DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Determinazione e liquidazione del contributo di costruzione – Art. 2, c. 3 l.r. Veneto n. 4/2015 – Questione di legittimità costituzionale – Rielvanza e non manifesta infondatezza.
Provvedimento: Ordinanza
Sezione: 2^
Regione: Veneto
Città: Venezia
Data di pubblicazione: 5 Febbraio 2019
Numero: 159
Data di udienza: 11 Ottobre 2018
Presidente: Pasi
Estensore: Amorizzo
Premassima
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Determinazione e liquidazione del contributo di costruzione – Art. 2, c. 3 l.r. Veneto n. 4/2015 – Questione di legittimità costituzionale – Rielvanza e non manifesta infondatezza.
Massima
TAR VENETO, Sez. 2^ – 5 febbraio 2019, ord. n. 159
DIRITTO URBANISTICO – EDILIZIA – Determinazione e liquidazione del contributo di costruzione – Art. 2, c. 3 l.r. Veneto n. 4/2015 – Questione di legittimità costituzionale – Rielvanza e non manifesta infondatezza.
E’ rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 5, 97, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, della Legge Regionale 16 marzo 2015, n. 4, ai sensi del quale “Resta fermo quanto già determinato dal comune, in relazione alla quota del costo di costruzione, prima dell’entrata in vigore della presente legge in diretta attuazione del comma 9 dell’articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, purché la determinazione sia avvenuta all’atto del rilascio del permesso di costruire e non con una successiva richiesta di conguaglio.” La norma in esame ha dettato una disciplina speciale per gli atti di determinazione e liquidazione del contributo di costruzione già emessi, sottraendo ai Comuni il potere di rideterminare l’importo già liquidato sulla scorta della disciplina regionale antevigente e di riscuoterlo, incidendo cioè sulla pretesa creditoria dei Comuni ad ottenere il pagamento della quota del costo di costruzione nella misura determinata ai sensi del comma 9, ultimo periodo, dell’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/01.
Pres. Pasi, Est. Amorizzo – G. s.r.l. (avv.ti Neri e Peterle) c. Comune di Romano D’Ezzelino (avv.ti Gobbetto, Pagetta e Scuttari)
Allegato
Titolo Completo
TAR VENETO, Sez. 2^ - 5 febbraio 2019, ord. n. 159SENTENZA
TAR VENETO, Sez. 2^ – 5 febbraio 2019, ord. n. 159
Pubblicato il 05/02/2019
N. 00159/2019 REG.PROV.COLL.
N. 00512/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 512 del 2017, proposto da
General Beton Italy S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Paolo Neri, Valentino Peterle, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso lo studio Paolo Neri in Padova, Gall. G. Berchet n. 8;
contro
Comune di Romano D’Ezzelino, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Carla Gobbetto, Federico Pagetta, Andrea Scuttari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Federico Pagetta in Padova, via G. Berchet, 11;
per l’annullamento
e l’accertamento dell’insussistenza dell’obbligo della ricorrente di corrispondere il conguaglio del costo di costruzione indebitamente preteso dall’Amministrazione comunale in relazione al permesso di costruire n. 9238 del 02.07.2008 (per un importo di € 6.843,96) ed alla successiva voltura n. 9474 del 13/01/2009 (per un importo di € 935,48);
e per il conseguente annullamento dell’atto di intimazione di pagamento prot. 3713 del 13 marzo 2017;
– nonché di ogni altro atto comunque connesso per presupposizione e/o consequenzialità, ed in particolare, ove occorresse:
– della nota prot. 05489 del 10.04.2017 a firma del Responsabile del Settore III;
nonché per la condanna del Comune di Romano d’Ezzelino a restituire alla ricorrente la somma di € 935,48, indebitamente pagata da General Beton Italy s.r.l. a titolo di conguaglio (non dovuto) del costo di costruzione relativamente alla voltura n. 9474 del 13/01/2009.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Romano D’Ezzelino;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 ottobre 2018 la dott.ssa Mariagiovanna Amorizzo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
1. La società ricorrente, General Beton Italy s.r.l., deduce di aver acquistato, in data 30 ottobre 2008, dalla Sig.ra Maria Antonia Zarpellon un fondo, sito nel Comune di Romano d’Ezzelino, in via Bassanese, censito al Fg. 18, mapp. 131-1161.
Precedentemente, in data 2 luglio 2008, la sig.ra Zarpellon aveva chiesto ed ottenuto un permesso di costruire (n. 9238) per la realizzazione di un fabbricato plurifamiliare. Nel rilasciare il titolo, il Comune aveva quantificato il contributo di costruzione nella somma complessiva di € 34.034,85, di cui € 29.472,21 a titolo di oneri di urbanizzazione primaria e secondaria ed € 4.562,64 a titolo di costo di costruzione.
La società deduce di essersi fatta carico del pagamento del suddetto importo e di aver corrisposto al Comune di Romano D’Ezzelino le somme richieste in data 5 novembre 2008.
Il successivo 13 gennaio 2009, la società otteneva, inoltre, la voltura del titolo edilizio, rilasciato con atto prot. 9474.
2. Con atto di rettifica del 4 dicembre 2014, il Comune di Romano d’Ezzelino ingiungeva alla società ricorrente di corrispondere a titolo di conguaglio del contributo commisurato al costo di costruzione, la somma complessiva di € 7.779,44, (di cui € 6.843,96 per l’originario permesso di costruire n. 9238 del 02 luglio 2008 ed € 935,48 per la successiva voltura n. 9474 del 13 gennaio 2009).
Nell’ingiunzione di pagamento il Comune affermava che la richiesta trovava giustificazione in un errore di quantificazione commesso in sede di rilascio del titolo edilizio “riconducibile ad una errata applicazione della quota del costo di costruzione in quanto tale quota è stata erroneamente applicata nella misura del 2% e del 3% anziché del 5%, misura minima quest’ultima prevista dall’art. 16, comma 9, del D.P.R. 380/2001”.
3. La ricorrente, versava solo l’importo corrispondente al conguaglio per la voltura del titolo, pari ad € 935,48 e comunicava al Comune di non essere tenuta a pagare anche il conguaglio relativo al titolo originario.
Il Comune, con nota del 11 marzo 2015, prendendo atto del pagamento solo parziale, reiterava la richiesta. Rispetto a tale nuova istanza la ricorrente restava inerte, poiché nelle more era entrata in vigore la L. R. Veneto, 16 marzo 2015, n. 4 (recante “Modifiche di leggi regionali e disposizioni in materia di governo del territorio e di aree naturali protette regionali.”) che, all’art. 2, comma 3, prevede che le determinazioni della quota di contributo afferente al costo di costruzione effettuate dai Comuni sulla scorta di quanto previsto dall’art. 16, c. 9, DPR 380/2001, “restino ferme” solo se avvenute contestualmente al rilascio del titolo edilizio “e non con una successiva richiesta di conguaglio”.
All’ulteriore “atto di intimazione di pagamento” (prot. 3713), inviato dal Comune in data 13 marzo 2017, la società rispondeva con una nota nella quale evidenziava l’illegittimità della pretesa alla luce dell’entrata in vigore della suddetta disposizione.
La pretesa del Comune, tuttavia, veniva ribadita con la nota del 10 aprile 2017.
4. Con il ricorso all’esame, la società ricorrente, deducendo la violazione dell’art. 2, c. 3 L.R. Veneto n. 4/2015, chiede: l’accertamento negativo del diritto del Comune di pretendere il conguaglio del costo di costruzione in relazione al permesso di costruire n. 9238 del 2 luglio 2008 (per un importo di € 6.843,96) ed alla successiva voltura n. 9474 del 13 gennaio 2009 (per un importo di € 935,48); l’annullamento dell’intimazione di pagamento prot. 3713 del 13 marzo 2017 e della nota prot. 05489 del 10.04.2017; la condanna del Comune alla restituzione la somma di € 935,48, pagata da General Beton Italy s.r.l. a titolo di conguaglio del costo di costruzione per la voltura n. 9474 del 13 gennaio 2009.
