* RIFIUTI – Rifiuti speciali e rifiuti urbani – Potere comunale di assimilazione – Art. 198, c. 1 d.lgs. n. 152/2006 – Classificazione – Nozione – Rifiuti generati dalle utenze domestiche (rifiuti urbani) – Rifiuti generati da utenze non domestiche (rifiuti speciali) – Rifiuto assimilato – Nozione – Rifiuti sanitari – Assimilazione ope legis ai rifiuti urbani per alcune categorie di rifiuti sanitari – Art. 2, c. 1, lett. g) d.P.R. n. 254/2003.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 1^
Regione: Puglia
Città: Lecce
Data di pubblicazione: 1 Marzo 2018
Numero: 351
Data di udienza: 7 Febbraio 2018
Presidente: Pasca
Estensore: Moro
Premassima
* RIFIUTI – Rifiuti speciali e rifiuti urbani – Potere comunale di assimilazione – Art. 198, c. 1 d.lgs. n. 152/2006 – Classificazione – Nozione – Rifiuti generati dalle utenze domestiche (rifiuti urbani) – Rifiuti generati da utenze non domestiche (rifiuti speciali) – Rifiuto assimilato – Nozione – Rifiuti sanitari – Assimilazione ope legis ai rifiuti urbani per alcune categorie di rifiuti sanitari – Art. 2, c. 1, lett. g) d.P.R. n. 254/2003.
Massima
TAR PUGLIA, Lecce, Sez. 1^ – 1 marzo 2018, n. 351
RIFIUTI – Rifiuti speciali e rifiuti urbani – Potere comunale di assimilazione – Art. 198, c. 1 d.lgs. n. 152/2006
L’art. 198, c. 1, T.U. ambientale D.Lgs. n. 152 del 2006 stabilisce che gli enti devono concorrere alla gestione dei rifiuti limitatamente ai rifiuti urbani e possono estendere tale diritto attraverso il potere dell’assimilazione di un rifiuto speciale non pericoloso prodotto dalle utenze non domestiche, trasformandolo, in urbano. Pertanto, il potere comunale di assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani trova la sua fonte primaria nelle norme dettate dal Testo unico dell’ambiente, mentre le norme tributarie che riguardano i rifiuti speciali assimilati disciplinano il prelievo connesso a questa speciale categoria di rifiuti, una volta assimilati.
RIFIUTI – Classificazione – Nozione – Rifiuti generati dalle utenze domestiche (rifiuti urbani) – Rifiuti generati da utenze non domestiche (rifiuti speciali) – Rifiuto assimilato – Nozione.
La classificazione del rifiuto, consiste in una valutazione che deve condurre all’attribuzione di un codice CER e, qualora il rifiuto venga classificato come pericoloso, è necessario che il produttore/detentore del rifiuto, individui ed identifichi le H di pericolo e l’idoneo impianto di recupero e smaltimento. Le H di pericolo ovverossia le classi di pericolosità H di cui all’ allegato I del D.Lgs. n. 205 del 2010 devono essere individuate dal produttore. Classificare il rifiuto considerando "chi lo ha prodotto", implica che il rifiuto generato dalle utenze domestiche deve essere classificato rifiuto urbano, ed indipendentemente dalla composizione merceologica e dalla quantità prodotta, lo stesso rientra nella privativa dell’ente e soggetto a tassazione, mentre il rifiuto che viene prodotto dalle utenze non domestiche, è classificato come rifiuto speciale al cui smaltimento i produttori devono provvedere autonomamente attraverso l’utilizzo di ditte specializzate nel settore. Il rifiuto assimilato rappresenta quella tipologia di rifiuto che, nonostante sia stato prodotto da un’attività economica e nonostante non rientri nell’elenco di cui all’ art. 184, c. 2, D.Lgs. n. 152 del 2006, è stato assimilato al rifiuto urbano con apposita deliberazione comunale. Pertanto, l’ente, con la delibera di assimilazione apporta una trasformazione nel rifiuto, il quale, da rifiuto speciale, diviene rifiuto urbano, conferibile al servizio comunale e rientrante nella privativa dell’ente e, pertanto, soggetto a tassazione.
