* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Costruzione residenziale – Idoneità all’uso abitativo – Art. 5 d.m. 5.7.1975 e art. 20 d.P.R. n. 380/2001 – Mancanza dei requisiti di conformità alle norme igienico-sanitarie – Permesso di costruire, anche in sanatoria – Diniego – Fattispecie: edificio ad uso residenziale privo di finestrature.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Puglia
Città: Bari
Data di pubblicazione: 28 Novembre 2016
Numero: 1326
Data di udienza: 18 Ottobre 2016
Presidente: Serlenga
Estensore: Colagrande
Premassima
* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Costruzione residenziale – Idoneità all’uso abitativo – Art. 5 d.m. 5.7.1975 e art. 20 d.P.R. n. 380/2001 – Mancanza dei requisiti di conformità alle norme igienico-sanitarie – Permesso di costruire, anche in sanatoria – Diniego – Fattispecie: edificio ad uso residenziale privo di finestrature.
Massima
TAR PUGLIA, Bari, Sez. 2^ – 28 novembre 2016, n. 1326
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Costruzione residenziale – Idoneità all’uso abitativo – Art. 5 d.m. 5.7.1975 e art. 20 d.P.R. n. 380/2001 – Mancanza dei requisiti di conformità alle norme igienico-sanitarie – Permesso di costruire, anche in sanatoria – Diniego – Fattispecie: edificio ad uso residenziale privo di finestrature.
La legge (cfr. art. 5 d.m. Sanità 5.7.1975 e dell’art. 20 d.P.R. 380/2001) pone a carico del richiedente il permesso per realizzare una costruzione residenziale l’onere di provarne l’idoneità a tale uso, non potendosi ritenere disgiunto il controllo sulle attività di trasformazione del territorio, dalla verifica della destinazione d’uso che si intende attribuire ad una determinata costruzione. Lo esigono sia le norme urbanistiche che, per un impiego razionale e sostenibile del territorio, consentono di realizzare un edificio residenziale solo in una zona urbanistica dotata delle necessarie infrastrutture e opere di urbanizzazione, sia le disposizioni igienico sanitarie, non derogabili (Cons. Stato, Sez. V, 13 aprile 1999 n. 414; n. 3201/2006), in quanto poste a presidio di interessi collettivi e individuali indisponibili. Allora non basta che una costruzione da destinare ad uso residenziale sia conforme al regime urbanistico di zona, ma occorre accertare, ai fini del rilascio del permesso per costruire, che essa sia effettivamente idonea all’uso dichiarato nell’istanza. Ne consegue che, in mancanza dei requisiti di conformità dell’opera alle norme igienico-sanitarie, il permesso per costruire, anche in sanatoria, deve essere negato (fattispecie relativa ad un edificio con destinazione d’uso residenziale, privo di aperture lucifere e di aerazione)
Pres. f.f. Serlenga, Est. Colagrande – D.P. e altri (avv. Basso) c. Comune di Altamura (avv. Bonelli)
Allegato
Titolo Completo
TAR PUGLIA, Bari, Sez. 2^ - 28 novembre 2016, n. 1326SENTENZA
TAR PUGLIA, Bari, Sez. 2^ – 28 novembre 2016, n. 1326
Pubblicato il 28/11/2016
N. 01326/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01765/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1765 del 2009, proposto da:
Donato Pellegrino, Pasquale Pellegrino, Maria Ciccimarra, Vincenzo Pellegrino, rappresentati e difesi dall’avvocato Salvatore Basso C.F. BSSSVT71S06A662S, con domicilio eletto presso il suo studio, in Bari, corso Mazzini, n. 134/B;
contro
Comune di Altamura, in persona del Sindaco, legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Emilio Bonelli C.F. BNLMLE72L10G942U, domiciliato ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria del T.A.R. Puglia, in Bari, piazza Massari, n. 6;
per l’annullamento
dei provvedimenti di diniego del titolo abilitativo edilizio in sanatoria ed ordinanza di demolizione del Dirigente del Settore sviluppo e governo del territorio – Servizio condono, del Comune di Altamura n. 126/2009, n. 127/2009, n. 128/2009, tutti notificati il 20.07.2009,
di tutti i connessi atti istruttori ivi menzionati, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, allo stato non conosciuto;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Altamura;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 ottobre 2016 la dott.ssa Maria Colagrande;
Uditi per le parti i difensori avv.ti Michele Basso e avv. Emilio Bonelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I ricorrenti sono proprietari di un manufatto situato in zona agricola E2 del PRG del Comune di Altamura, censito in catasto al foglio 169 particelle nn. 252, 254, 249, 119 e 261, per il quale hanno presentato al Comune di Altamura istanza di sanatoria per uso residenziale, ai sensi del d.l. 269/2003, istanza poi respinta con dinieghi n. 127 e 128 del 15.7.2009, di identico contenuto e contestuale ordine di riduzione in pristino.
