* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Presentazione di un progetto di lottizzazione – Valenza di sanatoria – Inconfigurabilità.
Provvedimento: Sentenza
Sezione: 2^
Regione: Puglia
Città: Lecce
Data di pubblicazione: 28 Gennaio 2019
Numero: 152
Data di udienza: 18 Dicembre 2018
Presidente: Di Santo
Estensore: Vituccio
Premassima
* DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Presentazione di un progetto di lottizzazione – Valenza di sanatoria – Inconfigurabilità.
Massima
TAR PUGLIA, Lecce, Sez. 2^ – 28 gennaio 2019, n. 152
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Presentazione di un progetto di lottizzazione – Valenza di sanatoria – Inconfigurabilità.
La presentazione di un progetto di lottizzazione è cosa diversa dalla proposizione di un’istanza di sanatoria: solo con la seconda si chiede alla P.A. di verificare la sanabilità delle opere contestate come abusive, con la conseguenza di inibire il potere repressivo della P.A. e di traslare l’interesse a ricorrere avverso gli atti eventualmente adottati dalla P.A. a seguito della presentazione di una tale domanda. Ciò non accade a fronte di un progetto di lottizzazione, che, di per sé, non ha valenza di sanatoria.
Pres. Di Santo, Est. Vitucci – D.A.A. (avv.ti Giangrande e De Nuzzo) c. Comune di Oria (avv. Tagliente)
Allegato
Titolo Completo
TAR PUGLIA, Lecce, Sez. 2^ - 28 gennaio 2019, n. 152SENTENZA
TAR PUGLIA, Lecce, Sez. 2^ – 28 gennaio 2019, n. 152
Pubblicato il 28/01/2019
N. 00152/2019 REG.PROV.COLL.
N. 01001/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce – Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1001 del 2018, proposto da
Dell’Aquila Antimo, rappresentato e difeso dagli avvocati Patrizio Gaetano Giangrande e Pietrantonio De Nuzzo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio presso la Segreteria del T.A.R., ex art. 25 c.p.a.;
contro
Comune di Oria, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Fabio Tagliente, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Lecce, via Verdi n.5, presso l’avv. Fabrizio Tommasi;
per l’annullamento
dell’ordinanza n. 34, adottata in data 19 giugno 2018, successivamente notificata al ricorrente in data 20 giugno 2018, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale a quello impugnato.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Oria;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2018 il dott. Andrea Vitucci e uditi per le parti i difensori avv. P. De Nuzzo, anche in sostituzione dell’avv. P. G. Giangrande, per il ricorrente e avv. F. Tagliente per la P.A.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1) Parte ricorrente espone di avere ricevuto in donazione dal padre, più di dieci anni fa, la proprietà di un complesso immobiliare di terreni, fabbricati ed altri annessi, siti in Oria (BR), ad angolo tra via Spirito Santo e via E. De Filippo (per atto notarile del 27 giugno 2005, rep.63382). Espone, ancora, che il suddetto complesso immobiliare è a lui pervenuto nella sua attuale consistenza edificatoria, senza che siano intervenute modifiche successive, eccezion fatta per l’ordinaria manutenzione, per la realizzazione di un gazebo in legno e per la copertura di una piccola area del proprio terreno con sabbia (campo da “beach volley”). Da quando l’immobile è pervenuto all’attuale ricorrente (nel 2005) e fino al momento dell’adozione degli atti in questa sede impugnati (nel 2018), non vi sarebbe stato alcun contegno del Comune tale da ingenerare nel ricorrente il dubbio circa la legittimità degli interventi edilizi che, nel corso degli anni, sono stati realizzati sull’area in questione.