5. Si è costituito il Comune di Romano d’Ezzelino, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, ritenendo l’atto impugnato (nota prot. 3713 del 13 marzo 2017) meramente confermativo dell’ingiunzione notificata il 4 dicembre 2014, alla quale dovrebbe ricondursi l’effetto lesivo della sfera giuridica della società.
6. Nel merito, si è difeso evidenziando che il costo di costruzione, quale entrata paratributaria dei Comuni è irrinunciabile e deve essere quantificato in base alla normativa vigente al momento del rilascio del titolo. Ebbene, il titolo originario è stato rilasciato quando era già in vigore l’art. 16, c. 9, DPR 380/2001 e, ciononostante, il Comune aveva erroneamente applicato le aliquote regionali previgenti. La richiesta di conguaglio da parte del Comune era, pertanto, doverosa, ed è stata effettuata, per la prima volta, con l’intimazione di pagamento del 4 dicembre 2014, in data precedente all’entrata in vigore della L.R Veneto n. 4/2015. Per tale ragione la Legge Regionale n. 4/2015 non sarebbe applicabile alla fattispecie.
7. Inoltre, ha evidenziato che sia il permesso di costruire rilasciato alla sig.ra Zarpellon n. 9238 del 2 luglio 2008, sia la voltura in favore della General Beton (provvedimento del 13 gennaio 2009, prot. n. 9474), sia le varianti successivamente ottenute dalla società il 15 maggio 2009 ed il 16 agosto 2010, indicavano espressamente che il costo di costruzione era determinato “ai sensi del D.P.R. n. 380/2001 e salvo conguaglio”, ragion per cui la ricorrente era ben conscia della possibilità che il quantum debeatur fosse modificato, così come era a conoscenza dei parametri normativi cui far riferimento per l’esatta quantificazione della quota di contributo dovuta, poiché il DPR 380/01 era espressamente richiamato nei titoli cui afferiva la richiesta di conguaglio.
8. Ha specificato, inoltre, che, in base all’interpretazione giurisprudenziale maggioritaria, l’art. 16, c. 9, DPR 380/2001 è norma espressione di un principio generale e di immediata applicazione nel caso in cui le Regioni non abbiano adeguato alla misura minima da essa prevista le aliquote previgenti.
Chiede, pertanto, che il ricorso sia dichiarato inammissibile o rigettato nel merito.
9. In vista dell’udienza pubblica le parti hanno presentato ulteriori scritti difensivi in cui hanno ribadito le rispettive posizioni.
10. Nella memoria di replica depositata dal Comune di Romano d’Ezzelino in data 19 settembre 2018, il medesimo ha chiesto che, in via subordinata, ove si ritenga applicabile alla fattispecie de qua l’art. 2, c. 3, L.R. Veneto, 16 marzo 2015, n. 4, sia sollevata questione di legittimità costituzionale della norma per violazione degli artt. 117, terzo comma, 119, secondo comma e 3 della Costituzione.
11. All’udienza del 11.10.2018 le parti hanno discusso la causa che è stata trattenuta in decisione.
12. Il Collegio dubita della legittimità costituzionale dell’art. 2, c. 3, L.R. Veneto, 16 marzo 2015, n. 4, nella parte in cui incide sulla pretesa creditoria dei Comuni ad ottenere il pagamento della quota del costo di costruzione nella misura determinata ai sensi del comma 9, ultimo periodo, dell’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/01, per violazione degli artt. 3, 5, 97, 114, 117 comma III; 118, comma I; 119, commi I, II e IV; 117, comma II, lett. l) della Costituzione.
13. Preliminarmente, al fine di evidenziare la rilevanza della questione di legittimità costituzionale per la decisione dell’odierno ricorso, è necessario soffermarsi sull’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal Comune resistente.
Il Comune afferma, infatti, che la nota prot. 3713 del 13 marzo 2017, oggetto dell’odierna impugnazione, costituisca atto meramente confermativo dell’intimazione di pagamento notificata alla società ricorrente in data 4 dicembre 2014 e non impugnata, e che, pertanto, il ricorso sarebbe da ritenersi inammissibile per carenza di interesse, essendo stato impugnato un atto privo di efficacia immediatamente lesiva.
L’eccezione non è fondata. Essa presuppone la natura provvedimentale ed autoritativa degli atti con i quali l’Amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione e la loro conseguente impugnabilità entro il termine decadenziale previsto dall’art. 29 c.p.a. Solo partendo da tale premessa, infatti, potrebbe sostenersi che l’impugnazione di una diffida di pagamento successiva alla riliquidazione del contributo sia tardiva ed inammissibile.
L’assunto di partenza, tuttavia, è smentito dall’orientamento giurisprudenziale, ormai consolidato (cfr. da ultimo, Cons. Stato, Ad. Plen., 30/08/2018, n. 12; cfr., altresì, ex multis Cons. Stato Sez. IV Sent., 27/09/2017, n. 4515, T.A.R. Veneto Venezia Sez. II Sent., 13/05/2016, n. 479), dal quale il Collegio non rinviene ragioni per discostarsi, secondo cui le controversie in materia di determinazione della misura dei contributi edilizi non hanno natura impugnatoria, concernendo l’accertamento di una pretesa creditoria dell’Amministrazione, avente natura di prestazione patrimoniale imposta, non tributaria, di cui la legge integralmente predetermina presupposto e contenuti (così, Cons. Stato, Ad. Plen., 30/08/2018, n. 12: “la controversia in ordine alla spettanza e alla liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione, riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a norma dell’art. 16 della L. n. 10 del 1977 e, oggi, dell’art. 133, comma 1, lett. f), c.p.a., ha ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere dall’esistenza di atti della pubblica amministrazione e non è soggetta alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi e ai rispettivi termini di decadenza.”).
Tali controversie, pertanto, non soggiacciono al termine decadenziale previsto per le azioni di annullamento (“le controversie in tema di determinazione della misura dei contributi edilizi concernono l’accertamento di diritti soggettivi che traggono origine direttamente da fonti normative, sicché sarebbero proponibili, a prescindere dall’impugnazione di provvedimenti dell’amministrazione, nel termine di prescrizione” Cons. St., sez. IV, 20 novembre 2012 n. 6033; Cons. St., sez. V, 4 maggio 1992, n. 360).
Pertanto la mancata impugnazione, entro il termine decadenziale previsto dall’art. 29 c.p.a. dell’atto di riliquidazione del contributo e richiesta di conguaglio notificato nel 2014, non incide sull’ammissibilità del giudizio con cui è contestata la suddetta pretesa creditoria, ciò anche ove l’azione proposta fosse di annullamento.
Nel caso di specie, peraltro, il ricorrente ha espressamente proposto – oltre all’azione impugnatoria – l’azione di accertamento negativo del credito vantato dall’Amministrazione comunale con le richieste di pagamento, sì che neppure si pone un problema di riqualificazione della pretesa azionata.
14. In merito alla rilevanza della questione ai fini del presente giudizio il Collegio osserva quanto segue.
14.1 Pacifici tra le parti i fatti, la decisione della controversia impone la soluzione di un’unica questione di diritto, ovvero l’applicabilità alla fattispecie della disposizione di cui all’art. 2, c. 3, L.R. Veneto, 16 marzo 2015, n. 4.
Il ricorrente, infatti, afferma che la pretesa del Comune al pagamento del conguaglio sarebbe infondata, ostando al suo accoglimento l’entrata in vigore la L.R. Veneto, 16 marzo 2015, n. 4, il cui art. 2, comma 3, così recita: “3. Resta fermo quanto già determinato dal comune, in relazione alla quota del costo di costruzione, prima dell’entrata in vigore della presente legge in diretta attuazione del comma 9 dell’articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, purché la determinazione sia avvenuta all’atto del rilascio del permesso di costruire e non con una successiva richiesta di conguaglio.”.