RIFIUTI – Rifiuti sanitari – Assimilazione ope legis ai rifiuti urbani per alcune categorie di rifiuti sanitari – Art. 2, c. 1, lett. g) d.P.R. n. 254/2003.
L’assimilazione ope legis ai rifiuti urbani dei rifiuti sanitari indicati all’art. 2 comma 1 lett. g) del d.P.R. n. 254/2003, è tuttora vigente su precisa disposizione dell’art. 227 del D.Lgs. n. 152/2006, che ha fatto salvo l’intero D.P.R. n. 254/2003.
Pres. Pasca, Est. Moro – Confesercenti Taranto (avv. Camposano) c. Comune di Taranto (avv. Cotimbo)
Allegato
Titolo Completo
TAR PUGLIA, Lecce, Sez. 1^ - 1 marzo 2018, n. 351SENTENZA
TAR PUGLIA, Lecce, Sez. 1^ – 1 marzo 2018, n. 351
Pubblicato il 01/03/2018
N. 00351/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00745/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce – Sezione Prima
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 745 del 2014, proposto da:
Confesercenti Taranto, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Marco Camposano, domiciliato ex art. 25 cpa presso Segreteria Tar in Lecce, via F. Rubichi 23;
contro
Comune di Taranto, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Maddalena Cotimbo, con domicilio eletto presso lo studio Tommaso Fazio in Lecce, piazzetta Montale,2;
nei confronti di
Azienda Multiservizi Igiene Urbana Spa – Taranto, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Giampaolo Sechi, con domicilio eletto presso lo studio Antonio P. Nichil in Lecce, viale Leopardi, 151;
per l’annullamento
della Deliberazione di Consiglio Comunale n. 147 del 12/12/2013, recante approvazione del Regolamento di assimilazione ai rifiuti urbani dei rifiuti speciali, nonché del presupposto Regolamento Comunale Tarsu e della presupposta Deliberazione di Consiglio Comunale n. 139 del 30/11/2013.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di: Comune di Taranto e Azienda Multiservizi Igiene Urbana Spa – Taranto;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 7 febbraio 2018 la dott.ssa Patrizia Moro e uditi per le parti i difensori come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La Confesercenti – Confederazione Italiana esercenti attività commerciali turistiche e dei servizi- avente come obiettivo statutario la tutela e la promozione delle piccole e medie imprese commerciali, ha impugnato l’epigrafata delibera comunale con la quale è stato approvato il regolamento recante norme per effettuare l’assimilazione ai rifiuti urbani dei rifiuti speciali, rappresentando l’eccesso di potere in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione Comunale, nonché contestando l’assimilazione effettuata dal Comune di una serie di rifiuti sia sotto l’aspetto quantitativo e sotto l’aspetto qualitativo.
Si sono costituiti in giudizio sia il Comune di Taranto, sia l’A.M.I.U. – Azienda Multiservizi Igiene Urbana Spa contestando l’ex adverso e insistendo per la legittimità dell’atto impugnato.
Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Nella fattispecie, il Comune di Taranto, dando esecuzione all’art.58 d.lgs.507/1993 e nell’esercizio del potere di disciplinare le proprie entrate con regolamento, come previsto dall’art.52 d.lgs.n.446/1997, entro i limiti costituiti dalle fattispecie imponibili, dai soggetti passivi e dalla aliquota massima dei singoli tributi, ha provveduto alla adozione della tariffaria n.147/2013, recante l’assimilazione ai rifiuti solidi urbani dei rifiuti speciali propri delle attività economiche, suscettibili di essere compresi nell’elenco di cui al punto 1.1.1. della delibera interministeriale del 27.7.1984 in G.U. n.253/1984, delibera consiliare n.17/2003 di approvazione del “Regolamento sulla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti speciali assimilati”.
L’art. 198, c. 1, T.U. ambientale D.Lgs. n. 152 del 2006 stabilisce che gli enti devono concorrere alla gestione dei rifiuti limitatamente ai rifiuti urbani e possono estendere tale diritto attraverso il potere dell’assimilazione di un rifiuto speciale non pericoloso prodotto dalle utenze non domestiche, trasformandolo, in urbano.