I provvedimenti indicati in epigrafe sono impugnati per i seguenti motivi.
1) Violazione e falsa applicazione del d.l. 269/2003, art. 32, comma 37, convertito con l. 326/2003 dei principi in materia di autotutela; violazione e falsa applicazione dell’art. 21 nonies l. 241/1990;
Il diniego sarebbe sopravvenuto dopo la formazione del silenzio assenso per decorso del termine di ventiquattro mesi previsto dall’art. 32 d.l. 269/2003, quando ormai la P.A. disponeva solo del mezzo dell’autotutela per rimuoverne gli effetti, allegando un interesse pubblico prevalente sull’affidamento riposto dai ricorrenti nella legittimità del titolo implicito.
2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 40 l. 47/1985, del d.l. 269/2003 convertito con l. 326/2003 e della l.r. 23.12.2003 n. 28 e 3.11.2004 n. 19 – violazione e falsa applicazione della OPCM n. 3274/2003 – violazione e falsa applicazione art. 35 l 47/1985 – eccesso di potere per difetto di istruttoria.
L’edificio sarebbe stato erroneamente ritenuto non ultimato e quindi non ammesso a sanatoria, benché, al contrario, si presentasse completo di tutte le componenti strutturali, né potrebbe avere rilievo il fatto, ritenuto ostativo alla sanatoria, che fosse, allo stato, privo di finestrature peraltro realizzabili anche in un momento successivo; il Comune, inoltre, senza procedere ad alcun adempimento istruttorio, e comunque erroneamente, avrebbe ritenuto l’immobile, per tipologia costruttiva, non suscettibile di adeguamento alla normativa antisismica, come prescritto dalla OPCM n. 3274/2003, mentre la perizia tecnica, in seguito effettuata sulle strutture dell’immobile, ne dimostrerebbe l’idoneità statica.
3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 31 d.P.R. 380/2001; violazione e falsa applicazione degli articoli 7 e seguenti l. 241/1990 – eccesso di potere per difetto di istruttoria e contraddittorietà – illegittimità derivata.
Il Comune avrebbe cumulato, benché normativamente distinti, i procedimenti di accertamento dei presupposti per la sanatoria e di irrogazione della sanzione ripristinatoria, così pregiudicando le garanzie partecipative degli interessati; inoltre non potrebbero dirsi suscettibili di demolizione strutture che, nel provvedimento impugnato, sono definite precarie; infine la sanzione ripristinatoria non sarebbe irrogabile al ricorrente Vincenzo Pellegrino, che è comproprietario dell’edificio, ma non autore dell’abuso.
Resiste il Comune di Altamura.
All’udienza pubblica del 4 ottobre 2016 la causa è stata trattenuta in decisione.
Il ricorso non è fondato.
Deve innanzitutto escludersi che, nel caso in esame, all’istanza di condono sia sopravvenuto il silenzio assenso per decorso di ventiquattro mesi, come stabilito dall’art. 32 comma 37 d.l. 269/2003.
Non risulta infatti, dalla documentazione versata in atti, che i ricorrenti abbiano provveduto ad effettuare la denuncia al catasto e ai fini ICI dell’immobile realizzato, condizioni indefettibili perché si formi il silenzio assenso di cui all’art. 32 comma 37 l. 326/03.
Il Comune pertanto correttamente ha adottato un provvedimento di primo grado a conclusione del procedimento avviato ad istanza di parte di rilascio del titolo in sanatoria.