14.2 La difesa del Comune sostiene che la disposizione, non avendo efficacia retroattiva, non si applicherebbe alla fattispecie in esame, in cui la richiesta di conguaglio è stata inviata dall’Amministrazione, per la prima volta, il 4 dicembre 2014 (con intimazione ad eseguire il pagamento entro 60 giorni), ossia in data anteriore al 4 aprile 2015, data di entrata in vigore della Legge Regionale n. 4/2015 (pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Veneto del 20 marzo 2015, n. 27).
Ad avviso del Comune, il ricorrente, resosi inadempiente all’obbligo di corrispondere la somma dovuta a titolo di conguaglio entro i sessanta giorni dalla ricezione dell’intimazione, non potrebbe giovarsi della disposizione sopravvenuta.
14.3 Il Collegio ritiene che l’interpretazione della disposizione offerta dal Comune non sia condivisibile e che la norma debba, invece, trovare applicazione anche nel presente giudizio.
Benchè la disposizione non si qualifichi espressamente come retroattiva, tuttavia, un’esegesi della medesima, condotta sulla scorta dei canoni ermeneutici letterale, teleologico e sistematico, pare deporre per l’applicabilità della stessa anche ai casi in cui la richiesta di conguaglio da parte dell’Amministrazione sia stata effettuata prima della sua entrata in vigore.
14.4 Giova premettere, al fine di illustrare le ragioni di quanto si afferma, la ricostruzione del quadro ordinamentale entro cui la norma si inserisce e della evoluzione giurisprudenziale che ne ha preceduto l’approvazione.
14.5 La disposizione in esame è contenuta all’interno del testo normativo con cui il Legislatore Regionale, a quasi dodici anni di distanza dall’entrata in vigore del Testo Unico dell’Edilizia, ha dato attuazione al disposto di cui all’art. 16, c. 9 D.P.R. 380/2001, definendo i criteri per il calcolo del contributo afferente al costo di costruzione, sulla base dei parametri previsti dalla disposizione di fonte statale.
L’art. 16, c. 9 D.P.R. 380/2001 prevede che le Regioni determinino i criteri per il calcolo di tale componente del contributo di costruzione e definisce i parametri a cui il Legislatore Regionale deve far riferimento: il contributo per il costo di costruzione deve costituire una quota del suddetto costo compresa tra il cinque ed il venti percento, variabile in funzione delle caratteristiche, delle tipologie, della destinazione e dell’ubicazione delle costruzioni (art. 16, c. 9 D.P.R. 380/2001: “Il costo di costruzione per i nuovi edifici è determinato periodicamente dalle regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili per l’edilizia agevolata, definiti dalle stesse regioni a norma della lettera g) del primo comma dell’articolo 4 della legge 5 agosto 1978, n. 457. Con lo stesso provvedimento le regioni identificano classi di edifici con caratteristiche superiori a quelle considerate nelle vigenti disposizioni di legge per l’edilizia agevolata, per le quali sono determinate maggiorazioni del detto costo di costruzione in misura non superiore al 50 per cento. Nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, ovvero in eventuale assenza di tali determinazioni, il costo di costruzione è adeguato annualmente, ed autonomamente, in ragione dell’intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT). Il contributo afferente al permesso di costruire comprende una quota di detto costo, variabile dal 5 per cento al 20 per cento, che viene determinata dalle regioni in funzione delle caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della loro destinazione ed ubicazione.”).
Il Legislatore Veneto, ha dato attuazione all’art. 16, c. 9 D.P.R. 380/01, sostituendo con il comma 1 dell’art. 2, della Legge Regionale n. 4/15 la tabella A4 della Legge Regionale n. 61 del 1985.
Al comma 2, ha, poi, previsto che i nuovi criteri si applichino anche “ai procedimenti in corso relativi ai permessi di costruire nei quali il comune non abbia ancora provveduto a determinare la quota del costo di costruzione”.
Infine, al comma 3, ha stabilito che: “Resta fermo quanto già determinato dal comune, in relazione alla quota del costo di costruzione, prima dell’entrata in vigore della presente legge in diretta attuazione del comma 9 dell’articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, purché la determinazione sia avvenuta all’atto del rilascio del permesso di costruire e non con una successiva richiesta di conguaglio”.
La previgente tabella A4 della Legge Regionale 27 giugno 1985, n. 61 (“Norme per l’assetto e l’uso del territorio”) prevedeva un’aliquota minima del 1,5%. La disposizione aveva dato attuazione all’art. 6, co. 3, della Legge 10/1977 che, nel testo allora vigente (risultante dalle modifiche di cui all’art. 9, comma 6, D.L. 23 gennaio 1982, n. 9, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 marzo 1982, n. 94), senza prevedere un’aliquota minima, stabiliva che il contributo afferente al costo di costruzione fosse determinato in misura percentuale non superiore al 10%.
Pervero, successivamente, con l’art. 7, comma 2, L. 24 dicembre 1993, n. 537 (rimasto in vigore fino all’entrata in vigore del Testo Unico dell’edilizia) il Legislatore Statale aveva già modificato il parametro, prevedendo che il contributo fosse determinato in una percentuale compresa tra il cinque ed il venti per cento del costo di costruzione, così riportandolo alla cornice prevista dalla formulazione originaria dell’art. 6, c. 3 Legge 28 gennaio 1977, n. 10. Il Legislatore Veneto, tuttavia, non aveva apportato modifiche alla tabella A4 della Legge Regionale 27 giugno 1985, n. 61, rimasta in vigore nella sua originaria formulazione.
L’entrata in vigore del D.P.R. 380/2001 (il 30 giugno 2003), avvenuta quasi contestualmente alla modifica del Titolo V della Costituzione, ad opera della Legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1, ha imposto la verifica della conformità della legislazione regionale in materia edilizia alle norme di principio poste dal Testo Unico, atteso che i suoi artt. 1 e 2 espressamente qualificano le norme di principio in esso contenute, come principi fondamentali della materia, entro cui le Regioni esercitano la potestà legislativa concorrente.
Anche nell’assetto dei rapporti tra Stato e Regioni risultante dalla riforma costituzionale, infatti, la materia dell’edilizia è rimasta attratta alla potestà legislativa concorrente, essendo riconducibile – come ha confermato la Corte Costituzionale (sentenze n. 303, 307, 362 del 2003, n. 196 del 2004) – alla materia “governo del territorio” contenuta nell’elenco di cui al comma III dell’art. 117 Cost.
La questione fu affrontata con una norma transitoria, l’art. 13 L.R. Veneto n. 16/2003, ma non risolta, poiché essa si limitava a prevedere che: “1. Fino all’entrata in vigore della legge regionale di riordino della disciplina edilizia trovano applicazione le disposizioni di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia"e successive modificazioni, nonché le disposizioni della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61 "Norme per l’assetto e l’uso del territorio" e successive modificazioni, che regolano la materia dell’edilizia in maniera differente dal testo unico e non siano in contrasto con i princìpi fondamentali desumibili dal testo unico medesimo.”.
Nel dibattito che la norma ha suscitato sull’individuazione, per i vari istituti, delle norme di fonte statale direttamente applicabili e di quelle della L.R. 27 giugno 1985, n. 61, non in contrasto con i principi fondamentali desumibili dal testo unico, si sono inserite diverse pronunce di questo T.A.R., che – per quanto rileva in questa sede – hanno affrontato la questione relativa alla diretta applicabilità sul territorio regionale della aliquota minima prevista dall’art. 16, c. 9 D.P.R. 380/2001, sia in sede di determinazione del contributo all’atto del rilascio del titolo, sia con successive richieste di conguaglio.
Le pronunce (T.A.R. Veneto, Sez. II, 1 febbraio 2011, n. 181; T.A.R. Veneto, Sez. II, 1 febbraio 2011, n. 189; T.A.R. Veneto, Sez. II, 9 ottobre 2014, n. 1285; T.A.R. Veneto, Sez. II, 16 luglio 2014, n. 1035) hanno risolto la questione affermando che la norma di cui all’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/2001 “deve essere interpretata nel senso di disporre l’immediata applicazione della percentuale minima prevista, corrispondente al 5%, mentre resta nella discrezionalità delle Regioni determinare in misura superiore detta percentuale, in relazione ai parametri individuati dal medesimo comma 9” e che “Tale interpretazione (…) risponde anche all’esigenza di assicurare un’uniformità nella determinazione del costo di costruzione su tutto il territorio nazionale, a prescindere dall’esercizio del potere normativo riconosciuto alle singole Regioni.” (cfr. T.A.R. Veneto, Sez. II, 1 febbraio 2011, n. 181).