All’esito di un sopralluogo congiunto, da parte del Comando di Polizia Locale e del competente Ufficio comunale, effettuato in data 21 maggio 2018 nel contraddittorio delle parti, veniva notificata al ricorrente, individuato nel frattempo quale nuovo proprietario delle opere per cui è causa, l’impugnata ordinanza n. 34 del 19 giungo 2018, con la quale:
– da un lato, si dava atto dell’avvio del procedimento teso all’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dei manufatti edilizi realizzati in assenza di titolo autorizzativo ed oggetto di precedenti ordinanze di demolizione, emesse nei confronti del padre del ricorrente, n. 49-prot.5317 del 6 maggio 1993 e n. 56-prot.10723 del 10 agosto 1994, rimaste ineseguite e relative, rispettivamente, a una piattaforma in cemento armato con fondamenta perimetrali e a un campo di calcetto;
– dall’altro lato, in relazione agli ulteriori abusi riscontrati nell’area, si ingiungeva al ricorrente la demolizione delle seguenti opere, perché realizzate in assenza di permesso di costruire ex art. 31 D.P.R. n. 380/2001:
a) gazebo in legno (aperto), con copertura a due falde inclinate, delle dimensioni di ml 15,00×2,70=mq 40,50, con altezza di ml 2,40;
b) locale costituito da pareti e coperture con pannelli in lamiera grecata, aperto sul fronte principale, avente superficie di ml 10,30×5,80=mq 59,74, con altezza media di circa ml 3,30, con un volume di mc 197,42;
c) locale in muratura di conci di tufo e copertura con pannelli prefabbricati, delle dimensioni di ml 10,80×2,35=mq 28,28 ed altezza media di circa ml 2,30;
d) ampliamento dei servizi igienici, già oggetto di precedente abuso edilizio, di dimensioni ml 15,00×2,70=mq 40,50 ed altezza ml 2,40;
e) campo da “beach volley”, costituito da rete e materiale sabbioso;
f) piazzale in materiale bituminoso, destinato a deposito di autoveicoli, di dimensioni ml 30,00×30,00=mq 900,00.
Avverso la suddetta ordinanza il ricorrente ha proposto l’odierno gravame.
2) Si è costituito in giudizio il Comune di Oria, che ha precisato, tra l’altro, che l’ordine di demolizione oggi gravato (n. 34 del 19 giungo 2018) è del tutto svincolato ed autonomo rispetto ai precedenti provvedimenti sanzionatori del 1993 e 1994 (emessi, all’epoca, nei confronti del padre del ricorrente), per i quali il Comune, attesa la perdurante inottemperanza ai medesimi, ha avviato un distinto procedimento amministrativo di acquisizione gratuita al patrimonio comunale, tutt’ora pendente.
DIRITTO
1) Con primo motivo di ricorso, si denunciano: violazione degli artt. 31, 37 e 38 D.P.R. n. 380/2001; eccesso di potere per omessa istruttoria; errato apprezzamento delle circostanze di fatto; eccesso di potere per disparità di trattamento.
1.1) Nell’ambito di tale motivo di censura, parte ricorrente espone, in primo luogo, di aver predisposto un progetto di lottizzazione privata (poi effettivamente presentato in data 18 settembre 2018), nell’ambito del quale si prevede la totale eliminazione delle opere contestate. Sostiene, quindi, che, con l’esercizio, da parte del privato, della facoltà di regolarizzare la propria posizione utilizzando uno strumento urbanistico normativamente previsto, sarebbe da ritenersi inibito l’esercizio del potere repressivo/sanzionatorio dell’Amministrazione, almeno sino a quando essa non si sia pronunciata (negativamente) sull’istanza stessa, con conseguente traslazione dell’interesse all’impugnativa che si incentrerà sul provvedimento adottato in esito a una tale istanza.
In proposito, osserva il Collegio che la presentazione di un progetto di lottizzazione è cosa diversa dalla proposizione di un’istanza di sanatoria: solo con la seconda si chiede alla P.A. di verificare la sanabilità delle opere contestate come abusive, con la conseguenza di inibire il potere repressivo della P.A. e di traslare l’interesse a ricorrere avverso gli atti eventualmente adottati dalla P.A. a seguito della presentazione di una tale domanda. Ciò non accade a fronte di un progetto di lottizzazione, che, di per sé, non ha valenza di sanatoria (né risulta che parte ricorrente abbia presentato alcuna istanza di sanatoria).
Ne deriva che il suddetto profilo di doglianza è infondato.
