazione resistente.

L’eccezione è infondata.

1.a.- Per giurisprudenza consolidata, condivisa dal Collegio, sono legittimati a presentare istanza di condono edilizio non solo coloro che hanno titolo a richiedere la concessione edilizia o l’autorizzazione, ma anche, salvo rivalsa nei confronti del proprietario, ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima, essendo essa fungibile ratione personarum. Ne consegue che la domanda di sanatoria può essere avanzata da chi – come il conduttore- abbia interesse alla regolarità dell’immobile (ad esempio, per fruire dell’abitabilità), nonché da chiunque sia in un rapporto diretto con la proprietà.

1.b.- Nel caso di comproprietà, il diritto di presentare la domanda spetta a ogni titolare di quote, con la conseguenza che gli oneri saranno a suo carico e, se corrispondenti a un reale miglioramento del bene, saranno ripetibili pro quota anche su altri comproprietari eventualmente dissenzienti.

1.c.- Nel caso in esame, emerge che il Comune solo in corso di causa abbia contestato la legittimazione del sig. Calabretto, nonostante nella dichiarazione sostitutiva allegata alla domanda di condono (richiamata anche dalla difesa dell’ente locale), egli attesti espressamente di essere comproprietario per 1/3 del suolo su cui è stato realizzato il manufatto oggetto dell’istanza di condono.

Non risulta in atti quali accertamenti abbia svolto il Comune sulla legittimazione del richiedente, né sulla posizione degli altri comproprietari.

Ne consegue che non si ravvisa la sussistenza di elementi idonei ad escludere la legittimazione del sig. Calabretto, in qualità di comproprietario, alla presentazione dell’istanza di condono e conseguentemente alla presentazione del gravame avverso il relativo provvedimento di diniego.

2.- Nel merito il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere respinto.

2.1. Il Collegio ritiene doveroso distinguere le opere per le quali è stato negato il condono da quelle oggetto di autorizzazione rilasciata dal medesimo Comune di Monopoli. In entrambi i casi si fa riferimento a manufatti presenti sull’area, sita in Monopoli, via Procaccia, identificata al catasto al fg. 29 p.lle 315-317, ma la disciplina di riferimento è differente. Le autorizzazioni, richiamate dal ricorrente, sono riferite alla realizzazione di strutture precarie e temporanee, disciplinate da Regolamenti comunali. Più specificamente l’autorizzazione dell’1.07.2010, versata in atti, è stata rilasciata ai sensi del Regolamento comunale n. 9 del 3.03.2004, come modificato con deliberazione C.C. n. 20 del 23.04.2007, e riguarda la realizzazione di strutture precarie e temporanee destinate ad attività turistico-ricettiva, somministrazione di alimenti e bevande, da rimuovere ogni anno entro termini prescritti. Alle autorizzazioni per l’installazione di strutture amovibili per la balneazione o connesse e strumentali alla balneazione, il successivo Regolamento Edilizio del Comune di Monopoli, approvato con deliberazione di Consiglio Comunale n. 54 del 01.08.2011, ha riservato la previsione di cui alla parte 3.5.2.

Il condono edilizio, invece, è soggetto ad una specifica disciplina, distinta per ratio, finalità, effetti.

2.2.- Nel caso in esame la relativa istanza è stata presentata ai sensi dell’art. 32 del D.L. n. 269/2003, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326. Si tratta di norma che ha disposto una sanatoria degli abusi edilizi.

2.3.- Occorre chiarire, come evidenziato anche dalla difesa dell’amministrazione civica, che le opere oggetto dell’autorizzazione dell’1.7.2010, più volte richiamata dal ricorrente al fine di contestare la legittimità del diniego gravato, non riguarda i manufatti abusivi oggetto dell’istanza di condono. La domanda volta alla definizione degli illeciti edilizi ai sensi della legge menzionata riguarda, più precisamente, come emerge dalla domanda in questione, “strutture prefabbricate in legno destinate a chiosco e gazebo oltre a servizio igienico prefabbricato.”

Tale circostanza trova espressa conferma nel parere favorevole al rilascio del provvedimento autorizzativo del 25.10.2010 dove si chiarisce che “nella proposta progettuale revisionata, la somministrazione avviene in apposita area coperta con ombrelloni e che lo svolgimento dell’attività connessa all’installazione delle strutture precarie di cui al presente pare, non comporta l’utilizzo dei manufatti abusivi”.