La soluzione interpretativa accolta dal TAR ha trovato conferma anche presso il Giudice amministrativo d’appello.
Il Consiglio di Stato, nella sentenza 21 dicembre 2016, n. 5402, pronunciandosi sul gravame proposto avverso la sentenza T.A.R. Veneto, Sez. II, 16 luglio 2014, n. 1035, ha affermato che la norma statale, “nel fissare direttamente l’aliquota minima di legge è comunque inderogabile e ineludibile in base al principio di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 119, co. 2, Cost., serve altresì ad evitare gli effetti nocivi d’ogni inerzia del legislatore regionale, onde essa vige fintanto che la Regione non intervenga o a confermarla o a porne una superiore a quella minima, ossia a quella ritenuta congrua quale livello essenziale di prestazione imposta, ad evidenti fini perequativi del prelievo, per tutto il territorio della Repubblica”.
Chiarito dalle suddette pronunce che l’importo del contributo andava quantificato facendo applicazione della norma statale, le Amministrazioni comunali che avevano continuato ad applicare la normativa regionale hanno dato avvio alle azioni necessarie per ottenere il pagamento del maggiore importo dovuto in diretta attuazione della norma statale, mediante richieste di conguaglio.
Come emerge dal comunicato con il quale il Consiglio regionale ha dato notizia dell’approvazione della legge regionale di attuazione dell’art. 16, c. 9, del D.P.R. 380/2001, l’avvio di tali azioni ha indotto il Legislatore Regionale ad introdurre la previsione di cui all’art. 2, comma 3, sopra riportato.
Il Consiglio regionale ha, infatti, affermato che con l’intervento normativo in esame “non potranno esserci richieste di conguaglio successive all’atto del rilascio del permesso di costruire, cosa che alcuni Comuni, per timore di possibili responsabilità contabili, stavano iniziando a fare”.
14.6 Merita, inoltre, osservare che l’intervento normativo – oltre al problema interpretativo relativo alla disciplina applicabile nelle more dell’adeguamento della legislazione regionale a quella statale di principio – incrocia l’ulteriore dibattuta tematica – che solo di recente ha trovato compiuta soluzione – sulla natura degli atti di determinazione e liquidazione del contributo di costruzione, nonchè sulla ammissibilità ed i presupposti della loro modificazione.
Prima che si esprimesse l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 11 luglio 2018 n. 12, le differenziate posizioni della giurisprudenza si erano polarizzate su tre impostazioni interpretative.
Secondo una prima tesi, la determinazione del contributo darebbe luogo ad un rapporto paritetico che, seppur azionabile da ambo le parti nel rispetto del termine prescrizionale ordinario di dieci anni, si cristallizzerebbe nel quantum al momento del rilascio del titolo edilizio, ostando a successive sue modifiche la disciplina dell’errore riconoscibile prevista dall’art. 1431 c.c. L’errore nella quantificazione costituirebbe una vicenda tutta interna al dichiarante che, per tale ragione, non potrebbe essere posto a fondamento di alcuna modifica in peius del contenuto dell’obbligazione così come originariamente definito.
Una seconda tesi, muovendo anch’essa dalla natura paritetica del rapporto, perveniva all’opposta conseguenza della sua libera rettificabilità entro il termine di prescrizione decennale, perché, per un verso, non venendo in rilievo atti autoritativi, il procedimento sarebbe svincolato dal rispetto delle condizioni di esercizio dell’autotutela amministrativa e, per altro verso, essendo l’obbligazione definita da rigidi parametri regolamentari o tabellari, la sua quantificazione secondo il contenuto legale costituirebbe per l’Amministrazione un atto dovuto.
Terza e più recente impostazione, muove dalla natura pubblicistica del rapporto nascente dalla determinazione del contributo, per affermare la conseguente applicabilità, in astratto, delle regole dell’autotutela amministrativa.
Il Legislatore regionale, con la disposizione in esame – nella quale prevede di “tener ferme” le sole determinazioni con cui si è fatta diretta applicazione dell’art. 16, c. 9 D.P.R. 380/01 che siano avvenute contestualmente al rilascio del permesso di costruire e non con successivi conguagli – ha espresso una chiara opzione per la prima delle tesi richiamate, codificandone gli esiti.
Ha, infatti, escluso per espressa disposizione di legge l’ammissibilità del conguaglio che miri a recuperare l’importo del contributo nella misura minima prevista dalla legislazione statale, con il chiaro intento di evitare che i Comuni potessero accedere ad altre possibili opzioni interpretative della disciplina degli atti di determinazione e liquidazione del contributo di costruzione.
14.7 Tenendo conto del contesto nel quale è maturata la previsione in esame, l’art. 2, comma 3, L.R. Veneto 16 marzo 2015, n. 4 appare più chiaro nel suo contenuto dispositivo.
14.8 Il tenore letterale della disposizione sembra sovvertire gli esiti dell’elaborazione giurisprudenziale circa l’assetto dei rapporti tra norma statale e norma regionale nella materia della determinazione del contributo afferente al costo di costruzione.
Infatti, quasi che a prevalere dovesse essere la disposizione di fonte regionale, si afferma che “resta fermo” quanto determinato in diretta applicazione dell’art. 16, c. 9 D.P.R. 380/01, ma soltanto se tale determinazione sia stata effettuata contestualmente al rilascio del titolo (“Resta fermo quanto già determinato dal comune (…) in diretta attuazione del comma 9 dell’articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, purché la determinazione sia avvenuta all’atto del rilascio del permesso di costruire e non con una successiva richiesta di conguaglio”).
Quale che sia il presupposto in forza del quale il Legislatore si sia determinato ad esprimersi in tale forma, comunque, al contenuto dispositivo della norma sembra doversi attribuire portata retroattiva.
La disposizione sembra, infatti, chiara nel consentire ai Comuni di chiedere e di riscuotere soltanto gli importi del contributo quantificati in base alla norma statale contestualmente al rilascio del titolo, inibendo la riscossione del conguaglio anche ove la relativa richiesta sia stata effettuata prima dell’entrata in vigore della L.R. Veneto n. 4/2015.
Infatti, atteso che la norma si inserisce all’interno del testo normativo di fonte regionale che ha dato attuazione all’art. 16, c. 9 DPR 380/2001, essa non può applicarsi alle determinazioni del contributo successive all’entrata in vigore della norma stessa, per le quali si applicheranno le nuove aliquote.
Essa si rivolge, quindi alle “determinazioni” già avvenute (quindi ai titoli già rilasciati) per affermare che quelle effettuate dando diretta attuazione all’art. 16, c. 9 DPR 380/2001, restano ferme – e quindi potranno essere fatte valere e portate ad esecuzione – solo se contestuali al rilascio del titolo.
Il contenuto precettivo della disposizione appare integralmente definito in tale parte del comma: esso determina compiutamente sia la sorte delle “determinazioni” effettuate sulla scorta dell’art. 16, c. 9 D.P.R. 380/01 (che “restano ferme”), sia di quelle effettuate sulla scorta della legislazione regionale (che non potranno essere integrate).
Il riferimento alle “successive richieste di conguaglio”, appare una semplice specificazione di un concetto già compiutamente espresso con la locuzione che la precede e, pertanto, non sembra potersi valorizzare al fine di affermare che l’impedimento alla riscossione derivante dalla disposizione riguardi soltanto le richieste di conguaglio successive alla sua entrata in vigore.
Il tenore precettivo della disposizione – che consente di far valere solo le determinazioni direttamente attuative della norma statale effettuate contestualmente al rilascio del titolo – resterebbe, infatti, intatto anche in assenza di tale specificazione.