1.2) Con ulteriore profilo di doglianza, articolato sempre nell’ambito del primo motivo di ricorso, il ricorrente sostiene che il Comune avrebbe erroneamente ritenuto che la realizzazione di un gazebo (completamente aperto su ogni lato, privo di volumetria, non ancorato stabilmente al suolo) e di un campo da “beach volley” rientrerebbero tra gli interventi che necessitino di permesso di costruire, mentre gli stessi sarebbero, al più, soggetti a una comunicazione di inizio lavori, ai sensi e per gli effetti dell’art. 22 D.P.R. n. 380/2001. Anche il piazzale in materiale bituminoso, oltre a essere risalente nel tempo, non sarebbe soggetto, a detta del ricorrente, a permesso di costruire, perché non darebbe luogo a una modifica di volumetria né sarebbe un organismo edilizio. Parte ricorrente sostiene, quindi, che l’ordinanza sarebbe illegittima perché contraria all’art. 37 D.P.R. n. 380/2001, in quanto gli interventi non sottoposti a permesso di costruire – come quelli appena descritti – potrebbero essere sanati con il pagamento di una sanzione pecuniaria e, comunque, non sarebbero assoggettabili a ordinanza di demolizione.
Anche tale profilo di doglianza è infondato, in quanto, al di là di ogni altra pur possibile considerazione, l’ordinanza impugnata intende sanzionare quella che, in tutta evidenza, è la realizzazione abusiva di un intero impianto sportivo (ovviamente composto da singoli elementi, che l’ordinanza non poteva non indicare), il quale non può che essere considerato, ai fini dell’individuazione del titolo edilizio necessario, nella sua complessità.
1.3) Da ultimo, parte ricorrente, sempre nell’articolazione del primo motivo di censura, evidenzia che il Comune sarebbe incorso in una grave carenza istruttoria, in quanto le opere contestate come abusive – diverse da quelle realizzate dal ricorrente (cioè il gazebo e il campo da “beach volley”) – sarebbero le stesse già contestate, venti anni fa, al padre.
Anche tale profilo di censura è privo di pregio, atteso che il Comune resistente ha chiarito che le opere oggetto delle pregresse ordinanze del 1993 e del 1994 sono diverse da quelle oggetto della ordinanza odiernamente gravata. Infatti, le ingiunzioni inadempiute dal padre del ricorrente riguardavano:
– a) “costruzione della piattaforma in c.a. avente superficie di circa 400 mq ove sono stati fissati n.6 pilastri in acciaio, nonché realizzazione di fondamenta perimetrali in c.a. in c/da Via Spirito Santo” (Ord. n. 49/1993, crf. all.3 produzione del Comune del 22 settembre 2018);
– b) “campo di calcetto avente lunghezza di mt 40.00 e larghezza di mt. 20.00 recintato con rete metallica di mt. 4.00. Le opere eseguite in assenza di concessione consistono nella realizzazione di n. 7 (sette) box doccia in conci di tufo e copertura con solai latero – cementizio e mattoni forati, al rustico completi di impianto idrico, fognante ed elettrico, aventi la superficie di mq. 20.00 complessivamente, il tutto alla Via Spirito Santo di questo centro abitato” (Ord. n. 56/1994 crf. all. 9 produzione del Comune cit.).
Per le suddette opere è stato avviato il procedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale, non oggetto dell’odierno gravame.
Diversamente, l’impugnata ordinanza di demolizione riguarda altre opere, cioè: gazebo, campo da “beach volley”, locale costituito da pareti e coperture con pannelli in lamiera grecata, locale in muratura di conci di tufo e copertura con pannelli prefabbricati, piazzale in materiale bituminoso, ampliamento dei servizi igienici (servizi già sanzionati con la precedente ordinanza n. 56/1994).
1.4) Alla luce di quanto sopra, il primo motivo di ricorso va integralmente respinto.
2) Con secondo motivo di censura, parte ricorrente denuncia: violazione e falsa applicazione degli artt. 31 e 36, D.P.R. n. 380/2001; violazione del principio di buon andamento e proporzionalità; eccesso di potere per carenza assoluta dei presupposti; irragionevolezza e ingiustizia manifeste.