Quanto esposto rileva in fatto e diviene dirimente per il superamento delle censure del ricorrente volte a contestare il diniego di condono fondate sul richiamo dell’autorizzazione all’installazione di opere precarie e del relativo parere favorevole, come avviene, in particolare, nell’ambito del primo e del terzo motivo di ricorso.

3. Dopo i suesposti doverosi chiarimenti, deve essere esaminata la questione che rappresenta il nodo centrale della presente controversia costituito dal diniego di condono.

3.1.- Il provvedimento gravato risulta plurimotivato, fondando il rigetto della domanda:

– sull’assoggettamento dell’area a vincolo paesaggistico ai sensi del D.Lgs. 42/2004;

– sulla “Dichiarazione di notevole interesse pubblico del territorio delle Lame ad ovest e a sud est di Bari” di cui al D.M.1.08.1985;

– sulla previsione di cui all’art. 32 comma 27, lett. d) della L. 326/2003, che esclude che possano essere sanate le opere abusive “quando gli interventi insistono su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”;

– sul disposto del comma 12 dell’art. 146 del D. Lgs. 42/2004 che limita il casi di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica in sanatoria.

Il ricorrente contesta il richiamo dell’art. 32, comma 27, lett. d) D.L. n. 369/2003, convertito nella legge n.326/03, sostenendo la conformità delle opere oggetto di condono alla disciplina urbanistica comunale e alle previsioni di PRG.

Non contesta, invece, l’assoggettamento dell’area su cui insistono i manufatti abusivi a vincolo paesaggistico, né che tale vincolo sia stato istituito (con D. M. 1.08.1985) prima dell’esecuzione dei lavori, la cui realizzazione colloca –come riferito nel ricorso- nell’anno 2002, rivendicando la natura relativa del vincolo in questione, tanto da ritenere i manufatti comunque condonabili.

3.2. Invero, il comma 27 dell’articolo 32 della legge n. 326 del 2003 (Misure Urgenti per favorire lo sviluppo e per la Correzione dell’andamento dei conti pubblici) elenca una serie di fattispecie in cui il condono non è comunque possibile. Esso prescrive che, fermo restando quanto prescritto dagli articoli 32 e 33 della legge n. 47 del 1985, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria qualora: “a) b) c) d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici qualora istituiti prima dell’esecuzione di dette opere”.

Secondo giurisprudenza consolidata (anche della Cassazione penale in tema di illeciti edilizi) “Per comprendere il significato della norma occorre preliminarmente precisare che i vincoli all’attività edilizia sono di due tipi: vincoli d’inedificabilità assoluta e vincoli d’inedificabilità relativa. I primi sono previsti da leggi speciali a tutela di valori di particolare rilevanza. I secondi condizionano l’ottenimento del condono al conseguimento del nulla osta da parte dell’autorità titolare del vincolo. Poiché il comma 27 dell’articolo 32 della legge n 326 del 2003 fa salvo il disposto degli artt. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985, è opportuno richiamare il contenuto di tali norme. L’articolo 32 della legge anzidetta fa salve le fattispecie di cui all’articolo 33 il quale esclude la sanatoria: a) per i vincoli imposti da leggi statali e regionali nonché dagli strumenti urbanistici a tutela di interessi storici, artistici ed architettonici, archeologici, paesistici, ambientali idrogeologici; b) per i vincoli imposti da norme statali a difesa delle coste marine, lacuali, fluviali; c) per i vincoli imposti a tutela di interessi della difesa militare e della sicurezza pubblica; d) per ogni altro vincolo che importi l’inedificabilità delle aree (ad esempio il vincolo cimiteriale). Si tratta di vincoli di inedificabilità assoluta. In base all’articolo 33 sono altresì escluse dalla sanatoria le opere realizzate su edifici ed immobili assoggettati alla tutela della legge 1° giugno 1939 a 1089”. (Cass. Pen. Sez. III, sent. 451 del 12.01.2007).