D’altronde una diversa soluzione interpretativa – che la difesa del Comune ha proposto nei suoi scritti difensivi – appare incompatibile con la natura non autoritativa riconosciuta agli atti di determinazione del contributo ed a quelli con i quali tale determinazione venga modificata.
Solo attribuendo ad essi natura provvedimentale, potrebbe distinguersi tra la sorte delle richieste di conguaglio inviate prima e dopo l’entrata in vigore della norma.
Poiché, però, è stato ormai chiarito che tali atti hanno natura paritetica e costituiscono atti di esercizio di un diritto di credito, la norma viene ad incidere sui rapporti obbligatori che sono sorti, ex lege, per effetto del rilascio del titolo, e quindi appare, nel suo contenuto dispositivo, volta ad impedire le azioni necessarie alla riscossione anche delle richieste di conguaglio precedenti alla sua entrata in vigore.
Da tutto quanto sopra, emerge la rilevanza della questione di legittimità costituzionale della norma nel presente giudizio.
15. Deve, inoltre, premettersi, sempre in punto di rilevanza, che la norma non appare suscettibile di alcuna interpretazione costituzionalmente orientata, atteso che essa esclude espressamente l’applicazione della disposizione di principio di fonte statale per i rapporti conseguenti alle determinazioni e liquidazioni del contributo che siano state erroneamente effettuate sulla scorta dei parametri previsti dalla previgente tabella A4 della Legge Regionale n. 61/85, impedendo, così – in violazione degli artt. 3, 5, 117, II comma, lett. l) e III comma, 118, I comma, 119, I, II e IV comma, Cost. – l’applicazione diretta della norma di principio dettata dal Legislatore statale in materia di legislazione concorrente a tutela di esigenze unitarie di prelievo e violando l’autonomia di entrata e di spesa dei Comuni.
La difesa del Comune, peraltro, nell’evidenziare il contrasto della disposizione con la “norma cornice”, di cui all’art. 16, c. 9 D.P.R. 380/01 ed invocare per tale ragione un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma, non propone alcuna soluzione ermeneutica diversa dalla mera disapplicazione della norma regionale, che non trova cittadinanza nell’ordinamento e che contrasterebbe con la equiordinazione della funzione legislativa statale e regionale prevista e tutelata dall’art. 117, I comma, Cost.
Né costituirebbe un’interpretazione costituzionalmente orientata quella volta ad escludere l’applicazione della norma per le richieste di conguaglio anteriori all’entrata in vigore della disposizione. Non si tratterebbe, infatti, di un’interpretazione che, tra i possibili significati del testo normativo, accolga quello conforme alle disposizioni di rango costituzionale, ma solo di un’interpretazione che mira a limitare la rilevanza della questione di legittimità costituzionale alle richieste di conguaglio successive all’entrata in vigore della disposizione.
Si è già detto, comunque, che tale interpretazione non è praticabile, alla luce della formulazione della norma e dello scopo avuto di mira dal Legislatore.
16. Così ricostruita la genesi e la portata applicativa della disposizione, per come risulta dalla sua interpretazione letterale e teleologica, il Collegio dubita della compatibilità della norma che da essa si ricava con gli artt. 3, 5, 117, III comma, 119 I, II e IV comma, della Costituzione.
16.1 Il Legislatore Regionale con l’art 2, c. 3 L. R. 4/2015, affermando che restano ferme solo le determinazioni del contributo effettuate in base dell’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/2001 contestualmente al rilascio del titolo edilizio – ed escludendo, per tale via, che la pretesa ad ottenere il pagamento del contributo nella misura minima del 5% previsto dalla Legge Statale possa farsi valere dai Comuni con una successiva richiesta di conguaglio – ha esercitato la propria potestà legislativa in violazione della norma di principio contenuta nell’art. 16, c. 9 DPR 380/2001, così violando l’art. 117, III comma, ultimo periodo, che riserva al Legislatore Statale la determinazione dei principi fondamentali delle materie di legislazione concorrente.
Il Legislatore regionale, infatti, ha disciplinato i rapporti ancora pendenti – tra le Amministrazioni comunali e i cittadini – sorti nel periodo antevigente alla sua entrata in vigore sottraendo all’applicazione della norma statale quei rapporti in cui, all’atto del rilascio del titolo, l’Amministrazione erroneamente avesse omesso di dare applicazione della norma statale di principio, rifacendosi, invece, alle tabelle previste dalla Legislazione Regionale (la tabella A4 della Legge Regionale 27 giugno 1985, n. 61).
16.2 La natura di norma di principio dell’art. 16, c. 9, D.P.R. 380/01, nella parte in cui definisce i limiti minimo e massimo di incidenza percentuale sul costo di costruzione della relativa componente del contributo, la sua non derogabilità dal Legislatore Regionale e l’immediata applicabilità della stessa da parte dei Comuni, anche in assenza della normativa regionale di adeguamento, è stata più volte ribadita dalla giurisprudenza amministrativa di questo TAR e del Consiglio di Stato.
Nella sentenza del TAR Veneto, Sez. II, 1 febbraio 2011, n. 181, si legge: “La richiamata disposizione, nel disciplinare le modalità di calcolo del costo di costruzione, prevede che una quota dello stesso, variabile dal 5% al 20%, sia determinata dalle Regioni in funzione delle caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della loro destinazione e ubicazione. In applicazione dei criteri ermeneutici letterale e teleologico, ad avviso del Collegio, la detta disposizione deve essere interpretata nel senso di disporre l’immediata applicazione della percentuale minima prevista, corrispondente al 5%, mentre resta nella discrezionalità delle Regioni determinare in misura superiore detta percentuale, in relazione ai parametri individuati dal medesimo comma 9.
3.5. Tale interpretazione, peraltro, risponde anche all’esigenza di assicurare un’uniformità nella determinazione del costo di costruzione su tutto il territorio nazionale, a prescindere dall’esercizio del potere normativo riconosciuto alle singole Regioni. La suddetta disposizione, dunque, non reca alcuna disciplina transitoria, dovendo trovare immediata applicazione.
La disposizione in esame, più specificamente, distingue i meccanismi di determinazione del costo di costruzione dalle modalità di adeguamento automatico di detto costo; solo in relazione a queste ultime, infatti, si prevede un’applicazione degli indici ISTAT “nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, ovvero in eventuale assenza di tali determinazioni”. Da ciò si trae, dunque, ulteriore conferma dell’immediata applicabilità della richiamata disposizione nella parte riferita alla percentuale del 5%, ai fini della determinazione del costo di costruzione in sé considerato.”.
Il Consiglio di Stato, Sez. I, nel parere del 3 dicembre 2014, n. 3819 reso in seno al ricorso straordinario al Capo dello Stato affare n. 213/13, ha affermato che, poiché viene in rilievo una materia di competenza legislativa concorrente: “le leggi regionali possono essere emanate nell’ambito dei principi fissati dalle leggi dello Stato” mentre “è evidente che le Regioni non hanno il potere di derogare ai minimi stabiliti nell’art. 16 della d.P.R. n. 380/2001 per quanto attiene l’applicazione delle percentuali da applicare per il calcolo e la definizione dei contributi afferente al permesso di costruire. Quindi, l’articolo 16 deve essere interpretato nel senso che la percentuale minima, corrispondente al 5%, deve essere applicata a partire dall’entrata in vigore delle legge statale, restando nella discrezionalità delle Regioni determinare in misura superiore detta percentuale, in relazione ai parametri individuati dal medesimo comma 9 dell’art. 16.”.
Tali affermazioni sono riprese dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 21 dicembre 2016, n. 5402, che ancora specifica: “per contro e sebbene alle Regioni spetti la disciplina di dettaglio pure in soggetta materia, al più la diretta applicazione comunale della norma statale, che nel fissare direttamente l’aliquota minima di legge è comunque inderogabile e ineludibile in base al principio di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 119, co. 2, Cost., serve altresì ad evitare gli effetti nocivi d’ogni inerzia del legislatore regionale, onde essa vige fintanto che la Regione non intervenga o a confermarla o a porne una superiore a quella minima, ossia a quella ritenuta congrua quale livello essenziale di prestazione imposta, ad evidenti fini perequativi del prelievo, per tutto il territorio della Repubblica”.