Pertanto, il potere comunale di assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani trova la sua fonte primaria nelle norme dettate dal Testo unico dell’ambiente, mentre le norme tributarie che riguardano i rifiuti speciali assimilati disciplinano il prelievo connesso a questa speciale categoria di rifiuti, una volta assimilati.
La classificazione del rifiuto, consiste in una valutazione che deve condurre all’attribuzione di un codice CER e, qualora il rifiuto venga classificato come pericoloso, è necessario che il produttore/detentore del rifiuto, individui ed identifichi le H di pericolo e l’idoneo impianto di recupero e smaltimento. Le H di pericolo ovverossia le classi di pericolosità H di cui all’ allegato I del D.Lgs. n. 205 del 2010 devono essere individuate dal produttore.
Classificare il rifiuto considerando "chi lo ha prodotto", implica che il rifiuto generato dalle utenze domestiche deve essere classificato rifiuto urbano, ed indipendentemente dalla composizione merceologica e dalla quantità prodotta, lo stesso rientra nella privativa dell’ente e soggetto a tassazione, mentre il rifiuto che viene prodotto dalle utenze non domestiche, è classificato come rifiuto speciale al cui smaltimento i produttori devono provvedere autonomamente attraverso l’utilizzo di ditte specializzate nel settore.
Il rifiuto assimilato rappresenta quella tipologia di rifiuto che, nonostante sia stato prodotto da un’attività economica e nonostante non rientri nell’elenco di cui all’ art. 184, c. 2, D.Lgs. n. 152 del 2006, è stato assimilato al rifiuto urbano con apposita deliberazione comunale.
Pertanto, l’ente, con la delibera di assimilazione apporta una trasformazione nel rifiuto, il quale, da rifiuto speciale, diviene rifiuto urbano, conferibile al servizio comunale e rientrante nella privativa dell’ente e, pertanto, soggetto a tassazione.
Il criterio di assimilazione e di assimilabilità dei rifiuti non urbani ossia per i rifiuti provenienti da attività artigianali, commerciali e di servizi è stato definito con l’ art. 60 del D.Lgs. n. 507 del 1993, il quale disponeva che i comuni con apposito regolamento comunale potevano assimilarli definendone la qualità e quantità. In seguito, con la L. n. 146 del 1994, sono stati assimilati tutti i rifiuti speciali indicati al punto 1.1.1, lett. a) della Deliberazione Comitato Interministeriale del 27/7/1984 previsto all’ art. 5 del D.P.R. n. 915 del 1982. Questa deliberazione però considera solo l’aspetto qualitativo e merceologico del rifiuto, non considerandone la quantità e la provenienza del rifiuto.
E’ entrato poi in vigore il D.Lgs. n. 22 del 1997 , il quale, all’art. 21, c. 2, lett. g, ha fornito all’ente la possibilità di assimilare, limitatamente ai rifiuti non pericolosi, mediante l’approvazione del regolamento comunale nel rispetto dei principi di qualità e quantità.
Il D.Lgs. n. 152 del 2006, successivamente intervenuto ha poi disposto, agli artt. 184, c. 3 e 198, c. 2, al punto g), "l’assimilazione, per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, secondo i criteri di cui all’art. 195, c. 2, lett. e), ferme le definizioni di cui all’art. 184, c. 2, lett. c) e d)". Con l’art. 2, c. 26, lett. a), D.Lgs. n. 16 del 2008, è stato infine sancito che " Spetta allo Stato la determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani".
In ordine ai criteri di assimilabilità dei rifiuti speciali a quelli urbani, la Corte di Cassazione (sent.n. 9631 del 13/06/2012) ha chiarito che il regolamento comunale relativo alla Tarsu debba contenere non solo le caratteristiche qualitative dei rifiuti considerati assimilati, ma anche i criteri quantitativi, per poter essere ritenuto valido.
Sulla base delle citate coordinate normative e giurisprudenziali, in disparte la questione della non sufficiente determinatezza del ricorso sia in ordine all’interesse sotteso, sia in ordine alle presupposte violazioni di legge cui sarebbe incorso il Comune intimato, l’impugnata delibera di assimilazione dei rifiuti risulta esente dalle censure rassegnate nel ricorso.