3.3.- Richiamato, per quanto rileva in questa fattispecie, il contenuto degli artt. 32 e 33 della legge n. 47 del 1985 fatto salvo dal comma 27 dell’articolo 32 della legge n 326 del 2003, tornando a quest’ultimo comma ed in modo particolare alle zone sottoposte a vincoli, si rileva che il comma 27 lett. d) dell’art. 32, come sopra menzionato, subordina l’esclusione dalla sanatoria in particolare a due condizioni, costituite a) dal fatto che il vincolo sia stato istituto prima dell’esecuzione delle opere abusive, e b) dal fatto che le opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo risultino non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

Secondo la giurisprudenza le due condizioni sono previste e possono operare disgiuntamente, determinando la sanatoria dell’abuso in zona soggetta a vincolo relativo, quale quello paesaggistico.

Avverso la sanabilità delle opere la giurisprudenza ha anche affermato che: “l’art. 32, comma 27, lett. D) del D.L. 269/2003 (convertito in L. 326/2003), il quale, comunque, esclude dalla sanatoria le opere realizzate su immobili soggetti a vincoli istituiti anche prima dell’esecuzione delle opere, ma che non siano conformi alle norme urbanistiche ed alle disposizioni prescritte dagli strumenti urbanistici” (Cons. Stato, sez. IV, 10 agosto 2007 n 4396);

– “l’art. 32 L. n. 47/1985, quale risulta dalle modificazioni contenute nell’art. 32 comma 43 D.L. n. 269/2003, per le opere costruite su aree sottoposte a vincolo, al comma 3 prevede che, ove non si verifichino le condizioni di cui al comma 2 si applicano le disposizioni di cui all’art. 33 della stessa legge, prevedendo, tale ultima disposizione, fra le opere non suscettibili di sanatoria, quelle in contrasto con i vincoli imposti da leggi statali e regionali, nonché dagli strumenti urbanistici a tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici, ambientali, idrogeologici, qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse” (Cons. Stato, sez. IV, 18 giugno 2009 n. 4020 e 28 novembre 2013 n. 5702).

3.4.- L’applicazione dei richiamati limiti specifici alla sanatoria introdotta dalla normativa citata comporta l’infondatezza della tesi di parte ricorrente, avuto riguardo alla circostanza, incontestata, che il vincolo di che trattasi insisteva sull’area interessata da epoca largamente anteriore agli interventi edilizi per i quali è stata chiesta la sanatoria, risultando esso essere stato apposto con decreto in data 1 agosto 1985.

La legge n. 326/2003, inoltre, pur collocandosi sull’impianto generale della legge n. 47/1985, disciplina (con la previsione di cui al suindicato art. 32 comma 27) in maniera più restrittiva le fattispecie di cui si tratta, poiché con riguardo ai vincoli – quali quelli a protezione dei beni paesistici- preclude la sanatoria sulla base della anteriorità del vincolo senza la previsione procedimentale di alcun parere dell’autorità ad esso preposta, con ciò collocando l’abuso nella categoria delle opere non suscettibili di sanatoria (ex art. 33 l. n.47/85).

3.5.- Nel caso in esame, oltre all’esistenza del vincolo (relativo), paesaggistico –ambientale, risalente al 1985 e dunque a un’epoca certamente anteriore alla realizzazione dell’abuso (si tratta del d. m. 1.08.1985 – Dichiarazione di notevole interesse pubblico del territorio delle Lame ad ovest e a sud est di Bari), viene in questione, a differenza di quanto sostenuto nel ricorso, anche la genericità del richiamo alle prescrizioni dello strumento urbanistico, non essendo sufficiente, allo scopo di considerare l’intervento realizzato conforme alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, l’astratta realizzabilità di attrezzature balneari di cui all’art. 24 delle N.T.A. del PRG vigente al momento del diniego gravato.

La norma in questione rinvia alle planimetrie e alle disposizioni del PRG e non contiene riferimenti specifici all’area in questione. Il successivo art. 25 delle N.T.A., del resto, vieta interventi edilizi nelle aree vincolate.

Né rileva il richiamo all’art. 24 delle N.T.A. contenuto nella distinta autorizzazione riferita alle opere precarie e temporanee delle cui peculiarità si è già sopra trattato.

3.6.- Incontestata è, altresì, la collocazione delle opere in questione nella fascia di 300 metri dalla linea di battigia.