È opinione del Collegio che la ricostruzione operata dalla giurisprudenza vada confermata, anche alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale in materia.
16.3 L’art. 16 del DPR 380/2001, nel dettare i criteri di determinazione del contributo di costruzione contribuisce a definire il contenuto dell’onere economico gravante sul soggetto che intenda esercitare lo ius aedificandi, così concorrendo a determinare l’effettiva portata e la caratterizzazione positiva del principio di onerosità del permesso di costruire.
La Corte Costituzionale, a più riprese, ha affermato che costituiscono principi fondamentali della materia di competenza concorrente “governo del territorio” (e prima della riforma del Titolo V della Costituzione, della materia “urbanistica”) le norme che concernono l’onerosità del permesso di costruire, nonchè le deroghe ed eccezioni al relativo principio.
Nella sentenza n. 1033 del 1988, la Consulta, chiamata ad esprimersi sulla compatibilità con le norme di attuazione dello Statuto della Regione Sicilia (L. cost. 26 febbraio 1948, n. 3), degli artt. 7 e 9 del D.L. 23/01/1982, n. 9 (convertito nella L. 25 marzo 1982, n. 94), con cui il legislatore statale aveva previsto talune ipotesi di deroga all’obbligo del pagamento del contributo di costruzione e ipotesi di riduzione del contributo, ha evidenziato che rientrano nell’ambito delle disposizioni di principio non soltanto quelle che definiscono l’onerosità dell’attività edilizia, ma anche quelle che, incidendo su tale principio, “concorrono a determinare l’effettiva portata e la caratterizzazione positiva del principio medesimo”, in quanto ad esso “legate da un rapporto di coessenzialità o di integrazione necessaria”.
Sulla scorta di tali argomentazioni la Corte Costituzionale ha riconosciuto la natura di norme di principio alle disposizioni contenenti deroghe o riduzioni dell’importo ordinariamente previsto del contributo di costruzione.
Le medesime argomentazioni sono state ribadite, più di recente, nell’attuale quadro costituzionale di riparto della potestà legislativa, nella sentenza del 3 novembre 2016, n. 231, con la quale la Corte costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. dell’art. 6, commi 20 e 21, primo trattino della Legge della Regione Liguria n. 12 del 2015, con cui si prevedeva l’esonero dal contributo di costruzione per due categorie di interventi che, in base alla legge statale, avrebbero dovuto essere assoggettate a contribuzione.
In tale occasione la Corte, richiamando il precedente del 1988, ha nuovamente affermato che: “L’onerosità del titolo abilitativo «riguarda infatti un principio della disciplina un tempo urbanistica e oggi ricompresa fra le funzioni legislative concorrenti sotto la rubrica "governo del territorio"» (sentenza n. 303 del 2003), e anche le deroghe al principio (elencate all’art. 17 del TUE), in quanto legate a quest’ultimo da un rapporto di coessenzialità, partecipano della stessa natura di principio fondamentale (sentenze n. 1033 del 1988 e n. 13 del 1980).”.
Anche la disposizione di cui al comma 9 dell’art. 16 DPR 380/2001, nella parte in cui individua i parametri per la determinazione del contributo, nella sua componente relativa al costo di costruzione, appare riconducibile a tale categoria di norme di principio, poiché concorrendo a definire il contenuto dell’onere economico gravante sul soggetto che intenda esercitare lo ius aedificandi, ne integra un aspetto essenziale.
16.4 Sotto altro profilo, l’art. 16, c. 9, DPR 380/2001, come condivisibilmente ritenuto da Consiglio di Stato, 21 dicembre 2016, n. 5402, costituisce, altresì, “principio di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 119, co. 2, Cost.” e dell’art. 117, co. 3, Cost.
La giurisprudenza, sia amministrativa che civile, rinviene il fondamento causale dell’obbligo al pagamento del contributo di costruzione nella compartecipazione del soggetto che assuma l’iniziativa edificatoria ai costi per la realizzazione delle opere di urbanizzazione in proporzione all’insieme dei benefici che la nuova costruzione consegue (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 30 agosto 2018, n. 12; Cons. Stato Sez. V, 13-05-2002, n. 2575; Cons. Stato, sez. V, 27 febbraio 1998, n. 201; Cass. sez. I, 27 settembre 1994, n. 7874).
La definizione di criteri uniformi di determinazione della prestazione imposta per l’intero territorio nazionale mira, da un lato, a garantire a tutti i cittadini parità di condizioni nell’esercizio dello ius aedificandi, dall’altro, e correlativamente, ai Comuni una quota minima di compartecipazione ai benefici derivanti dall’esercizio dell’attività edificatoria.
Il contributo di costruzione costituisce, per la giurisprudenza maggioritaria, un corrispettivo di diritto pubblico, avente carattere generale e non tributario (cfr. da ultimo Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 30 agosto 2018, n. 12) di cui è titolare il Comune che rilascia il titolo edilizio. Esso rientra, dunque, nel novero di quelle “risorse autonome” di cui i Comuni, secondo quanto prevede l’art. 119, co. 2 Cost., sono titolari.
Con la riforma del Titolo V della Costituzione, infatti, è stata prevista, in linea di principio, l’equiordinazione di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, sul piano della “autonomia finanziaria di entrata e di spesa" (primo comma).
L’art. 119, prevede che i suddetti enti hanno "risorse autonome" e "stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario". Inoltre "dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio" (secondo comma).
Le risorse derivanti da tali fonti, e dal fondo perequativo istituito dalla legge dello Stato, consentono – vale a dire devono consentire (cfr. Corte costituzionale 26 gennaio 2004, n. 37) – agli enti di "finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite" (quarto comma), salva la possibilità per lo Stato di destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, per gli scopi di sviluppo e di garanzia enunciati dalla stessa norma o "per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio" delle funzioni degli enti autonomi (quinto comma).
Pertanto, alle disposizioni di Legge statale che, ai sensi dell’art. 23 Cost., definiscono i criteri per la quantificazione delle prestazioni imposte spettanti ai Comuni dovrebbe riconoscersi natura di principi di coordinamento della finanza pubblica, poiché anche da esse dipende l’autonomia di entrata e di spesa riconosciuta agli Enti territoriali, nonché la concreta possibilità di assolvere alle funzioni ad essi attribuite, atteso che il IV comma dell’art. 119, esclude che essi possano ricevere, in via ordinaria, ulteriori risorse rispetto a quelle previste dal medesimo articolo.
16.5 Ad ulteriore conferma che l’art. 16, c. 9 D.P.R. 380/2001 costituisca una norma di principio, si osserva che i limiti quantitativi, minimo e massimo, da essa individuati sono i medesimi di quelli che, fin dall’approvazione dell’art. 6 della L. 10 del 28 gennaio 1977 (che ha sancito l’onerosità dell’attività edificatoria), il Legislatore statale aveva stabilito.
Tale criterio è rimasto invariato fino al 25 gennaio 1982, quando l’art. 9, comma 6, D.L. 23 gennaio 1982, n. 9, (convertito, con modificazioni, dalla L. 25 marzo 1982, n. 94) l’ha modificato, eliminando il limite minimo e riducendo il massimo al 10%. Tuttavia, le percentuali minima e massima del costo di costruzione, sono state riportate a quelle originarie con l’entrata in vigore dell’art. 7, comma 2, L. 24 dicembre 1993, n. 537 e riprodotte nel Testo Unico dell’edilizia.
16.6 L’art. 2, c. 3 L.R. Veneto n. 4/2015 nell’introdurre una disciplina parzialmente derogatoria rispetto all’art. 16, c. 9 D.P.R. 380/01 si pone in contrasto anche con gli artt. 117, III comma, 118, comma I e 5 della Costituzione di cui costituisce diretta applicazione l’art. 2, c. 3 D.P.R. 380/2001.