In particolare, quanto alla contestazione inerente la ricomprensione, nell’assimilazione, dei rifiuti sanitari, basti rilevare che l’art.2 lett.g) del comma 1 del DPR 254/2002 prevede espressamente che alcuni rifiuti sanitari siano assimilati ai rifiuti urbani.
Il D.P.R. n. 254/2003 all’art. 2 – definisce i rifiuti sanitari distinguendone varie tipologie, tra cui:
– rifiuti sanitari non pericolosi ;
– rifiuti sanitari assimilati ai rifiuti urbani;
– rifiuti sanitari pericolosi non a rischio infettivo;
– rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo.
All’art. 2 comma 1 lett. g) viene precisato che sono rifiuti sanitari assimilati agli urbani i seguenti rifiuti sanitari, qualora non rientrino tra i rifiuti pericolosi, assoggettati al regime giuridico e alle modalità di gestione dei rifiuti urbani:
1) i rifiuti derivanti dalla preparazione dei pasti provenienti dalle cucine delle strutture sanitarie;
2) i rifiuti derivanti dall’attività di ristorazione e i residui dei pasti provenienti dai reparti di degenza delle strutture sanitarie, esclusi quelli che provengono da pazienti affetti da malattie infettive per i quali sia ravvisata clinicamente, dal medico che li ha in cura, una patologia trasmissibile attraverso tali residui;
3) vetro, carta, cartone, plastica, metalli, imballaggi in genere, materiali ingombranti da conferire negli ordinari circuiti di raccolta differenziata, nonché altri rifiuti non pericolosi che per qualità e per quantità siano assimilati agli urbani ai sensi dell’ art. 21 comma 2, lettera g), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22;
4) la spazzatura;
5) indumenti e lenzuola monouso e quelli di cui il detentore intende disfarsi;
6) i rifiuti provenienti da attività di giardinaggio effettuata nell’ambito delle strutture sanitarie;
7) i gessi ortopedici e le bende, gli assorbenti igienici anche contaminati da sangue esclusi quelli dei degenti infettivi, i pannolini pediatrici e i pannoloni, i contenitori e le sacche utilizzate per le urine;
8) i rifiuti sanitari a solo rischio infettivo assoggettati a procedimento di sterilizzazione effettuato ai sensi della lettera m).
Si tratta di una vera e propria assimilazione ope legis, voluta dallo stesso legislatore e tuttora vigente su precisa disposizione dell’art. 227 del D.Lgs. n. 152/2006, che ha fatto salvo l’intero D.P.R. n. 254/2003.
Quanto agli imballaggi, la Suprema Corte di Cassazione ha di recente (sent. 14414/2017; n.6359/2016) evidenziato come le norme del Dlgs 22/1997 (oggi contenute nel D.lgs 152/2006) suddividano gli imballaggi in tre categorie: primari, secondari e terziari.
In particolare, per quanto qui di interesse, la Suprema Corte ricorda che gli imballaggi terziari (o per il trasporto) rientrano nella categoria dei rifiuti speciali non assimilati, stante il divieto sancito dall’allora vigente articolo 43 del Dlgs 22/1997 di immettere gli stessi nel circuito dei rifiuti urbani. Al contrario, gli imballaggi secondari possono essere conferiti al servizio pubblico mediante raccolta differenziata.
Tuttavia, gli imballaggi terziari non sono di per se esenti dal tributo, ma agli stessi si applica la disciplina dei rifiuti speciali (articolo 62, comma 3, del Dlgs 507/1993), essendo onere del contribuente individuare la superficie dove per struttura e destinazione si producono esclusivamente tale tipo di rifiuti. Infatti, seppure l’onere della prova dei fatti costituenti l’obbligazione tributaria spetta all’amministrazione, per quanto attiene la quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato un onere di informazione (e anche di denuncia) per individuare la superficie non tassabile.
Nel caso in cui la produzione degli imballaggi terziari avvenga in modo congiunto con altri rifiuti assimilati, il contribuente non ha diritto alla detassazione totale, ma l’abbattimento della superficie ottenuto applicando le apposite percentuali stabilite dal regolamento comunale assicura la necessaria riduzione del tributo.