Il vincolo paesistico per i territori compresi in questa fascia è stato introdotto con il Decreto ministeriale del 21 settembre 1984, seguito dalle norme primarie contenute nel decreto legge n. 312 del 1985, convertito in L. n. 431 del 1985 e poi assorbito dal D.Lgs. n. 490 del 29 ottobre 1999. La disciplina attuale è contenuta negli articoli 142 e seguenti del D.Lgs. n. 42 del 2004, che detta anche i principi, a cui debbono attenersi i piani paesistici territoriali, tanto da potersi concludere che l’inedificabilità della fascia costiera corrisponda ad un principio fondamentale della legislazione statale, ribadito dall’art. 33, comma 1, lettera b) della legge n. 47 del 1985 (cfr. anche, per il principio, Cons. St., sez. VI, n. 2409 del 6 maggio 2013).

3.7.- Occorre, inoltre, aggiungere, che in materia di condono di attività edilizia abusiva deve darsi preclusivo rilievo non solo ai vincoli paesaggistici preesistenti, ma anche a quelli sopravvenuti nelle more della definizione del relativo procedimento. L’esistenza del vincolo va considerata al momento in cui deve essere valutata la domanda di condono edilizio, attesa l’esigenza di scongiurare la sostanziale inoperatività del vincolo medesimo e la compromissione in via definitiva di interessi pubblici di valore primario (culturali, ambientali, paesaggistici od altri) sottesi all’imposizione del vincolo. In tal senso risultano inidonee ad inficiare il diniego di condono le contestazioni svolte dalla difesa del ricorrente sulla mancata specificazione del momento di apposizione dei suddetti ulteriori vincoli sull’area per cui è causa (come quelli relativi alla pericolosità idraulica). Tanto vale anche a superare la contestazione del ricorrente circa la tardività della produzione documentale relativa al certificato di destinazione urbanistica dell’area, potendosi comunque prescindere da ogni considerazione in merito, in quanto non influente sulla considerazione complessiva dello stato dei luoghi e dei vincoli esistenti al momento della valutazione della domanda di condono.

Sussiste, pertanto, la riscontrata difformità dell’intervento realizzato su un’area compresa nella fascia di rispetto marittima, peraltro, assoggettata a vincolo paesaggistico –ambientale, in assenza inoltre del presupposto della conformità rispetto alle norme e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

4.- Irrilevanti sulla valutazione di legittimità risultano le censure di cui ai successivi motivi di ricorso, comunque infondati.

4.1.- Con riferimento specifico alla precarietà delle opere oggetto dell’istanza di condono, di cui al quarto motivo di ricorso, è consolidato l’orientamento giurisprudenziale, condiviso dal Collegio, ai sensi del quale “al fine di verificare se una determinata opera abbia carattere precario (condizione per l’accertamento della non necessarietà del rilascio della relativa concessione edilizia), occorre verificare la destinazione funzionale e l’interesse finale al cui soddisfacimento l’opera stessa è destinata; pertanto, solo le opere agevolmente rimuovibili, funzionali a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea – destinata a cessare dopo il tempo, normalmente non lungo, entro cui si realizza l’interesse finale – possono ritenersi prive di minima entità ovvero di carattere precario e, in quanto tali, non richiedenti la concessione edilizia. Infatti la precarietà o meno di un’opera edilizia va valutata con riferimento non già alle modalità costruttive, bensì alla funzione cui essa è destinata (Cons. St., V, 4 febbraio 1998 n. 131); in altri termini non sono manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad una utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (Cons. St., VI, 16 febbraio 2011 n. 986).” E ancora che deve “escludersi la precarietà del manufatto, che ne giustificherebbe il non assoggettamento a concessione edilizia, posto che la stessa non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall’uso al quale il manufatto è destinato, e va quindi valutata alla luce della obiettiva ed intrinseca destinazione naturale dell’opera, a nulla rilevando la temporanea destinazione data alla stessa dai proprietari (Cons. St., IV, 15 maggio 2009 n. 3029)”. (Cons. Stato, Sez. III n. 4850 del 12 settembre 2012).

Alla luce delle considerazioni sino a qui esposte il motivo non può essere accolto. L’utilizzo delle opere in questione opere è, infatti, finalizzato allo svolgimento dell’attività balneare (cosa che peraltro già accadeva dal momento della loro realizzazione risalente all’anno 2002), tanto da doversi escludere che si tratti di manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee ma di opere finalizzate ad una utilizzazione perdurante nel tempo.