La norma (“Le disposizioni, anche di dettaglio, del presente testo unico, attuative dei principi di riordino in esso contenuti operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi.”) contiene una disciplina transitoria – destinata a trovare applicazione nelle more dell’adeguamento della legislazione regionale ai principi contenuti nel Testo Unico dell’Edilizia – e cedevole, mediante la quale le disposizioni di dettaglio, attuative di norme di principio contenute nel D.P.R. 380/2001, trovano immediata applicazione, fino all’adeguamento da parte delle Regioni.
Il meccanismo di coordinamento tra normativa statale e regionale nelle materie di competenza concorrente, costituito dalle “norme cedevoli”, è stato ritenuto dalla Corte costituzionale attuativo di quelle esigenze unitarie di regolamentazione uniforme che l’ordinamento costituzionale continua a riconoscere anche nel differente sistema di rapporti tra Stato e Regioni delineato dalla Legge costituzionale n. 1 del 2003 e che rinvengono il proprio referente normativo nell’art. 118, c. 1 Cost., nella parte in cui codifica il principio di sussidiarietà.
Nella sentenza n. 303/2003, la Corte costituzionale ha affermato che benchè “l’inversione della tecnica di riparto delle potestà legislative e l’enumerazione tassativa delle competenze dello Stato dovrebbe portare ad escludere la possibilità di dettare norme suppletive statali in materie di legislazione concorrente, (e) tuttavia una simile lettura dell’art. 117 svaluterebbe la portata precettiva dell’art. 118, comma primo, che consente l’attrazione allo Stato, per sussidiarietà e adeguatezza, delle funzioni amministrative e delle correlative funzioni legislative” e che “la disciplina statale di dettaglio a carattere suppletivo determina una temporanea compressione della competenza legislativa regionale che deve ritenersi non irragionevole, finalizzata com’è ad assicurare l’immediato svolgersi di funzioni amministrative che lo Stato ha attratto per soddisfare esigenze unitarie e che non possono essere esposte al rischio della ineffettività”.
Le norme statali di dettaglio, espressione di principi generali, alle quali è attribuita temporanea vigenza nelle more dell’adeguamento da parte delle Regioni (per questo dette “cedevoli” rispetto alla legislazione regionale sopravvenuta), mirano ad evitare che l’inerzia regionale ponga nel nulla l’individuazione dei principi fondamentali delle materie di legislazione concorrente, che è “riservata” al Legislatore statale, così preservando la suddetta riserva e garantendo, nel contempo l’uniforme disciplina nazionale in conformità con gli stessi.
A tale esigenza di uniforme disciplina dei criteri di determinazione del contributo di costruzione è improntata, per quanto si è esposto nei punti del paragrafo 4, la disposizione di cui all’art. 16, c. 9 DPR 380/2001, nella parte in cui definisce la percentuale minima e massima del costo di costruzione entro cui le Regioni devono individuare la quota di contributo di costruzione per singole categorie di edifici.
L’art. 2, c. 3 L. R. 4/2015, introducendo un regime differenziato di determinazione del contributo di costruzione rispetto a quello applicabile sull’intero territorio nazionale per talune fattispecie (quelle per le quali il contributo fosse stato determinato secondo parametri diversi da quello minimo previsti dall’art. 16, c. 9 DPR 380/01), si è posto contro quelle esigenze di uniforme regolamentazione presidiate dagli artt. 118, c. I e 5 della Costituzione, rendendo definitiva la violazione della norma di principio che il mancato tempestivo adeguamento della legislazione regionale aveva prodotto.
17. Sotto altro profilo, l’art. 2, c. 3 L.R. Veneto n. 4/2015, escludendo che i Comuni possano pretendere con una richiesta di conguaglio il pagamento del contributo nella misura minima prevista dalla norma di legge statale, incide e viola il principio di equiordinazione tra Enti territoriali, previsto dall’art. 114 Cost., nonché l’autonomia di entrata e di spesa riconosciuta ai Comuni dall’art. 119, c. I, II e IV Cost. e il principio di buona amministrazione, previsto dall’art. 97 Cost.
Il contributo di costruzione, come si è detto, essendo una prestazione imposta che i Comuni hanno diritto di riscuotere in conseguenza del rilascio del permesso di costruire, ne costituisce un’entrata propria, istituita con legge statale.
Ai sensi del IV comma dell’art. 119 Cost., questa entrata concorre con le altre entrate di natura tributaria e non tributaria, nonché con le risorse trasferite ai sensi ed alle condizioni di cui ai commi III e V, al finanziamento “integrale” delle spese necessarie per l’espletamento delle proprie funzioni.
La norma regionale, escludendo che i Comuni possano pretendere con una richiesta di conguaglio il pagamento del contributo nella misura minima prevista dalla norma di legge statale, incide su un credito già acquisito al patrimonio comunale per effetto del rilascio del permesso di costruire e viola l’autonomia di entrata e di spesa riservata ai Comuni, in tal modo ledendo anche il principio di equiordinazione tra gli enti territoriali che compongono la Repubblica, sancito dall’art. 114 Cost.
Inoltre, la norma si pone in contrasto con il principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione perché impedisce ai Comuni di far valere e riscuotere nella loro interezza crediti già acquisiti al patrimonio, in assenza di alcuna valutazione sulla sostenibilità economica di tale rinuncia.
18. La norma, inoltre, invade la sfera di potestà legislativa esclusiva nella disciplina dell’ordinamento civile riservata al Legislatore statale dall’art. 117, c. II, lett. l e viola i principi di uguaglianza e ragionevolezza previsti dall’art. 3 Cost.
Come si è già evidenziato, il Legislatore regionale con la norma in esame ha dettato una disciplina speciale per gli atti di determinazione e liquidazione del contributo di costruzione già emessi, sottraendo ai Comuni il potere di rideterminare l’importo già liquidato sulla scorta della disciplina regionale antevigente e di riscuoterlo.
Così facendo si è inserita nel dibattito – all’epoca non ancora sopito – sulla natura, autoritativa o paritetica, degli atti con cui l’Amministrazione determina e liquida l’importo del contributo di costruzione e sull’ammissibilità, e le relative condizioni, della rideterminazione del suddetto importo.
Prima dell’intervento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza del 30 agosto 2018, n. 12, sulla questione, si erano contrapposti tre orientamenti interpretativi.
Secondo una prima impostazione, fatta propria dal Consiglio di giustizia amministrativa (nelle sentenze nn. 64, 188, 244, 373, 422 e 790 del 2007), la determinazione del contributo darebbe luogo ad un rapporto paritetico che, seppur azionabile da ambo le parti nel rispetto del termine prescrizionale ordinario di dieci anni, si cristallizzerebbe nel quantum al momento del rilascio del titolo edilizio, nel senso che lo stesso non sarebbe suscettibile di modifiche successive (se non nei casi di manifesto errore di calcolo), in quanto, in applicazione dei principi desumibili dalla disciplina dei contratti, non darebbe mai luogo ad un errore riconoscibile (donde l’intangibilità pressoché assoluta della originaria determinazione amministrativa).
Una seconda tesi, che è stata seguita in alcune sentenze della sez. IV del Consiglio di Stato (Cons. St., sez. IV, 27 settembre 2017 n. 4515, Cons. St., sez. IV, 12 giugno 2017 n. 2821), pur muovendo, come la prima, dalla natura paritetica del rapporto, trae da tale assunto conseguenze opposte, affermando che proprio perché si tratta di un rapporto di debito-credito di natura paritetica, la rettifica sarebbe sempre possibile, entro il termine decennale di prescrizione, perché, per un verso, il procedimento sarebbe svincolato dal rispetto delle condizioni di esercizio dell’autotutela amministrativa e, per altro verso, la rideterminazione del contributo dovuto secondo rigidi parametri regolamentari o tabellari costituirebbe un atto dovuto.
Terza e più recente impostazione, muove dalla natura pubblicistica (Cons. St., sez. IV, 21 dicembre 2016, n. 5402) del rapporto nascente dalla determinazione del contributo, trattandosi di prestazione patrimoniale imposta di carattere non tributario, per affermare la conseguente applicabilità, in astratto, delle regole dell’autotutela amministrativa.