Nel merito, il Collegio osserva che il diniego di sanatoria di un edificio con destinazione d’uso residenziale, interamente realizzato con profilati di metallo e privo di aperture lucifere e di aerazione, è un atto dovuto, in considerazione del fatto che la normativa eccezionale sul condono edilizio consente la sanatoria di costruzioni realizzate in difformità dalle [sole] norme urbanistiche e dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici (all. 1 – tipologia 1 d.l. 269/2003), non già delle disposizioni di tutela della salute che prescrivono i requisiti minimi di aerazione e di illuminazione degli edifici ad uso residenziale (art. 5 d.m. Sanità 5.7.1975).
La difformità dell’edificio dei ricorrenti pertanto non è sanabile per una ragione testuale – non si tratta di violazione della normativa urbanistica che eccezionalmente viene derogata, senza spazio per interpretazioni estensive o analogiche – ed una logico – sistematica, che richiede l’esame congiunto dell’art. art. 5 d.m. Sanità 5.7.1975 e dell’art. 20 d.P.R. 380/2001.
La prima disposizione stabilisce i requisiti che deve possedere un edificio per essere destinato ad uso residenziale, primo fra tutti l’esistenza di finestre che diano aria e luce agli ambienti.
La seconda disposizione stabilisce che l’istanza di rilascio del permesso per costruire deve essere corredata da un’autocertificazione circa la conformità del progetto alle norme igienico-sanitarie, nel caso in cui il progetto riguardi interventi di edilizia residenziale.
La lettura combinata di dette disposizioni consente di affermare:
– un edificio può essere definito residenziale se ha determinate caratteristiche strutturali e funzionali che consentono agli occupanti di fruire di un ambiente salubre;
– per ottenere il permesso per costruire un edificio che sarà destinato ad uso residenziale è necessario asseverarne la conformità progettuale anche alle norme igienico – sanitarie;
– non può essere rilasciato il permesso per costruire edifici ad uso residenziale non conformi alle norme igienico – sanitarie.
Il corollario logico più rilevante, ai fini del decidere, del regime così delineato, sta nel fatto che la legge pone a carico del richiedente il permesso per realizzare una costruzione residenziale l’onere di provarne l’idoneità a tale uso, non potendosi ritenere disgiunto il controllo sulle attività di trasformazione del territorio, dalla verifica della destinazione d’uso che si intende attribuire ad una determinata costruzione.
Lo esigono sia le norme urbanistiche che, per un impiego razionale e sostenibile del territorio, consentono di realizzare un edificio residenziale solo in una zona urbanistica dotata delle necessarie infrastrutture e opere di urbanizzazione, sia le disposizioni igienico sanitarie, come detto non derogabili (Cons. Stato, Sez. V, 13 aprile 1999 n. 414; n. 3201/2006), in quanto poste a presidio di interessi collettivi e individuali indisponibili.
Allora non basta che una costruzione da destinare ad uso residenziale sia conforme al regime urbanistico di zona, o altrimenti sanabile, ma occorre accertare, ai fini del rilascio del permesso per costruire, che essa sia effettivamente idonea all’uso dichiarato nell’istanza.
Se così non fosse non avrebbe alcun senso compiuto prescrivere che all’istanza di rilascio del permesso per costruire sia allegata un’autodichiarazione sulla conformità della costruzione residenziale alle norme igienico-sanitarie.
Ne consegue che, in mancanza di detta autodichiarazione o dei requisiti di conformità dell’opera alle norme igienico-sanitarie, il permesso per costruire deve essere negato.
Ciò vale anche per il permesso per costruire in sanatoria, perché, come detto, il d.l. 269/2003 non pone alcuna deroga alle prescrizioni in materia di adeguatezza igienico-sanitaria degli edifici residenziali.
In caso contrario dovrebbe ammettersi che il condono edilizio consente al richiedente di accreditarsi arbitrariamente una certa destinazione dell’immobile abusivo solo dichiarandola, coinvolgendo in tale decisione l’interesse indisponibile della collettività – non già del singolo – alla tutela della salute ex art. 32 primo comma Cost..