2.1) Con un primo profilo di doglianza, il ricorrente sostiene che l’impugnata ordinanza sarebbe illegittima ove si consideri il notevole lasso di tempo intercorso fra l’accertamento/repressione dell’abuso e la sua realizzazione. Pur nella consapevolezza che la P.A. è tenuta alla repressione degli abusi edilizi senza specifici oneri motivazionali e che l’abusività di un’opera “segue” l’immobile nei successivi trasferimenti del medesimo (poiché, diversamente opinando, sarebbe sufficiente l’alienazione dell’immobile abusivo per eludere le esigenze di tutela dell’ordinato sviluppo urbanistico e del governo del territorio), parte ricorrente richiama l’orientamento interpretativo secondo cui la P.A., nella repressione degli abusi edilizi, incontra un obbligo di motivazione “rafforzata” in presenza delle seguenti condizioni:
– a) che il proprietario, acquirente del manufatto e destinatario dell’ordine di rimozione, non sia il responsabile dell’abuso;
– b) che l’alienazione non sia avvenuta al solo fine di eludere il successivo esercizio dei poteri repressivi;
– c) che tra la realizzazione dell’abuso, il successivo acquisto, e, più ancora, l’esercizio, da parte dell’Autorità, dei poteri repressivi, sia intercorso un notevole lasso temporale.
Tali condizioni ricorrerebbero nella vicenda per cui è causa, in quanto:
– a) l’odierno ricorrente, divenuto proprietario dell’area oggetto del provvedimento, non sarebbe il responsabile dell’abuso, atteso che le opere contestate precedentemente sono state realizzate dal padre tra il 1993 e il 1994 e che le opere edilizie di cui all’ulteriore ed attuale ordine di demolizione sarebbero state realizzate anch’esse prima dell’intervenuto acquisto a favore del ricorrente (come da relazione tecnica allegata al ricorso, ove si fornirebbe riscontro circa la preesistenza dei manufatti);
– b) il trasferimento di proprietà non sarebbe avvenuto al fine di eludere il successivo esercizio dei poteri repressivi, atteso che l’odierno ricorrente è divenuto proprietario delle opere nel 2005, a distanza di più di dieci anni dagli abusi realizzati dal padre, e la ingiunzione a demolire è intervenuta a distanza di oltre dieci anni dall’acquisto del 2005;
– c) tra la realizzazione degli abusi e la loro contestazione è intercorso un considerevole lasso di tempo.
Fuori da tali condizioni rimarrebbero solo le opere più recenti (gazebo e campo da “beach volley”) che sono state realizzate dal ricorrente dopo essere divenuto proprietario dell’area, ma per le quali parte ricorrente sostiene (infondatamente, per quanto si è visto sopra in relazione al primo motivo di ricorso) che non necessitino di alcun titolo autorizzativo.
Con riferimento, quindi, alle opere contestate come abusive e precedenti a quelle, più recenti, realizzate dal ricorrente, l’ordinanza di demolizione sarebbe illegittima perché limitantesi al riscontro dell’abusività delle opere, senza alcuna motivazione “rafforzata” in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico sotteso alla sanzione demolitoria, interesse che dovrebbe essere diverso e ulteriore rispetto all’esigenza del mero ripristino della legalità violata.
Il suddetto profilo di doglianza è privo di pregio, in quanto la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha chiarito che “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino” (C.d.S., Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 9).
2.2) Con ulteriore profilo di doglianza, il ricorrente sostiene che le opere precedentemente contestate al padre come abusive erano state colpite da sequestro e che ciò ne avrebbe impedito la rimozione. Tale vizio si sarebbe ripercosso sull’attuale ordine demolitorio, essendo quest’ultimo, sempre secondo il ricorrente, in massima parte un “duplicato” di quelli precedentemente emessi nei confronti del padre.
Anche tale profilo di doglianza è del tutto privo di pregio.
Come visto più sopra, infatti, le opere oggetto dell’odierna ordinanza sono diverse da quelle a suo tempo contestate al padre del ricorrente; in ogni caso, il Comune resistente ha chiarito che queste ultime sono state oggetto di dissequestro (nel 1994 e nel 2001, come da allegati nn. 5, 15 e 16 produzione del Comune del 22 settembre 2018), perciò non vi era alcun ostacolo alla eliminazione delle medesime. Né il ricorrente – come peraltro da lui stesso riconosciuto, in ragione della “realità” dell’abuso – può legittimamente sottrarsi, ai fini che qui interessano, alla rimozione delle opere contestate come abusive, sebbene non ne sia stato il responsabile.
2.3) In considerazione di quanto sopra, anche il secondo motivo di ricorso va integralmente respinto.
3) Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia di Lecce, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge, con distrazione in favore del difensore anticipatario.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Eleonora Di Santo, Presidente
Ettore Manca, Consigliere
Andrea Vitucci, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE
Andrea Vitucci
IL PRESIDENTE
Eleonora Di Santo
IL SEGRETARIO