L’Adunanza Plenaria ha risolto il contrasto, affermando che “L’atto di imposizione e di liquidazione del contributo, quale corrispettivo di diritto pubblico richiesto per la compartecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione, non ha natura autoritativa né costituisce esplicazione di una potestà pubblicistica, ma si risolve in un mero atto ricognitivo e contabile, in applicazione di rigidi e prestabiliti parametri regolamentari e tabellari” e che “la natura paritetica dell’atto di determinazione consente che la pubblica amministrazione possa apportarvi modifiche, sia in favore del privato che in senso contrario, purché ciò avvenga nei limiti della prescrizione decennale del relativo diritto di credito (v., inter multas, Cons. St., sez. IV, 28 novembre 2012, n. 6033, Cons. St., sez. IV, 17 settembre 2010, n. 6950)”.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha, quindi, ritenuto non condivisibili, sia la tesi dell’assoluta immodificabilità del contributo, affermata sul presupposto della non riconoscibilità dell’errore nel quale è incorsa l’Amministrazione, sia la tesi secondo la quale la riliquidazione del contributo sarebbe ammessa solo in presenza dei presupposti previsti per l’autotutela.
Ha, invece, affermato la doverosità della rideterminazione dell’importo del contributo che, per errore, sia stato originariamente liquidato in violazione delle norme di legge che regolano i criteri del relativo calcolo, pena la violazione del principio di legalità delle prestazioni imposte sancito dall’art. 23 della Costituzione.
Ha, altresì, stabilito che la natura di prestazione patrimoniale imposta riconosciuta al contributo in esame non comporta l’attrazione nella sfera pubblicistica dell’obbligazione di cui costituisce oggetto. L’obbligazione nasce ex lege in conseguenza del rilascio del titolo edilizio ed è imposta nel senso che il privato non può sottrarsi al vincolo se non rinunciando a richiedere il titolo, tuttavia, “esclusa pacificamente la sua natura tributaria”, il pagamento del contributo “non può che costituire l’oggetto di un ordinario rapporto obbligatorio, disciplinato dalle norme di diritto privato, come prescrive l’art. 1, comma 1-bis, della L. n. 241 del 1990, salvo che la legge disponga diversamente.”.
Discende dalle esposte premesse che gli atti con i quali la pubblica amministrazione determina e liquida il contributo di costruzione costituiscono l’esercizio di una facoltà connessa alla pretesa creditoria riconosciuta dalla legge al Comune per il rilascio del permesso di costruire, nell’ambito di un rapporto obbligatorio a carattere paritetico.
“Si è cioè al cospetto di un rapporto obbligatorio, di contenuto essenzialmente pecuniario (salva l’ipotesi di opere a scomputo di cui all’art. 16, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001), al quale si applicano le disposizioni di diritto privato, salve le specifiche disposizioni previste dalla legge (come, ad esempio, i già citati artt. 42 e 43 del D.P.R. n. 380 del 2001) per la peculiare finalità del credito vantato dall’amministrazione comunale in ordine al pagamento del contributo (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione).”.
Quanto alle esigenze di tutela dell’affidamento ingenerato dall’erronea liquidazione del contributo all’atto del rilascio del titolo, l’Adunanza Plenaria ha affermato che esse sono sufficientemente garantite nei limiti previsti dagli artt. 1175 e 1375 c.c.
Pertanto, “la complessità delle operazioni di calcolo o l’eventuale incertezza nell’applicazione di alcune tabelle o coefficienti determinativi, dovuti a ragioni di ordine tecnico, non sono eventi estranei o ignoti alla sfera del debitore, che invece con l’ordinaria diligenza, richiesta dagli artt. 1175 e 1375 c.c., può e deve controllarne l’esattezza sin dal primo atto di loro determinazione”.
Quindi “La tutela del legittimo affidamento e il principio della buona fede ( artt. 1175 e 1375 c.c.), che in via generale devono essere osservati anche dalla pubblica amministrazione nell’attuazione del rapporto obbligatorio (v., sul punto, Cass., sez. L, 7 aprile 1992, n. 4226), possono trovare applicazione ad una fattispecie come quella in esame nella quale, ordinariamente, l’oggettività dei parametri da applicare al contributo di costruzione rende vincolato il conteggio da parte della pubblica amministrazione, consentendone a priori la conoscibilità e la verificabilità da parte dell’interessato con l’ordinaria diligenza, solo nella eccezionale ipotesi in cui tali conoscibilità e verificabilità non siano possibili con il normale sforzo richiesto al debitore, secondo appunto buona fede, nell’ottica di una leale collaborazione finalizzata all’attuazione del rapporto obbligatorio e al soddisfacimento dell’interesse creditorio.”.
Come si è detto, il Legislatore regionale con l’art. 2, c. 3 L. R. Veneto n. 4/2015 si è inserito nel dibattito, manifestando una chiara opzione per la tesi che escludeva la modificabilità della liquidazione del contributo di costruzione effettuata dal Comune contestualmente al rilascio del titolo.
I rapporti obbligatori già instaurati alla data della sua entrata in vigore vengono assoggettati ad una disciplina peculiare, mediante la quale la pretesa creditoria del Comune viene ridotta nel quantum rispetto al suo contenuto legale, ove non esercitata in tale misura fin dal momento della sua originaria quantificazione, ed è riconosciuta una tutela dell’affidamento del privato del tutto avulsa dalla verifica dei profili di conoscibilità della normativa applicabile.
Ed, infatti, anche ove si ritenesse che la stratificazione delle disposizioni di fonte statale e regionale abbia potuto ingenerare una situazione di incertezza tale da incidere sulla conoscibilità dei criteri di calcolo del contributo, ciò non potrebbe comunque affermarsi con riguardo alle determinazioni nelle quali fosse esplicitamente fatta salva la possibilità di successivi conguagli, o a quelle adottate dopo le pronunce del TAR Veneto e del Consiglio di Stato con le quali il dubbio interpretativo sulla normativa applicabile era stato risolto nel senso della prevalenza della norma di fonte statale.
Così facendo, il Legislatore regionale ha dettato disposizioni che incidono sul regime giuridico di “un rapporto obbligatorio, di contenuto essenzialmente pecuniario”, in quanto tale soggetto alle “disposizioni di diritto privato, salve le specifiche disposizioni previste dalla legge”, invadendo una competenza riservata, dall’art. 117, c. II, Cost. alla potestà legislativa statale.
19. Infine, la norma di legge regionale appare in contrasto anche con l’art. 3 Cost.
Non può, infatti, ritenersi conforme ai principi di uguaglianza e di ragionevolezza una norma che disciplina diversamente rapporti obbligatori di fonte legale, integralmente definiti, nel loro contenuto, per effetto della medesima legge, in funzione della circostanza, meramente casuale, che il Comune abbia o non abbia fatto corretta applicazione della legge vigente in sede di rilascio del titolo.
Neppure può addursi a giustificazione di una tale disparità di trattamento l’affidamento ingenerato dal Comune con l’erronea determinazione iniziale dell’importo del contributo, poiché, come ha ritenuto l’Adunanza Plenaria nella sentenza n. 12/2018, tale affidamento è meritevole di tutela soltanto ove esso sia incolpevole, ovvero non fosse evitabile con l’ordinaria diligenza, circostanza da valutarsi in concreto.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda), dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 5, 97, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, della Legge Regionale 16 marzo 2015, n. 4.
Sospende il giudizio in corso e dispone, a cura della segreteria della Sezione, che gli atti dello stesso siano trasmessi alla Corte Costituzionale per la risoluzione della prospettata questione, nonché la notifica della presente ordinanza alle parti in causa ed al Presidente della Giunta Regionale e la comunicazione della medesima al presidente del Consiglio Regionale per il Veneto.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 11 ottobre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Alberto Pasi, Presidente
Daria Valletta, Referendario
Mariagiovanna Amorizzo, Referendario, Estensore
L’ESTENSORE
Mariagiovanna Amorizzo
IL PRESIDENTE
Alberto Pasi
IL SEGRETARIO