Quanto alla questione concernente la possibilità per i produttori di rifiuti assimilati, che dimostrino di aver avviato al recupero i rifiuti stessi, di sottrarsi alla privativa comunale, ai sensi della normativa dettata dal D.Lgs. n. 22 del 1997, la stessa è stata risolta dalla Corte di Cassazione, affermando " la dichiarazione di assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani, previsto dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 21, comma 2, presuppone necessariamente la concreta individuazione delle caratteristiche, non solo qualitative, ma anche quantitative dei rifiuti speciali poichè l’impatto igienico ed ambientale di un materiale di scarto non può essere valutato a prescindere dalla sua quantità" (Cass. n. 30719/2011; n. 9631/2012; n. 18018/2013; n. 22223/2016).
Al riguardo, incombe all’impresa contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che, per il detto motivo, non concorrano alla quantificazione della complessiva superficie imponibile; infatti, pur operando anche nella materia in esame – riguardo al presupposto della occupazione di aree nel territorio comunale – il principio secondo il quale l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria spetta all’amministrazione, per quanto attiene alla quantificazione della tassa è posto a carico dell’interessato (oltre all’obbligo della denuncia di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 70) un onere di informazione, al fine di ottenere l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Cass. n.4766/2004, n. 17703/ 2004, n.13086/ 2006, n. 17599/2009, n.775/2011, n.5377/2012, n. 0469 del 2016 e n.21250/2017).
Tale principio, non escluso dal regolamento impugnato, il quale chiarisce quali siano i rifiuti speciali non assimilati e le sostanze escluse (art.4 del regolamento), comporterà la possibilità per i contribuenti di dimostrare l’esclusione di alcune aree dalla superficie tassabile.
Invero, in tema di avviamento al recupero dei rifiuti speciali assimilati (e assimilabili), l’operatore economico ha l’onere di dimostrare l’effettivo e corretto avviamento al recupero attraverso valida documentazione comprovante il conferimento dei rifiuti, innanzitutto, a soggetti autorizzati a detta attività in base alle norme del D.Lgs n. 22 del 1997(ora d.lgs.152/2006) e i quali poi abbiano rilasciato il prescritto formulario di identificazione o, in caso di mancata ricezione di questo, altra idonea attestazione.
In secondo luogo, l’esonero dalla privativa comunale, previsto appunto in caso di detto comprovato avviamento al recupero, determina non già la riduzione della superficie tassabile, prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, citato art. 62, comma 3 per il solo caso di produzione di rifiuti speciali (non assimilabili o non assimilati), bensì il diritto ad una riduzione tariffaria determinata in concreto – a consuntivo – in base a criteri di proporzionalità rispetto alla quantità effettivamente avviata al recupero (in virtù di quanto previsto, in generale, già dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 67, comma 2 e poi, più specificamente, dall’art. 49, comma 14, del decreto Ronchi e dal D.P.R. n. 158 del 1999, art. 7, comma 2, il quale, nell’approvare il "metodo normalizzato per la determinazione della tariffa di riferimento per la gestione dei rifiuti urbani", può, nella fase transitoria, essere applicato dai Comuni anche ai fini TARSU).
Non è fondata neppure la censura inerente il difetto motivazionale della delibera impugnata.
Invero, in disparte la circostanza che la natura regolamentare dell’atto impugnato, avente una valenza generale e astratta delle sue previsioni, esclude un pregnante onere motivazionale, in applicazione dell’art.3 della L.241/1990, l’atto riporta comunque un sufficiente percorso logico-giuridico e il richiamo delle norme applicate sì da non apparire illogico e sproporzionato nella determinazione quantitativa della tariffa.
Del resto, parte ricorrente non ha affatto evidenziato particolari e concrete incongruenze nella determinazione tariffaria.
Infine, del tutto neutro è il ruolo di AMIU nella determinazione tariffaria, sicchè la censura è carente in punto di interesse.
In definitiva, il ricorso deve essere respinto.
Sussistono nondimeno giustificati motivi (stante la complessità della questione) per disporre la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Prima definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 7 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Antonio Pasca, Presidente
Patrizia Moro, Consigliere, Estensore
Roberto Michele Palmieri, Primo Referendario
L’ESTENSORE
Patrizia Moro
IL PRESIDENTE
Antonio Pasca
IL SEGRETARIO