Pertanto il Collegio ritiene che correttamente il Comune abbia negato il permesso in sanatoria sul presupposto che l’immobile sia privo di finestre e quindi inidoneo all’uso residenziale, né può condividersi quanto sostenuto dai ricorrenti sul fatto che le finestre potrebbero essere realizzate in un momento successivo.
È ben vero, infatti, come sostenuto in conclusionale dai ricorrenti, che ai fini del rilascio del permesso in sanatoria l’art. 31, secondo comma l. 47/1985, richiamato dall’art 32 d.l. 269/2003, esige solo per le opere interne e per gli edifici non residenziali che le opere siano completate funzionalmente (: … si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente).
L’argomento però è inconferente alla luce delle precedenti considerazioni.
La ragione per la quale le disposizioni sopra riportate non richiedono, per gli edifici di edilizia residenziale, il completamento funzionale delle relative opere – bastando che il fabbricato sia effettivamente a ciò predisposto – sta nel fatto, sopra ampiamente commentato, che il richiedente deve allegare all’istanza di sanatoria l’autodichiarazione che l’edificio è conforme alle norme igienico-sanitarie.
Non considerano peraltro i ricorrenti che per edificio allo stato rustico – da considerarsi ultimato ai fini del condono – si intende comunque un’opera comprensiva delle tamponature esterne, mancante solo delle finiture come infissi, pavimentazione e tramezzature interne (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4287, 15 settembre 2015).
Pertanto se, come sostengono i ricorrenti, l’edificio sarà munito di finestre, è evidente che allo stato non può considerarsi ultimato, mancando un elemento strutturale – aperture perimetrali per il passaggio di aria e luce – che al rustico delle costruzioni residenziali non può mancare.
La decisione del Comune di negare anche per questo il permesso in sanatoria non è dunque scalfita dalle censure dedotte.
Tanto basta per respingere il gravame avverso il diniego di condono, perché, trattandosi di provvedimento a struttura plurimotivata, se uno degli autonomi capi della motivazione resiste alle specifiche censure ad esso dirette, l’accoglimento delle ulteriori censure mosse alle altre ragioni di diniego, non determinerebbe un diverso esito del ricorso.
Restano inoltre assorbite dal rigetto del ricorso avverso diniego di condono le censure di illegittimità derivata dell’ordine di demolizione.
Sono infine infondate le altre censure per vizi propri dell’ordinanza di riduzione in pristino.
La fusione dei due procedimenti, quello di accertamento e quello sanzionatorio, che i ricorrenti censurano perché lesiva delle loro prerogative partecipative, non è certo una vicenda atipica.
L’art. 27 d.P.R. 380/2001 infatti ne ammette il cumulo laddove prescrive l’irrogazione di sanzioni quando sia accertata la violazione della normativa urbanistica.
Tuttavia è principio acquisito in giurisprudenza che gli atti sanzionatori in materia edilizia, dato il loro contenuto vincolato, non devono essere preceduti dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento ai sensi dell’art. 7, l. n. 241 del 1990 e non richiedono apporti partecipativi del soggetto destinatario, in quanto conseguenze imprescindibili dell’accertamento della natura abusiva dell’opera edilizia.
Seppure, allora, fosse stata violata una norma procedimentale, ma, al contrario, l’operato del Comune appare conforme al principio di economicità e speditezza dell’azione amministrativa, il vizio dedotto non avrebbe effetti invalidanti ai sensi dell’art. 21 octies primo comma l. 241/1990.
Non ha infine rilievo la circostanza che uno dei ricorrenti sia comproprietario ma non autore dell’abuso.
Poiché la demolizione ha natura di sanzione ripristinatoria, non afflittiva, che prescinde dalla imputabilità soggettiva dell’abuso, essa, legittimamente, ha come destinatario sia il responsabile che il proprietario che dispone dell’immobile abusivo ed è in condizione per questo di soddisfare l’interesse pubblico alla riduzione in pristino perseguito dal provvedimento.
Il ricorso pertanto deve essere respinto.
Spese secondo soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese di giudizio che liquida in € 1.500,00 oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 18 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:
Giacinta Serlenga, Presidente FF
Flavia Risso, Referendario
Maria Colagrande, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE
Maria Colagrande
IL PRESIDENTE
Giacinta Serlenga
IL SEGRETARIO