A ciò si aggiunga l’ulteriore considerazione secondo cui non si può definire abusiva (e non è, quindi, condonabile) l’opera edilizia realizzata in base ad un’autorizzazione “in precario”, a nulla rilevandone neppure l’eventuale illegittimità (cfr., Cons. St., Sez. V, sent. 1776 del 27.03.2013; sez. V, sent. 1372 del 3.10.1995), risultando, pertanto, superate tutte le prospettazioni svolte dal ricorrente sulla natura delle opere in esame, che restano comunque non condonabili.

Dirimente è, altresì, il divieto di edificazione nella fascia di rispetto marittima che si applica anche a manufatti provvisori o amovibili non ancorati al suolo tramite fondamenta.

5.- Infondate sono, da ultimo, le censure riguardanti le violazioni procedimentali di cui, in particolare, all’art. 10 bis della l. n. 241/1990.

In linea generale va condivisa la giurisprudenza secondo la quale (v. ex multis Cons. Stato, sez. IV, n. 5314 del 2007) è legittimo il diniego di condono edilizio straordinario, ex art. 32 del d.l. n. 269 del 2003, non preceduto dalla comunicazione all’interessato dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, sia in quanto la violazione dell’art. 10 bis della l. n. 241 del 1990 non è invocabile in relazione a provvedimenti di carattere vincolato, sia in quanto tale ultima norma non è applicabile a procedimenti connotati, ex lege, da tratti di assoluta specialità.

E’ il caso di aggiungere che il dedotto vizio, ossia l’inosservanza del citato art. 10 bis, non potrebbe comunque determinare l’annullamento del provvedimento impugnato, dovendosi fare applicazione all’art. 21 octies, comma 2, prima parte, della legge sul procedimento amministrativo (ex multis, Cons Stato sez. VI, sent. 505 dell’8.02.2016).

La norma suddetta esclude invero l’annullabilità dell’atto impugnato qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento medesimo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Nella fattispecie, posto il carattere vincolato del diniego di condono rispetto ai presupposti (recte, alla loro mancanza) richiesti dalla normativa risulta manifesto che il provvedimento oggetto del ricorso di primo grado non avrebbe potuto assumere se non un contenuto sfavorevole al ricorrente.

5.1.- In tal senso diviene irrilevante ogni ulteriore disamina sulla previsione di cui all’art. 146 comma12 D.Lgs. 42/2004 e s.m.i, sia per tutto quanto sopra argomentato circa la non sanabilità dei manufatti, sia in quanto il Collegio ritiene l’esame della censura sovrabbondante ai fini decisori.

Così anche con riferimento alle presunte considerazioni svolte dal dirigente sulla non conformità paesaggistica di quanto realizzato, è sufficiente osservare che la non condonabilità dei manufatti (che, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, debbono essere considerati unitariamente costituendo un unico complesso) è assorbente rispetto al dedotto vizio d’incompetenza: ciò anche alla luce di quello che da taluni si chiama “attoplurimotivato” per cui è sufficiente la legittimità di una sola delle motivazioni.

Secondo la consolidata giurisprudenza (ex pluribus, Cons. Stato, VI, 17 luglio 2008, n. 3609; V, 6 giugno 2011, n. 3382; V, 21 ottobre 2011, n. 5683; IV, 6 luglio 2012, n. 3970), quando un provvedimento amministrativo negativo è fondato su una pluralità di motivi, tra loro autonomi, è sufficiente che resti dimostrata, all’esito del giudizio, la fondatezza di uno solo di questi perché ne derivi la consolidazione dell’atto, stante l’impossibilità di disporne l’annullamento giurisdizionale.

6.- La riscontrata infondatezza delle censure articolate con il presente mezzo di tutela impone il rigetto di quest’ultimo.

7.- Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore del Comune di Monopoli, liquidate in € 1.500,00 (euro mille e cinquecento/00), oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 6 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Gaudieri, Presidente
Desirèe Zonno, Consigliere
Cesira Casalanguida, Referendario, Estensore

L’ESTENSORE
Cesira Casalanguida
 

IL PRESIDENTE
Francesco Gaudieri

 

IL SEGRETARIO
 

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